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Note minime sulla configurabilità di un indice di capacità contributiva “digitale”

Andrea Purpura

Il presente contributo vorrebbe rappresentare occasione attraverso la quale formulare alcuni, si auspicano utili, spunti di riflessione in merito alla possibile configurabilità all’interno del nostro ordinamento giuridico di un indice di capacità contributiva “immateriale” scaturente dall’interazione tra i consumatori-utenti e le piattaforme digitali. Le considerazioni che vengono, in questa sede, formulate, pur essendo il frutto d’una riflessione soltanto embrionale, vorrebbero essere veicolo per mezzo del quale porre all’attenzione del lettore la necessità di adattare il sistema tributario interno alle mutate caratteristiche del contesto economico, valorizzando dal punto di vista tributario anche elementi immateriali apparentemente non idonei a costituire – giusto in ragione della propria intangibilità e, conseguentemente, difficile verificabilità e quantificazione – un indice di capacità contributiva. In questa prospettiva, ci si chiederà se le interazioni tra gli utenti e le piattaforme digitali, in quanto portatrici – sia in termini positivi che negativi – di valore per le economie digitalizzate, possano rappresentare un indice di capacità contributiva, attesa la potenziale trasformabilità delle informazioni acquisite in un valore aggiunto “monetizzabile”. In tal senso, occorrerebbe valutare, a monte, se lo svolgimento di una attività economica in chiave digitale ponga le economie digitali in una posizione di vantaggio tale da giustificare la venuta ad esistenza di una “maggiore” capacità contributiva giusto in capo a quest’ultime. A tal scopo, si assumerà come punto di partenza della presente riflessione alcune riflessioni maturate in seno agli studi di “fiscalità ambientale”, ambito di ricerca ove il concetto di “vantaggio” discendente dall’uso esclusivo di un bene ambientale – in quanto tale a natura collettivistica – costituirebbe, almeno ad avviso di una parte della dottrina, un presupposto legittimante il sorgere di un indice di capacità a contribuire in capo a chi si serva del bene ambientale nei termini sopra delineati. Conseguentemente, sembrerebbe opportuno provare a determinare se il bene “rete”, al pari, o a differenza, di quello ambientale, costituisca un bene a vocazione/natura collettiva o individuale.

 

Short remarks on the configurability of a “digital” display of ability to pay

This essay would like to represent an opportunity through which formulate certain, hopefully useful, “food for thought” regarding the possible configurability within our legal system of an index of “immaterial” ability to pay arising from the interaction between consumers-users and digital platforms. The remarks that are formulated here, albeit constituting the fruit of an embryonic reflection, would like to be a vehicle by which bringing to the reader’s attention the need to adapt the national tax system to the changed characteristics of the economic context, enhancing from the tax point of view also intangible elements apparently unsuitable for constituting – just because of their intangibility and, consequently, difficult verifiability and quantification – an index of ability to pay. In this perspective, we will ask ourselves whether the interactions between users and digital platforms, as bearers – both in positive and negative terms – of value for digitalised economies, may represent an index of ability to pay, given the potential conversion of information acquired in a “monetisable” added value. In this sense, it should be necessary to assess, upstream, whether carrying out a digital economic activity confers to the overall digital economy in a position of advantage such as to justify the existence of their “higher” ability to pay. For this purpose, we will take as the starting point of this article certain remarks emerging in the studies of “environmental taxation”, a research area where the concept of “advantage” deriving from the exclusive use of an environmental asset – as such, having a collective nature – would constitute, at least according certain scholars, a legitimate presupposition for the emergence of an index of the ability to contribute for those who use the environmental good. Therefore, it seems appropriate to try to determine whether the “internet” asset, like or unlike the en­vi­ronment, has a collective or individual vocation/nature.

Keywords: digitalisation, tax system, ability to pay principle, creation of value, intangible assets.

