Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Sul fondamento giuridico del principio di inerenza (di Livio Gucciardo)


Il principio di inerenza non trova espressa definizione nel TUIR, dovendosi ritenere un principio generale insito nella nozione di reddito d’impresa. La deduzione dei costi inerenti alla produzione del reddito d’impresa, attesa la sua determinazione differenziale, non costituisce infatti una scelta legislativa contingente, ma una caratteristica strutturale diretta alla corretta misurazione della capacità economica reddituale del soggetto passivo. L’art. 109, comma 5, TUIR, che tradizionalmente si riteneva costituire l’ossatura del citato principio, riguarda, invece, il diverso aspetto legato alla riferibilità dei componenti negativi ai proventi imponibili, esclusi ed esenti.

 

The legal foundation of the principle of inherence

The principle of inherence is not expressly defined in the Income Tax Consolidated Act (“ITCA”), as it must be considered a general principle implicitly nested within the concept of business income. The deduction of costs inherent in the production of business income, given its differential determination, does not constitute a contingent legislative choice, but a structural feature aimed at the correct measurement of the taxpayer’s economic capacity to earn income. Article 109, paragraph 5, ITCA, which was traditionally considered to constitute the backbone of the abovementioned principle, instead concerns the different aspect linked to the traceability of negative components to taxable, excluded and exempt income.

Keywords: income tax, business income, deduction of costs, principle of inherence, Art. 109 ITCA.

Il principio di inerenza va tratto della relazione tra costo e attività d’impresa nel suo complesso, con la conseguenza di doversi escludere dal novero dei costi deducibili solo quelli che si collocano in una sfera estranea alla stessa. Non assume rilevanza, in quanto tale, la congruità o l’utilità del costo rispetto ai ricavi, dato che il giudizio di inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo. Ogni rilievo relativo all’antieconomicità dell’ope­razione posta in essere non può dunque costituire prova della carenza di inerenza del costo, ma può solamente assume il ruolo di elemento sintomatico di detta carenza. RILEVATO CHE La società contribuente S. L. s.p.a., società operante nel settore del pellame, ha impugnato un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relativo ai periodi di imposta degli esercizi 2010 e 2011, con cui venivano recuperati a tassazione costi per spese di sponsorizzazione indebitamente dedotti in quanto non inerenti; la contribuente ha dedotto la nullità dell’accertamento per violazione del contraddittorio endoprocedimentale, nonché la deducibilità dei costi sostenuti. La CTP di Pisa ha rigettato il ricorso e la CTR della Toscana, con sentenza in data 2 maggio 2018, ha rigettato l’appello del contribuente. Ha ritenuto il giudice di appello che, pur essendo desumibile un obbligo di contraddittorio con il contribuente quanto all’IVA, non sono state in concreto indicate le ragioni che si sarebbero potute far valere in sede amministrativa. Nel merito, il giudice di appello ha ritenuto che i costi per sponsorizzazione non sono inerenti, in quanto incongrui rispetto all’attività sponsorizzata, trattandosi di sponsorizzazione di auto di gran turismo; il giudice di appello ha ritenuto, inoltre, che la genericità degli impegni assunti dallo sponsee in relazione alle prestazioni accessorie (disponibilità dei piloti a incontri, accoglienza, partecipazione agli eventi) e agli spazi dedicati al logo riservato allo sponsor denotino antieconomicità manifesta dei costi sostenuti. Propone ricorso per cassazione la società contribuente affidato a due motivi, cui resiste l’Ufficio con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria. La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ.   CONSIDERATO CHE 1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 12 l. 27 luglio 2000, n. 212, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non violato il principio del contraddittorio preventivo per mancato assolvimento della prova di resistenza. Deduce il ricorrente che, quanto all’IVA, il contraddittorio opera anche negli [continua..]

