Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Concordato preventivo, omesso versamento IVA e (in)coerenza dell'ordinamento (di Giuseppe Giovanni Scanu)


La Corte di Cassazione risolve le possibili interferenze tra gli strumenti di gestione della crisi d'impresa e l’inadempimento penalmente rilevante valorizzando l’effet­tività della tutela penaltributaria, anche a scapito della par condicio creditorum. Così, la domanda di ammissione al concordato preventivo, di per sé, non scrimina l'omesso versamento IVA, salvo il caso che il Tribunale fallimentare abbia negato l’autorizzazione al pagamento del debito fiscale richiesta dall’interessato.

Tale orientamento solleva riserve di rango sistematico circa la salvaguardia della coerenza e non contraddittorietà dell'ordinamento.

Pre-bankruptcy agreement, omitted payment of VAT and (in)coherence of the legal system

The Supreme Court resolves the possible interference between the business crisis management tools and the criminally relevant breach, enhancing the effectiveness of the tax crimes' discipline even to the detriment of the par condicio creditorum. Thus, the request to reach a pre-bankruptcy agreement with the creditors, by itself, does not automatically exclude the crime of omitted payment of VAT, unless the bankruptcy court has denied the authorisation to pay the tax debt requested by the interested party. This solution raises systematic critics regarding the safeguarding of the coherence and non-contradictory nature of the legal system.

MASSIMA: La procedura di concordato preventivo scrimina i reati di omesso versamento, in relazione a obblighi scaduti tra la presentazione dell’istanza di ammissione al concordato – sia esso “in bianco” che con deposito del piano – e l’adozione del relativo decreto, solo ove sia intervenuto un provvedimento del Tribunale che abbia vietato, o comunque non autorizzato, il pagamento dei suddetti debiti, essendo in tal caso configurabile la scriminante dell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di cui all’art. 51 c.p.; per contro, in mancanza di dette condizioni, il mero decreto di ammissione al concordato non vale a scriminare “retroattivamente” gli omessi versamenti relativi a debiti scaduti anteriormente. La procedura di concordato preventivo, pertanto, non inibisce il pagamento dei debiti tributari il cui termine di scadenza è successivo al deposito della domanda, in quanto il pagamento del debito trova fondamento nella previsione normativa di cui agli artt. 161, comma 7 e 167, L. fall. PROVVEDIMENTO: (Omissis) MOTIVI DELLA DECISIONE (Omissis) 1. Con ordinanza del 29 luglio 2021, il Tribunale di Benevento, in sede di riesame, ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Benevento l’8 luglio 2021, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, contestato all’indagato perché, in qualità di amministratore unico della società “Sunset s.r.l.” (già “Botolo Mobili s.r.l.”), non versava l’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno 2017, per un importo pari ad Euro 521.440,72. Il sequestro era finalizzato alla confisca diretta delle somme di denaro nella disponibilità della società coinvolta e, in via subordinata, alla confisca per equivalente dei beni propri dell’in­dagato, sempre fino alla concorrenza complessiva dell’imposta evasa. Per quanto qui rileva, la vicenda può essere sintetizzata nei seguenti termini: la società – divenuta da poco “Sunset s.r.l.” – ha presentato in data 24 aprile 2018 ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, con riserva di deposito del piano; con decreto del 2 maggio 2018 il Tribunale di Benevento, sezione Fallimentare, ha concesso un termine per il deposito della documentazione statuendo, in via provvisoria, che per i pagamenti di importo superiore ad Euro 50.000,00 sarebbe stata necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, previa comunicazione ai commissari giudiziali nominati; nel frattempo, in data 27 luglio 2018, la società ha presentato telematicamente il modello IVA 2018 concernente l’imposta dovuta per l’anno 2017, pari ad Euro 521.440,00, il cui termine per adempiere scadeva il 27 dicembre 2018; la domanda di concordato [continua..]

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SOMMARIO:

1. La fattispecie in esame - 2. La questione dirimente, il contesto normativo e giurisprudenziale - 3. Strumenti di composizione della crisi, rimproverabilità penale e (in)coerenza dell’ordinamento - 4. Crisi di liquidità, forza maggiore e oneri di allegazione - 5. Considerazioni conclusive - NOTE


