Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
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Il danno patrimoniale di speciale tenuità non convince la Corte costituzionale: giudicata legittima la carenza di soglia di punibilità del delitto di cui all'art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 (di Marco Di Siena)


La Corte costituzionale giudica non censurabile la carenza di una soglia di punibilità nel contesto del delitto di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 a confronto con l’ipo­tesi delittuosa disciplinata dal successivo art. 3 del medesimo provvedimento normativo. Le motivazioni della sentenza appaiono abbastanza tradizionali e basate principalmente sulla discrezionalità del legislatore in tema di elaborazione della struttura delle fattispecie incriminatrici. Una interpretazione alternativa, tuttavia, non appare del tutto fuori luogo.

The property damage of special tenuity does not convince the Constitutional Court: the lack of punishment threshold for the crime referred to in Art. 2 of Legislative Decree no. 74/2000 has been declared legitimate

The Constitutional Court confirms the validity of the absence of an economic threshold in the context of the tax crime provided by Art. 2 of Legislative Decree no. 74/2000 in comparison with the one provided by subsequent Art. 3. The reasons of the judgement are quite traditional and mainly grounded on the lawmaker’s discretion in structuring the crimes. However, an alternative interpretation does not seem totally wrong.

Corte cost., 18 aprile 2019, n. 95 – Pres. Lattanzi, Rel. Modugno Dichiarazione fraudolenta mediante impiego di fatture per operazioni inesistenti – Assenza di soglia di punibilità – legittimità costituzionale   Ad avviso della Corte Costituzionale è legittimo l’art. 2, del d.lgs. 74/2000 nella parte in cui non prevede una soglia di punibilità analoga a quella prevista dalla fattispecie incriminatrice disciplinata dal successivo art. 3. Le due figure di reato, infatti, sarebbero disomogenee per le modalità di realizzazione dell’offesa e tale circostanza escluderebbe quindi ogni possibile contrasto con l’art. 3 Cost. 1. Con ordinanza del 13 luglio 2017, il Tribunale ordinario di Palermo ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte suiredditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della L. 25 giugno 1999, n. 205),“nella parte in cui non prevede che la condotta delittuosa ivi descritta sia punibile quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad Euro trentamila; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposi­zione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, superiore ad Euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a Euro trentamila”. Il giudice a quo premette di essere investito del processo nei confronti di una persona imputata del reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, per aver utilizzato, in qualità di legale rappresentante di una società in accomandita semplice, due fatture per operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti: la prima riportata nella dichiarazione annuale relativa all’anno d’imposta 2007 (presentata il 25 settembre 2008), indicando elementi passivi fittizi per Euro 12.176, con evasione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) per Euro 2.436; la seconda riportata nella dichiarazione annuale relativa all’anno di imposta 2011 (dichiarazione presentata il 10 settembre 2012), indicando elementi passivi fittizi per Euro 18.000, con evasione di IVA per Euro 2.436. La questione sarebbe, dunque, rilevante. L’imputato è chiamato, infatti, a rispondere di operazioni fraudolente che per ciascun anno d’imposta si collocano ben di sotto alla soglia dei trentamila Euro di imposta evasa, con la conseguenza che [continua..]

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SOMMARIO:

1. Premessa. L’asimmetria dell’elemento oggettivo dei delitti di frode fiscale nel contesto del D.Lgs. n. 74/2000. Il dubbio di costituzionalità sollevato dal giudice rimettente - 2. La soluzione tracciata dalla Corte costituzionale - 3. Una conclusione interpretativa apparentemente solida ma non sprovvista di talune incoerenze e forzature concettuali - 4. Il (viepiù) difficile equilibrio fra le due ipotesi delittuose in esito alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158/2015 - 5. Conclusioni - NOTE


1. Premessa. L’asimmetria dell’elemento oggettivo dei delitti di frode fiscale nel contesto del D.Lgs. n. 74/2000. Il dubbio di costituzionalità sollevato dal giudice rimettente

La sentenza in commento si colloca in un momento storico particolare in cui le modalità con le quali il diritto penale viene impiegato come strumento di lotta al­l’evasione ottiene rinnovata attenzione anche al di fuori della ristretta platea degli studiosi dell’ordinamento punitivo tributario [1]. È, perciò, quanto mai interessante sof­fermarsi sulla trama argomentativa di questa pronunzia che permette di sviluppare anche qualche considerazione laterale sulle torsioni a cui l’attuale sistema penale tributario è stato assoggettato in poco meno di un ventennio. È bene, tuttavia, prendere le mosse dall’esito del giudizio. Con la sentenza qui analizzata[2], la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Palermo in relazione all’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 «nella parte in cui non prevede che la condotta delittuosa ivi descritta sia punibile quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro trentamila; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, superiore ad euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento del­l’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila». Il thema decidendum può forse non apparire immediatissimo ma, in realtà, è di particolare interesse in quanto concerne le modalità con cui il legislatore ha tracciato il fatto tipico dei delitti di dichiarazione fraudolenta, vale a dire la frode connotata dall’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. n. 74/2000), per un verso, e quella realizzata mediante l’impiego di altri mezzi fraudolenti (art. 3, D.Lgs. n. 74/2000), per altro verso. Invero, la contestuale presenza di due fattispecie criminose destinate a reprimere le condotte di frode in materia di imposizione sui redditi ed IVA non costituisce una novità [continua ..]


