Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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L'attribuzione di "funzioni pubbliche" a soggetti privati tra concessioni amministrative e creazioni di soggetti ad hoc: profili tributari (di Valerio Ficari)


L’utilizzazione sia della concessione amministrativa che di soggetti di forma societaria per offrire alla collettività beni pubblici nel passato garantiti direttamente dallo Stato e dagli enti pubblici richiede di applicare le diverse disposizioni tributarie (im­poste sui redditi, Iva, tributi locali) attraverso una interpretazione storicamente attuale.

The attribution of "public functions" to private subjects between administrative concessions and creation of ad hoc persons: tax profiles

The parallel use of administrative concessions and private companies to offer public goods traditionally offered only by the State and public bodies requires the application of various tax provisions (income taxes, VAT, local taxes) through a historically current interpretation.

Keywordsadministrative concessions, tax breaks, income taxes, VAT, local taxes

SOMMARIO:

1. Premessa. La concessione amministrativa: caratteri generali di rilevanza tributaria; la natura del concessionario tra ente pubblico o privato - 1.1. La funzione pubblica del concessionario e l'attenuazione della sua natura privatistica - 1.2. I rapporti finanziari univoci e biunivoci tra concedente e concessionario - 1.3. Funzione pubblica, interessi pubblici ed impresa commerciale del concessionario; impresa del concessionario e mercato - 2. Forma soggettiva e sostanza delle nozioni presenti nei diversi livelli normativi (norme nazionali di derivazione domestica e comunitaria, norme comunitarie) - 2.1. Le indicazioni dalla disciplina di diritto amministrativo armonizzato - 2.2. Segue: dalla disciplina dell'Iva quale imposta armonizzata (l'esercizio di un potere pubblico quale pubblica autorità; l'assenza di effetti distorsivi sulla concorrenza derivanti dalla mancata applicazione dell'Iva) - 2.3. Segue: dalla disciplina dell'Ires - 2.4. Segue: dalla disciplina delle agevolazioni soggettive ex D.P.R. n. 601/1973; le società "in house providing" - 2.5. Segue: dalla disciplina dei tributi locali - 2.6. Prime conclusioni sulla "pubblicizzazione" dell’ente privato concessionario - 3. La concessione e la fiscalità del concessionario tra interpretazione storicamente attuale e giurisprudenza. Considerazioni generali - 3.1. L'orientamento giurisprudenziale restrittivo - 3.2. Segue: segnali giurisprudenziali più innovativi - 4. Le concrete esperienze normative e l'interpretazione giurisprudenziale - 4.1. Gli immobili di proprietà dell'ente concedente posseduti, gestiti ed utilizzati dal concessionario ed i tributi locali (tributi immobiliari, tributi sulla raccolta dei rifiuti, sull'occupazione di suolo pubblico) - 4.1.1. I tributi locali immobiliari (Ici, Imu) - 4.1.2. I tributi sulla raccolta dei rifiuti - 4.1.3. La tassa sull'occupazione di suolo pubblico - 4.1.4. L'effettiva destinazione di immobili a finalità istituzionali nella gestione e­conomica diretta in assenza di un concessionario ed i tributi immobiliari locali - 4.2. L'attività del concessionario e l'imposta sul valore aggiunto. Le operazioni effettuate dal concessionario nei confronti di terzi - 4.2.1. L'articolata disciplina comunitaria (art. 13 Direttiva 2006/112/CE) ed i requisiti delle vesti di pubblica autorità, dell'assenza di un mercato concorrenziale e della copertura di costi prevalentemente con entrate di origine pubblica - 4.2.2. La disciplina nazionale (art. 4 D.P.R. n. 633/1972). - 4.2.3. Segue: e gli orientamenti giurisprudenziali di legittimità - 4.3. L'attività del concessionario e l'imposta sul valore aggiunto. Le operazioni effettuate dal concedente a favore del concessionario e dal concessionario a favore del concedente - 4.4. Segue: le operazioni Iva esenti - 4.5. Segue: Iva e attività di una società mista o interamente pubblica quale soggetto concessionario - 4.6. Le acquisizioni immobiliari a favore dell'ente concessionario e le imposte di registro ed ipocatastali - 5. Conclusioni - NOTE


1. Premessa. La concessione amministrativa: caratteri generali di rilevanza tributaria; la natura del concessionario tra ente pubblico o privato

L’offerta di “beni” pubblici ai membri della collettività per tradizione storica è stata rimessa dal legislatore all’ente pubblico, sia territoriale che non territoriale, con le modalità e le caratteristiche tipiche dell’agire amministrativo sia nell’attribuzione della funzione che nell’erogazione. Lo sviluppo economico nella prospettiva della sussidiarietà, la crisi della offerta e della gestione diretta da parte degli enti pubblici, la liberalizzazione di alcuni settori di fabbisogno collettivo e la dimensione sempre più comunitaria e privatistica dell’agire amministrativo hanno, però, mutato profondamente lo scenario sia degli attori che delle regole. Da un lato, infatti, lo Stato e gli enti pubblici operano, oramai, sempre più indirettamente attraverso lo strumento della concessione; dall’altro, l’agire tipico del tradizionale ente pubblico ricorre, in alcuni casi, in figure soggettive privatistiche sostanzialmente strutturate in termini pubblicistici; si manifesta, così, una chiara e rapida evoluzione del concetto stesso di ente pubblico. Lo strumento della concessione, come si comprende dalla lettura del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (il c.d. Codice appalti), ha più tipologie che e­sprimono tutte, pur nelle loro diversità tecniche, una pluralità di caratteri comuni che si rivelano significativi per definire in senso storicamente attuale le caratteristiche soggettive ed oggettive della fiscalità del concessionario quale soggetto privato e dell’ente pubblico. La chiara funzionalizzazione pubblica dell’impresa del concessionario induce, infatti, a chiedersi se e a quali condizioni si possa superare ai fini tributari il “velo” della forma giuridica societaria privatistica per equiparare l’ente concessionario, in virtù della sua missione, ad un ente pubblico; l’eventuale superamento consentirebbe l’applicazione delle regole fiscali (spesso agevolative) che nei plurimi settori impositivi il legislatore tributario riserva ad litteram, in diverse sedi e con denominazioni non sempre identiche, allo “Stato”, agli “enti di diritto pubblico” e agli “organismi di diritto pubblico”. A tal fine sono rilevanti, come vedremo, una serie di caratteristiche soggettive e oggettive riguardanti la vocazione pubblica dell’azione [continua ..]