Sommario:

1. Introduzione: l’esperienza della fiscalità ambientale come (possibile) “punto di partenza”? - 2. Sulla possibile sussistenza di un “vantaggio da digitalizzazione” - 2.1. Posizione di vantaggio “interna” ed “esterna” nelle economie digitali ed obbligo di (maggiore) contribuzione - 3. La rete come “bene giuridico collettivo” o “bene giuridico individuale”: possibile rilevanza della distinzione al fine di comprendere se possa sussistere un indice di capacità contributiva - 4. Natura della posizione di vantaggio digitale e sua, potenziale, configurabilità come indice di capacità contributiva - 4.1. Raccolta dei dati personali come esempio di “vantaggio” (ed indice di capacità contributiva) tassabile? - 4.2. Un esempio pratico (e “suggestivo”). L’oro ed il dato “digitale”: l’infor­mazione acquisita incrementa – di per sé – il “patrimonio” dell’economia digitalizzata? - 5. In conclusione, quali obiettivi e quali valori considerare ai fini dell’imposi­zione digitale? - 5.1. Ulteriori prospettive di analisi - NOTE


1. Introduzione: l’esperienza della fiscalità ambientale come (possibile) “punto di partenza”?

L’ancoraggio del nostro sistema impositivo ad una tangibile e “materiale” valutabilità, apprezzabilità, verificabilità e, se del caso, tassabilità della ricchezza individualmente prodotta da persone fisiche e giuridiche si traduce, inevitabilmente, in una generalizzata, endemica e sistemica impreparazione del complesso sistema di regole tributarie nel sapere, e potere, rispondere alla necessità di fornire adeguata giustificazione ad eventuali, nuove, forme di imposizione sorgenti in ragione di fatti sprovvisti di un indice di ricchezza immediatamente percepibile – perché, ad esempio, intangibile – e, in quanto tali, difficilmente riconducibili entro le tradizionali categorie di ragionamento fatte proprie sia dal legislatore sia, per forza di cose, dall’interprete. Conforto di quanto in parola sembrerebbe essere rinvenibile nell’espe­rienza relativa agli studi condotti da chi si sia, nel tempo, occupato delle problematiche tributarie connesse alla fiscalità ambientale, ambito di ricerca all’interno del quale, nel tentativo [1] di individuare il presupposto dei c.d. “tributi ambientali propri” [2] – ovvero quei tributi caratterizzati dalla sussistenza di un nesso di causalità fra l’unità fisica che determina un deterioramento o un danno all’ambiente [3], il presupposto per la pretesa del tributo e la determinazione del suo imponibile [4] – la configurabilità degli stessi all’interno del nostro ordinamento giuridico ha trovato significative difficoltà, rinvenendo un limite giusto nel principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. Sul punto si sono contrapposti, linee di pensiero differenti, tali perché caratterizzate da peculiari declinazioni interpretative del principio in parola così, più che sinteticamente, raccoglibili [5]. Da un lato, l’art. 53 Cost. rappresenterebbe un limite alla potestà del legislatore, da ciò discendendone che quest’ultimo potrebbe esercitare il proprio potere impositivo soltanto in presenza, e nei confronti, di un presupposto economico tangibile, ovvero in ragione d’una data titolarità di elementi patrimoniali o flussi di reddito dai quali scaturirebbero vantaggi economicamente e fiscalmente rilevanti (oltreché rilevabili, perché oggettivi) e, in [continua ..]

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2. Sulla possibile sussistenza di un “vantaggio da digitalizzazione”

Il concetto di “vantaggio” è tanto ampio – potendo questo assumere molteplici declinazioni a seconda del contesto di applicazione – quanto, sotto il profilo squisitamente terminologico, circoscritto. Quest’ultimo, infatti, si identifica essenzialmente in quella qualità o fatto tale da porre taluno – sia questo una persona fisica o giuridica – in una posizione di superiorità [19] o in condizione favorevole rispetto a un altro o ad altri. Se riferito all’esercizio di un’attività d’impresa esercitata in forma integralmente o parzialmente digitalizzata, detto “vantaggio” potrebbe, anzitutto, identificarsi, in termini generali, nella peculiare struttura delle economie digitali e nell’insita capacità di queste di creare valore in modo dinamico attraverso l’immagazzinamento di quest’ultimo (discendente dall’interazione con l’u-tenza) e la creazione di un valore nuovo e, in quanto tale, ulteriore (frutto, a propria volta, della rielaborazione a scopi “individuali” delle interazioni positive e negative in parola). Si tratta, infatti, di un modo assolutamente diverso di generare valore [20]; tale perché, potremmo dire, “bidirezionale” in quanto sorgente, da un lato, in capo all’impresa digitalizzata – il cui valore “principale” è dato sia dalla reazione dell’utenza ai beni ed ai servizi offerti sia dall’acquisto di quest’ultimi; dall’altro, indirettamente, per il consumatore medesimo, il quale, nelle qualità di utente, contribuisce proattivamente alla creazione del valore per sé e per la collettività, concorrendo a creare beni e servizi caratterizzati da un’estrema personalizzazione [21]. Se è vero, e lo è, che la digitalizzazione economica ha dato vita sia ad un formale che ad un sostanziale disancoraggio non soltanto del concetto di “tassa” da quello di “territorio” [22] ma, a monte, tra territorio ed esercizio dell’at­tività d’impresa – presupposto logico dal quale discende, poi, giustappunto, la crisi del primo binomio – sembrerebbe potersi dire che far riferimento ad un’economia digitalizzata si traduca in un implicito richiamo ad entità aziendali capaci di sorvolare i confini territoriali e, con essi, le [continua ..]

