A distanza di molti anni dall’adozione di una norma di interpretazione autentica volta a definire la nozione di area edificabile ai fini tributari, emerge l’interesse a valutarne l’attualità, ai fini IMU, alla luce dei rapporti gerarchici tra le forme di pianificazione territoriale. Il contributo si concentra sulle aree soggette a vincoli paesaggistici, ove la prevalenza delle indicazioni regionali sugli strumenti urbanistici si riflette sulla qualificazione fiscale del terreno e di conseguenza sulla determinazione della base imponibile ai fini IMU.
Many years after the adoption of an authentic interpretation rule aimed at defining the notion of building area for tax purposes, it emerges the interest to assess the actuality of its content, in the light of the hierarchical relationships between the forms of territorial planning. The article focuses on areas subject to landscape constraints, where the prevalence of regional indications on urban planning instruments is reflected in the tax qualification of the area and, consequently, on the determination of the tax base for the purposes of municipal property tax (IMU).
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1. Premessa - 2. La nozione di area edificabile tra giurisprudenza e norma di interpretazione autentica - 3. Edificabilità, tutela del contribuente e (costante) estensione della nozione di area edificabile ai fini ICI-IMU - 4. I criteri per la determinazione del valore dell’area edificabile - 5. La prevalenza dei piani paesaggistici regionali sugli strumenti urbanistici - 6. IMU e aree caratterizzate da vincoli paesaggistici - NOTE
Nel corso dell’ultimo ventennio, la nozione di area edificabile ai fini tributari ha sollecitato a più riprese l’interesse del legislatore e della dottrina, impegnata a fronteggiare la copiosa giurisprudenza maturata soprattutto nell’ambito dei tributi immobiliari, in special modo locali. Come è noto, infatti, la qualificazione di un terreno come fabbricabile ha risvolti fiscali significativi: se ai fini IVA determina la soggezione ad imposta di una cessione altrimenti esclusa e nell’ambito delle imposte sui redditi comporta il realizzo di plusvalenze anche ultraquinquennali, ai fini IMU ha conseguenze altrettanto importanti, poiché implica la determinazione della base imponibile avendo riguardo al valore venale in comune commercio del bene anziché in base alle risultanze catastali. Proprio con riguardo a quest’ultimo ambito, per quanto l’emanazione di norme di interpretazione autentica e l’avvenuto pronunciamento delle Sezioni Unite del 2006 [1] abbiano potuto far presagire una definitiva acquisizione dei criteri qualificatori, in realtà il dibattito sulla soggezione ad IMU dei terreni fabbricabili non si è mai sopito, soprattutto in relazione a fattispecie particolari, la cui peculiarità dipende da aspetti di carattere amministrativo attinenti alla specificità dell’area o al sovrapporsi dei piani territoriali. Il legislatore tributario, con approccio necessitato, ha infatti trasposto tali profili nella norma interpretativa (di cui si dirà) con notevole semplificazione, allo scopo di fornire un riferimento ermeneutico di carattere generale che tuttavia, pur essendo tale, potrebbe non essere in grado di coprire quelle ipotesi nelle quali la “variabile” urbanistica si presenta più complessa, segnatamente in ragione dei rapporti tra i vari strumenti di pianificazione territoriale. Ripercorrere, pur in breve, il cammino che ha interessato la nozione di area edificabile ai fini della soppressa ICI consente dunque di verificare se l’interpretazione fornita dal legislatore sia ancora attuale. Attraverso tale disamina si potrà comprendere se i terreni con vincoli paesaggistici si pongano al di fuori della definizione stessa di area edificabile e se, per tale via, si prestino ad essere sottratti alla tassazione in base al valore venale anche ove presentino una qualche forma di [continua ..]
L’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 504/1992 – che a seguito del riordino della disciplina Imu risulta riprodotto all’interno dell’art. 1, comma 741, L. n. 160/2019 – prevede che per area fabbricabile si intenda, ai fini dell’ICI, l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi, ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione, determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità. La stessa norma prevede che il Comune, su richiesta del contribuente, possa attestare se un’area sita nel suo territorio debba essere considerata fabbricabile ai sensi del decreto [2]. L’apparente chiarezza della formulazione della norma è stata criticata in dottrina [3], poiché il legislatore avrebbe accolto, nel medesimo contesto e allo stesso tempo, sia un concetto di “edificabilità legale”, legata all’adozione, da parte del Comune, di un piano regolatore generale o attuativo, sia l’alternativa nozione di “edificabilità di fatto”, subordinata alla concreta opportunità di costruire. Peraltro, l’impossibilità, in concreto, di poter edificare sulla base del solo piano regolatore generale [4], avrebbe potuto far dubitare della correttezza della qualificazione come “edificabile” di un’area che solo potenzialmente possedesse tale destinazione, tanto più considerando che la disposizione contiene l’inciso relativo alla effettiva edificabilità. Sul tema, pertanto, sono destinate a pesare alcune considerazioni di carattere urbanistico attinenti alla pianificazione territoriale. Come è noto, alla tradizionale classificazione tra piani regolatori “generali” e “attuativi” o “particolareggiati”, corrispondono talune sottodistinzioni: tra i piani generali rientrano “i piani territoriali di coordinamento regionali e provinciali”, i piani regolatori “generali intercomunali” e i “piani di fabbricazione”; tra quelli attuativi figurano quelli di “lottizzazione”. Limitandoci in questa sede al piano regolatore generale comunale [5], va rammentato che esso, successivamente all’adozione da parte del consiglio [continua ..]
