L’Autore commenta criticamente l’ultima decisione della Corte di Cassazione sulle opposizioni all’esecuzione tributaria. L’opposizione agli atti esecutivi appartiene al giudice ordinario; l’opposizione all’esecuzione al giudice tributario; la sospensione è comunque riservata al giudice dell’esecuzione.
The Author critically comments the latest decision of the Italian Supreme Court on the oppositions to forced tax collection. The civil judge is competent to decide on the opposition to enforcement acts; the tax judge on the opposition to tax enforcement; anyway, on the suspension only the enforcement judge is competent.
1. Il caso di specie - 2. La decisione della questione di giurisdizione - 3. L’opposizione agli atti esecutivi - 4. L’opposizione all’esecuzione - 5. Quadro sinottico - NOTE
La fattispecie che ha dato causa alla pronuncia annotata può così compendiarsi: con atto notificato il 13 luglio 2017 l’Agenzia delle Entrate – Riscossione pignorava il credito vantato dal contribuente nei confronti di un terzo, a seguito della notifica di due cartelle di pagamento (eseguita il 28 settembre e 17 ottobre 2016) e del vano decorso del termine dilatorio previsto dalla legge. Con ricorso al giudice dell’esecuzione depositato il 26 luglio 2017 (osservato, quindi, il termine cui è sottoposta l’opposizione agli atti esecutivi), il debitore proponeva opposizione – ai sensi degli artt. 615, comma 2, 617, comma 2, c.p.c. e 57, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – deducendo: a) la nullità del pignoramento per inesistenza del terzo debitor debitoris; b) l’inesistenza del credito risultante dalla prima cartella (che tuttavia, pur essendo stata ritualmente notificata per ammissione dell’opponente, non risultava tempestivamente impugnata davanti al giudice tributario) e l’inesigibilità del credito risultante dalla seconda cartella (stante la concessa rateazione del carico iscritto a ruolo). Concludeva perché, previa sospensione dell’esecuzione, fosse dichiarata la nullità del pignoramento e delle cartelle. La domanda cautelare veniva rigettata dal giudice dell’esecuzione con ordinanza resa il 13 settembre 2017 (anteriormente alla sent. n. 114/2018 della Corte costituzionale, ma successivamente alla sent. n. 13913/2017 delle Sezioni Unite) [1], sul rilievo che l’opposizione all’esecuzione era inammissibile (secondo il testo all’epoca vigente dell’art. 57, D.P.R. n. 602/1973), mentre dell’opposizione agli atti esecutivi doveva conoscere il giudice tributario, avendo il contribuente eccepito la nullità del pignoramento non per vizio proprio, ma derivato, lamentando «la nullità della notifica delle cartelle di pagamento». Con il provvedimento era pertanto assegnato termine perentorio per la riassunzione del giudizio di merito davanti al giudice speciale. La così disposta translatio iudicii non poteva che destare gravi e fondate perplessità: il debitore opponente non si era infatti doluto dell’omessa od invalida notifica delle cartelle di pagamento, talché nella specie non era applicabile il principio enunciato nel 2017 dalle Sezioni Unite, che [continua ..]
