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Sul divieto di pene sproporzionate e sul riconoscimento dell´attenuante per i reati tributari di competenza della procura europea (EPPO)

Simone Francesco Cociani

Il contributo esamina il principio di proporzionalità delle sanzioni. In particolare, l’obbligo di pagamento dell’intero debito tributario (comprensivo di imposta, interessi e sanzioni amministrative) al fine di ottenere il riconoscimento dell’atte­nuante e, quindi, la riduzione delle sanzioni penali, si pone in contrasto con il divieto di pene sproporzionate.

Parole chiave: principio di proporzionalità, interessi finanziari dell’Unione, reati tributari, sanzioni tributarie, Procura europea (EPPO).

On the prohibition of disproportionate penalties and on the recognition of extenuating circumstances for tax crimes within the competence of the european public prosecutor’s office (EPPO)

The work examines the principle of proportionality of penalties. In particular, the obligation to pay the entire tax debt (including tax, interests and tax administrative penalties) in order to obtain the recognition of the extenuating circumstance and, therefore, the reduction of tax criminal penalties, appears to be in contrast with the prohibition of disproportionate penalties.

Keywords: principle of proportionality, EU’s financial interests, tax crimes, tax administrative penalties, European Public Prosecutor’s Office (EPPO).

Sommario:

1. Premessa e delimitazione del campo dell’indagine - 2. Sull’affermata legittimità costituzionale di talune limitazioni (di carattere economico) che si frappongono al patteggiamento - 3. Sul parametro di giudizio costituito dal principio della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito nella più recente giurisprudenza costituzionale - 4. Il principio di proporzionalità della sanzione nella prospettiva eurounitaria - 5. Il potere di disapplicazione del giudice nazionale - 6. Il giudizio accentrato di costituzionalità e l’adeguamento dell’ordinamen­to italiano al principio di proporzionalità così come riconosciuto nella sentenza NE - 7. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Premessa e delimitazione del campo dell’indagine

La recente sentenza della Corte di giustizia U.E., Grande Sezione, 8 marzo 2022, C-205/20, NE, con cui è stato affermato il principio secondo cui il criterio di proporzionalità della sanzione è dotato di effetto diretto nell’or­dinamento di ciascuno stato membro [1], riveste una notevole importanza, anche in considerazione della vastità delle possibili applicazioni del ridetto principio [2]. Ebbene, tra gli immaginabili campi di applicazione del principio di diritto affermato, è certamente possibile annoverare il rapporto tra sanzioni penali e sanzioni amministrative tributarie, specie allorquando il contribuente-trasgressore sia chiamato a pagare (per intero) queste ultime al fine di ottenere poi una riduzione della misura delle prime. A tale riguardo, come noto, il primo comma dell’art. 13 bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, prevede una specifica circostanza attenuante ad effetto speciale secondo cui, al di fuori dai casi di non punibilità previsti dall’art. 13 del medesimo D.Lgs. n. 74/2000, le sanzioni penali previste dal decreto in parola sono ridotte alla metà (e non si applicano le pene accessorie) purché, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, compresi sanzioni amministrative e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento del dovuto, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie [3]. Ancora, a mente del secondo comma dello stesso art. 13 bis, l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (c.d. “patteggiamento”) può essere richiesta dalle parti solo al ricorrere della circostanza di cui al primo comma del medesimo art. 13 bis, ovvero nel caso in cui il contribuente – nel rispetto del termine temporale anzidetto – abbia provveduto all’integrale pagamento del debito tributario (per imposte, sanzioni tributarie e interessi), anche attraverso il ricorso al ravvedimento operoso [oltre che attraverso il ricorso alle stesse speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento contemplate dal primo comma di cui sopra [4]]. La norma ora richiamata, dunque, laddove impone il pagamento (per intero) delle sanzioni amministrative tributarie (oltre alle imposte e agli interessi) per beneficiare dell’attenuante che prevede la riduzione alla [continua ..]

