Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
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Considerazioni sull'art. 20 della legge di registro alla luce della giurisprudenza di Cassazione (di Francesco Pedaccini)


Dopo le speranze di revirement suscitate da Cass. n. 2054/2017, la Corte è subito tornata ad applicare il tributo di registro sulla base della “causa reale” del negozio, rifiutando di rimettere la questione alle Sezioni Unite. Non resta ormai che prendere atto di questo orientamento, per quanto assai discutibile. Anche nel nuovo scenario, è però indispensabile salvaguardare la funzione dell’art. 20, D.P.R. n. 131/1986 quale regola interpretativa dei negozi, anche complessi, posti in essere dalle parti.

Some remarks on art. 20 of the law on registration tax on the basis of the Italian Supreme Court case law

After the hopes of a revirement raised by the decision in case n. 2054/2017, the the Italian Supreme Court immediately reaffirmed its thesis that registration tax shall apply according to the intention of the parties. Therefore, it is now necessary to accept this set­tled case law, even if it remains highly criticizable. However, also in the new scenario depicted by the Court, it is important to safeguard the original role of art. 20, Presidential Decree n. 131/1986, as an interpretative rule of the transactions, even complex, made by the parties.

Se è indubitabile che l’Amministrazione in forza dell’art. 20, D.P.R. n. 131/1986 non è tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti, è indubbio che in tale attività riqualificatoria essa non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici. (Omissis) MOTIVI DELLA DECISIONE (Omissis) 4.2 Ciò premesso, essendo stato circoscritto il vaglio di legittimità di questa Corte, si osserva che, ritornando alle considerazioni in diritto svolte in premessa, a riqualificazione della “cessione di quote”, negozio posto in essere dalle parti, in “cessione di ramo di azienda” troverebbe il suo fondamento, per l’Amministrazione finanziaria ricorrente, nel­l’art. 20 T.U.R. (rubricato “interpretazione degli atti”) ai sensi del quale, l’imposta, prescindendo dal titolo o dalla forma apparente deve essere applicata tenendo conto dell’in­trinseca natura e degli effetti giuridici degli atti. Si fa riferimento a quell’indirizzo interpretativo per il quale l’amministrazione sarebbe legittimata a disconoscere gli effetti tributari e civili tipici degli atti o negozi posti in essere dalle parti, ogni qual volta tali effetti non appaiono conformi alla “causa reale” dell’operazione economica complessivamente realizzata e, dunque, prescindendo dal nomen iuris attribuito all’atto. Impostazione che si fonderebbe sulla valorizzazione dell'art. 20 T.U.R. come norma generale antielusiva per l’imposizione di registro. Questa ricostruzione è respinta dalla dottrina sulla scorta dell’osservazione che nel­l’imposta di registro esistono diverse disposizioni in virtù delle quali l’atto è tassato senza tener conto della sua qualificazione ed efficacia giuridica cosicché solo per queste ipotesi sussiste il diritto di disconoscere il comportamento delle parti diretto a conseguire, oltre che gli effetti tipici dell’atto, anche effetti diversi e indiretti. Il Collegio non ignora il costante indirizzo di questa Corte secondo cui, in tema di interpretazione degli atti ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, il criterio fissato dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 impone di privilegiare l’intrinseca natura e gli effetti giuridici, rispetto al titolo e alla forma apparente degli stessi, con la conseguenza che i concetti privatistici relativi all’autonomia negoziale regrediscono, di fronte alle esigenze antielusive poste dalla norma, a semplici elementi della fattispecie tributaria, per ricostruire la quale dovrà, dunque, darsi preminenza alla causa dei negozi giuridici (cfr. sentt. 23584/12, [continua..]

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SOMMARIO:

1. La giurisprudenza della Cassazione e la prospettiva dell'indagine - 2. L’art. 20 e la teoria della “causa reale” nella giurisprudenza della Corte di Cassazione - 3. Segue: il tributo di registro come imposta d’atto - 4. Conclusioni: la funzione dell’art. 20 nella nuova prospettiva di inquadramento - NOTE