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2.1. Posizione di vantaggio “interna” ed “esterna” nelle economie digitali ed obbligo di (maggiore) contribuzione

Ragionando lungo la linea argomentativa che si è provata a delineare nelle pagine che precedono, si potrebbe dire, in termini meno semplicistici e maggiormente sistematizzati, che le posizioni di vantaggio enucleabili e riconducibili all’esercizio di un’attività economica digitalizzata potrebbero essere almeno due [29]. Una prima posizione di vantaggio, “esterna” all’attività digitale, ed una seconda “interna” alla medesima. Proviamo, ora, ad enuclearne gli elementi essenziali. Il vantaggio “esterno” si concretizzerebbe, a nostro avviso – in conformità con quanto sopra detto – nell’acquisizione di un vantaggio competitivo da valutare, sotto il profilo quantitativo, assurgendo a termine di paragone le generalità di attività produttive “tradizionali” che, a parità di condizioni, svolgono tipologie di attività affini a quelle digitali. Al contempo, il vantaggio “interno”, invece, potrebbe considerarsi tale perché avente esclusivamente a riguardo il potenziale beneficio conseguibile – in modo univoco ed unilaterale – dall’economia digitalizzata non soltanto in ragione della propria struttura aziendale, ma anche in virtù delle modalità di acquisizione del valore in via digitale e, dunque, attraverso l’interazione tra l’utente e la piattaforma. Muovendo da dette premesse occorre chiedersi se – al pari di quanto argomentato in materia di fiscalità ambientale – detti vantaggi possano o meno costituire una ragione sufficiente al fine di richiedere una maggiore contribuzione alle economie digitalizzate. La risposta, a nostro avviso, potrebbe essere orientata in un duplice senso, sia positivo che negativo. È chiaro che laddove adottassimo una chiave interpretativa “innovativa” dell’art. 53 Cost., le potenziali posizioni di vantaggio alle quali si è, ora, accennato, potrebbero costituire un valido criterio di qualificazione, oltreché di quantificazione, di un indice di capacità contributiva e, presumibilmente, di una maggiore – seppur presunta – capacità di contribuire, possibilità concretizzantesi in un atto, in un fatto o in una situazione concretizzantesi nella esteriorizzazione di una possibilità economica individuale a contribuire alla pubblica [continua ..]

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3. La rete come “bene giuridico collettivo” o “bene giuridico individuale”: possibile rilevanza della distinzione al fine di comprendere se possa sussistere un indice di capacità contributiva