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2. Sull’affermata legittimità costituzionale di talune limitazioni (di carattere economico) che si frappongono al patteggiamento

Prima però di procedere ad esaminare le ricadute applicative della sentenza della Corte di giustizia, 8 marzo 2022, C-205/20, NE, in principio richiamata, sembra utile dar conto dell’orientamento della nostra giurisprudenza costituzionale in ordine all’affermata legittimità degli oneri, di carattere economico, che è necessario assolvere per poter accedere al rito speciale di cui all’art. 444 c.p.p. che, appunto, comporta una riduzione delle sanzioni penali applicabili. Al riguardo, con sentenza n. 95/2015, del 14 maggio 2015, il Giudice delle leggi ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale in ordine all’art. 13, comma 2 bis, del D.Lgs. n. 74/2000, nel testo ratione temporis vigente, nella parte in cui esso prevede che, per i delitti tributari sanzionati dal predetto decreto, le parti possano chiedere l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. solo nel caso di estinzione, mediante pagamento, dei debiti tributari (come noto pari alle imposte non versate, agli interessi e alle conseguenti sanzioni amministrative) relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti [22]. Più in particolare, secondo il Giudice delle leggi, occorre anzitutto osservare che qualunque norma che imponga oneri patrimoniali per il raggiungimento di determinati fini risulta diversamente utilizzabile a seconda delle condizioni economiche dei soggetti interessati a conseguirli. Talché, come prosegue la Corte, l’illegittimità costituzionale della norma scrutinata può essere dichiarata solo in due ipotesi: i) quando risulti compromesso l’esercizio di un diritto che la Costituzione garantisce a tutti paritariamente; ii) quando gli oneri imposti non risultino giustificati da ragioni connesse a circostanze obiettive, così da determinare irragionevoli situazioni di vantaggio o svantaggio. Tuttavia, secondo la sentenza in parola, questa seconda ipotesi non può dirsi sussistente perché il generale interesse pubblico all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato si coniuga allo specifico interesse alla integrale riscossione dei tributi evasi (corsivo nostro). E insomma, secondo la Consulta, la negazione del rito alternativo del patteggiamento, qualora ad esso non fosse possibile accedere (unicamente) per mancanza di risorse sufficienti alla previa estinzione del debito tributario in parola, non costituirebbe lesione [continua ..]

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3. Sul parametro di giudizio costituito dal principio della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito nella più recente giurisprudenza costituzionale

Come appena osservato, la sentenza della Corte costituzionale n. 95/2015 esamina la norma oggetto di scrutinio alla luce dei parametri dell’eguaglianza (art. 3 Cost.) e dell’inviolabilità del diritto di difesa (art. 24 Cost.). Tuttavia, essa, probabilmente a cagione della formulazione della questione sollevata dal giudice a quo, non sembra cogliere che il sacrificio economico imposto al contribuente-trasgressore risulta comunque superiore al profitto ricavato dall’ille­cito (in misura pari all’ammontare delle sanzioni amministrative che, appunto, sono richieste in aggiunta alla restituzione del tributo maggiorato degli interessi) e, in ogni caso, non si sofferma sul principio di proporzionalità delle sanzioni rispetto all’illecito che, invero, la stessa Corte costituzionale ritiene ormai applicabile anche al di fuori dei confini costituiti dalla penale responsabilità [25]. Più in particolare, sotto quest’ultimo aspetto, va infatti adeguatamente segnalato che, anche secondo la (più recente) giurisprudenza costituzionale, pure con riferimento alle sanzioni amministrative (specie se a carattere punitivo) trova applicazione il principio di proporzionalità delle stesse rispetto alla gravità della violazione, il cui fondamento è da riconoscersi nel medesimo art. 3 Cost., in combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di volta in volta incisi dalla singola sanzione [26]. Peraltro, sempre secondo la Corte costituzionale, le sanzioni amministrative condividono con le pene il carattere reattivo rispetto ad un illecito, per la cui commissione l’ordinamento dispone appunto che l’autore subisca una sofferenza in termini di restrizione di un diritto (diverso dalla libertà personale). Talché, anche per le sanzioni amministrative si prospetta l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato [27]; evenienza, questa, nella quale la compressione del diritto diverrebbe irragionevole e non giustificata [28].