1. La giurisprudenza della Cassazione e la prospettiva dell'indagine

Le pronunce in commento alimentano l’ormai più che decennale dibattito [1] riguar­do alla portata dell’art. 20, D.P.R. n. 131/1986 in tema di “Interpretazione degli atti” ai fini dell’imposta di registro. Pur vertendo su fattispecie in tutto analoghe, le due sentenze pervengono infatti a soluzioni opposte, palesando il persistere di forti tensioni ricostruttive attorno alla disposizione in questione e, più in generale, alla struttura stessa del tributo di registro [2]. I casi affrontati dalla Suprema Corte riguardano entrambi una fattispecie molto nota nella prassi, ossia il conferimento di ramo d’azienda seguito dalla cessione, da parte della conferente, delle partecipazioni ricevute in cambio dell’apporto. Com’è solito in queste circostanze, l’Agenzia delle Entrate riqualifica la sequenza negoziale adoperata dalle parti in cessione dei rami d’azienda conferiti, giacché questo sarebbe l’“ef­fetto finale” perseguito dai contraenti, che solo dovrebbe assurgere a parametro del­l’imposizione in base all’art. 20 della legge di registro [3]. La pretesa dell’Amministrazione Finanziaria è respinta nella sent. n. 2054/2017. Aderendo al pensiero della dottrina [4], i giudici di legittimità vi affermano che l’attività ermeneutica contemplata dall’art. 20 cit. non può che svolgersi entro il limite invalicabile dato dallo «schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici». Tale soluzione è smentita dalla di poco successiva sent. n. 3562/2017 [5], che segna il ritorno all’orientamento ampiamente prevalente della Corte di Cassazione e l’ab­bandono di ogni speranza di revirement. In linea con una giurisprudenza più che consolidata [6], la decisione in questione chiarisce che il prelievo di registro deve infatti essere determinato «in ragione degli effetti oggettivamente raggiunti dal negozio o dal collegamento negoziale», da ravvisare nella specie «negli effetti della vendita, e cioè il trasferimento di cose dietro corrispettivo del pagamento del prezzo». Le pronunce in rassegna sono emblematiche delle tradizionali [continua ..]


2. L’art. 20 e la teoria della “causa reale” nella giurisprudenza della Corte di Cassazione

Per farlo, conviene muovere dall’esame degli aspetti più critici della giurisprudenza di legittimità che negli ultimi tempi si è occupata dell’art. 20 della legge di registro. Come noto, questa desume gli “effetti giuridici” e l’“intrinseca natura” degli atti portati alla registrazione dall’interesse economico in concreto perseguito dalle parti; ciò che i giudici di legittimità definiscono la “causa reale” dell’operazione negoziale [12]. L’imposizione dovrebbe perciò essere modulata sul risultato pratico voluto dai contraenti, cosicché alla ricerca di questo si indirizzerebbe l’attività ermeneutica contemplata dall’art. 20, D.P.R. n. 131/1986 [13]. La casistica al riguardo è la più varia. Si pensi ad esempio al caso, oggetto delle pronunce in rassegna, del conferimento di azienda seguito dalla vendita delle partecipazioni della conferitaria, che la Corte di Cassazione interpreta (e tassa) come cessione di azienda, essendo questo l’obiettivo cui sarebbe funzionalmente rivolta la com­plessiva sequenza negoziale. Ma lo stesso dicasi per la cessione delle quote di una società il cui unico asset è costituito da un fabbricato, riqualificata in compravendita immobiliare, per la vendita dei singoli beni facenti parte del compendio aziendale, trattata come cessione di azienda, ovvero, ancora, per la cessione di un immobile da demolire, interpretata come vendita di un terreno edificabile. Seguendo questa impostazione, la Corte di Cassazione appare però talvolta muoversi su di un terreno tutto extratestuale, perdendo di vista l’operazione effettivamente posta in essere dalle parti e gli “effetti giuridici” [14] che ad essa la legge collega [15], ai quali pure impone di fare riferimento l’art. 20 cit. L’esito, alquanto discutibile, di questo approccio è che la finalità pratica dell’affare assurge in sé a oggetto dell’imposizione, senza alcuna considerazione – rectius: senza alcuna interpretazione – degli assetti giu­ridici in concreto adottati e degli effetti giuridici da essi scaturiti [16]. Si può, cioè, ammettere che, nell’ottica dell’art. 20 cit., più atti isolati – considerati nel loro [continua ..]