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SOMMARIO:

1. Oggetto della controversia e contenuto dell’ordinanza della Corte di cassazione - 2. Il principio di inerenza: dall’art. 109, comma 5, TUIR alla sua natura inespressa - 3. Nozione di costo nel diritto tributario - 4. Segue: giudizio di congruità dei costi - NOTE


1. Oggetto della controversia e contenuto dell’ordinanza della Corte di cassazione

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 6368/2021, è tornata a pronunciarsi sul principio di inerenza, affermando che debba identificarsi nella relazione tra costo e attività imprenditoriale nel suo complesso, escludendo, invece, che il citato principio possa ritrarsi dall’art. 109, comma 5, TUIR. La controversia sorge da un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relativo agli anni d’imposta 2010 e 2011, con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione costi per sponsorizzazione di auto di gran turismo, indebitamente dedotti da una società operante nel settore del pellame, in quanto ritenuti non inerenti. La società proponeva dapprima ricorso innanzi la Commissione tributaria provinciale di Pisa e, a fronte della sentenza di rigetto, eseguiva l’appello alla Commissione tributaria regionale per la Toscana. I giudici di seconde cure osservavano nel merito che le eccezioni della società, rispetto alla ripresa fiscale oggetto di impugnazione, non risultavano fondate perché i costi, incongrui rispetto all’attività sponsorizzata, non erano inerenti. Il giudice di appello riteneva altresì che la genericità degli impegni assunti dallo sponsee in relazione alle prestazioni accessorie e agli spazi dedicati al logo riservato allo sponsor denotassero antieconomicità manifesta dei costi sostenuti. La società, nel proporre ricorso per cassazione, deduce due motivi; l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso. In particolare, la ricorrente, con il secondo motivo, lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 108 e 109 TUIR nella parte in cui la CTR ha ritenuto indeducibili i costi di sponsorizzazione in ragione della loro antieconomicità. La società ricorrente, in specie, richiamando l’orientamento prevalente della Cassazione, sostiene che principio di inerenza dei costi si ricava dal reddito di impresa, rimanendo estranea ogni valutazione di utilità o di congruità degli stessi. Deduce, dunque, che il giudizio di inerenza vada tratto dalla relazione tra costo e attività di impresa e che ogni rilievo circa l’antieconomicità dell’operazione posta in essere debba assumere il ruolo di mero elemento sintomatico della presunta carenza di inerenza. I giudici di legittimità osservano che, secondo l’orientamento più recente, l’inerenza dei [continua ..]


2. Il principio di inerenza: dall’art. 109, comma 5, TUIR alla sua natura inespressa

Le tormentate vicende del principio di inerenza originano dalla tecnica legislativa adottata per il testo unico delle imposte sui redditi, in cui l’esasperato ricorso al metodo casistico si è tradotto in un ostacolo all’elaborazione di principi generali [2]. L’assenza di una espressa nozione di inerenza ha infatti costituito un limite al suo corretto inquadramento sistematico, ancorché la stessa abbia una indiscussa rilevanza per la corretta misurazione del risultato fiscale, tanto per il reddito d’impresa, quanto per quello di lavoro autonomo. La storia del principio di inerenza è dunque stata caratterizzata dalla continua ricerca di una sua esatta definizione e ha incontrato, complice anche una prassi costantemente orientata a restringerne il concetto [3], una pluralità di interpretazioni che tradizionalmente ne hanno ancorato il fondamento all’art. 109, comma 5, TUIR [4]. Dalla primigenia stringente nozione di strumentalità dei costi ai ricavi, il principio di inerenza è trasceso ad una dimensione giuridica che riteneva di poterlo identificare nella relazione tra costo e attività d’impresa in concreto svolta, ossia alla funzionalità del primo all’attività dell’impresa e alla sua idoneità a concorrere alla formazione del relativo reddito, per poi approdare ad una nozione assai più inclusiva, dapprima sostenuta dalla sola dottrina e infine recepita da certa giurisprudenza di legittimità [5]. Il precipitato giurisprudenziale del 2018, con le ordinanze della Corte di Cassazione n. 450 e n. 3170, ha infatti identificato l’inerenza nel vincolo tra la spesa sostenuta e l’attività d’impresa esercitata, indipendentemente da relazioni di utilità o vantaggio. I giudici di legittimità, in particolare, hanno asserito che l’inerenza è un principio generale insito nella nozione di reddito d’impresa, che deve essere apprezzato solamente attraverso un giudizio di tipo qualitativo, prescindendo dall’aspetto quantitativo [6]. L’inerenza è dunque riconducibile alla nozione di reddito d’impresa ed il costo, disancorato da qualsivoglia nesso di causalità con i ricavi, è privo di relazione con ogni giudizio quantitativo, risultando scevro da riferimenti di utilità o di vantaggio. Le due richiamate pronunce [continua ..]


