Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
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La TARSU per le attività alberghiere: la Cassazione si trincera dietro un 'dato di comune esperienza' (di Simona Zitella)


La pronuncia della Suprema Corte in tema di TARSU conferma il consolidato orientamento secondo cui è legittima la delibera comunale che preveda una tariffa per la categoria degli esercizi alberghieri notevolmente superiore a quella applicata alle civili abitazioni, in ragione della maggiore capacità produttiva di rifiuti propria di tali attività, costituendo un “dato di comune esperienza” emerso da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia. Ad avviso della Corte di legittimità, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari. Tali principi di diritto sembrano presentare alcuni profili di criticità rispetto all’attuazione del principio “chi inquina paga”, soprattutto laddove la Corte si trincera dietro un etereo “dato di comune esperienza”.

The garbage tax for hotel activities: the Italian Supreme Court entrenches itself behind a 'fact of common experience'

The ruling of the Italian Supreme Court on the tax on urban solid waste (TARSU) confirms the consolidated approach according to which municipal resolutions that imposes a tariff for hotels considerably higher than the one applied to private properties is legitimate, due to their greater capacity of producing garbage, which is a “fact of common experience” emerged from a comparative examination of municipal regulations on this to­pic. In the opinion of the Court, the municipal resolution imposing such higher tariff does not have any duty to explain the reasons of this choice, since the latter, like any administrative act with a general or collective content, addresses an indistinct plurality of recipients, even if it may be exactly determined ex post. These principles, nevertheless, show some critical aspects in the light of the “polluter pays” principle, especially where the Court hides itself behind an ethereal “fact of common experience”.

Cass., sez. trib., 4 aprile 2018, n. 8308 – Pres. Chindemi, Est. Castorina Tributi locali – TARSU – Tassa raccolta di rifiuti solidi urbani interni – Tariffa per le attività alberghiere – Maggiorazione tariffa – Legittimità   In tema di TARSU, è legittima la delibera comunale che preveda una tariffa per la categoria degli esercizi alberghieri notevolmente superiore a quella applicata alle civili abitazioni, in quanto costituisce un dato di comune esperienza la maggiore capacità produttiva di rifiuti propria di tali esercizi.   Omissis SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La Società Hotel Città del Mare s.p.a., titolare dell’omonimo complesso ricettivo in (Omissis), proponeva ricorso avverso il silenzio rifiuto del Comune sulla istanza in data 8.10.2007 di rimborso, con interessi e rivalutazione, della somma di Euro 68.143,66 a suo dire indebitamente versata al Comune per TARSU afferente l’anno 2006. La CTP di Palermo, con sentenza n. 181 dei dii 9 giugno/16 settembre 2009 rigettava il ricorso. Interposto appello dalla contribuente, la CTR della Sicilia con sentenza n. 157/01/12 depositata in data 20.12.2012 in accoglimento dell’appello dichiarava dovuto il rimborso Tarsu reclamato dalla società appellante, previa detrazione di quanto da questa dovuto per lo stesso titolo in base alle tariffe applicate in precedenza. La commissione tributaria regionale, in particolare, pur ammettendosi il diritto del Comune di diversificare per regolamento i contribuenti in base a categorie e sottocategorie omogenee che tenessero conto dei differenti coefficienti di produttività di rifiuti (anche nel raffronto tra destinazione alberghiera e destinazione abitativa), riteneva che tale potere dovesse essere esercitato sulla base di una adeguata motivazione che indicasse i parametri tariffari utilizzati. Pertanto in assenza, nel caso che ne occupa, di siffatta adeguata motivazione sul punto, ha disapplicato l’atto normativo ritenuto illegittimo. Ricorre per Cassazione il Comune di Terrasini con ricorso notificato in data 24.1.2014 affidato a due motivi. Resiste con controricorso, illustrato con memoria Hotel Città del Mare s.p.a. la quale solleva altresì – in via subordinata – questione di legittimità costituzionale, ex artt. 3 e 53 Cost., del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo di ricorso il Comune di Terrasini lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 68 e 69. 2. Con il secondo motivo il Comune di Terrasini lamenta la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con riferimento al fatto controverso e decisivo per il giudizio attinente al rapporto tra le tariffe tarsu applicate alle abitazioni e agli [continua..]