In linea generale, la giurisprudenza successiva, sia di merito [30] che di legittimità [31], ha recepito l’indicazione del legislatore, avallata dalla Cassazione e dalla Corte costituzionale, ritenendo imponibili le aree considerate edificabili in strumenti urbanistici non perfezionati o non seguiti da piani attuativi. Anzi, si è inteso anticipare il più possibile il momento della diversa qualificazione del presupposto, giungendo a sostenere che l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è sufficiente per attribuire al bene immobile l’espressione di un valore differente in virtù anche della mera potenzialità edificatoria [32]. La sussistenza del presupposto dato dall’edificabilità dell’area, se da un lato impedisce di considerare come agricolo ai fini ICI il terreno inserito in un comparto fabbricabile da uno strumento urbanistico generale, dall’altro lato sposta l’attenzione sulla corretta determinazione del valore venale in comune commercio dell’area stessa, e dunque sull’individuazione della base imponibile. Sennonché, va osservato che buona parte delle controversie relative alla tassazione ICI/IMU sono state affidate soprattutto a motivi di diritto concernenti la violazione dell’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 504/1992, e come tali appaiono quali liti riferite alla qualificazione del presupposto. Nei casi in cui il contribuente ha viceversa formulato specifiche censure riguardanti la corretta determinazione della base imponibile, la Suprema Corte, ove ha disposto rinvio, ha chiarito che per giustificare una rideterminazione in diminuzione del valore dell’area in sede giurisdizionale, è onere del contribuente apportare elementi volti a dimostrare il ridotto indice di edificazione, gli oneri di lottizzazione, nonché ogni altro dato, non considerato all’interno dell’atto impositivo, che sia in grado di suggerire una diversa quantificazione del valore dell’area; sarebbe viceversa del tutto infruttuoso documentare la sussistenza di spunti confermativi del regime di imposizione ICI riservato ai terreni agricoli [33]. Del resto, una volta appurato – e provato, da parte dell’ente impositore – che l’area oggetto di tassazione risulta ricompresa in un piano urbanistico generale, il confronto tra le parti non può [continua ..]
Le problematiche legate alla individuazione del valore tassabile si pongono anche nei casi di effettiva edificabilità, per i quali rileva il valore venale in comune commercio. Le difficoltà della valorizzazione sono ben note al legislatore, che ha indicato alcuni parametri [55] e che ha attribuito ai Comuni, nell’esercizio della loro potestà regolamentare, di determinare, periodicamente e per zone omogenee, i valori venali in comune commercio per le aree fabbricabili (art. 59, D.Lgs. n. 446/1997). Come è noto, la finalità di tale prerogativa [56] è quella di limitare il potere di accertamento dell’ente locale qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, perseguendo in tal modo l’obiettivo della riduzione del contenzioso [57]. Questi regolamenti, secondo quanto statuito dalla Cassazione [58], pur non avendo natura imperativa, sono assimilabili agli studi di settore, trattandosi di fonti di presunzioni dedotte da dati di comune esperienza idonei a costituire supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, come i bollettini di quotazioni di mercato e i notiziari Istat. Essi sono utilizzabili quali indici di valutazione, anche retroattivamente, analogamente al c.d. “redditometro”, senza che ciò comporti un’applicazione retroattiva di disposizioni di legge, ciò che altrimenti colliderebbe con il disposto dell’art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente [59]. In realtà, la vocazione non retroattiva del regolamento avrebbe potuto essere argomentata, oltre che sulla base dello Statuto del contribuente [60], anche rilevando che nell’attribuire ai Comuni la potestà regolamentare nella materia della determinazione dei valori delle aree edificabili, l’art. 59, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 446/1997, richiama espressamente l’art. 52 dello stesso decreto legislativo, con il quale, al comma 2, oggi tuttavia abrogato [61], veniva disposto che il regolamento non avesse effetto prima del primo gennaio dell’anno successivo a quello in cui era stata adottata la delibera [62]. Ciò avrebbe potuto determinare l’illegittimità dell’applicazione retroattiva dei valori minimi determinati dal regolamento, a nulla rilevando che il Comune, eventualmente, ai fini dell’applicazione [continua ..]