Il profilo sul quale sembrerebbe essere necessario indagare attiene alla possibile o meno qualificazione della “rete” come bene a natura collettiva o a natura meramente individuale. Detta riflessione si mostra necessaria, alla luce delle considerazioni formulate all’interno dei paragrafi che precedono, al fine di comprendere se l’uti­lizzo della rete – qualificata come entità o, per meglio dire, come “luogo immateriale” a sé stante dotato di una propria autonomia e di caratteristiche peculiari – per scopi relativi all’esercizio, allo sviluppo, ed all’implemen­tazione sia verso l’esterno, cioè verso i fruitori dei servizi digitali, che verso l’interno, ovvero in relazione alla crescita endemica all’azienda digitale, possa costituire un indice di maggiore capacità contributiva [36] o se, di contro, il “fattore digitale” non incida in melius sulla capacità contributiva, anche soltanto potenziale, delle economie digitalizzate. Tuttavia, al fine di fornire risposta all’interrogativo che si è appena formulato, si mostra necessario provare a comprendere quale natura possa essere ricondotta alla posizione di vantaggio in parola. Più precisamente, ci si chiede se si tratti di una posizione di favore che si inserisca in un rapporto tra privati ed il resto della collettività o se, di contro, si esaurisca in una relazione intercorrente esclusivamente tra privati. Ebbene, la rete internet, come strumento di comunicazione tra i computer e di interazione tra gli uomini [37] nasce con lo scopo originario di porre i soggetti fruitori della rete medesima – i c.d. users (o utenti) – in relazione a risorse di natura prettamente digitale [38]. Più precisamente, è stato ben evidenziato che l’internet delle cose (o Internet of Things) [39], quale rete di oggetti collegati tra loro, dotati di tecnologie di identificazione in grado di comunicare sia reciprocamente sia verso punti nodali del sistema, ma, in particolare, in grado di costituire un enorme network di cose, ciascuna delle quali è rintracciabile per nome e in riferimento alla posizione che occupa [40], risponda, oggi, al soddisfacimento di una molteplicità di necessità difficilmente tipizzabili [41]. Senza addentrarci eccessivamente entro aree scientifiche che esulano dal [continua ..]

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4. Natura della posizione di vantaggio digitale e sua, potenziale, configurabilità come indice di capacità contributiva

Oltre all’identificazione della tipologia di vantaggio eventualmente conseguibile dall’esercizio, in modo digitalizzato, d’una determinata attività economica – profilo che potrebbe anche individuarsi secondariamente e che, in ogni caso, non rappresenta attività di semplice tipizzazione – questione maggiormente complessa attiene alla qualificazione della natura della “posizione di vantaggio” di cui le economie digitali possano considerarsi beneficiarie. Anche in questo caso, non è possibile fornire una risposta agevole e, a nostro avviso, incontrovertibilmente corretta. Ciononostante, è dato formulare alcune considerazioni che possano guidarci lungo la linea argomentativa in parola. A tal proposito, può giovare volgere, nuovamente, un passo indietro, guardando ancora una volta alla fiscalità ambientale. Ed infatti, a differenza di quanto accade, ad esempio, nei tributi ambientali ove il vantaggio si verifica in ragione di un uso esclusivo del bene ambientale attraverso lo sfruttamento di questo dando luogo ad una contestuale privazione della fruibilità del bene a svantaggio della collettività, nel caso delle eco­nomie digitali il “vantaggio” sembrerebbe, a nostro avviso, atteggiarsi come un tipo di “vantaggio competitivo” acquisito rispetto ad altri soggetti concorrenti. Non si tratterebbe, dunque, d’una posizione di vantaggio eventualmente inquadrabile come “limitativa” dell’altrui disponibilità sul bene giuridico “rete”. Detta considerazione troverebbe conferma nel fatto che dall’utilizzo della rete internet per fini aziendali non discenda in alcun modo una limitazione in termini di minore fruibilità del bene collettivo “rete”. Quel che sembrerebbe configurarsi sarebbe, più semplicemente, una capacità imputabile ad un determinato soggetto economico di sfruttare maggiormente – a differenza, ad esempio, di altri soggetti eventualmente concorrenti – i benefici discendenti dall’uso della rete traendo proprio dall’uso della medesima e dall’interazione con l’utenza (oltreché dalle informazioni da questa carpite) una posizione di vantaggio diretta o indiretta [52]. Guardando a quanto si è appena detto, dal punto di vista strettamente tributario ciò sembrerebbe potersi tradurre nella venuta [continua ..]

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4.1. Raccolta dei dati personali come esempio di “vantaggio” (ed indice di capacità contributiva) tassabile?