1. La fattispecie in esame

Con la sentenza in commento, la Cassazione torna sulla questione dei rapporti, in sede penale, tra le procedure concorsuali e gli omessi versamenti dei tributi, situazione assai frequente nell’attuale contesto di contrazione economica che pone in seria difficoltà la capacità degli operatori commerciali di far fronte al puntuale pagamento dei debiti, anche tributari e che, quindi si rivolgono agli strumenti di composizione della crisi d’impresa. La vicenda che ispira la pronuncia si innesta in una fase cautelare nell’ambito della quale il pubblico ministero ha richiesto l’applicazione di un sequestro preventivo per equivalente per l’ammontare di euro 521.440,72 contestando la fattispecie del­l’omesso versamento IVA di cui all’art. 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000, in relazione al­l’anno d’imposta 2017. In data successiva alla presentazione della domanda di concordato preventivo c.d. con riserva o “in bianco”, si registrava l’omesso versamento in contestazione. In via provvisoria, il tribunale stabilì che per i pagamenti superiori alla soglia di cinquantamila euro sarebbe stata necessaria l’autorizzazione giudiziale. Una volta depositato il piano concordatario, contenente anche una proposta di transazione fiscale, il Tribunale fallimentare dispose l’ammissione della società alla procedura valorizzando il promesso apporto di finanza esterna. Sia il giudice per le indagini preliminari che, successivamente, in sede di appello, il tribunale del riesame hanno annullato il vincolo reale per insussistenza del fumus commissi delicti riconoscendo l’operatività della scriminante di cui all’art. 51 c.p., con ciò aderendo a quell’orientamento secondo cui l’effetto inibitorio al pagamento dei debiti anteriori e, tra questi, anche delle esposizioni nei confronti dell’erario, è ricavabile già dal combinato disposto di cui agli artt. 167 e 168 della L. fall. senza necessità di alcun provvedimento specifico da parte del giudice fallimentare. A questo punto, la Suprema Corte, accogliendo l’impugnazione del pubblico ministero, ha annullato la decisione del tribunale del riesame, ritenendo di non poter attribuire efficacia scriminante al mero deposito della domanda di concordato sul rilievo che l’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di [continua ..]


2. La questione dirimente, il contesto normativo e giurisprudenziale

Il focus sul quale si incentra la pronuncia attiene al rapporto di interferenza (o, meglio, di prevalenza) tra il versante penale-tributario, qui riconducibile all’omesso versamento IVA ex art. 10 ter, e quello concorsuale della composizione della crisi d’impresa e, segnatamente, investe gli effetti del piano concordatario che contenga anche una proposta di “transazione fiscale” sulla sussistenza del reato fiscale. Prima di soffermarci sulle possibili interazioni tra i diversi ambiti e di interrogarsi sulla coerenza e tenuta del sistema, è opportuno delimitare il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento. Quanto al versante penale-tributario, il reato di omesso versamento IVA è un tipico reato “da riscossione” che si sostanzia nell’omesso pagamento, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, dell’imposta autoliquidata in dichiarazione; in particolare, si tratta di un delitto: i) omissivo proprio, poiché nonostante il richiamo al pronome indefinito chiunque, il reato può essere commesso soltanto dai soggetti passivi tenuti al versamento dell’IVA ex 4 e 5 del D.P.R. n. 633/1973; ii) punibile a titolo di dolo generico, configurabile anche nella forma del dolo eventuale consistente nella mera rappresentazione e consapevolezza del mancato adempimento all’obbligo di versamento, cosicché il dolo specifico d’evasione esula dalla cornice dell’elemento psicologico[1]; iii) di tipo istantaneo, per cui il reato si consuma alla scadenza del termine lungo previsto per la presentazione della dichiarazione annuale, con conseguente irrilevanza del pagamento successivamente intercorso; iv) la cui configurabilità è condizionata dal superamento di una soglia di punibilità di duecentocinquantamila euro, circostanza che rappresenta l’elemento costitutivo del reato e non una mera condizione di punibilità. Ciò comporta che anche le soglie devono essere investite dall’elemento psicologico del dolo[2]. Seppur rimasto estraneo al percorso motivazionale, un ruolo centrale – quasi di snodo, direi, nelle interazioni tra concordato e penale responsabilità – è assunto dal­l’art. 13, comma 1 del D.Lgs. n. 74/2000 ove stabilito che il pagamento integrale del debito prima dell’apertura del dibattimento, comprese le sanzioni [continua ..]


3. Strumenti di composizione della crisi, rimproverabilità penale e (in)coerenza dell’ordinamento

La sentenza risolve l’interferenza fra gli strumenti di composizione della crisi e la rimproverabilità penale per l’omesso versamento dell’IVA in favore della specialità dell’obbligazione tributaria enfatizzando l’effettività della tutela penale che assiste l’inadempimento agli obblighi tributari, e ciò anche a detrimento della par condicio creditorum. L’argomento pare provare troppo se si considera che la disciplina concorsuale e quella penale-tributaria condividono la tutela del medesimo bene giuridico: l’inte­resse fiscale all’incameramento dei tributi – seppur nell’inferiore misura risultante dalla falcidia (e secondo i tempi previsti dalla dilazione) del debito ormai consolidato – la cui sostenibilità per l’imprenditore e la maggior appetibilità per le casse erariali, rispetto all’alternativa liquidatoria, sia stata asseverata da un professionista terzo nell’ambito del piano concordatario contenente anche la proposta di “transazione fiscale”. La questione rileva nel caso in cui la falcidia dell’imposta non valga a incidere sulla soglia di punibilità (e, quindi, sulla (in)sussistenza del reato) e il pagamento del debito residuo risulti in corso di rateizzazione [14]. Dal tenore della sentenza non è apprezzabile in che termini il piano concordatario – il cui decreto di ammissione è intervenuto successivamente alla consumazione del reato – regolasse la falcidia del tributo né i tempi della dilazione. Appare peraltro contraddittorio che, da un lato, col concordato l’ordinamento ammetta la falcidia dei tributi ma, ciò non di meno, persegua la rimproverabilità penale là dove i tempi della dilazione di pagamento mal si concilino con quelli del giudizio penale [15]. Così, la distonia temporale tra il procedimento concorsuale e quello penale rischia di rendere, di fatto, inoperanti le misure premiali in spregio al divieto del bis in idem [16]; e ciò per circostanze, come la fissazione dell’udienza dibattimentale da parte del Tribunale penale e la scansione del procedimento concordatario rimessa al giudice fallimentare, che esulano dalla disponibilità della parte [17]. Fin qui, la giurisprudenza della Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale [continua ..]