L’ampiezza della nozione di area edificabile e la sua cristallizzazione sul piano ermeneutico, anche in presenza di vincoli di destinazione comunque in grado di generare un apprezzamento del valore dell’area, dovrebbero ridurre le controversie sui terreni fabbricabili a liti di carattere estimativo, ancorando in massima parte il contenzioso alla sola cognizione del giudice di merito. In realtà è proprio con riferimento alle aree interessate dai piani paesaggistici regionali, che a distanza di molti anni dalla norma interpretativa si pongono ancora nuove fattispecie rispetto alle quali l’intervento nomofilattico del 2006 non sembra poter operare ad oltranza. Ed è significativo che lo spunto giunga da una disposizione non avente natura fiscale, ma amministrativa, essendo diretta al coordinamento della programmazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione [68]. Su tale profilo è intervenuto l’art. 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) [69], il cui comma 3 prevede espressamente sia una generale sovraordinazione [70] delle previsioni dei piani paesaggistici rispetto ai contenuti degli strumenti urbanistici dei Comuni, delle città metropolitane e delle Province, sia una loro immediata prevalenza sulle disposizioni difformi eventualmente incluse negli strumenti urbanistici [71]. Inoltre, per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le norme dei piani paesaggistici regionali sono comunque prevalenti sulle disposizioni degli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti nelle normative di settore, compresi quelli degli enti gestori di aree naturali protette. L’esplicita preminenza della pianificazione paesaggistica sugli altri strumenti di pianificazione era già prevista dall’art. 150, comma 2, D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo Unico dei Beni Culturali e Ambientali) e risulta confermata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale [72] e da quella amministrativa [73]. Quest’ultima, in particolare, ne ha individuato la ragione fondante nella necessità di assicurare al paesaggio una tutela tale da non essere incisa nel tempo da singole scelte di gestione del territorio, che in tal modo trovano nella pianificazione di rango superiore un limite e un indirizzo. Come è stato sottolineato in dottrina, la [continua ..]
Prima di essere sancita, quale disposizione generale, nell’art. 145 del Codice dei beni culturali, la prevalenza delle risultanze delle disposizioni paesaggistiche regionali sui piani regolatori comunali si ritrovava all’interno delle leggi regionali, che hanno contribuito alla fissazione di un principio meritevole di essere assunto da una norma nazionale generalmente applicabile. Al riguardo la giurisprudenza amministrativa [81] ha rilevato che l’introduzione di una norma generale abbia consentito al legislatore di riportare a coerenza il sistema, evitando che un progetto possa risultare, allo stesso tempo, assentibile sotto il profilo urbanistico e inaccoglibile dal punto di vista paesaggistico. La norma, inoltre, fa sorgere in capo al Comune l’onere di verificare che il progetto risulti rispettoso delle previsioni di conformazione dell’area, non solo comunali, ma anche territoriali di rilievo paesaggistico, comunque prevalenti. Nel disconoscere la qualificazione come aree edificabili, ai fini dell’IMU, di terreni inclusi in piani paesaggistici e da questi assoggettati a vincolo, la Suprema Corte ha recepito dunque questa condivisibile statuizione, da potersi considerare, ad oggi, un dato acquisito [82], pur a fronte di una giurisprudenza che viceversa ritiene irrilevanti, per escludere la natura edificabile di un terreno, la sussistenza di altre forme di vincolo [83]. Non essendo possibile, per il piano regolatore comunale, discostarsi dalle indicazioni del piano paesaggistico, il primo non potrà inserire l’area in una zona edificabile quando il secondo, fonte sovraordinata, escluda la costruzione di manufatti in ragione della sussistenza di vincoli di natura paesaggistica. Tale prevalenza non può essere superata dalla norma di interpretazione autentica, perché quest’ultima contribuisce senza dubbio a chiarire il perimetro applicativo dell’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 504/1992, ma esaurisce in ciò il suo compito. La disposizione interpretativa, infatti, non produce effetto su quelle norme, come l’art. 145 del Codice dei beni culturali, che incidono in via indiretta sul presupposto applicativo assunto all’interno della norma interpretata. Questa conclusione non muta nemmeno oggi, considerato che il richiamo espresso dell’art. 36, comma 2, D.L. n. 223/2006 contenuto [continua ..]