Viene esaminato il tema della neutralità dell’IVA. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, occupandosi della conformità della legge spagnola con gli artt. 73 e 78 della Direttiva n. 2006/112/CE, ha enucleato il principio secondo cui gli importi percepiti a seguito dell’effettuazione di prestazioni rilevanti a fini IVA, non dichiarati né fatturati e successivamente accertati dall’Amministrazione finanziaria, devono intendersi comprensivi di IVA, salvo il caso in cui secondo il diritto nazionale sia possibile recuperare altrimenti l’imposta. Detta soluzione, sebbene sembri non impattante sulla disciplina nazionale italiana, in realtà fa sorgere taluni interrogativi sulla direzione che sta prendendo l’istituto della rivalsa post-accertamento di cui all’art. 60, comma 7, D.P.R. n. 633/1972. Tale norma è stata modificata nel 2012 a seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea contro l’Italia, nell’ottica di tutelare maggiormente la neutralità. Obiettivo, questo, che, però, non pare essere stato centrato.
Parole chiave: IVA, principio di neutralità, frode fiscale, abuso del diritto, illecita alterazione della concorrenza.
This essay examines the issue of VAT neutrality. The Court of Justice of the European Union, dealing with the compatibility of Spanish law with Arts. 73 and 78 of Directive no. 2006/112/CE, has expressed the principle according to which the amounts received following the performance of services relevant for VAT purposes, not declared or invoiced and subsequently ascertained by the tax authorities, must be considered as inclusive of VAT, except in the case where under national law it is possible to otherwise recover the tax. This solution, although it does not seem to have an impact on the Italian national legislation, raises some questions about the direction that the institution of post-assessment charge pursuant to Art. 60, para. 7, Presidential Decree no. 633/1972. This rule was amended in 2012 following an infringement procedure initiated by the European Commission against Italy, with the view to better protecting neutrality. Such objective, however, does not seem to have been achieved.
Keywords: VAT, principle of neutrality, tax fraud, abuse of law, unlawful distortion of competition.
1. Premessa - 2. Il caso di specie e la questione pregiudiziale sottoposta alla valutazione della Corte di Giustizia - 3. La garanzia del rispetto della neutralità IVA nella soluzione della Corte UE - 4. Il quadro normativo italiano e le possibili implicazioni del principio - 5. Conclusioni - NOTE
La pronuncia in commento induce (e impone) una riflessione generale sulla neutralità [1] e sulla definizione che fino ad ora la dottrina e la giurisprudenza (anche unionale) ne hanno fornito. Tradizionalmente, il principio di neutralità in ambito IVA è stato sempre analizzato attraverso il richiamo contestuale degli istituti della rivalsa e della detrazione. Questi sono sempre stati posti sullo stesso piano operativo, quali le due facce della medesima medaglia [2], e quali corollari della neutralità stessa. Si è sempre ritenuto che rivalsa e detrazione operassero in modo sinergico tra di loro [3], per l’attuazione e il rispetto della neutralità; ciò, però, indipendentemente e a prescindere dalla compiuta analisi della funzione propria di ciascuna di tali componenti. Si è sempre affermato, infatti, come «l’effetto proprio della rivalsa, il suo predicato sottinteso, è per l’appunto il conferimento al cessionario del diritto alla detrazione» [4] ritenendo l’una imprescindibile e strettamente connessa all’altra. Tale connessione, però, se da un lato non permette di analizzare la neutralità da un punto di vista funzionale – come si dirà –, dall’altro lato non consente di bene inquadrare la neutralità in tutte quelle ipotesi nelle quali una delle due componenti viene, sì, a mancare, ma pur sempre senza ledere la neutralità stessa. Si pensi, ad esempio, ai casi nei quali, in assenza di rivalsa/addebito (ancorché il sistema IVA la imponga), il diritto alla detrazione sia esercitato ugualmente, al ricorrere di tutti gli altri presupposti sostanziali e formali imposti dalla normativa. In tali casi, non si può escludere a priori che l’operazione economica realizzata sia neutrale. A ben guardare, infatti, la funzione della rivalsa/addebito non è tanto quella di garantire (in generale) la neutralità dell’IVA, quanto piuttosto quella di realizzare la funzione propria dell’IVA, intesa quale imposta sul consumo. La rivalsa/addebito ha la funzione di scaricare l’IVA a valle, cioè di consentire che l’IVA si sposti sul consumo, gravando, quale soggetto passivo dell’imposta, non già l’operatore economico, ma il consumatore finale. Al contrario, se ci si sposta sul piano della detrazione, la funzione [continua ..]