2. La soluzione tracciata dalla Corte costituzionale

A fronte dei dubbi manifestati del Tribunale di Palermo, la replica dei giudici costituzionali è stata netta e, al tempo stesso, abbastanza tradizionale nel proprio sviluppo argomentativo. La Corte, infatti, ha negato la sussistenza del denunziato vulnus dell’art. 3 Cost. rilevando come sia pacifico nella propria giurisprudenza il fatto che un eventuale trattamento punitivo difforme di condotte apparentemente omogenee risulti censurabile solo in caso di palese arbitrarietà della soluzione prescelta a livello legislativo. Nel caso di specie tali arbitrarietà ed abnormità non sarebbero ravvisabili e di qui il rigetto della questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale [10]. Quello della incensurabilità della discrezionalità legislativa salvo abnormità della soluzione concreta costituisce un principio sovente reiterato nella giurisprudenza costituzionale in materia penale ed anche per tale motivo ha rappresentato uno strumento dialettico abbastanza agevole per rigettare la questione di legittimità sollevata. Ora, al di là del carattere abbastanza indefinito dei parametri della evocata discrezionalità legislativa (i quali – con tutta evidenza – finiscono per concedere alla Corte costituzionale un margine decisionale di notevole ampiezza), non v’è dubbio che l’iter argomentativo tracciato nella sentenza in esame permetta di sviluppare più riflessioni (non necessariamente adesive rispetto all’interpretazione fatta propria dai giudici costituzionali). In uno sforzo di sintesi sembra legittimo affermare che gli elementi essenziali attorno a cui la Consulta ha sviluppato la propria soluzione sono (principalmente) i seguenti: i) pur connotate da tratti di affinità (e da evidente identità di bene giuridicamente tutelato) i delitti di cui all’art. 2 e 3, D.Lgs. n. 74/2000 restano comunque disomogenei in quanto il primo si porrebbe in rapporto di species a genus rispetto al secondo avendo ad oggetto un particolare mezzo fraudolento rappresentato dalla falsità delle fatture passive (impiegate dal contribuente per documentare gli elementi passivi indicati in dichiarazione); ii) l’opzione legislativa di sanzionare in modo più rigoroso la frode realizzata [continua ..]


3. Una conclusione interpretativa apparentemente solida ma non sprovvista di talune incoerenze e forzature concettuali

Ricostruito in tal senso il percorso argomentativo elaborato dai giudici costituzionali v’è da dire che l’intero sviluppo motivazionale, sebbene apparentemente i­neccepibile (dati gli ampi margini dialettici assicurati dal richiamato principio della discrezionalità legislativa in materia di criminalizzazione delle condotte), si presta a considerazioni che – se non sono rigorosamente critiche – si possono senz’altro definire (quanto meno) dubitative. Anche una volta ripercorso con attenzione lo sviluppo della sentenza, il punto di sostanza posto in rilievo dai giudici rimettenti, infatti, permane intatto nella propria evidenza e non risulta di certo smussato dal rinvio alla nozione (ad onore del vero abbastanza impalpabile o, comunque, sufficientemente duttile) dell’abnormità del risultato quale limite all’esercizio della discrezionalità nor­mativa. A parità di evasione (e quindi a parità di lesione del bene giuridicamente tutelato rappresentato dagli interessi pecuniari dell’Erario) il contribuente che veda la propria condotta ascritta all’ambito applicativo della fattispecie delittuosa di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 subisce un trattamento punitivo più afflittivo (non in ter­mini di pena edittale ma di struttura dell’illecito e quindi di probabilità e presunta meritevolezza della pena) rispetto a quello riservato all’autore del reato disciplinato dall’art. 3, D.Lgs. n. 74/2000 [11]. E questa è una disomogeneità incontrovertibile che, come detto, nel corso del tempo si è andata incrementando in ragione dell’elisione da parte del D.L. n. 138/2011 dell’ipotesi attenuta in origine prevista dal comma 3 del citato art. 2, D.Lgs. n. 74/2000; una modifica adottata – come sovente avviene in ambito penale tributario – più per motivazioni segnaletiche ed emotive [12] che con reali finalità di ordine preventivo – e che, serbata in occasione della revisione dell’apparato punitivo attuata con il D.Lgs. n. 158/2015 (un intervento che pure prendeva le mosse da presupposti concettuali differenti di economia nell’impiego della sanzione di natura criminale), finisce per connotare in maniera [continua ..]