L’osservazione preliminare dell’annotatore è che nella specie la Suprema Corte avrebbe potuto dichiarare inammissibile il regolamento di giurisdizione d’ufficio, siccome richiesto dalla Commissione Tributaria Provinciale a seguito del provvedimento ordinatorio, non decisorio, reso dal giudice dell’esecuzione. Difettava, pertanto, il presupposto al quale l’art. 59, L. n. 69/2009 apparentemente subordina l’iniziativa officiosa del giudice ad quem, costituito da una pronuncia declinatoria della giurisdizione resa dal giudice a quo. Se il primo giudice si è limitato a negare il provvedimento cautelare richiestogli non dovrebbe esservi luogo per l’applicazione della norma: la domanda può essere infatti riproposta al medesimo giudice (come nell’ipotesi, testualmente prevista dall’art. 669 septies c.p.c., di incompetenza, salvo discutersi se la riproposizione sia ammessa senza limiti o resti invece subordinata alla deduzione di nova) [4] e, comunque, l’ordinanza non è di ostacolo all’introduzione del giudizio di merito dinanzi al medesimo ufficio, che potrebbe ritenersi munito della potestà giurisdizionale, senza essere vincolato al provvedimento di contrario segno del giudice cautelare. Invece qualora la parte, a seguito del diniego di tutela cautelare per difetto di giurisdizione del giudice ordinario, introduca il processo a cognizione piena davanti al giudice speciale che il primo giudice ha ritenuto (con ordinanza priva – ripeto – di efficacia vincolante) munito della potestas iudicandi, il secondo giudice o pronuncia sul merito ovvero dichiara con sentenza il difetto di giurisdizione, rimettendo la causa ad altro giudice (ordinario o speciale), il quale, se il processo sia stato tempestivamente riassunto, deve chiedere il regolamento, qualora si ritenga privo del potere di decidere il merito [5]. Il mezzo è ammissibile – secondo due precedenti di legittimità – soltanto se la declinatoria sia contenuta in una sentenza resa a definizione di un processo a cognizione piena, non surrogabile dalla pronuncia negativa in sede cautelare; pertanto, dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto al giudice ordinario, che ritenga la controversia devoluta al giudice amministrativo, davanti al quale la causa sia riassunta (con domanda di merito ed incidentale istanza cautelare), il secondo [continua ..]
Ma qui si arrestano le lodi alla decisione in rassegna, che per il resto non va immune da critiche. La pronuncia non soltanto perpetua l’errore nel quale – e non soltanto a mio avviso [16] – erano incorse le Sezioni Unite nel 2017, ma aggrava le perplessità che avevo già esternato a commento della decisione della Corte costituzionale del 2018, peraltro in parte limitandone le conseguenze applicative [17]. Il quadro che ne deriva risulta affetto da antinomie ed aporie che anche il più corrivo degli annotatori (categoria alla quale notoriamente non appartengo) non potrebbe ignorare. Osservo tuttavia che il principale responsabile delle perduranti incertezze in ordine ai criteri di riparto della giurisdizione nelle opposizioni all’esecuzione tributaria deve individuarsi nel legislatore, che a seguito della decisione del giudice delle leggi sarebbe dovuto intervenire con apposite disposizioni, da collocare negli artt. 2 e 19, D.Lgs. n. 546/1992 e nell’art. 57, D.P.R. n. 602/1973, per attribuire, claris verbis, al giudice ordinario od a quello tributario le opposizioni proposte, a norma degli artt. 615, comma 2, e 617, comma 2, c.p.c., dopo il pignoramento; nonché per individuare il termine finale di proponibilità dell’opposizione all’esecuzione esattoriale, nella quale non è prevista l’udienza di autorizzazione alla vendita e risulta quindi direttamente inapplicabile la correlata disposizione contenuta nell’art. 615, comma 2, c.p.c., che vieta l’opposizione «dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione» [18]. Le Sezioni Unite: a) riaffermano, ma senza addurre argomenti nuovi e persuasivi, il precedente del 2017 che ha disapplicato l’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992, ritenendo devoluta alla giurisdizione tributaria l’opposizione ex art. 617 c.p.c. contro il pignoramento asseritamente non preceduto da valida notifica (siccome materialmente omessa, giuridicamente inesistente o nulla) degli atti preparatori (cartella di pagamento e, se necessaria, intimazione ad adempiere); b) ritengono che, in generale (ma con una significativa eccezione), spetti al giudice ordinario, adito con l’opposizione all’esecuzione, la cognizione dei fatti estintivi del credito posteriori alla notifica di tali atti. Sarebbe pedante riproporre in questa sede le ragioni di fermo e motivato dissenso dal [continua ..]