La vicenda che ha dato origine al quesito sottoposto all’esame della Corte di Giustizia è sorta a seguito di talune ispezioni effettuate dall’Inspección de Tributos (Ispettorato dei tributi) sulla situazione fiscale di CB (cittadino spagnolo svolgente l’attività di agente per lo spettacolo), avviate nel 2014 e volte a verificare l’attività di intermediazione dallo stesso resa. Ispezioni all’esito delle quali l’Agencia Estatal de Administración Tributaria (Agenzia statale dell’amministrazione finanziaria) accertava l’imposta sul reddito delle persone fisiche per gli anni 2010-2011-2012 e comminava le relative sanzioni. Tale accertamento, sebbene riguardasse nello specifico le imposte dirette, ha avuto un evidente impatto anche sulle imposte indirette, essendo l’attività in questione un’operazione pacificamente soggetta all’applicazione dell’IVA. L’attività svolta dal Sig. CB, in specie, consisteva nel rendere taluni servizi a favore di un gruppo di imprese che gestiva l’infrastruttura – tendoni, attrezzatura musicale, trasporti, ecc. – e le orchestre che si esibivano nelle feste patronali e nelle sagre dei villaggi della Galizia. In particolare, i servizi resi dal Sig. CB consistevano nel contattare e intrattenere i rapporti con alcuni comitati/commissioni di residenti al fine di negoziare l’esibizione delle orchestre gestite dal suddetto gruppo di imprese e a nome dello stesso gruppo, nonché di gestirne le infrastrutture. Tutti i pagamenti effettuati dai comitati al gruppo di imprese avvenivano in contanti, senza l’emissione di fatture e/o tenuta della contabilità; non venivano nemmeno presentate le dichiarazioni, tanto a fini delle imposte sui redditi, quanto a fini IVA. Nei rapporti interni tra le parti, a fronte dei contratti conclusi dai comitati con il gruppo di imprese, quest’ultimo riconosceva all’intermediario CB un importo pari al 10% delle entrate ottenute a seguito dell’attività di intermediazione [11]. Anche in questo caso, i pagamenti avvenivano in contanti e non erano seguiti né dall’emissione di fatture e/o dalla tenuta della contabilità, né da alcuna dichiarazione. Il Sig. CB, di conseguenza, non presentava nemmeno le dichiarazioni IVA. L’amministrazione tributaria spagnola ha, quindi, ritenuto [continua ..]
La Corte di Giustizia, nel ricostruire la vicenda sottoposta al suo esame, e al fine di rispondere al quesito rivoltole, ha richiamato alcuni capisaldi che connotano e fondano il sistema dell’IVA. Capisaldi che orbitano, tutti, attorno all’esigenza comune di garantire il rispetto e la tenuta del (forse solo evocato) principio di neutralità, nel costante bilanciamento con l’ulteriore esigenza di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione attraverso il contrasto ai comportamenti abusivi di frode ed evasione. In tale costante tensione, dall’analisi della sentenza in commento e, in generale, della precedente giurisprudenza unionale ivi richiamata, è possibile ritrarre la considerazione che la conclusione raggiunta dalla Corte di Giustizia si pone, sì, in linea di continuità rispetto alle esigenze di funzionamento dell’IVA nel suo complesso; ciò, però, non (necessariamente) alla luce del principio di neutralità. La Corte di Giustizia, nell’affermare che gli importi percepiti a seguito dell’effettuazione di prestazioni rilevanti a fini IVA, non dichiarati né fatturati e successivamente accertati dall’amministrazione finanziaria, debbano intendersi comprensivi di IVA, salvo il caso in cui secondo il diritto nazionale sia possibile recuperare altrimenti l’imposta, ha, sì, reso una soluzione coerente rispetto alla struttura stessa dell’imposta sul valore aggiunto, ma dando importanza a profili che poco c’entrano con il principio di neutralità. Si è difatti concentrata, con l’intento di dare continuità (specificandoli e non contraddicendoli) ai propri precedenti giurisprudenziali (i) sul ruolo che gli Stati membri (non) possono avere nella determinazione della base imponibile – nel caso analizzato, ai fini delle imposte sui redditi –, rilevante anche a fini IVA; e (ii) sul rapporto esistente tra il diritto dell’operatore economico di detrarre l’imposta assolta a monte e l’esigenza di garantire il gettito. Profili fondamentali, lo si ripete, nella logica generale del tributo, ma non alla luce della neutralità. Nel suo ragionamento, la Corte innanzitutto ha chiarito come debbano essere tenute separate le questioni involgenti, da un lato, la determinazione della base imponibile di un’operazione tra soggetti passivi [20] (piano [continua ..]