1.1. La funzione pubblica del concessionario e l'attenuazione della sua natura privatistica

Attraverso la concessione l’ente pubblico concedente investe un soggetto privato, per un lasso di tempo variabile ma ragionevolmente lungo, di funzioni pubbliche. L’attività del concessionario consente di soddisfare i bisogni pubblici che il concedente non potrebbe altrimenti garantire alla collettività, soddisfazione variamente regolata in base all’oggetto, alle forme e ai vincoli contrattuali relativi alle modalità gestionali/finanziarie e alle finalità; già da subito emerge, quindi, il ruolo sussidiario del concessionario rispetto all’ente pubblico concedente [1]. Il carattere privatistico della forma giuridica del concessionario, quella societaria, da un lato, e il perseguimento di un lucro oggettivo e soggettivo tipico dell’impresa commerciale, dall’altro, sono attenuati dall’assetto regolamentare legale e contrattuale le cui concrete disposizioni sono intese a garantire l’assolvimento della funzione pubblica dell’ente concessionario. I diversi poteri e controlli di origine pubblica trasferiti al concessionario nonché esercitati nei confronti di questo rendono il concessionario senza dubbio meno “privato” e, quindi, meno assimilabile ad un normale operatore imprenditoriale che offrisse, in ipotesi, alla collettività gli stessi “beni e servizi” in regime di libera concorrenza.


1.2. I rapporti finanziari univoci e biunivoci tra concedente e concessionario

La stretta “intimità” tra concedente e concessionario si manifesta anche nei loro possibili rapporti finanziari e patrimoniali. Nella realtà si notano eterogenee erogazioni finanziarie e atti di dotazione patrimoniale posti in essere dal concedente nonché, in senso inverso, dal concessionario, erogazioni la cui natura anche a fini fiscali vive, come si vedrà, dell’alternativa tra rilevanza sinallagmatica e privatistico/societaria, rilevanza meramente patrimoniale e rilevanza pubblicistica.


1.3. Funzione pubblica, interessi pubblici ed impresa commerciale del concessionario; impresa del concessionario e mercato

Le funzioni del concessionario sono assolte con attività imprenditoriali commerciali continuative aventi ad oggetto cessioni di beni o prestazioni di servizi a favore dell’ente concedente nell’interesse della collettività (in termini generali o circoscritti). L’impresa si realizza, a seconda dei casi, con un singolo atto produttivo di rilevante consistenza reso possibile dalla forza strutturale del concessionario diversa da quella dell’ente pubblico concedente, con un’attività di gestione oppure con più atti di scambio (cessioni o prestazioni) di carattere abituale volti a soddisfare uno o più interessi pubblici nei confronti di collettività più o meno ampie. La varietà di settori nei quali il concessionario può operare perseguendo finalità lucrative con le peculiarità modalità citate pone all’attenzione la circostanza che il concessionario agisca come unico attore oppure in un mercato di concorrenza assieme ad altri operatori non concessionari; essa è di indubbia rilevanza, soprattutto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto nonché della e­ventuale qualifica del concessionario stesso come ente pubblico.


2. Forma soggettiva e sostanza delle nozioni presenti nei diversi livelli normativi (norme nazionali di derivazione domestica e comunitaria, norme comunitarie)

Il ruolo rivestito dal concessionario in virtù della propria attività, delle regole che la orientano e della frequente assenza di concorrenza nello specifico settore di attività oggetto della concessione – tale da rendere spesso il concessionario l’unico ad offrire o gestire i “beni” di interesse pubblico – induce a verificare se le categorie soggettive di riferimento nelle norme tributarie trovino de iure condito una definizione unitaria o molteplici definizioni oppure, ove ciò non sia riscontrabile, se la definizione, per ovvie esigenze di certezza del diritto, sia ricostruibile in via interpretativa utilizzando le definizioni ritraibili dalle sedi normative extratributarie, ricorrendo ad un metodo di interpretazione storicamente attuale [2].


2.1. Le indicazioni dalla disciplina di diritto amministrativo armonizzato

Si può già anticipare come solo la disciplina amministrativistica accompagni al tipo di attore la relativa nozione; la disciplina tributaria si limita, invece, ad una diversificata terminologia, frutto della stratificazione temporale delle plurime disposizioni e degli interventi sopravvenuti, priva di contenuti esplicitati e, di conseguenza, bisognosa di una interpretazione storicamente attuale anche traendo indicazioni dagli altri settori dell’ordinamento giuridico. La regolamentazione non tributaria di riferimento è, ovviamente, il Codice appalti in cui, come accennato all’inizio, il legislatore affianca forma privatistica di esercizio ad attività economiche di interesse generale, rafforzando, così, la sussidiarietà ex lege del tipo societario rispetto all’ente pubblico tradizional­mente inteso. Si segnalano, da subito le definizioni che questo offre all’art. 3 di “amministrazioni aggiudicatrici”, di “organismi di diritto pubblico” – termine, peraltro, già noto alla legislazione tributaria –, di “enti aggiudicatori” e di “imprese pubbliche” [3]; ad esse si aggiungono quelle contenute nelle disposizioni che regolano le menzionate erogazioni finanziarie e dotazioni patrimoniali tra le parti della concessione in linea generale e con riguardo a particolari specie concessorie nonché quelle che disciplinano il c.d. partenariato pubblico privato, la fi­nanza di progetto, le società di progetto, le società in house, il c.d. baratto amministrativo e la cessione di immobili in cambio di opere. In senso non condivisibile l’Agenzia delle Entrate si è dichiarata contraria a utilizzare tali recenti definizioni rivendicando pro Fisco l’autonomia delle categorie tributarie e degli strumenti interpretativi [4]. La natura non tributaria della disciplina che coinvolge (e coinvolgerà sempre di più) i soggetti privati nell’offerta di beni e servizi pubblici certo non può essere ostativa ai fini della definizione del concreto contenuto della categoria soggettiva tributaria in base a criteri di interpretazione normativa funzionali e storicamente attuali. In particolare, le definizioni extratributarie indicano che l’organismo di diritto pubblico: – può essere un ente societario; – ha lo scopo istituzionale [continua ..]