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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il caso esaminato dalla Corte - 3. La determinazione della TARSU per le attività alberghiere - 4. L’orientamento della Corte di Giustizia europea ed il principio “chi inquina paga” - 5. La motivazione delle delibere comunali di determinazione delle tariffe - 6. Riflessi in tema di TARI - 7. Profili di criticità nell’attuazione del principio europeo “chi inquina paga” - 8. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

La sentenza in rassegna involge il tema del prelievo fiscale ai fini TARSU [1] degli esercizi alberghieri. La pronuncia della Suprema Corte si inserisce nell’alveo dell’orientamento giurisprudenziale [2] che ha costantemente ribadito il principio secondo cui deve ritenersi legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe in cui la categoria degli esercizi alberghieri viene distinta da quella delle civili abitazioni ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile alle seconde. Segnatamente, la querelle ha ad oggetto due questioni sulle quali la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi: a) la legittimità o meno della delibera comunale di approvazione del regolamento che prevede una differenziazione, sotto il profilo tariffario, tra la categoria degli alberghi e quella delle civili abitazioni, assoggettando la prima ad una tariffa più elevata nonostante il legislatore preveda una loro assimilazione; b) la sussistenza o meno di un onere motivazionale della delibera tariffaria TARSU posto a carico del Comune. È interessante notare come, anche a fronte dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità che può ormai definirsi consolidato, la giurisprudenza di merito [3] – seppur con un altalenante orientamento – abbia perseguito, in diverse occasioni, un indirizzo favorevole agli albergatori e, per l’effetto, abbia disapplicato le suddette deliberazioni tariffarie. Nondimeno, la problematica si ripropone in ambito TARI pur se, di primo acchito, l’assenza di una classificazione legislativa delle strutture ricettive e delle abitazioni civili in un’unica categoria omogenea di produzione di rifiuti induca a ritenere superata la questione. La previa analisi dell’iter logico motivazionale seguito dalla Corte di legittimità e la successiva indagine sulle ricadute prodotte nella vigente TARI, tuttavia, fanno emergere taluni punti di frizione tra le consolidate risultanze interpretative della Suprema Corte ed il principio europeo “chi inquina paga”.


2. Il caso esaminato dalla Corte

La fattispecie sottoposta al vaglio della Suprema Corte concerne l’impugnazione, da parte di una società alberghiera, del silenzio-rifiuto opposto dall’Ente locale all’i­stanza di rimborso presentata per indebito versamento della TARSU relativa all’an­no 2006. La CTP di Palermo rigettava il ricorso; per converso, la CTR della Sicilia accoglieva il gravame formulato dal contribuente, ritenendo dovuto il rimborso TARSU, previa detrazione di quanto dovuto dalla società esercente l’attività alberghiera per lo stesso titolo in base alle tariffe applicate in precedenza. Nello specifico, il giudice d’appello, pur riconoscendo in capo all’Ente impositore la potestà regolamentare di diversificare i contribuenti in relazione a categorie e sottocategorie omogenee fondate sui differenti coefficienti di produttività di rifiuti – anche nel raffronto tra destinazione alberghiera e destinazione abitativa – asseriva la necessità che il potere regolamentare fosse esercitato sulla base di un’adeguata motivazione che indicasse i parametri tariffari utilizzati. Di tal guisa la CTR di Palermo, ravvisando nel caso di specie l’assenza della suddetta adeguata motivazione, disappli­cava l’atto normativo in quanto ritenuto illegittimo. Il Comune, pertanto, proponeva ricorso avverso la suddetta pronuncia dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo la nullità della decisione. La società alberghiera resisteva con controricorso e sollevava, in via subordinata, la questione di legittimità costituzionale ai sensi degli artt. 3 e 53 Cost., D.Lgs. n. 507/1993, art. 68. Sul punto, i giudici di legittimità ritenevano manifestamente infondati i suddetti dubbi di incostituzionalità della norma, escludendo la paventata disparità di trattamento tra categorie o sottocategorie di contribuzione, per due ordini di ragioni: a) la disciplina dei presupposti costitutivi dell’imposizione deriva dalla legge statale e non dalla disciplina secondaria dell’ente locale che, al contrario, è mirata ad individuare la tariffa in rapporto ai costi economici di smaltimento; b) il contribuente ha la possibilità di fornire la prova dei requisiti di esenzione o di riduzione dell’imposta, in forza della effettiva destinazione delle superfici e della loro assente o minore generazione di rifiuti. La Suprema Corte ha [continua ..]