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4. Il principio di proporzionalità della sanzione nella prospettiva eurounitaria

Volgendo ora lo sguardo a Strasburgo e a Lussemburgo, ovvero nella direzione della Corte EDU e della Corte di Giustizia UE, è possibile osservare che il principio di proporzionalità risulta frequentemente impiegato dalla giurisprudenza eurounitaria che, come noto, di esso si serve per apprestare un più elevato grado di tutela rispetto ai diritti del singolo, sia esso colpito da sanzioni penali in senso stretto, sia esso colpito da sanzioni amministrative «sostanzialmente penali» [29]. A tale riguardo, come già accennato in apertura, la recente sentenza della Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 8 marzo 2022, C-205/20, sul caso NE, ha fatto un uso assai rilevante di tale principio di proporzionalità, per l’effetto enunciando un principio di diritto (in definitiva consistente nel divieto di irrogare pene sproporzionate alla gravità della violazione) destinato a trovare applicazione in molteplici ambiti [30]. Per inciso, prima però di dar conto della portata della pronuncia appena richiamata rispetto al tema oggetto delle presenti note, è appena il caso di osservare come, nella sentenza NE, la Corte abbia consapevolmente superato il principio dalla stessa affermato nella precedente sentenza in data 4 ottobre 2018, nel caso Link Logistik, C-384/17, con cui, invece, era stato negato l’ef­fetto diretto del criterio di proporzionalità delle sanzioni, al contrario predicato nell’opinione dell’Avvocato generale Bobek [31]. Diversamente, nella sentenza sul caso NE, a parere della Corte di Giustizia, il criterio di proporzionalità della sanzione – sia esso stabilito da singole direttive, ovvero fondato sull’art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) – costituisce un principio generale del diritto dell’Unione e, come tale, si impone alle autorità nazionali degli Stati membri nell’attuazione di tale diritto, anche in assenza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili [32]. Lo stesso principio – sempre secondo la pronuncia in esame – è infatti dotato di effetto diretto nell’ordinamento di ciascuno Stato membro e, in quanto tale, impone al giudice nazionale (che, come noto, è anche “giudice comunitario” tenuto a dare applicazione al diritto unionale) di [continua ..]

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5. Il potere di disapplicazione del giudice nazionale

Ebbene, alla luce delle precisazioni svolte, gli stessi Giudici di Lussemburgo riconoscono che spetta al giudice nazionale, investito di un ricorso contro una sanzione adottata sulla base di una normativa nazionale applicabile al caso di specie e ritenuta sproporzionata, eventualmente disapplicare la parte della normativa interna da cui deriva il carattere sproporzionato della sanzione, in modo tale da giungere all’irrogazione di sanzioni proporzionate ma, allo stesso tempo, anche effettive e dissuasive [38]. Difatti, prosegue la Corte, per eliminare l’incompatibilità della norma sanzionatoria interna rispetto al diritto dell’Unione e, dunque, per ricondurre a proporzionalità la misura, non è necessario disapplicare l’intera normativa nazionale, ma, al contrario, è sufficiente disapplicare la disposizione interna nei soli limiti in cui essa osta all’irrogazione di sanzioni proporzionate, di tal guisa garantendo che le sanzioni irrogate all’interessato siano conformi a tale requisito [39]. Gli stessi Giudici, ancora, si preoccupano di chiarire che una siffatta interpretazione non risulta messa in discussione dai principi della certezza del diritto, della legalità dei reati e delle pene, nonché della parità di trattamento. Difatti, il principio della certezza del diritto esige solamente che la normativa sia chiara e precisa, affinché i singoli possano conoscere senza ambiguità i propri diritti ed obblighi e regolarsi di conseguenza. Mentre il principio di legalità dei delitti e delle pene, che costituisce una particolare espressione del principio generale della certezza del diritto, impone che la legge definisca chiaramente i reati e le pene che li puniscono. Inoltre, se il principio di irretroattività della legge penale, che è inerente al principio di legalità dei reati e delle pene, osta in particolare a che un giudice possa, nel corso di un procedimento penale, aggravare il regime di responsabilità penale di coloro che sono oggetto di un procedimento siffatto, esso non osta, per contro, all’applica­zione a questi ultimi di pene più lievi [40]. Infine, osserva la Corte, anche a voler supporre che la circostanza che un’autorità nazionale debba disapplicare una parte della medesima normativa nazionale sia tale da generare una certa ambiguità quanto alle norme giuridiche [continua ..]