Un esempio “pratico” potrebbe essere d’aiuto al fine di comprendere a pieno le argomentazioni che si sono fin qui addotte. È patrimonio dell’esperienza comune il fatto che una volta effettuato un accesso ad un sito web il medesimo imponga all’utente, ai fini della fruizione del servizio offerto, l’effettuazione di una registrazione consistente, in termini semplicistici, nell’inserimento di una variabile molteplicità di dati tendenzialmente coincidenti con informazioni aventi una natura perlopiù personale. Potrebbe essere richiesto, ad esempio, nell’ipotesi più semplice, l’inseri­mento del proprio nome, cognome e genere. O ancora, l’età, l’indirizzo di posta elettronica, indirizzo della propria residenza (o del proprio domicilio se differente dalla residenza), il recapito telefonico, la nazione di appartenenza, la città di provenienza, lo stato occupazionale ecc. Prescindendo dal difficile tentativo di enucleazione d’ogni possibile tipologia di informazione potenzialmente richiedibile dalla piattaforma web di volta in volta consultata dall’utente, è di palmare evidenza, in ogni caso, che dette informazioni possano assolvere una molteplicità di funzioni per l’eco­nomia digitalizzata (agente attraverso piattaforma) che ne venga fatta destinataria. Si tratta di informazioni personali, infatti, assolutamente idonee a consentire non soltanto una precisa identificazione anagrafica e “consumeristica” dell’utente, ma anche, tra le altre possibilità, una mappatura degli users all’in­terno di un determinato territorio o la determinazione, sia quantitativa che qualitativa, del flusso d’utenza all’interno interagente all’interno d’una piattaforma digitale. Sulla base di dette informazioni, le aziende che operano in forma digitalizzata sono poste nelle condizioni di programmare ed indirizzare in termini assolutamente personalistici – ovvero rispondenti ad esigenze propriamente individuali degli utenti – le proprie politiche aziendali giusto sulla base dei dati, delle informazioni e dei riscontri (siano questi positivi e/o negativi) resi dagli utenti fruitori dei servizi resi dalle piattaforme medesime. Ragionando in questa prospettiva, si comprende bene come la cessione dei dati effettuata dall’utente, l’interazione da questo operata [continua ..]

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4.2. Un esempio pratico (e “suggestivo”). L’oro ed il dato “digitale”: l’infor­mazione acquisita incrementa – di per sé – il “patrimonio” dell’economia digitalizzata?

Al fine di meglio chiarire ed esemplificare le considerazioni che si sono fin qui formulate, potrebbe provare a formularsi un esempio, probabilmente scientificamente poco (o per nulla) rigoroso, ma, ad avviso di chi scrive, in grado di chiarire la prospettiva di ragionamento che si vorrebbe, in questa sede, condividere. Si pensi ad un giacimento minerario dal quale sia possibile estrarre pepite d’oro. L’estrazione di questo, l’acquisizione del medesimo e l’ingresso dello stesso all’interno della sfera patrimoniale di chi sia proprietario del giacimento – e possa, in quanto tale, disporre del complesso di beni estratti – costituisce un valore di per sé. Ciò indipendentemente dal fatto che queste possano, poi, essere vendute o, in ogni caso, trasferite a soggetti terzi, ovvero ancora destinate ad opere di trasformazione [64] o, viceversa, una volta raccolte, rimangano inutilizzate. L’oro, in quanto tale, quale res munita di un valore tanto elevato quanto immanente, pone il proprietario del medesimo in una condizione di “vantaggio” rispetto a chi, di contro, ne sia sprovvisto. Si tratta di un vantaggio concretizzantesi in una maggiore, seppur potenziale, capacità economica del proprietario dell’oro. Ciò indipendentemente dal fatto che poi si tramuti, o dia luogo, ad un incremento reddituale eventualmente discendente dalla trasformazione o, ad esempio, dalla vendita di quest’ultimo. In altre parole, si tratterebbe di un bene che, per il sol fatto d’essere entrato all’interno del patrimonio di taluno, ne determinerebbe un variabile – ma positivo – incremento valoriale. Provando a declinare dette considerazioni allo specifico rapporto intercorrente tra utente, piattaforme digitali e creazione del valore discendente dal­l’interazione tra il primo e la seconda, potrebbe dirsi che il dato, come fosse un minerale [65], sin dal momento della propria cessione, farebbe sorgere in capo all’esercente il servizio digitale un vantaggio coincidente – in ragione del mero ingresso del dato acquisito all’interno del proprio patrimonio – con la possibilità di utilizzare informazioni gratuitamente acquisite al fine di efficientare e perfezionare le proprie politiche aziendali, creando prodotti ed offrendo servizi che, proprio perché realizzati sulla base delle interazioni rese [continua ..]

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5. In conclusione, quali obiettivi e quali valori considerare ai fini dell’imposi­zione digitale?