2.2. Segue: dalla disciplina dell'Iva quale imposta armonizzata (l'esercizio di un potere pubblico quale pubblica autorità; l'assenza di effetti distorsivi sulla concorrenza derivanti dalla mancata applicazione dell'Iva)

Muovendo al contesto tributario, importanti indicazioni si traggano, innanzitutto, dalla lettera e dall’interpretazione delle disposizioni dettate in materia di Iva, imposta armonizzata, sotto diversi profili. La normativa armonizzata equipara gli enti pubblici agli enti pubblici territoriali in presenza del comune elemento di offrire beni e servizi alla collettività esercitando poteri quali “pubbliche autorità”; lo richiede espressamente l’art. 4, comma 5 , D.P.R. n. 633/1972, a seguito delle modifiche apportate dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 il quale nega che siano commerciali «le operazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli enti di diritto pubblico nell’ambito di attività di pubblica autorità». Se si escludono i casi in cui, nonostante il carattere pubblico dell’ente, si ha prevalenza della commercialità dell’attività svolta così da equiparare il regime Iva dell’ente pubblico a quello degli enti privati – in tal senso l’art. 4, comma 5, D.P.R. n. 633/1972 in ordine alla cessione di beni nuovi prodotti per la vendita, di erogazione di acqua, servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore, di gestione di fiere ed esposizioni di carattere commerciale, di spacci aziendali, mense e somministrazione pasti, trasporto e deposito merci, trasporto di persone, organizzazione viaggi e soggiorni, prestazioni alberghiere e di alloggio, servizi portuali e aereoportuali, pubblicità commerciale, telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari – le condizioni richieste dalla disciplina Iva per la non applicazione del tributo sono duplici e concorrenti: – l’operatore deve essere qualificato come un ente di diritto pubblico: rispetto a questo primo elemento le definizioni extratributarie di derivazione comunitaria presenti nel codice appalti sono senza dubbio utili; – l’attività di cessione di beni e prestazioni di servizi deve essere esercitata nelle vesti di “pubblica autorità”: questa seconda caratteristica è, invece, ben chiarita nell’esperienza giurisprudenziale comunitaria nonché delle disposizioni della Direttiva in materia di Iva cui si dedicherà a breve attenzione [6]. In altre ipotesi, come nell’art. 10, n. 27 ter, D.P.R. n. 633/1972 in materia di esenzioni [continua ..]


2.3. Segue: dalla disciplina dell'Ires

Altra sede normativa tributaria nazionale in cui si menziona il tipo senza definirne il contenuto caratteristico è quella dell’imposizione sui redditi notoriamente non armonizzata: l’art. 74, comma 2, TUIR n. 917/1986 esclude, infatti, l’applicazione dell’Ires anche per gli enti pubblici prevedendo che “Non costituiscono esercizio dell’attività commerciali: a) l’esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici”. Le caratteristiche richieste sono che: – il soggetto, similmente a quanto previsto dall’art. 4 del D.P.R. n. 633/1972 per l’Iva, sia un ente pubblico; – l’attività sia esercitata nell’adempimento “di funzioni statali”.


2.4. Segue: dalla disciplina delle agevolazioni soggettive ex D.P.R. n. 601/1973; le società "in house providing"

Ulteriore settore impositivo non armonizzato è quello delle agevolazioni ex D.P.R. n. 601/1973; in esso, nuovamente, il legislatore non definisce le nozioni pur dando elementi utili negli artt. 5 e 6. Da un lato, si attribuisce una esenzione soggettiva per gli immobili degli organi e amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici territoriali “destinati ad usi o servizi di pubblico interesse» (art. 5). Dall’altro, si riduce l’imposta alla metà per «a) enti e istituti di assistenza sociale, società di mutuo soccorso, enti ospedalieri, enti di assistenza e beneficenza; b) istituti di istruzione e istituti di studio e sperimentazione di interesse generale che non hanno fine di lucro, corpi scientifici, accademie, fondazioni e associazioni storiche, letterarie, scientifiche, di esperienze e ricerche aventi scopi esclusivamente culturali; c) enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione;» cioè enti che in molti casi soddisfano un interesse (anche) pubblico (art. 6). Il dato innovativo è, peraltro, costituito dalla previsione che tale riduzione sia concessa anche per «c-bis) Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, e loro consorzi nonché enti aventi le stesse finalità sociali dei predetti Istituti, istituiti nella forma di società che rispondono ai requisiti della legislazione dell’Unione europea in materia di “in house providing” e che siano costituiti e operanti alla data del 31 dicembre 2013» (art. 6). Si tratta, quindi, del riconoscimento dell’agevolazione a favore di soggetti privati societari a enti pubblici in ragione del cambiamento dei tempi.


2.5. Segue: dalla disciplina dei tributi locali

In materia di tributi locali immobiliari, sulla raccolta dei rifiuti e sull’occu­pazione del suolo pubblico, se si eccettua l’espressa soggettività passiva ai fini Imu (ora ed Ici in precedenza) del concessionario di aree demaniali, non si rinviene, come vedremo successivamente, nessun dato normativo innovativo in quanto l’esclusione dall’ambito soggettivo resta confinata, nella lettera delle norme, agli enti pubblici, anche non territoriali. L’unico dato utile, nella prospettiva di una interpretazione evolutiva e storicamente attuale, è il frequente richiamo ad una necessaria destinazione oggettiva dei beni a finalità istituzionali di pubblico interesse, esaltando, così, vincoli funzionali dei beni prevalenti rispetto alla tipologia soggettiva del possessore.