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6. Il giudizio accentrato di costituzionalità e l’adeguamento dell’ordinamen­to italiano al principio di proporzionalità così come riconosciuto nella sentenza NE

Volendo ora passare ad esaminare, seppur schematicamente, dati i limiti di spazio del presente contributo, le possibili ricadute della predetta sentenza NE sul nostro ordinamento, con particolare riferimento al settore tributario, è possibile svolgere le considerazioni che seguono. Anzitutto, valorizzando la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia [43], a sua volta consonante con quella della Corte EDU [44], il principio di diritto di cui alla sentenza NE è certamente applicabile, oltre che alle sanzioni «formalmente penali» anche a tutte le sanzioni amministrative «sostanzialmente penali» e, dunque, pure a quelle tributarie. Una simile conclusione, peraltro, sembra ormai potersi dare per condivisa anche dalla nostra giurisprudenza costituzionale [45]. Poi, laddove il principio di proporzionalità risulta essere presente tanto a livello della Direttiva UE 2017/1371 del 5 luglio 2017, c.d. “Direttiva PIF” (ove agli artt. 7 e 9 si prevede appunto che gli Stati membri assicurino che i reati di cui agli artt. 3, 4 e 5 della medesima direttiva siano puniti con sanzioni penali «effettive, proporzionate e dissuasive»), quanto a livello della CDFUE [laddove, appunto, l’art. 49, par. 3, si prevede il criterio di proporzionalità delle sanzioni [46]], non v’è dubbio che la violazione di tale criterio (in ragione degli effetti sproporzionati derivanti del cumulo tra sanzioni amministrative tributarie «sostanzialmente penali» e sanzioni «formalmente penali» – ove posta in essere all’interno dell’ambito di applicazione del diritto euro-unitario (come nel caso di violazioni rilevanti in materia di IVA) – conseguentemente impone di verificare le modalità per ricondurre a proporzionalità la complessiva risposta sanzionatoria, assicurando così il primato del diritto europeo su quello interno nella specifica materia del contrasto all’evasione e alle frodi in materia di IVA [47]. Quanto ai possibili rimedi, è certamente dato considerare che – tenuto conto dell’effetto diretto del criterio di proporzionalità sopra descritto – al giudice nazionale spetta il potere/dovere di disapplicare il diritto interno laddove ritenuto contrastante con quello europeo. E poiché – come già osservato – tale potere di [continua ..]

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7. Considerazioni conclusive

In conclusione, la giurisprudenza della Corte EDU e la giurisprudenza della Corte di giustizia, assieme alla nostra più recente giurisprudenza costituzionale, in dialogo più o meno diretto tra loro, finiscono per comporre, tutte assieme, un efficace sistema integrato di verifica del rispetto delle garanzie fondamentali [54], anche in un settore, come quello della tutela degli interessi finanziari della UE, in cui la complessiva risposta sanzionatoria – da leggersi anche alla luce della dimensione che vede integrate le sanzioni amministrative (sostanzialmente penali) con quelle (formalmente) penali – riveste un’impor­tanza centrale per assicurare effettività al diritto dell’Unione ma, ciò nondimeno, essa deve comunque rispettare il principio di proporzionalità. Pertanto, in attesa del non più procrastinabile intervento del legislatore in materia sanzionatoria tributaria, specie nel caso in cui una medesima violazione risulti punita con sanzioni amministrative e penali, spetterà anzitutto al giudice nazionale [55] – e semmai alla stessa Corte costituzionale [56] – farsi carico di ricondurre ad unità e coerenza il sistema, anche nel rispetto del principio – tanto interno, quanto europeo – che fa divieto di irrogare pene sproporzionate alla gravità della violazione [57]. E una tale funzione di supplenza – sia consentito osservarlo senza retorica – appare indispensabile se non si vuole, di fatto, condannare ad una sorta di moderno Indice il testo [58] che il principio di proporzione delle pene rispetto ai delitti solennemente proclama [59].

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NOTE

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