3. La determinazione della TARSU per le attività alberghiere

Il decisum in argomento si annovera nel solco dell’ormai granitico orientamento giurisprudenziale, affermatosi sin dall’anno 2007 [4], che ritiene legittimi i regolamenti dei Comuni in materia di TARSU nei quali è prevista per le attività alberghiere una tariffa differenziata e superiore a quella delle abitazioni civili in ragione della loro maggiore capacità produttiva di rifiuti. La disamina della questione necessita di una, seppur breve, ricognizione della cornice giuridica entro cui collocare la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) [5], oggi sostituita dalla tassa sui rifiuti (TARI) di cui all’art. 1, commi 639 ss., L. 27 dicembre 2013, n. 147. Ebbene, il plesso normativo di riferimento si sostanzia nel D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 [6] e nel D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 [7]. Trattasi di una tassa [8] corrisposta al fine di consentire la copertura dei costi dei servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani [9]. Il suo presupposto si rinviene nella detenzione o occupazione di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nel territorio comunale in cui è attivato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani (art. 62, D.Lgs. n. 507/1993). Il legislatore, pertanto, ha previsto una presunzione di produzione di rifiuti [10] la cui potenzialità deriva dall’occupazione di locali ed aree insistenti nel territorio comunale, tenendo conto della quantità e della qualità medie ordinarie di rifiuti che possono essere prodotti in tali immobili. Come asserito anche dalla sentenza in rassegna, ai fini dell’esenzione dalla tassazione per le aree inidonee alla produzione di rifiuti (per loro natura o per il particolare uso) grava sul contribuente l’onere di indicare nella denuncia (di occupazione o detenzione locali) originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità e fornirne la prova in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione [11]. Per l’art. 65, D.Lgs. n. 507/1993 sono due i criteri di commisurazione delle tariffe: il primo, di carattere generale, si fonda su un criterio presuntivo di produzione media ordinaria di rifiuti con riferimento alla superficie (metro quadrato) e alla destinazione d’uso dei locali [continua ..]


4. L’orientamento della Corte di Giustizia europea ed il principio “chi inquina paga”

Ad ulteriore sostegno della possibilità per il Comune di aumentare legittimamente l’importo della TARSU dovuto dalle strutture ricettive, la sentenza in rassegna, in conformità ad altre precedenti pronunce [27], ribadisce la compatibilità della disciplina di cui al D.Lgs. n. 507/1993 con il principio “chi inquina paga” derivante da due ordini di motivi: in primis, è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell’immobile posseduto, in secundis la suddetta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un’ampia prova contraria, bensì contiene previsioni (v. artt. 65 e 66) che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni. Sotto tale profilo non v’è dubbio che la normativa italiana, nel disciplinare la TARSU, si sia dovuta attenere alle indicazioni contenute nelle Direttive relative ai rifiuti [28] che fanno costantemente riferimento a tale principio. Si tratta di un tributo di chiara derivazione comunitaria che, nel suo complesso, risulta compatibile con il principio “chi inquina paga” nella misura in cui i criteri di determinazione, sebbene di natura forfetaria, rispondano ad esigenze di razionalità e di semplificazione del pre­lievo [29]. Siffatto principio [30], contemplato nell’art. 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) unitamente ai principi di precauzione e prevenzione, pone in capo a chi causa una perturbazione all’ambiente l’obbligo di sostenere i costi della sua eliminazione. Il “chi inquina paga” costituisce un valido ed equo criterio di ripartizione delle spese pubbliche, ma, al contempo, assume una valenza positiva. In altri termini, il principio europeo “chi inquina paga”, oltre ad assolvere una funzione risarcitoria (col­pire a livello fiscale colui che ha danneggiato l’ambiente nella misura del danno prodotto), svolge una funzione incentivante [31], in modo tale da ridurre il prelievo fiscale a coloro che pongono in essere comportamenti virtuosi rispetto al bene ambientale. Il fatto stesso che la base imponibile della tassa sui rifiuti riverberi effetti negativi sull’ambiente consente di attribuire alla TARSU la natura di tributo ambientale [32]. La connotazione ambientale della [continua ..]