2.6. Prime conclusioni sulla "pubblicizzazione" dell’ente privato concessionario

L’evoluzione delle forme di gestione, costruzione ed offerta di beni e servizi pubblici vede, ormai, presenti soggetti formalmente distinti dall’ente pubblico (spesso territoriale) ma da questi partecipati in misura totalitaria, maggio­ritaria o minoritaria. La separazione tra la funzione amministrativa e quella propriamente gestionale/imprenditoriale, pur se relativa alla funzione pubblica ab origine dell’ente ed al soddisfacimento di interessi della collettività, offre all’atten­zione frequenti casi in cui la società è proprietaria dei beni, reti infrastrutturali etc. e ne concede l’utilizzo con un contratto di affitto con il quale affida ad un terzo soggetto privato lo svolgimento del servizio pubblico. In questi fenomeni le modalità di costituzione del soggetto societario a partecipazione anche o interamente pubblica e la missione da questo svolta, spesso ex lege, rendono equivalente la posizione soggettiva tra l’ente pubblico ed il soggetto societario [8] ai fini, ad esempio, della (non) applicazione del­l’Iva o della ricomprensione nel perimetro dell’esenzione soggettiva prevista dai diversi tributi locali qualora le singole disposizioni facciano riferimento ad attività o beni direttamente esercitate o posseduti dall’ente pubblico (alias società partecipata). Sia per l’Iva che per l’Ires, quindi, l’ingresso di soggetti di natura privata investiti di una “vocazione” pubblica in ragione dell’oggetto specifico della concessione nel novero dei soggetti non passivi trova il vero requisito di accesso nel positivo riscontro che l’ente svolga un’attività (anche commerciale) quale pubblica autorità, ai fini Iva, ed assolva, nell’esercizio dell’impresa commerciale, ad una funzione statale ai fini delle imposte sui redditi. In questa prima prospettiva la natura dell’ente come ente pubblico sarebbe, allora, la qualifica conseguente alla sussistenza dei requisiti menzionati, cioè un effetto e non un presupposto. L’alternativa ipotesi che la natura di ente pubblico debba sussistere ex ante (e non ex post) e aggiungersi ai requisiti citati non ci sembra corretta anche ragionando per assurdo: se così fosse, ma non è, bisognerebbe, infatti, ammettere la presenza di un ente privato [continua ..]


3. La concessione e la fiscalità del concessionario tra interpretazione storicamente attuale e giurisprudenza. Considerazioni generali

Abbandonando l’analisi normativa per approdare a quella giurisprudenziale, si osserva come la giurisprudenza tributaria sia nazionale che comunitaria si sia interessata della qualificazione soggettiva del concessionario in molte occasioni e sotto diversi profili tributari; dai più recenti orientamenti sul rapporto tra forma privata del concessionario e natura di ente pubblico si possono trarre alcune indicazioni generali anche se non omogenee.


3.1. L'orientamento giurisprudenziale restrittivo

Una prima linea giurisprudenziale si rivela assai stringente. Essa ribadisce che la natura privatistica del concessionario escluderebbe– salve quelle ipotesi in cui espressamente il possesso del concessionario privato è considerato idoneo a realizzare il presupposto del tributo come accade ai fini Ici/Imu – l’applicazione in via interpretativa delle regole fissate originariamente per gli enti pubblici (tradizionalmente intesi) nella prospettiva sia e­sterna dei rapporti tra il concessionario/terzi e tra concedente/conces­siona­rio che interna al concessionario in quanto tale rispetto a forme di imposizione patrimoniale sia interna. Si è, infatti, ritenuto che: i) la semplice gestione di servizi pubblici (es. parcheggi) o di infrastrutture ricevute in concessione per lo svolgimento di servizi pubblici (erogazione di gas, acqua, elettricità etc.) non giustifichi una equiparazione all’ente territoriale concedente in quanto la concessione, quale strumento privatistico, non sarebbe idoneo a trasferire funzioni pubbliche nella sfera privata né poteri autoritativi; le une e gli altri resterebbero sempre esclusivi del concedente[10]nonostante lo svolgimento del pubblico servizio [11]; ii) la forma societaria, anche se adottata per legge quale società legale o come consorzio obbligatorio, sarebbe assorbente soprattutto ove l’ente di forma privata svolga un’impresa commerciale non di esclusiva finalità pubblica[12]volta a produrre utili destinati alla distribuzione ai soci del concessionario [13]; iii) la presunzione legale sia nazionale che comunitaria secondo la quale determinate attività siano sempre commerciali anche se svolte da enti pubblici dovrebbe intendersi quale negazione della presenza di qualsiasi potere autoritativo e, invece, affermazione della concorrenzialità nell’offerta pregiudicabile dalla ipotetica non applicazione dell’Iva [14]. Da tali posizioni si può definire a contrario uno spazio condizionato definito da una serie di requisiti in presenza dei quali il regime fiscale agevolato tradizionalmente riferibile all’ente pubblico concedente sarebbe esteso anche alla società concessionaria: a) la concessione dovrebbe trasferire alla concessionaria funzioni e poteri pubblici di natura autoritativa; b) la concessionaria, pur nelle vesti di società di diritto privato, dovrebbe [continua ..]


3.2. Segue: segnali giurisprudenziali più innovativi

Una prospettiva più aperta contempera, infatti, la forma privatistica con la funzione pubblica trasferita con la concessione. La si rinviene, in giurisprudenza, nel settore della concessione di poteri pubblici tributari per eccellenza come quelli di controllo, accertamento, riscossione per legge concedibili a soggetti societari privati; per tale caso si è, addirittura, equiparato il soggetto privato ad un organismo di diritto pubblico [15] ri­chiamando, ai fini dell’accertamento in fatto ai fini fiscali, le circostanze della dominanza pubblica attraverso il finanziamento, il controllo della gestione o l’ingerenza nella nomina degli organi [16]. In questa scia si collocano anche alcune pronunce di merito che, a vario titolo, riguardano enti eterogenei, istituiti e dotati di funzione pubbliche specifiche attraverso leggi statali e regionali, ai quali vengono concessi beni pubblici per finalità pubbliche; la loro irrilevante soggettività ai fini della tassazione sia di entrate che del possesso di immobili di proprietà, posseduti o gestiti, è ammessa all’esito del positivo riscontro di alcuni requisiti come la stretta economicità della gestione, la finalità pubblica dell’attività economica così intesa, la veste di pubblica autorità, il controllo gestionale, patrimoniale e finanziario da parte di un ente pubblico anche territoriale [17]; addirittura, si è giunti a desog­gettivizzare tali enti alla stregua di mere articolazioni ministeriali o regionali [18]. Ad esse si aggiungano le rare pronunce che hanno riempito di significato il concetto di organismo di diritto pubblico ove espressamente richiamato, ritenendo che in esso siano collocabili anche società private integralmente partecipate da un comune, ente territoriale per eccellenza [19]. Pur in termini prudenti la Corte di Giustizia sembra ammettere che un soggetto privato sia qualificabile come ente di diritto pubblico di fronte a norme tributarie ritenute tradizionalmente di stretta interpretazione; ciò a condizione della sussistenza di una serie di requisiti costituiti dall’avere l’ente le prerogative di pubblica autorità di cui dispone l’ente pubblico territoriale, dall’essere l’ente integrato nell’organizzazione dell’amministrazione pubblica [continua ..]


4. Le concrete esperienze normative e l'interpretazione giurisprudenziale

Il panorama normativo nazionale è, comunque, analizzabile in modo ancora più dettagliato mediante le posizioni giurisprudenziali emerse nella prospettiva specifica dei singoli tributi, ciascuno di questi, come detto, caratterizzato da disposizioni testualmente diverse, prive di esplicite nozioni e, quindi, interpretabili ad oggi in modo omogeneo.