3. Nozione di costo nel diritto tributario

Giunti a questo punto della trattazione occorre qualificare la nozione di costo nel diritto tributario. Nel TUIR non vi è alcuna disposizione destinata ad esprimere la nozione di costo ai fini tributari, che sembra dovere coincidere con la nozione di costo aziendalistico. Quest’ultimo è segnatamente inteso come la misura dei fattori produttivi correlati alla ricchezza generata in esito ad un processo economico dato [35]. Il costo, in sostanza, in una prospettiva aziendalistica o civilistica, costituisce un decremento patrimoniale a cui corrisponde una variazione numeraria [36]. La tesi che tende a far coincidere la nozione di costo aziendalistico con la nozione di costo ai fini tributari si fonda sull’assunto che la determinazione del reddito d’impresa di cui al D.P.R. n. 917/1986 prende come punto di partenza la risultante, attiva e passiva, di una rilevazione contabile redatta a fini civilistici e modificata in base alle norme tributarie, ossia, in altri termini, che la base informativa da cui prendere le mosse per la ricostruzione analitica del reddito d’impresa sia il bilancio civilistico [37]. Siffatta interpretazione trova conferma nelle numerose eccezioni rinvenibili nell’ordinamento: infatti, laddove il legislatore abbia inteso discostarsi dalla regola che sovrappone la nozione di costo ai fini tributari a quella ai fini aziendalistici, lo ha espressamente statuito, imponendo delle previsioni normative volte alla determinazione di un ammontare fiscalmente rilevante, quindi differente rispetto a quello allocato nel bilancio d’esercizio [38]. Tuttavia, trattare la nozione di costo significa invocare una categoria direttamente ancorata alla determinazione dell’obbligazione tributaria, perché riconoscere o negare natura reddituale a un elemento economico ha riflessi sulla dimensione quantitativa del presupposto e sull’ammontare del debito d’imposta correlato, con l’effetto di trasferire sulla collettività l’onere corrispondente alla connessa riduzione del debito tributario gravante sul singolo contribuente [39]: il costo, dunque, in ragione del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., non può mai contribuire a realizzare interessi antisociali [40]. Il costo, secondo la definizione della più autorevole dottrina [41], sul piano del diritto tributario deve perciò essere inteso come [continua ..]


4. Segue: giudizio di congruità dei costi

Per progredire nel ragionamento che conduce alla corretta qualificazione del costo nel diritto tributario, connesso al tema dell’inerenza, è necessario affrontare un’ulte­riore questione evocata dalla pronuncia in commento, quella della congruità [48]. L’idea che nel principio di inerenza sia implicita anche una relazione di congruità con l’attività cui si riferisce il costo risulta affermata da un risalente orientamento giurisprudenziale, corroborato da numerose circolari ministeriali e dell’Agenzia delle Entrate, che legittimerebbe il sindacato delle scelte imprenditoriali da parte dell’Am­ministrazione finanziaria [49]. Tale tesi pare superata dalla giurisprudenza che attribuisce oggi all’inerenza un’interpretazione più rispettosa dei criteri generali di determinazione del reddito d’impresa e del principio di libera iniziativa delle scelte dell’imprenditore, ai sensi dell’art. 41 Cost. [50]. Le citate ordinanze della Cassazione n. 450 e n. 3170 del 2018, come osservato, hanno affermato che l’inerenza, soggetta ad un giudizio di tipo qualitativo, prescinde da profili quantitativi, segnando un cambio di rotta sul tema [51]. Un comportamento antieconomico, dovuto alla sussistenza di corrispettivi ritenuti sproporzionati o incongrui secondo il valore normale (art. 9 TUIR), dunque, non può legittimare un giudizio di inerenza del costo, ma può semmai costituire mero indice sintomatico dell’inesistenza di tale requisito, ossia dell’esclusione del costo dall’ambito dell’atti­vità d’impresa [52]. La nozione di inerenza va perciò distinta dalla congruità del costo [53]. Que­st’ultima può tuttavia continuare ad avere rilevanza per la contestazione dell’indedu­cibilità, sebbene solo come indizio di estraneità (qualitativa) all’impresa, cioè alla stregua di elemento sintomatico di una possibile anomalia [54]. L’Amministrazione – avuto riguardo del normale valore di mercato dei componenti attivi e passivi ai sensi dell’art. 9 TUIR – si ritiene, quindi, possa esercitare un sindacato sui costi sostenuti dall’impresa, senza però potere fondare l’accertamento sul solo elemento dell’anti­economicità [55]. In altri termini, la [continua ..]


NOTE