5. La motivazione delle delibere comunali di determinazione delle tariffe

La pronuncia in commento, altresì, ribadisce il prevalente indirizzo interpretativo della Suprema Corte secondo cui in materia di TARSU non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa ex art. 65, D.Lgs. n. 507/1993 poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta (anche se determinabile ex post) di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili [38]. Nella fattispecie in esame, invece, la CTR aveva disapplicato [39] la deliberazione tariffaria adottata dall’Ente proprio sul presupposto che il potere del Comune di diversificare per regolamento i contribuenti doveva essere esercitato sulla base di un’adeguata motivazione, in assenza della quale la delibera comunale è stata ritenuta illegittima. È evidente che la Commissione di merito abbia aderito all’orientamento che consente agli Enti locali di diversificare, per regolamento, la tariffazione delle strutture ricettive e delle civili abitazioni, ma al contempo abbia ancorato tale possibilità alla sussistenza di una idonea motivazione. Ebbene, l’art. 69, D.Lgs. n. 507/1993 [40] sancisce un obbligo motivazionale a carico del Comune diretto a consentire la verifica della legittimità del piano tariffario. Sul punto, tuttavia, emerge un orientamento ondivago della giurisprudenza. A sostegno della tesi della Corte di legittimità depone la qualificazione in termini di atto amministrativo generale della delibera comunale di fissazione delle tariffe. Come noto, in ossequio al dato normativo dell’art. 3, comma 2, L. n. 241/1990 non soggiacciono all’obbligo di motivazione degli atti amministrativi gli atti normativi (es. i regolamenti) e gli atti amministrativi generali, ossia gli atti espressione di potestà am­ministrativa che sono destinati ad una pluralità di destinatari, indeterminata ed indeterminabile prima dell’emanazione ma determinabile ex post (es. deliberazioni comunali in materia di fissazione delle tariffe). Di contrario avviso, invece, è la giurisprudenza amministrativa. Quest’ultima, muovendo dal citato art. 69, comma 2, nella parte in cui fa gravare sul Comune l’ob­bligo di indicare le ragioni [continua ..]


6. Riflessi in tema di TARI

L’evocato risultato interpretativo, secondo cui è legittima la delibera comunale che prevede una tariffa per la categoria degli esercizi alberghieri notevolmente superiore a quella applicata alle civili abitazioni, in ragione della maggiore capacità produttiva di rifiuti propria di tali esercizi, costituendo un “dato di comune esperienza”, è stato ribadito dal giudice nomofilattico anche in materia di tassa sui rifiuti (TARI) attualmente vigente [46]. Del resto, sotto tale profilo, la TARI è un tributo sostanzialmente analogo alla TARSU. Tale prelievo di natura tributaria, istituito dalla citata L. n. 147/2013 in sostituzione della TARES a decorrere dal 1° gennaio 2014, costituisce la terza articolazione dell’imposta unica comunale (IUC) [47] ed è destinato alla copertura integrale del costo del servizio per la gestione dei rifiuti solidi urbani ed assimilati. L’Ente comunale individua i costi che devono essere finanziati dal tributo mediante la redazione di un piano finanziario, previsto dall’art. 1, comma 683, che deve tenere conto delle risultanze dei fabbisogni standard. Il presupposto impositivo della TARI, ex art. 1, comma 641, L. n. 147/2013, è il possesso o detenzione, a qualsiasi titolo, di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani [48]. Rispetto alla TARSU, il cui servizio era istituito ed attivato dal Comune, scompare il riferimento alla “occupazione”, che sembrerebbe però potersi ricondurre nel concetto di “detenzione”. Diversamente dalla TARSU, per la quale opera la suddetta presunzione di produzione di rifiuti, in ambito TARI l’applicabilità del tributo è correlata alla suscettibilità di produzione del rifiuto. Quanto alla determinazione delle tariffe, il legislatore ha previsto la facoltà per gli Enti di optare tra l’adozione della tassa (TARI) o di una tariffa avente natura corrispettiva (TARIP). Nel primo caso sono consentite due modalità alternative di determinazione delle tariffe, la cui scelta è rimessa alla libera decisione dei Comuni: come per la TARSU, la tassa sui rifiuti può essere determinata sulla base di una deliberazione tariffaria annuale (coincidente con un’autonoma obbligazione tributaria), elaborata dal Comune tenendo conto dei criteri del metodo [continua ..]