Ecco che, dato il principio di massima, occorre ora interrogarsi sull’applicabilità dello stesso al diritto nazionale. Ciò, soprattutto in virtù dell’esistenza nel nostro ordinamento – e a differenza di quello spagnolo – di una norma ad hoc, l’art. 60, del D.P.R. n. 633/1972, rubricata Pagamento delle imposte accertate che, apparentemente, consente di recuperare ex post l’IVA pagata a seguito di un accertamento. Il comma 7 di tale norma, in particolare, espressamente prevede che «Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione». Tale previsione (comma 7), come noto, è stata modificata dall’art. 93, comma 1, del D.L. n. 1/2012 (c.d. Decreto sulle liberalizzazioni del 24 gennaio) in conseguenza della procedura di infrazione 2011/4081 avviata dalla Commissione europea contro l’Italia, in ragione della non conformità del previgente comma 7 ai principi comunitari di neutralità e proporzionalità dell’IVA [38]. Nella formulazione ante riforma, la norma prevedeva, infatti, che «il contribuente non ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta pagata in conseguenza dell’accertamento o della rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi»; con una formulazione, quindi, che si poneva in totale antitesi rispetto a quanto oggi previsto, ma che pare(va) avvicinarsi alla (attuale) previsione spagnola per la quale è stata posta la questione pregiudiziale sfociata nella pronuncia della Corte in commento – il che, come evidente, fa emergere un interrogativo più di natura politica che fiscale sulla ragione per la quale l’Italia sia stata sottoposta a procedura di infrazione e la Spagna no –. Ad ogni modo, non è questa la sede per [continua ..]
La Corte di Giustizia, nella pronuncia in commento, dunque, ha espresso il principio di massima secondo cui gli importi percepiti da un operatore economico nell’ambito di un’operazione rilevante ai fini IVA devono ritenersi comprensivi di tale imposta, a meno che, secondo il diritto nazionale, i soggetti passivi abbiano la possibilità di ripercuotere e di addebitare successivamente l’IVA in questione, anche in contesti di evasione. Nonostante la formale esigenza di garantire il rispetto della neutralità, in realtà, tale pronuncia si occupa unicamente del profilo della rivalsa/addebito, nell’ottica di assicurare che l’IVA sia un’imposta sul consumo. L’applicazione del principio impone di valutare lo stesso tenendo a mente due distinte fattispecie. Una prima, alla quale il principio si applica, si realizza nel caso in cui non sussista una normativa nazionale che permetta di recuperare ex post l’IVA a valle. In tale caso, ancorché le parti non abbiano convenuto nulla sulla componente dell’addebito, si deve immaginare – sulla base del principio della Corte – che l’addebito venga realizzato ex ante dalle parti al momento della conclusione dell’accordo, con la conseguenza che il prezzo pattuito dalle stesse deve essere comprensivo dell’IVA. Una seconda, alla quale il principio non si applica, si realizza in presenza di tale normativa nazionale. In tale ipotesi, si deve immaginare che il prezzo corrisposto per la prestazione resa sia escluso IVA, potendo essere l’imposta addebitata ex post, successivamente all’accertamento. La Corte di Giustizia, in entrambi i casi, altro non fa che occuparsi della sola componente dell’addebito, nell’esigenza di garantire che l’IVA sia un’imposta sul consumo; ciò anche impattando – specie nella prima ipotesi – sugli accordi precedentemente assunti dalle parti, andando ad incidere anche sul quantum dovuto a titolo di corrispettivo per la prestazione resa, in una logica di eterointegrazione degli accordi stessi. L’addebito, infatti, è un obbligo legale che trascende le pattuizioni delle parti e non è disponibile dalle stesse. Ciò lo si evince tanto a livello unionale – sebbene indirettamente, non facendo la direttiva IVA espresso riferimento al concetto di rivalsa –, quanto a livello nazionale, prevedendo [continua ..]