4.1. Gli immobili di proprietà dell'ente concedente posseduti, gestiti ed utilizzati dal concessionario ed i tributi locali (tributi immobiliari, tributi sulla raccolta dei rifiuti, sull'occupazione di suolo pubblico)

Un primo filone giurisprudenziale, in materia di agevolazioni per i tributi locali, si è dedicato alla relazione che si può instaurare, in ragione della concreta attività esercitata dal concessionario, tra il territorio, gli immobili e le finalità pubbliche. La frequente presenza di beni immobili strumentali alla funzione pubblica oggetto della concessione amministrativa pone due questioni. a) La prima: se il possesso degli immobili da parte del concessionario, a fronte della proprietà riservata all’ente pubblico concedente, sia sufficiente a legittimare l’applicazione in via interpretativa al concessionario delle agevolazioni previste nonostante esse, nella lettera normativa, siano riservate alle sole ipotesi in cui gli immobili stessi siano posseduti direttamente dall’ente pubblico territoriale. L’equiparabilità dell’ente concessionario all’ente pubblico concedente andrebbe, in questa prospettiva, basata su di una interpretazione storicamente attuale del concetto di ente territoriale e di ente pubblico che valorizzi la ratio dell’esenzione o dell’agevolazione in termini oggettivi alla luce della funzione pubblica in concreto svolta. b) La seconda: se, invece, la situazione giuridica di possesso sia di per sé sufficiente per la tassazione in capo al concessionario nonostante la destinazione degli stessi all’attività di interesse pubblico o la strumentalità dell’occu­pazione delle aree rispetto alla finalità pubblica dell’oggetto della concessione (un’attività o un servizio).


4.1.1. I tributi locali immobiliari (Ici, Imu)

In ordine ai tributi locali immobiliari (Ici, Imu) la disciplina (artt. 3 e 7, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 504/1992 ed i successivi artt. 8 e 9 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23), da un lato, nel disciplinare la soggettività passiva, espressamente prevede che nel «caso di concessioni di aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario»; dall’altro, però, condiziona l’esenzione alla destinazione de­gli immobili alle finalità istituzionali dell’ente solo ove si tratti di «immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province, nonché dai comuni, se diversi da quelli indicati nell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 4, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, dalle unità’ sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome di cui all’articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dalle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, destinati esclusiva­mente ai compiti istituzionali». Verrebbe, quindi, da intendere in base ad una interpretazione letterale che il possesso dell’immobile, pur strumentale alla soddisfazione di interessi pubblici, darebbe luogo comunque all’applicazione del tributo se i tradizionali compiti istituzionali di un ente pubblico territoriale fossero, in parte, assolti da un soggetto concessionario e non più direttamente dall’ente concedente,: la soddisfazione di interessi pubblici attraverso la concessione sarebbe, così, recessiva rispetto all’impedimento della forma soggettiva dell’agente. A fronte di una norma che dispone esplicitamente l’assoggettamento del concessionario di aree demaniali si tratta di risolvere un duplice ordine di problemi. a) Sotto il profilo soggettivo, occorre stabilire se il beneficiario, soggetto privato terzo rispetto all’ente pubblico ma da questi investito, quale concessionario, della funzioneab origineassolta dall’ente concedente debba essere considerato soggetto passivo in ogni caso o se, invece, tale eventualità vada circoscritta alle concessioni delle sole aree demaniali, a prescindere, comunque, dalla distinzione tra concessione ad effetti reali (es. con permesso di costruire) e concessione ad effetti meramente obbligatori [21]. Se si dovesse seguire la lettera della disposizione – [continua ..]


4.1.2. I tributi sulla raccolta dei rifiuti

Con riguardo ai tributi sulla raccolta dei rifiuti (Tarsu), pur nella pluralità delle fattispecie di interesse, resta ferma la questione generale dell’assimila­bi­lità del concessionario all’ente territoriale pubblico concedente [26]. L’applicazione del tributo si rivela problematica quando la regolamentazio­ne della concessione, si pensi alle concessione autostradali, non fissa e­spres­samente in capo al concessionario l’onere della raccolta dei rifiuti relativi alla superficie ed all’immobile oggetto di concessione – con la conseguente internalizzazione del costo del servizio nel contratto così da evitare qualsiasi pretesa tributaria locale – ma, invece, esclude la raccolta e la pulizia dagli oneri contrattuali in capo al concessionario [27]. È evidente che se il costo del servizio fosse esplicitamente a carico del concessionario o, comunque, da questi sostenuto nel silenzio delle disposizioni delle concessioni il prelievo perderebbe qualsiasi fondamento giuridico. Una ulteriore ipotesi particolare è quella della concessione degli specchi d’acqua destinati ad ormeggio e transito di imbarcazioni private. La fattispecie manifesta una sua originalità in quanto, assodata la producibilità di rifiuti in tali spazi e la traslazione dell’onere economico del costo sul concessionario dello spazio, è necessario delimitarne con esattezza i confini dato che l’unità di determinazione per il calcolo è, appunto, la superficie nonché il soggetto passivo. Sotto l’aspetto quantitativo, potrebbe farsi riferimento non a tutto lo specchio d’acqua oggetto di concessione ma solo a quello coperto dalla barca ormeggiata e, quindi, ad una misura variabile a seconda della lunghezza e larghezza della stessa rispetto ai diversi posti barca definiti nel progetto allegato alla concessione. Si segnala come nel particolare caso in esame la tassa locale così determinata sia, poi, pagata dal concessionario e non dal titolare del posto barca, effettivo soggetto produttore dei rifiuti, a nulla rilevando, al fine dell’imputazione dell’ob­bligo tributario, il contratto di ormeggio tra il concessionario ed il diportista [28].