7. Profili di criticità nell’attuazione del principio europeo “chi inquina paga”

Il delineato scenario normativo e giurisprudenziale della tassazione, ai fini TARSU e TARI, degli esercizi alberghieri rispetto alle civili abitazioni dà luogo a profonde perplessità, emergendo un’iniqua disparità di prelievo fiscale tra le due categorie di immobili. Sotto tale profilo, nonostante l’evoluzione del tributo comunale sui rifiuti abbia condotto ad un diverso nomen iuris dello stesso (TARSU, TIA 1, TIA 2, TARES, TARI), la sostanza è rimasta immutata. Invero, le strutture ricettive risultano sottoposte ad un più gravoso trattamento fiscale rispetto ai privati che occupano locali adibiti ad uso abitativo, ma tale diversificazione appare non pienamente adeguata al principio “chi inquina paga”. A sostegno di siffatte considerazioni depongono diversi fattori. In attuazione del principio “chi inquina paga” il prelievo sui rifiuti deve essere ricollegato all’effettiva produzione degli stessi. L’adozione di criteri presuntivi e potenziali di rifiuti, in astratto, può qualificarsi rispondente alla logica del “chi inquina paga” per il fatto di prevedere la prova contraria a carico del contribuente, eppure, nell’ottica applicativa, non sembra consentire una piena operatività del principio europeo in quanto i parametri del tributo non si fondano sulla reale quantità di rifiuti conferiti. Difatti, il tributo comunale assoggetta a tassazione gli esercizi alberghieri senza tener conto dell’effettivo tasso di occupazione delle camere, né dell’incidenza di superfici adibite a servizi (e dunque non abitate). Di certo l’esercizio di un’attività alberghiera può determinare una significativa quantità di rifiuti qualora sia dotata di servizio di ristorazione. Pertanto, se è vero che la determinazione delle tariffe con riguardo alle diverse categorie e sottocategorie deve tener conto della idoneità a produrre rifiuti dei locali e delle aree tassabili, si dovrebbe valorizzare il fatto che la maggiore produzione di rifiuti viene prodotta dalle parti comuni dell’albergo (saloni di ricevimento, sale destinate a ristorante o a prima colazione, cucine, lavanderie, magazzini) e non dalle singole camere (nelle quali la presenza umana può non essere quotidiana) e, di conseguenza, diversificare le tariffe tra parti comuni e camere così da parificare, [continua ..]


8. Conclusioni

La pronuncia in rassegna si conforma al granitico indirizzo ermeneutico della Suprema Corte che, con riguardo alla prima questione indicata in premessa, ribadisce la legittimità della delibera comunale di approvazione del regolamento che prevede una differenziazione TARSU tra alberghi e abitazioni, con assoggettamento dei primi ad una tariffa più elevata in ragione della loro maggiore capacità produttiva di rifiuti desunta in termini di “dato di comune esperienza”. Di immediata percezione appaiono le implicazioni connesse all’adesione a tale modulo interpretativo. La distinzione fra strutture alberghiere ed abitazioni risulterebbe fondata su nozioni di comune esperienza e sulla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio diversificati in base alla loro classificazione economica, che escludono l’identità o similarità delle rispettive situazioni. Il Comune potrebbe legittimamente aumentare l’im­porto della tassa sui rifiuti dovuto dalle strutture alberghiere mediante regolamento comunale atteso che gli alberghi producono un quantitativo superiore di rifiuti, con conseguente aumento del costo per smaltire gli stessi da parte dell’Ente. Ebbene, alla stregua delle considerazioni esposte in precedenza, siffatte conclusioni si pongono in conflitto con l’attuazione del principio “chi inquina paga”. Appare errato l’assunto secondo cui gli alberghi producono, in ogni caso, un quantitativo superiore di rifiuti, con un conseguente maggior costo per smaltire gli stessi da parte del Comune, se si considera che solo alcune aree delle strutture alberghiere (es. cucine, ristorante) potrebbero caratterizzarsi per una significativa potenzialità di produzione dei rifiuti. Per le camere, invece, l’attitudine a produrre rifiuti potrebbe essere equiparata a quella delle civili abitazioni, considerato anche l’anda­mento saltuario dei flussi turistici. Il “dato di comune esperienza” cui la Corte di legittimità àncora le tariffe maggiori applicate agli esercizi alberghieri, inoltre, è stato ricavato da un’analisi comparata dei regolamenti comunali in materia, fra i quali devono annoverarsi anche i regolamenti che hanno fatto applicazione del metodo normalizzato di cui al D.P.R. n. 158/1999. Come visto, però, tale metodo sembra non rispondere appieno al principio europeo “chi inquina paga” per [continua ..]


NOTE