4. Crisi di liquidità, forza maggiore e oneri di allegazione

Con un passaggio quasi incidentale, ma pur sempre centrale rispetto al tema sul quale si incentra la pronuncia, la Corte precisa che seppur l’impossibilità ad adempiere riguarda la società in concordato e non l’imputato, è pur sempre quest’ultimo l’autore del reato al quale spetta l’onere di approntare per tempo le soluzioni idonee a far fronte alla situazione di crisi in cui si trovi l’impresa, anche considerando le conseguenze penali cui egli potrà andare incontro nel caso di omesso pagamento del debito tributario [29]. Tale percorso argomentativo richiama quell’orientamento, assai intransigente, che ritiene sanzionabile e non scusabile il mancato pagamento dei tributi, quan­d’anche si invocasse la crisi economica e di liquidità attraversata dall’impresa [30]-[31]. Fin qui, in materia di tributi armonizzati, la giurisprudenza di legittimità, sia tributaria che penale (in relazione agli artt. 10 bis e 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000), si è mostrata assai restrittiva rintracciandosi uno spazio all’apprezzabilità dell’invocata esimente condizionato dall’assolvimento di un rigoroso onere di allegazione posto a carico della parte. In particolare, l’orientamento formatosi in ambito IVA e accise, ha ritagliato un ventaglio di misure che la parte deve dimostrare di aver approntato per premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale ma che, ciò non ostante, non si sono rivelate decisive a impedire la situazione di illiquidità [32]. Così, da un lato, sono state ritenute condotte appropriate e non eccessivamente gravose per l’interessato la liquidazione di assets aziendali non più strategici e la monetizzazione di beni appartenenti al proprio patrimonio [33], il ricorso a strumenti di ristrutturazione del debito o di risanamento aziendale [34], il tentativo, pur se infruttuoso, di reperire nuove risorse attraverso il canale bancario [35] ovvero mediante la cessione dei crediti, la loro cartolarizzazione o il factoring [36]. D’altra parte, la destinazione della liquidità di cassa per far fronte al pagamento dei fornitori o delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, al fine di garantire la continuità dell’attività e il mantenimento del livello occupazionale, sono state ritenute scelte di gestione che di per [continua ..]


5. Considerazioni conclusive

Nel dare enfasi all’effettività della tutela penale che assiste l’omesso versamento IVA, anche a scapito della par condicio creditorum [41], la soluzione prospetta non appare offrire un adeguato bilanciamento tra l’interesse penal-tributario e l’interesse “concorsuale”, anch’esso collettivo, che trova la “ragione fondativa” nel favor per la conservazione del “bene impresa” attraverso l’accesso alle procedure di composizione della crisi. Invero, la previsione di falcidia e dilazione del pagamento dell’IVA, prevista nel piano concordatario, fa sì che la sorte del debito fiscale sia attratta in pieno nelle dinamiche del concordato preventivo, con regole, tempi e modi del pagamento controllati dagli organi della procedura e con il divieto per il debitore di assumere iniziative preferenziali in autonomia [42]. Appare allora contraddittorio che la ristrutturazione del debito tributario, valutata positivamente e vigilata dagli organi della procedura, possa mantenere rilevanza penale: ciò significherebbe, nella sostanza, considerare il concordato tamquam non esset ai fini penali [43]. Peraltro, il meccanismo cui la sentenza condiziona l’effetto di inibitoria dei pagamenti tradisce la logica stessa del regime autorizzatorio degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione in sede concorsuale, considerato che il giudice deve poter apprezzare la sussistenza di una qualche utilità per il patrimonio concorsuale e l’assenza di effetti pregiudizievoli. Al contrario, il pagamento “preferenziale” del debito tributario costituisce un esborso che va a impoverire il patrimonio del debitore a detrimento degli altri creditori concorsuali senza alcun ritorno per la massa [44]. Ciò può indurre a ritenere configurabile, quantomeno, una “scriminante putativa” ex artt. 51 e 59, comma 4, c.p., qualora l’imprenditore non si sia attivato per richiedere al giudice l’autorizzazione al pagamento nella convinzione di non potervi procedere una volta presentata la domanda di ammissione al concordato [45]. Ci si attende, quindi, un cambio di prospettiva nel perseguire una visione unitaria e più coerente del sistema sanzionatorio penal-tributario nel suo intersecarsi col versante della composizione della crisi d’impresa, a tutela di interessi aventi tutti rilievo [continua ..]


NOTE