Lo studio condotto all’interno delle pagine che precedono non pretende d’avere alcuna pretesa di esaustività sul tema che ha formato oggetto di analisi. Si è dell’avviso, infatti, che una ricerca davvero esaustiva su di un argomento così complesso e vasto – per questioni da esaminare e problematiche, sia tecniche che di principio – imponga, in linea generale, una necessaria commistione tra l’analisi, squisitamente tributaria, circa le modalità di imposizione delle economie digitali, ed un’altra, di impronta maggiormente economica, concretizzantesi nello studio delle modalità di creazione del valore tipico delle economie digitali. Soltanto una volta effettuata un’analisi di questo tipo sembrerebbe essere possibile immaginare l’individuazione d’una misura tributaria in grado di rispondere, essenzialmente, a due distinti – ma interconnessi – obiettivi: i) da un lato, soddisfare a pieno l’interesse fiscale dello Stato, ovvero quel valore immanente al nostro ordinamento tributario destinato ad assicurare sia il regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato [70] sia l’interesse generale dello stesso alla riscossione del tributo [71] “giusto” [72]; ii) dall’altro, considerare e – conseguentemente – tassare la capacità contributiva delle economie digitali in modo “onnicomprensivo”. Il raggiungimento di quest’ultimo “traguardo” sembrerebbe essere raggiungibile, poi, soltanto attraverso la valorizzazione tributaria di due, distinti, ma interconnessi, elementi valoriali: i) un valore “diretto”, emergente dalle interazioni “verificabili” effettuate tra l’utente-consumatore e la piattaforma digitale (ovvero, ad esempio, le tran­sazioni effettuate in ragione dell’acquisto di un bene o di un servizio); ii) un valore “indiretto”, esprimentesi nella partecipazione attiva del consumatore alla crescita dell’economia digitalizzata attraverso le interazioni informatiche – positive e negative – effettuate con quest’ultima e, dunque, in definitiva, nell’ingresso dell’utente all’interno della catena di produzione del valore delle economie digitali.

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5.1. Ulteriori prospettive di analisi

Se quanto detto è vero, in chiave conclusiva deve evidenziarsi che l’analisi dei profili tributari relativi all’imposizione digitale non possa considerarsi, in ogni caso, esaurita nelle considerazioni che precedono – valutazioni che discendono perlopiù da un approccio critico afferente del dibattito internazionale sul tema [73] – atteso che l’argomento in studio possa essere, altresì, esaminato attraverso la lente di ingrandimento resa da due, ulteriori, prospettive d’analisi. In primo luogo, infatti, la ricerca relativa al tema che ci occupa potrebbe essere condotta declinando allo specifico ambito della fiscalità digitale il concetto di “dominio sui fattori della produzione” e, dunque, orientando la prospettiva di studio verso la rilevazione del “valore aggiunto” generato dalla medesima organizzazione digitale, valore che nell’ambito di operatività delle economie digitalizzate potrebbe considerarsi concretizzato in un “dominio dei dati” ovvero in un “dominio delle informazioni” rese dagli utenti-consumatori alla piattaforma digitalizzata. Assumendo la sussistenza in capo a quest’ultima di un predominio (valutabile ex se) derivante dall’acqui­si­zione del suddetto bagaglio informativo da un punto di vista tributario ne discenderebbero, infatti, almeno due, distinti, ma strettamente connessi, riverberi effettuali: i) da un lato, l’attribuzione all’esercente il servizio digitale di una oggettiva espressività di forza economica discendente dall’organizzazione produttiva come elemento valoriale di per sé valutabile; ii) dall’altro, e conseguentemente, sia la presupposta esistenza di un indice di contribuzione, indipendente dall’effettivo conseguimento di un reddito e identificabile nel potenziale “valore aggiunto”[74] imputabile all’organizzazio­ne produttiva medesima sia, ricorrendo a parole autorevoli, la valorizzazione fiscale della capacità del “produttore” di creare un valore aggiunto che risiederebbe “nel fatto che egli, con la sua azione e la sua prontezza (…) tende a superare posizioni di squilibrio, a scoprire bisogni insoddisfatti e ad offrire ad essi una soluzione”[75]. Proprio detta capacità, infatti, sembrerebbe essere rinvenibile tanto nel­l’ambito delle economie [continua ..]

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NOTE

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