Come avevo osservato a commento della dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale dell’art. 57, D.P.R. n. 602/1973 (per effetto della quale l’opposizione all’espropriazione forzata tributaria è proponibile non soltanto in ragione dell’impignorabilità dei beni staggiti, ma anche per difetto, originario o sopravvenuto, di titolo esecutivo e per motivi di merito), sono rimaste impregiudicate le conseguenti questioni in ordine alla giurisdizione, alla competenza ed al procedimento. Le incertezze sopravvivono – ed anzi risultano aggravate – a seguito della decisione delle Sezioni Unite. Devesi premettere che il ruolo (notificato al debitore con la cartella di pagamento: art. 21, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992) rientra nella categoria dogmatica dei titoli esecutivi di formazione amministrativa, che provengono dal creditore e per i quali vige a carico del debitore l’onere dell’impugnazione nel termine di decadenza, decorso il quale l’atto (benché privo, per la sua natura amministrativa, dell’efficacia del giudicato: donde l’inapplicabilità dell’art. 2953 c.c.) si consolida. Il credito può essere contestato con l’opposizione all’esecuzione soltanto per fatti sopravvenuti alla notificazione dell’atto: altrimenti, verrebbe eluso il termine decadenziale al quale era sottoposta l’impugnazione del titolo esecutivo. Perciò l’opposizione ex art. 615 c.p.c. non può surrogare l’impugnazione dell’atto che il soggetto passivo avrebbe potuto e dovuto proporre nella sede propria, ma non ha sperimentato. Ciò presuppone, tuttavia, che quell’atto sia stato validamente notificato e fosse pertanto legalmente conoscibile da parte del destinatario. Se l’atto non è stato notificato o è stato invalidamente notificato, la notifica dell’atto successivo (ad es., la cartella di pagamento rispetto al verbale di accertamento di violazione delle norme del codice della strada od all’ordinanza-ingiunzione) restituisce il debitore nel termine per l’impugnazione dell’atto presupposto. A tal fine il rimedio non è l’opposizione all’esecuzione, che rappresenta un mezzo sussidiario di tutela, ma l’impugnazione specificamente prevista dalla legge contro l’atto presupposto (ad es., il ricorso al giudice di pace contro il [continua ..]
A mo’ di finale epitome propongo il seguente schema classificatorio delle opposizioni all’esecuzione tributaria (tratto, non senza difficoltà, dalla massima ufficiale enunciata nell’ordinanza annotata), in relazione alla natura dei vizi e degli atti, con indicazione, per ciascuna fattispecie, della giurisdizione ritenuta competente dalle Sezioni Unite: a) vizi formali e di merito della cartella e dell’intimazione validamente notificate: giudice tributario; b) vizi formali della cartella e dell’intimazione non notificate, od invalidamente notificate, delle quali il contribuente venga a conoscenza soltanto a seguito del pignoramento: giudice tributario; c) fatti estintivi del credito posteriori alla notifica della cartella o dell’intimazione: giudice tributario, se è rilevante l’accertamento della omissione, inesistenza o nullità della notifica; giudice ordinario negli altri casi; d) vizi formali propri del pignoramento: giudice ordinario; e) vizio formale del pignoramento per omessa od invalida notifica degli atti preliminari: giudice tributario. Le ragioni di parziale dissenso da tale quadro sinottico sono state esposte nei precedenti paragrafi. Osservo, da ultimo, come sembri incongruo che, secondo la Cassazione, dei vizi formali del pignoramento (e quindi del come debba procedersi in executivis) debba talora conoscere il giudice tributario, mentre dell’opposizione di merito all’esecuzione (e quindi del se debba procedersi) sia talora investito il giudice ordinario. Giudice naturale di “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati” è quello tributario (art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992): e l’opposizione di merito all’esecuzione introduce una controversia sull’attuale esistenza del debito d’imposta.