Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno affermato che, dalla prospettiva del diritto interno, la soluzione della questione relativa all’applicabilità del “fermo amministrativo” ai rimborsi dei crediti IVA non è univoca, ma varia a seconda che i contribuenti prestino, o meno, una delle garanzie previste dall’art. 38 bis: nel primo caso, il fermo amministrativo dei rimborsi IVA non può essere disposto; nel secondo caso, l’Amministrazione finanziaria potrebbe, in linea di massima, disporre la sospensione del rimborso mediante fermo. La soluzione raggiunta dalla Suprema Corte presta il fianco ad alcune osservazioni e merita di essere approfondita alla luce del principio di neutralità dell’IVA e delle limitazioni che, secondo il costante orientamento della Corte di Giustizia, tale principio può incontrare alla luce del principio di proporzionalità.
In the commented decision, the Grand Chamber of the Italian Supreme Court affirmed that, from the perspective of domestic law, the solution to the issue relating to the applicability of the “administrative seizure” to the refund of VAT credits is not univocal, but varies according to whether the taxpayers provide, or less, one of the guarantees provided by Art. 38-bis: in the first case, the administrative seizure of VAT refunds cannot be ordered; in the second one, the tax authorities may, in principle, order the suspension of the refund through such seizure. The solution reached by the Supreme Court may be subject to some observations and deserves an in-depth analysis in light of the principle of VAT neutrality and of the limitations that, according to the consolidated case law of the Court of Justice of the European Union, the latter may find in the principle of proportionality. With the judgement n. 2320 of 2020, the Grand Chamber of the Italian Supreme Court examined (from the perspective of domestic legislation) whether the Italian Revenue Agency is entitled to “block” the reimbursement of VAT credits by means of the administrative measures provided for under article 23 of the Decree n. 472 of 1997 and article 69 of the Decree n. 2440 of 1923. This brief contribution highlights that the solution reached by the Supreme Court should be further explored in light of the principles of neutrality and proportionality.
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1. La fattispecie vagliata dalle Sezioni Unite - 2. Una breve (ma necessaria) premessa sul perimetro dell’indagine - 3. Il contrasto giurisprudenziale e la soluzione mediana delle SS.UU. - 4. Profili problematici della soluzione raggiunta dalle SS.UU. - 5. Oltre la sentenza: il principio di diritto fissato dalla Suprema Corte alla luce degli elementi costitutivi (idoneità, necessarietà e adeguatezza) del principio di proporzionalità - NOTE
Il caso sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite trae origine da un’istanza di rimborso di un credito Iva presentata da una società di capitali e corredata da garanzia fideiussoria ai sensi dell’art. 38 bis, D.P.R. n. 633/1972 [1]-[2]. In seguito alla presentazione della predetta istanza, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società contribuente un provvedimento di sospensione del rimborso ai sensi dell’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997, motivata in ragione dell’esistenza di un contenzioso relativo a un avviso di liquidazione ai fini dell’imposta di registro. La società contribuente impugnava il predetto provvedimento di sospensione, il quale veniva successivamente annullato in entrambi i gradi di merito sul duplice presupposto che, da un lato, l’art. 38 bis, D.P.R. n. 633/1972, enucleando un sistema “chiuso” di garanzie volte a tutelare l’interesse dell’Erario, escluderebbe l’applicabilità di altri istituti di analogo contenuto quali il “fermo”, e, dall’altro lato, il titolo per l’adozione del fermo era stato medio tempore annullato da una sentenza non definitiva della Commissione tributaria provinciale. Nel giudizio di legittimità promosso dall’Ufficio, la Cassazione rilevava l’esistenza di ondivaghi orientamenti in seno alla medesima Corte con riguardo a entrambe le rationes decidendi su cui si fondavano le decisioni di merito e sollecitava la rimessione della causa alle Sezioni Unite per la risoluzione dei seguenti quesiti [3]: (a) se, in caso di richiesta di rimborso di un credito Iva, l’amministrazione finanziaria che abbia chiesto e ottenuto fideiussione dalla contribuente ai sensi dell’art. 38 bis, D.P.R. n. 633/1972, possa fare uso dello strumento cautelare di cui all’art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 472/1997, ovvero anche di quello previsto dall’art. 69, R.D. n. 2440/1923; (b) se i provvedimenti di fermo ex art. 23, D.Lgs. n. 472/1997, possano essere conservati anche quando i titoli che ne giustificano l’adozione risultino annullati per effetto di una sentenza non ancora definitiva. Con riferimento al primo quesito, la soluzione offerta dalle Sezioni Unite è nel senso che, laddove l’Amministrazione finanziaria abbia già chiesto e ottenuto una delle garanzie previste dall’art. 38 bis, D.P.R. n. 633/1972, l’adozione degli strumenti [continua ..]
