Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Lo statuto dei diritti del contribuente (di Gianni Marongiu)


Una semplice scorsa del presente contributo dimostra quanta strada abbia percorso, dal 2000 ad oggi, lo Statuto dei diritti del contribuente applicato ogni giorno dalle magistrature di merito e di legittimità.

Certo il legislatore lo ha violato e lo viola, ma se il conteggio dei relativi strappi fosse assunto a misura del suo radicamento (come qualcuno ancora fa) dovrebbe dirsi fallita anche la Costituzione della Repubblica. La vitalità dell’uno e dell’altra non sta nel numero delle violazioni ma nella dimostrata capacità di reazione dell’ordinamento.

The taxpayer bill of rights

A quick overview of this paper clearly demonstrate how far the Taxpayer Bill of Rights has evolved, from 2000 to date, through the daily enforcement made by lower and higher tax judges. Of course, the legislator has violated and continues to violate the Taxpayer Bill of Rights, but if the count of its infringements was sized to its rooting (as someone still does), also the Republican Constitution should be considered a failure. The vitality of the one and the other shall not be identified in the number of violations, but in the demonstrated responsiveness of the tax system.

1. La valenza dello Statuto Il Parlamento, dopo un lungo e travagliato dibattito, approvò la L. 27 luglio 2000, n. 212, recante lo “Statuto dei diritti del contribuente” che, per la prima volta, ha codificato i principi generali dell’ordinamento tributario italiano. Esso, quindi, va ben al di là di ciò che suggerisce il suo titolo e di ciò che fino ad oggi hanno attuato Paesi che lo Statuto hanno da tempo [1]. Significativamente l’art. 1 della legge statuisce che le sue disposizioni sono attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. La novità è stata bene colta dal Supremo Collegio secondo il quale le autoqualificazioni delle disposizioni come “principi generali” dell’ordina­men­to tributario «trovano puntuale rispondenza nella effettiva natura della maggior parte delle disposizioni stesse, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme della legislazione e dell’ordinamento tributari, e dei relativi rapporti». A queste specifiche “clausole rafforzative” di autoqualificazione delle disposizioni stesse «deve essere attribuito, perciò – soggiunge la Corte smentendo i pavidi e i conformisti – un preciso valore normativo e interpretativo sia se hanno la funzione di dare attuazione alle norme costituzionali richiamate dallo Statuto sia se costituiscono “principi generali dell’ordinamento tributario”». «Il legislatore, infatti, ha manifestato esplicitamente l’intenzione di attribuire ai principi espressi nelle disposizioni dello Statuto, o desumibili da esso una rilevanza del tutto particolare nell’ambito della legislazione tributaria e una sostanziale superiorità rispetto alle altre disposizioni vigenti in materia. Nella categoria dei principi giuridici è insita inoltre – come si desume dal 2° comma dell’art. 12 delle preleggi – la funzione di orientamento ermeneutico e applicativo vincolante nell’interpretazione del diritto». Ne consegue, insegna ancora la Corte di Cassazione, che, «enucleati, dal­l’art. 1, comma 1, quattro enunciati – a) l’autoqualificazione delle disposizioni dello Statuto come attuative della Costituzione; b) il valore di tali norme, come principi generali dell’ordinamento tributario: c) il divieto di deroga o modifica delle norme, in modo tacito; d) il divieto di deroga o modifica mediante leggi speciali, Quale che possa essere l’incidenza dei quattro enunciati normativi contenuti nel 1° comma dell’art. 1 della legge n. 212 del 2000 … è certo, però, che alle specifiche clausole rafforzative di autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come principi generali [continua..]

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