4. Il (viepiù) difficile equilibrio fra le due ipotesi delittuose in esito alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158/2015

Del resto – come puntualmente posto in luce in dottrina [29] – se il rapporto fra le due ipotesi di dichiarazione fraudolenta (l’una connotata dalla presenza di una soglia di punibilità e la seconda, invece, sprovvista di tale elemento) poteva giustificarsi nel­l’originaria impostazione del D.Lgs. n. 74/2000, la razionalità di tale opzione risulta sensibilmente attenuta alla luce della modifica della struttura del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici introdotta dal D.Lgs. n. 158/2015. Infatti, la circostanza che la condotta tipizzata di questa ipotesi di frode sia stato riformulata e soprattutto il fatto che – alla luce del diritto vivente – la documentazione non veritiera (sia in termini materiali che ideologici) possa rilevare in entrambi gli ambiti punitivi fa sì che il livello di potenziale sovrapposizione fra le due fattispecie criminose risulti incrementato rispetto al passato. Il discrimen fra una potenziale responsabilità ex art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 (e, quindi, senza alcuna soglia di punibilità) ed una invece ascrivibile all’ambito di applicazione del successivo delitto (connotato da soglia di punibilità) risiede ormai essenzialmente sull’oggetto interessato dal mendacio. Ove il documento non veritiero sia una fattura passiva (ovvero un documento ad esso equi­parato), infatti, la condotta assume rilievo nella prospettiva dell’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000; quando, invece, gli elementi passivi siano solo supportati (ma non documentati come tali) da altro genere di documentazione falsa si rientra nell’ambito applicativo della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. La labilità fra le due aree di possibile responsabilità penale è quindi palese ed il potenziale overlapping è ancora più pronunziato se si considera – come anticipato – la semplificazione strutturale a cui il delitto disciplinato dall’art. 3, D.Lgs. n. 74/2000 è stato assoggettato dal D.Lgs. n. 158/2015. L’abbandono dell’originaria struttura trifasica, infatti, l’ha avvicinato oltremodo alla contigua ipotesi di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti tanto da potere fare dubitare legittimamente della perdurante esigenza di serbare un assetto [continua ..]


5. Conclusioni

Tracciare delle conclusioni circa la sentenza in allegato non costituisce esercizio agevole. Sarebbe stato oggettivamente velleitario attendersi un esito differente e ciò, almeno, per un duplice ordine di ragioni. In prima istanza, alla luce della menzionata giurisprudenza costituzionale in tema di discrezionalità legislativa per quanto attiene all’elaborazione delle fattispecie incriminatrici. In seconda istanza, poi, perché la materia tributaria (anche nel suo coté sanzionatorio) è comunque oggetto di una giurisprudenza (anche a livello costituzionale) tendenzialmente conservatrice che non cela di certo un approccio di estrema prudenza rispetto a qualsiasi iniziativa interpretativa che possa figurare alla stregua di una possibile attenuazione dei presidi di tutela degli interessi erariali. La sentenza, quindi, non stupisce nel suo esito e v’è da dire che lo sviluppo argomentativo elaborato dai giudici costituzionali non è stato irrilevante. Come evidenziato, tuttavia – ad una analisi attenta – i singoli argomenti declinati appaiono meno persuasivi di quanto possa apparire in prima istanza. E tale circostanza deve indurre a riflettere sulla effettiva ratio della maggiore severità con cui il legislatore (anche in un assetto punitivo radicalmente modificato come quello configuratosi nel passaggio dalla L. n. 516/1982 al D.Lgs. n. 74/2000) si è posto (e continua a porsi come dimostrato dalle recenti modifiche introdotte dal D.L. n. 124/2019) dinanzi al fenomeno della frode realizzata a mezzo dell’utilizzo di false fatture. Al di là dei confini spesso non nitidissimi della discrezionalità legislativa in materia sanzionatoria penale, infatti, è logico interrogarsi sul perché della particolare severità della risposta approntata dal sistema repressivo a fronte di tale condotta e, di conseguenza, sulla ragionevolezza (anche giuridica) della specifica opzione punitiva. E se ci si colloca in un’ottica più pragmatica ed operativa rispetto a quella che traspare dal­l’iter argomentativo della sentenza in commento la ragione della (maggiore) severità appare abbastanza palese; si tratta della frequenza statistica con cui il fenomeno illecito ricorre in concreto. È indubbio, infatti, che fra i [continua ..]


NOTE