Come anticipato in premessa, il primo quesito posto alle Sezioni Unite riguardava la possibilità di applicare gli istituti disciplinati nell’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997 e nell’art. 69, R.D. n. 2440/1923, nel caso di rimborsi delle eccedenze detraibili IVA. Ancorché tali istituti siano avvinti dalla medesima ratio cautelare e vengano comunemente impiegati dall’Amministrazione finanziaria per sospendere, in vista di un’eventuale, successiva compensazione, i rimborsi nei confronti dei contribuenti in posizione di debito, l’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997, e l’art. 69, R.D. n. 2440/1923, presentano notevoli differenze strutturali [10]. Peraltro, se si fa riferimento alla formulazione dell’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997, anteriore alle modifiche operate dal D.Lgs. n. 158/2015 (che è quella ratione temporis applicabile al caso vagliato dalle Sezioni Unite), tali differenze sono ancora più evidenti, in quanto il previgente art. 23 consentiva la sospensione dei rimborsi solo in presenza di un controcredito dell’Amministrazione finanziaria per “sanzioni”, mentre l’art. 69 consentiva – come consente tuttora – l’ordine di sospensione in presenza di una mera “ragione di credito” e, dunque, anche per controcrediti vantati dall’Amministrazione finanziaria a titolo di tributi e interessi [11]. In costanza della previgente formulazione dell’art. 23, i rapporti tra i due istituti sono stati ricostruiti secondo tre diverse teorie. La prima era nel senso che l’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997 – in quanto specificazione, in ambito tributario, del più generale potere di fermo previsto dall’art. 69 – connotasse in modo tassativo le ipotesi in cui l’Amministrazione poteva ricorrere all’adozione del fermo amministrativo [12]; onde l’art. 69 doveva ritenersi inoperante in materia tributaria e l’Amministrazione finanziaria poteva disporre la sospensione dei rimborsi solo per la salvaguardia di crediti relativi a sanzioni e non per la salvaguardia di crediti per tributi e interessi. La seconda era a favore di una lettura “a compasso allargato” dell’art. 23, così da consentire all’Amministrazione finanziaria di ricorrere a questo istituto per la salvaguardia di crediti vantati, oltre che per sanzioni, anche per tributi e interessi [13]. La terza [continua ..]
In merito all’applicabilità del “fermo amministrativo” ai rimborsi di crediti IVA, nella giurisprudenza di legittimità si sono delineati e alternati due opposti orientamenti. Per il primo, la disciplina del fermo amministrativo non sarebbe applicabile ai rimborsi dei crediti Iva in quanto l’art. 38 bis, D.P.R. n. 633/1972, disegnerebbe un sistema “chiuso” e “speciale” di garanzie in tema di rimborsi Iva, che precluderebbe l’intervento di qualsiasi altra misura cautelativa per l’Erario. In ispecie, a sostegno di tale conclusione è stato argomentato che: (i) l’art. 38 bis, D.P.R. n. 633/1972, accanto a un articolato sistema di garanzie [18], disciplina già una ipotesi “speciale” di fermo dei rimborsi dei crediti Iva [19], sicché il legislatore avrebbe implicitamente inteso limitare la sospensione di tali rimborsi alle sole ipotesi previste da tale disposizione [20]; (ii) l’applicazione del fermo amministrativo ai rimborsi delle eccedenze dei crediti Iva si porrebbe, in ogni caso, in contrasto con l’ordinamento eurounitario, in quanto vanificherebbe in maniera generalizzata ed indefinita il diritto di detrazione, così minando alle basi il meccanismo di funzionamento dell’IVA e il principio di neutralità dell’imposta [21]. Per l’orientamento contrario, invece, la disciplina sul fermo e il sistema di garanzie tracciato nell’art. 38 bis si porrebbero in rapporto di alternatività in ragione dei diversi ambiti applicativi di tali istituti, in quanto se, da un lato, il sistema di garanzie previsto dall’art. 38 bis tende a tutelare il Fisco contro la potenziale inesistenza del credito Iva di cui è chiesta la restituzione; dall’altro lato, le discipline sul fermo tendono a tutelare il Fisco rispetto a un controcredito emergente da una fattispecie esterna e diversa dalla somma chiesta a rimborso [22]-[23]. Le Sezioni Unite hanno risposto all’interrogativo con una soluzione esegetica che sembra, per certi aspetti, collocarsi in una posizione mediana rispetto ai due citati orientamenti. Per un verso, infatti, la sentenza si raccorda con l’orientamento più rigoroso della giurisprudenza di legittimità nel punto in cui statuisce che tra l’art. 38 bis, D.P.R. n. 633/1972, da un lato, e gli “istituti cautelari” di [continua ..]
