Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
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Rifiuto di mediazione tributaria e condanna alle spese del giudizio (di Chiara Gioè)


L'art. 91, comma 1, ultima parte, c.p.c., prevede che il giudice, se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanni la parte che abbia rifiutato tale proposta senza giustificato motivo al pagamento delle spese maturate dopo la sua formulazione, fatti salvi i casi di compensazione. Sebbene tale disposizione utilizzi il termine “conciliazione” non sembra possa limitarsene l’ambito di operatività alle sole ipotesi che vengono formalmente così denominate dal legislatore. È importante verificare, pertanto, se sussista per il giudice tributario la possibilità di applicare tale norma anche nel caso in cui la sentenza dovesse corrispondere esattamente al contenuto della proposta di mediazione, avanzata – ai sensi dell’art. 17-bis, D.Lgs. n. 546/1992 – dalla parte risultata soccombente e ingiustificatamente rifiutata dalla parte risultata vittoriosa in giudizio.

The denial of tax mediation and the order to pay the costs of the proceedings

Art. 91, para. 1, final part, of the Civil Procedure Code, states that, if the judge accepts the request not beyond the extent of the conciliation proposal, he shall order the part who refused the mentioned proposal without any justifiable reason to pay the costs of the proceedings accrued after such proposal was made. This regulation does not apply in case of compensation of the abovementioned costs. Even though this regulation mentions the term “conciliation”, it should be wondered whether its field of application shall be restricted only to those cases provided for by legislator. Insofar, it should be ascertained whether the tax court might apply this provision even in cases where the decision should exactly match the content of the mediation proposal, proposed – as to Art. 17-bis, Legislative Decree No. 546/1992 – by the losing part and unreasonably refused by the winning part in the proceedings.

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1. Il rifiuto della proposta conciliativa e la condanna alle spese del giudizio nel codice di procedura civile La disposizione dell’art. 91, comma 1, ultima parte, c.p.c., di recente introdotta nel nostro ordinamento con la riforma del sistema processuale civile del 2009, prevede che il giudice, se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanni la parte che abbia rifiutato tale proposta senza giustificato motivo al pagamento delle spese maturate dopo la sua formulazione, fatti salvi i casi di compensazione [1]. Si tratta di un’ipotesi di condanna che prescinde dalla soccombenza, in cui la responsabilità per le spese non è legata alla sussistenza o meno del diritto sostanziale, ma all’apprezzamento del comportamento processuale. La possibilità di disporre la condanna anche a carico della parte vincente, che non abbia accettato la proposta conciliativa nei limiti e nei termini poi ripresi dalla sentenza, trova giustificazione nel fatto che, sulla base di motivazioni incongrue, non ha voluto evitare il giudizio [2]. Parte della dottrina interpreta tale norma come uno strumento per infliggere una speciale sanzione alla parte colpevole di aver rifiutato ingiustificatamente una proposta conciliativa [3]; secondo altra impostazione, invece, si tratterebbe di un diverso regime di regolamentazione delle spese di lite, con­nesso ad una vicenda (processuale o pre-processuale) incidentale, sia pure con funzione sanzionatoria [4]. Nell’uno e nell’altro caso il rifiuto di aderire alla proposta conciliativa formulata da controparte viene ritenuto in contrasto con i doveri di lealtà e probità [5] e costituisce causa determinante dell’instaurazione o prosecuzione del giudizio. È indubbio che la ratio di tale previsione legislativa sia quella di evitare la compensazione delle spese nei casi di soccombenza reciproca e quindi di ac­coglimento parziale della domanda, nelle ipotesi in cui una delle parti avesse già ragionevolmente prospettato all’altra un punto di incontro per una soluzione bonaria della controversia. Il fine è quello di sanzionare le condotte di abuso del giudizio [6] e di ridurre, in un’ottica deflattiva, il ricorso allo strumento processuale. La norma, infatti, impone maggiori oneri (sotto forma non solo di spese di lite, ma anche di “sanzioni civili” [7]) a carico di chi non riflette con ragionevolezza sulla possibilità di trovare un accordo per evitare la lite ed evidenzia l’opportunità di valutare con la dovuta attenzione il rapporto costi/benefici nell’assumere la decisione di instaurare un giudizio. Si tratta di un principio già sancito dalla giurisprudenza di legittimità, ancor prima dell’introduzione della norma in commento [8], e che trova [continua..]

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