4.1.3. La tassa sull'occupazione di suolo pubblico

Un contesto nel quale la concreta esecuzione delle prestazioni oggetto della concessione manifesta una apparente ma tutta da confermare idoneità alla realizzazione del presupposto della tassa è quello dell’occupazione di suolo pubblico sul quale debba essere realizzata l’opera di interesse pubblico o il quale, una volta realizzata, sia utilizzato per lo svolgimento dell’impresa oggetto della concessione. A riguardo, si è ritenuto che, rispetto al presupposto tributario così come fissato dagli artt. 38 e 39 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in presenza di occupazione ad esempio mediante impianti e condutture del gas, l’atto di concessione sia idoneo a instaurare la relazione sia giuridica che di fatto di cui al­l’elemento oggettivo assunto dal presupposto impositivo, potendosi escludere l’applicazione del tributo solo ove l’occupazione sia fatta dall’ente pubblico o (si noti per la prospettiva innovativa, anche) da una società interamente pubblica di proprietà della rete e degli impianti e non, invece, da un soggetto privato concessionario cui sia affidata la realizzazione, gestione e manutenzione dell’opera pubblica [29].


4.1.4. L'effettiva destinazione di immobili a finalità istituzionali nella gestione e­conomica diretta in assenza di un concessionario ed i tributi immobiliari locali

La realtà immobiliare offre ulteriori spunti di riflessione in ordine alle i­potesi in cui l’impiego per finalità istituzionali di beni immobili sia gestito direttamente dall’ente pubblico in una logica di internalizzazione della gestione. La fattispecie merita di essere segnalata in ordine all’applicazione della esenzione dai tributi locali immobiliari (Ici, Imu) in presenza della destinazio­ne (diretta ed immediata) degli stessi a finalità istituzionali. La giurisprudenza si è rivelata molto rigorosa nell’interpretare tale vincolo, escludendo, ad esempio, che esso sia rispettato quando gli immobili siano destinati ad abitazione privata di dipendenti e delle loro famiglie [30].


4.2. L'attività del concessionario e l'imposta sul valore aggiunto. Le operazioni effettuate dal concessionario nei confronti di terzi

Profilo estremamente rilevante, riferibile ad altro settore impositivo, è l’ap­plicazione dell’imposta sul valore aggiunto alle operazioni di cessione e di prestazioni effettuate dal concessionario nei confronti di terzi ed alle operazioni effettuate dal concedente a favore del concessionario e dal concessionario a favore del concedente. Con riguardo, ora, alla prima tipologia di operazione, si deve osservare come i dati normativi rilevanti in questo particolare settore non menzionino mai, come nelle occasioni sopra richiamate, i concessionari di opere e servizi ma facciano riferimento ad operatori intesi come enti di diritto pubblico; ne consegue, quindi, come anticipato in precedenza in ordine ai profili generali qui richiamati nelle conclusioni, la necessità di verificare se e a quali condizioni il privato concessionario sia equiparabile ad un ente pubblico.


4.2.1. L'articolata disciplina comunitaria (art. 13 Direttiva 2006/112/CE) ed i requisiti delle vesti di pubblica autorità, dell'assenza di un mercato concorrenziale e della copertura di costi prevalentemente con entrate di origine pubblica

Il disposto normativo nazionale, derivando da un’analoga disposizione della Direttiva comunitaria l’art. 13 della Direttiva 2006/112/CE può essere meglio compreso alla luce della esperienza giurisprudenziale della Corte europea. L’art. 13 della Direttiva 2006/112/CE (ex art. 4, n. 5, comma 1, della VI Direttiva n. 77/388/CEE) stabilisce che si è di fronte ad un ente pubblico se il soggetto esercita un’attività quale pubblica autorità; in via di principio ed in deroga alla disciplina ordinaria, l’attività economica degli enti pubblici non rileva ai fini Iva, quindi, se svolta in veste di pubblica autorità: «gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività o le operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni». L’art. 13 della Direttiva equipara l’attività svolta dagli enti pubblici a quella degli enti privati qualora l’attività svolta in regime di diritto pubblico sia in grado di alterare il regime di libero mercato «essi devono essere considerati soggetti passivi per dette attività od operazioni quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni della concorrenza di una certa importanza»: nel precisare ciò il legislatore comunitario intende attenuare la rilevanza pubblica del soggetto solo in presenza di un mercato di libera concorrenza [31]. a) In primo luogo, l’ente, ai sensi dell’art. 13 della Direttiva, deve operarein veste di pubblica autorità. Venendo al significato attribuibile all’espressione di attività resa in veste di “pubblica autorità” i giudici europei hanno precisato che, per essere irrilevante ai fini Iva l’attività deve «essere esercitata nell’ambito di un regime giuridico proprio degli enti pubblici. Ciò si verifica quando l’esercizio di tale attività implica l’uso di poteri propri della pubblica autorità» [32]. Per la Corte di Giustizia tale requisito sussiste se le attività degli enti pubblici «pur essendo di natura economica, sono strettamente connesse all’uso di prerogative di pubblico [continua ..]


4.2.2. La disciplina nazionale (art. 4 D.P.R. n. 633/1972).

Nell’ordinamento tributario domestico, il quadro è, ad oggi, sostanzialmente coerente a quello comunitario. L’art. 4, comma 2, D.P.R. n. 633/1972 considera poste in essere nell’eser­cizio di imprese commerciali tutte le cessioni e prestazioni effettuate (anche) da enti pubblici che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di una attività commerciale aggiungendo. Il successivo quarto comma dell’art. 4 prevede una presunzione assoluta di commercialità per alcune specifiche attività anche se esercitate da enti pubblici (es. erogazione di acqua, servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica, vapore, gestione di fiere ed esposizioni, trasporto, servizi portuali ed aereoportuali etc.). Il quinto comma dell’art. 4, in deroga ai precedenti, espunge dall’area della commercialità «le operazioni effettuate dallo Stato, dalla regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti di diritto pubblico nell’ambito di attività di pubblica autorità» [38]. La non applicazione dell’Iva alle operazioni effettuate dalla società concessionaria è, quindi, condizionata, nella decommercializzazione, da due requisiti: a) l’equiparazione ad un ente pubblico; b) l’effettuazione delle cessioni e delle prestazioni nelle vesti e con i poteri di una pubblica autorità. Se si escludono le operazioni di cui si presume senza prova contraria la commercialità, il legislatore nazionale ammeterebbe, quindi, la non imponibilità non solo a seguito dell’accertamento della natura pubblica dell’ente ma anche e soprattutto ove il suo agire sia pienamente intriso di quelle caratteristiche tipiche di una pubblica autorità da tempo, come visto, espresse dalla giurisprudenza tributaria comunitaria. In conclusione, ciò significherebbe che un soggetto di forma privata perché società potrebbe realizzare operazioni non imponibili ma dovrebbe soddisfare una serie di requisiti assai stringenti seppur non impossibili da dimostrare ove per legge o in base alla concessione gli stessi fossero espressamente soddisfatti.