Come anticipato, nella sentenza in commento le SS.UU. hanno affermato che il fermo amministrativo dei rimborsi IVA è geneticamente incompatibile con l’esistenza e l’efficacia di una garanzia prestata ai sensi dell’art. 38 bis, D.P.R. n. 633/1972, senza tuttavia chiarire se all’Amministrazione finanziaria sia parimenti precluso ricorrere alla disciplina del “fermo amministrativo” nei casi in cui i contribuenti non prestino le garanzie previste dall’art. 38 bis. L’impostazione seguita dalla Suprema Corte presta il fianco ad alcune osservazioni. Innanzitutto, la scelta di esprimere un principio di diritto limitato al caso in cui l’istanza di rimborso IVA sia corredata da una delle garanzie previste dall’art. 38 bis del D.P.R. n. 633/1972 – ancorché ineccepibile sul piano processuale [25]– sembra limitare notevolmente l’impatto pratico della soluzione che ci è stata consegnata, in quanto, in seguito alle modifiche apportate all’art. 38 bis, D.P.R. n. 633/1972 ad opera dell’art. 13 del D.Lgs. n. 175/2014, il legislatore ha notevolmente ristretto i casi in cui i contribuenti sono tenuti a prestare garanzia per ottenere l’esecuzione dei rimborsi IVA [26]. In secondo luogo, appare singolare la motivazione offerta per giustificare tale impostazione, ossia che, in punto di applicabilità delle discipline sul “fermo amministrativo” ai rimborsi delle eccedenze detraibili IVA, verrebbero in rilievo due diversi sistemi di regole: il diritto nazionale, nel caso in cui l’istanza di rimborso del credito IVA sia corredata da una delle garanzie previste dall’art. 38 bis, e il diritto eurounitario, nei casi in cui l’art. 38 bis non prescriva la prestazione di tali garanzie o i contribuenti non ottemperino alle richieste in tal senso degli Uffici. Invero, atteso che (i) l’IVA è un tributo armonizzato, (ii) l’esercizio del diritto di detrazione (o del diritto di rimborso delle eccedenze detraibili) è di fondamentale importanza nel sistema dell’IVA, in quanto garantisce l’effettiva neutralità del tributo, e (iii) le sospensioni dei rimborsi IVA ai sensi degli artt. 23, D.Lgs. n. 472/1997 si sostanziano sempre in una limitazione di tale diritto di detrazione (a prescindere dal fatto che l’esecuzione del rimborso sia subordinato al rilascio di una garanzia ai [continua ..]
Nel precedente paragrafo sono state enunciate una serie di valide argomentazioni, di carattere sistematico, per sostenere la tesi – respinta dalle Sezioni Unite – della “specialità” del sistema di garanzie predisposto dall’art. 38-bis e della conseguente inapplicabilità del fermo ai rimborsi delle eccedenze detraibili IVA. Tali argomenti ruotano attorno alla natura sui generis dei crediti IVA, i quali non sono ricollegati – come tipicamente accade nei rimborsi da “indebito” – al versamento da parte del contribuente di una somma in tutto o in parte non dovuta, ma sorgono come evenienza naturale e fisiologica del particolare meccanismo applicativo dell’IVA, assicurandone la neutralità. Quanto osservato merita un maggiore approfondimento, in quanto nella giurisprudenza della Corte di Giustizia si rinviene una serie di pronunce che, in relazione ai rimborsi di crediti Iva, riconoscono la legittimità di misure (anche di carattere cautelare) limitative del principio di neutralità e tese a garantire l’interesse “statale” al soddisfacimento dei crediti tributari se compatibili con il principio di proporzionalità [36]. Tale principio, inizialmente elaborato dalla dottrina tedesca e poi entrato nell’ordinamento eurounitario, nella sua accezione più ampia comporta che il legislatore e l’Amministrazione pubblica non possano imporre obblighi e/o restrizioni ai diritti e alle libertà dei privati sanciti da norme eurounitarie in misura superiore a quanto strettamente necessario per il raggiungimento dello scopo prefissato dall’autorità nazionale [37]. Nella sua formulazione più “pura”, invece, il principio di proporzionalità consta di tre requisiti, o “sotto-principi” (c.d. “teoria dei tre gradini”), che devono essere integrati affinché una misura possa dirsi rispettosa di tale principio: l’“idoneità”, la “necessarietà e l’“adeguatezza” (o “proporzionalità in senso stretto”) [38]-[39]. Il requisito dell’“idoneità” richiede di valutare se il mezzo in concreto utilizzato sia suscettibile di conseguire il risultato perseguito; il requisito della “necessarietà” richiede di scegliere, tra i diversi mezzi idonei al [continua ..]