3. Segue: il tributo di registro come imposta d’atto

Dal punto di vista sistematico, la principale critica che viene rivolta al prevalente orientamento della Corte di Cassazione è data dalla natura d’imposta d’atto del tributo di cui trattasi, da cui viene fatto usualmente discendere il divieto di interpretazione extratestuale degli atti portati alla registrazione [25]: l’isolata soluzione cui perviene la sent. n. 2054/2017 muove appunto da questo assunto [26]. È questa, già lo si è avuto modo di accennare, l’impostazione senz’altro più rispettosa della tradizione dell’imposta di registro, concepita in origine per colpire le singoli disposizioni che compongono l’accordo e poi evolutasi nel senso di attribuire ri­levanza al contratto da sottoporre a registrazione [27]. Nondimeno, ci pare che non si possa fare altro oggi che prendere atto dell’evoluzione impressa all’interpretazione del tributo dalla giurisprudenza di legittimità, nell’intento di adattarne la disciplina (e, a ben vedere, la struttura stessa) ai mutamenti intervenuti nel sistema tributario e nel contesto giuridico ed economico [28]. Deve, cioè, intendersi ormai diritto vivente l’affermazione per cui l’imposta di registro colpisce, attraverso l’atto, gli effetti giuridici dell’operazione economica realizzata dai contraenti: con le parole della Cassazione, «gli artt. 1 e 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 vanno interpretati nel senso che l’oggetto dell’imposta di registro, per quanto genericamente e formalmente individuata nel riferimento dell’art. 1 agli atti soggetti a registrazione o volontariamente presentati, nella sostanza, è costituito dagli effetti giuridici di tali atti» [29]. Dove, peraltro, la nozione di “atto” va intesa in senso ampio, come riferita alla complessiva sequenza negoziale posta in essere dalle parti: lo testimonia l’impiego ricorrente della locuzione «imposta di negozio», in aperta contrapposizione alla tradizionale concezione del tributo di registro quale «imposta d’atto» [30]. Le conseguenze che ne derivano sono rilevantissime [31]. Proviamo a enuclearle: ai fini dell’imposizione, l’“atto” va inteso come operazione economica, che dunque diviene oggetto dell’imposta; il prelievo si collega direttamente al compimento [continua ..]


4. Conclusioni: la funzione dell’art. 20 nella nuova prospettiva di inquadramento

Come abbiamo cercato di dimostrare, nella ricostruzione ormai costantemente offerta dalla Corte di Cassazione, tende a dissolversi, dietro il richiamo alla nozione di causa concreta, ogni tentativo di interpretazione/qualificazione degli atti [32]. Non si interpreta, né si qualifica alcunché, limitandosi a ricercare le ragioni pratiche che han­no indotto le parti all’affare [33], così finendo per assoggettare a imposizione la vicenda negoziale sulla base dell’apprezzamento dei suoi effetti sostanziali. Anche nella nuova prospettiva di inquadramento aperta dalla Cassazione, occorre di contro salvaguardare la funzione dell’art. 20 cit. quale «regola interpretativa» [34], che impone di ricercare – e interpretare/qualificare – l’operazione in concreto realizzata, anche se frazionata in una pluralità di atti, e gli effetti che ne sono derivati; ciò affinché resti l’accordo, ed i suoi effetti giuridici, al centro della fattispecie d’imposta. Significa che l’indagine deve focalizzarsi sulla ricostruzione della portata obiettiva dell’affare, all’uopo avvalendosi delle regole comuni di interpretazione previste dal Codice Civile e tenendo in conto l’intero contesto negoziale nel quale si innestano i singoli atti. È per questa via che, parafrasando l’art. 20 cit., si individueranno «la intrinseca natura e gli effetti giuridici» dell’operazione, da assumere a parametro del­l’imposizione, «anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente». In questa prospettiva, il prelievo esce da una dimensione puramente cartolare, ma resta ancorato agli effetti giuridici sprigionati nell’ordinamento per effetto dell’o­perazione in concreto realizzata dai contraenti, anche ove questa si sia estrinsecata in una sequenza negoziale complessa [35]. Nella pratica, la ricerca e la qualificazione giuridica del negozio realmente posto in essere dalle parti potrà giustificare l’imposizione come unitaria cessione di azienda della dismissione isolata dei singoli beni facenti parte del compendio aziendale. Sem­pre sul piano della interpretazione degli atti e, quindi, in punto di corretta ricostruzione degli effetti giuridici, si potrà ammettere, almeno in principio, la qualificazione come cessione di azienda [continua ..]


NOTE