4.2.3. Segue: e gli orientamenti giurisprudenziali di legittimità

Tutti i requisiti e indici di genesi comunitaria sono stati confermati anche dalla giurisprudenza tributaria di legittimità Evocando il citato dettato della VI Direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, 77/388/CEE al cui art. 4, n. 5) in cui si prevede che «Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni.» si è affermato che «premesso che l’art. 4, nn. 1 e 2, della sesta direttiva prevede per l’IVA una sfera di applicazione molto ampia, il n. 5 contempla una deroga per le attività esercitate da un ente di diritto pubblico in veste di autorità pubblica e concerne principalmente le attività che, pur essendo di natura economica, sono strettamente connesse all’uso di prerogative di pubblico potere; il non assoggettamento all’IVA per tali attività, non ha, quindi, potenzialmente effetti anticoncorrenziali, in quanto esse sono generalmente esercitate in via esclusiva o quasi esclusiva» cioè non possono del pari essere parallelamente esercitate da operatori privati [39]. La Corte ci ricorda, poi, che gli enti pubblici ben possono svolgere le proprie attività istituzionali, sia in regime “privatistico”, sia esercitando poteri di diritto pubblico – tale assunto sarebbe avvalorato dall’art. 1, comma 1 bis, L. 7 agosto 1990, n. 241 – introdotto dalla L. 11 febbraio 2005 il quale dispone che «la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente» – di modo che gli elementi discriminanti sarebbero la natura autoritativa dell’atto e dell’attività e l’assenza di concorrenza. In questo senso la S.C. si adegua a quanto la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 238 del 24 luglio 2009 ebbe a manifestare in merito alla non applicazione dell’Iva sui pagamenti delle tasse Tia e Tarsu affermando come «TIA e TARSU sono estranei all’applicazione dell’IVA. (…) non esiste una nor­ma legislativa che espressamente assoggetti ad IVA le [continua ..]


4.3. L'attività del concessionario e l'imposta sul valore aggiunto. Le operazioni effettuate dal concedente a favore del concessionario e dal concessionario a favore del concedente

Un’altra prospettiva di rapporti economici ulteriore rispetto a quella della realizzazione delle operazioni a favore dei terzi è quella interna alla relazione bilaterale reciproca tra le parti della concessione (concedente e concessionario). In relazione ad essa occorre verificare se l’iva sia applicabile di fronte ad erogazioni di denaro tra l’ente concedente e l’ente concessionario disciplinate dal contratto di concessione ed aventi i titoli più svariati, previsti nel Codice appalti e nel contratto stesso oppure non tipizzati. A) Mentre è da escludersi che il pagamento del canone concessorio da parte del soggetto concessionario dia luogo all’applicazione dell’iva ove l’oggetto della concessione si rapporti all’esercizio di funzioni e di poteri pubblici eautoritativi da parte dell’ente concedente che si troverebbe ad operare qualepubblica autorità, ad altra conclusione si dovrebbe giungere laddove tale funzione pubblica fosse assente, ci si trovasse in contesti di liberalizzazione nel­l’offerta ai cittadini, il bene immobile il cui godimento e/o gestione non avesse, di per sé o per la destinazione concordata, alcuna utilità pubblica [44]. Qualora il concessionario non sia partecipato dall’ente locale e sia, quindi, da questo autonomo, la contribuzione che il primo ricevesse dal secondo dovrebbe essere irrilevante ai fini Iva se riconducibile alla tipologia dei c.d. contributi a fondo perduto in quanto privi di alcun nesso sinallagmatico e spesso destinati ad impianti e beni strumentali in alcuni casi gratuitamente devolvibili; sarebbe, invece, imponibile ove contrattualizzato e, quindi, legato ad una prestazione (es. manutentiva, aggiuntiva, straordinaria) prevista come obbligatoria per il concessionario al ricorrere di talune circostanze tipizzate dalle parti [45]. Alla relazione dal concedente al concessionario vanno ricondotte anche quelle erogazioni che possano avere luogo a seguito della revoca della concessione così come disciplinata nel Codice Appalti: in questa eventualità la funzione remuneratoria, di rimborso o risarcitoria di un danno emergente attribuibile alla somma erogata costituirà l’elemento di discriminazione tra l’im­ponibilità e la non imponibilità [46]. B) In altra direzione il rapporto può essere analizzato quando è il concessionario [continua ..]


4.4. Segue: le operazioni Iva esenti

Proseguendo, si richiama l’esperienza in materia di operazioni Iva di particolare rilievo, come anticipato, sia per la genesi comunitaria dell’imposta che condiziona qualsiasi conclusione venga proposta al rispetto dei canoni di una interpretazione comunitariamente orientata sia per la nota distinzione interna alla fattispecie delle esenzioni tra esenzione soggettiva ed esenzione oggettiva [48]. Come evidenziato [49] le ipotesi di esenzioni oggettive del tutto sganciate da un qualche condizionamento e presupposto soggettivo necessario sono molto rare: già l’art. 132 della stessa Direttiva quando menziona esenzioni per “attività di interesse pubblico” nella maggior parte dei casi richiede la previa risoluzione del se l’operatore sia un ente pubblico; di qui, allora, la ricorrente esigenza di pre-qualificazione soggettiva del cedente o prestatore. Quando il legislatore domestico dispone l’esenzione in termini soggettivi limitandola alle sole prestazioni rese da un particolare soggetto, il riferimento lessicale dovrà essere interpretato considerando le stringenti e inderogabili condizioni dettate dalla legislazione e giurisprudenza comunitaria per la non applicazione dell’imposta in presenza di enti pubblici, salvo che sia espressamente riconosciuta l’esenzione a soggetti privati in qualche modo riconosciuti come aventi un carattere anche pubblico/sociale. Inoltre, occorrerà definire l’ambito soggettivo alla luce di eventuali liberalizzazione dello specifico mercato di riferimento qualora, in base alla legislazione extratributaria, settori originariamente ricoperti da un unico operatore quale ente pubblico siano stati aperti alla concorrenza di soggetti privati di forma societaria oppure siano stati diversamente regolamentati mantenendo l’unicità dell’operatore in veste formalmente societaria ma, a seconda dei casi, sostanzialmente pubblica [50]. Sotto il versante, invece, delle esenzioni oggettive, laddove non sia riscontrabile una ipotizzabile discrasia tra il testo comunitario e la scelta normativa domestica tale per cui nell’art. 10 sia stata prevista una esenzione soggettiva in luogo di una oggettiva, l’esenzione andrebbe riconosciuta a prescindere da qualsiasi differenziazione soggettiva, equiparando originali operatori pubblici a nuovi privati.


4.5. Segue: Iva e attività di una società mista o interamente pubblica quale soggetto concessionario

Sul fronte della giurisprudenza comunitaria, la Corte di Giustizia [51], di fronte alla costituzione di una società controllata al 100% da un ente territoriale alla quale questo aveva affidato determinati compiti pubblici descritti contrattual­mente [52] prevedendo la corresponsione di somme a titolo di compenso, ha provveduto ad importanti precisazioni: a) esisterebbe un nesso di corrispettività tra le prestazioni rese dalla società interamente partecipata ed il socio Comune, anche ove i compensi fossero forfaittizzati ed a prescindere dalla circostanza che l’esercizio di tali compiti pubblici e le funzioni conferite siano disciplinati dalla legge; ciò renderebbe configurabile il presupposto oggettivo del tributo facendo configurare un’atti­vità economica; b) perché i servizi resi non costituiscano una prestazione imponibileoccorre che ricorrano congiuntamente due requisiti: l’esercizio di un’attività (an­cheeconomica) da parte di un soggetto qualificabile come ente pubblico e l’e­sercizio dell’attività quale pubblica autorità. Il primo requisito pretende che l’ente sia sufficientemente integrato nel­l’organizzazione amministrativa pubblica; tale rapporto organico sarebbe e­scluso ove: i) l’ente sia caratterizzato da uno statuto di diritto privato che conferisca autonomia nel funzionamento e nella gestione e non sia, quindi, una società legale; ii) le prestazioni rese sia indirizzate non via esclusiva all’ente territoriale socio di maggioranza assoluta ma anche a terzi; iii) il contratto stipulato non contenga clausole che fissino direttive vincolanti per lo svolgimento delle prestazioni richieste. Il secondo requisito, invece, richiederebbe l’attribuzione, per legge, di alcuni dei poteri propri del socio. Sul punto la giurisprudenza nazionale ha assunto posizioni assai rigorose [53]. La sezione tributaria della Suprema Corte, in materia di concessioni autostradali, ha mantenuto il suo rigore in ordine all’interpretazione del requisito soggettivo delle esenzioni quando ha ritenuto che il concessionario non possa beneficiare di tale esenzione per il semplice fatto che l’ente concedente sia un ente pubblico o, comunque, riconducibile allo Stato (come nel caso del­l’Anas) qualora, in ragione della concessione per la progettazione e la [continua ..]


4.6. Le acquisizioni immobiliari a favore dell'ente concessionario e le imposte di registro ed ipocatastali

Un altro settore tributario di interesse per il concessionario è quello del­l’applicazione dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria e catastale agli atti di acquisizione immobiliare effettuati dal concessionario. In particolare, rispetto all’art. 57, comma 8, TUR n. 131/1986 che esenta da imposizione le formalità relative agli atti di trasferimento «eseguite nell’in­te­resse dello Stato», il punto concerne l’imposizione dell’atto di cessione volontaria il quale ex art. 45 del D.P.R. 8 giugno 2011, n. 327 «produce gli effetti del decreto di esproprio». La questione – simile se non, addirittura, identica a quella evidenziata per altri tributi – è comprendere in che termini il concessionario che acquisisca immobili rispetto ad un loro impiego nell’interesse pubblico sia distinguibile o meno dallo Stato alla luce dell’attività svolta nonostante la sua autonomia patrimoniale, gestionale e contabile. Per prassi ministeriale gli enti pubblici non assumono la configurazione di soggetti passivi del tributo per le attività che rendono in quanto “pubbliche autorità” definizione quest’ultima che non dipende dall’oggetto o dal fine delle medesime attività, bensì dalle modalità di svolgimento [65]; in questa prospettiva si conferma la necessità anche in questo settore impositivo di attualizzare il concetto di ente pubblico rispetto a figure soggettive societarie legittimate per legge all’acquisizione. In questi termini vale ricordare come già la stessa Agenzia, molto tempo prima della completa privatizzazione di molti settori e la nascita delle più importanti società legali ad oggi note, aveva precisato, da un lato, come gli enti pubblici territoriali e non fossero assimilabili allo Stato [66]; dall’altro, come la circostanza che il soggetto espropriante fosse o meno controllato al 100% dallo Stato costituisse un elemento di distinzione preliminare [67] dovendosi qualificare come impresa pubblica la S.p.A. le cui azioni fossero (ancora) di esclusiva mano pubblica [68]. Sembra, quindi, consolidarsi la tesi secondo cui [69], ai fini dell’esenzione di cui all’art. 57, comma 8, TUR, la parola “espropriante” debba essere letta nel senso di indicare sia il soggetto [continua ..]


5. Conclusioni

L’esperienza insegna le norme tributarie agevolative non sempre siano applicate, a seguito della loro interpretazione, in termini storicamente attuali rispetto alle nuove regole dei mercati ed alle nuove figure che in essi possono operare a seguito dell’evoluzione dei settori giuridici non tributari. Ciò è particolarmente vero, come si è cercato di evidenziare, nel contesto dei servizi pubblici in cui l’offerta dei “beni” di interesse della collettività non è più riservata al tradizionale ente pubblico ma, a seguito di una privatizzazione delle forme soggettive di azione, vede coinvolti anche soggetti di natura privatistica; tale coinvolgimento, più nel dettaglio, avviene con lo strumento della concessione ad una società privata terza rispetto all’ente pubblico titolare della potestà per c.d. di offerta oppure con la creazione di soggetti societari ad hoc di forma privata ma di sostanza pubblica ove partecipati in via assoluta o maggioritaria dall’ente pubblico (territoriale). Le riflessioni che precedono dovrebbero consentire di fondare una ipotesi applicativa diversa da quella legata alla lettera di alcune disposizioni (mai aggiornate) o alla interpretazione tradizionale ma storicamente superata di talune categorie soggettive come, ad esempio, quella di ente pubblico. La soddisfazione dell’esigenza di una visione sistematica che non renda i diversi settori tributari disomogenei a fronte di attività imprenditoriali e diritti reali afferenti allo stesso fenomeno economico-sociale è il punto cui si deve giungere avvalendosi anche del recente e fondamentale apporto dato dalla nor­mativa e giurisprudenza comunitaria.


NOTE