La verifica del rispetto dell’obbligo di motivazione per relationem non va effettuata sulla necessità o meno di allegare l’atto richiamato. Detta verifica va condotta sulla piena comprensione della pretesa rivolta al contribuente. L’onere motivazionale dell’atto impositivo non può, quindi, ritenersi assolto grazie alla mera allegazione dell’atto richiamato. L’eventuale appiattimento sul contenuto dell’atto presupposto potrebbe, in ogni caso, determinare il vizio dell’azione impositiva se il contribuente non risultasse comunque edotto esaustivamente circa la pretesa tributaria. D’altro canto, il vizio di motivazione sussiste solo quando il contribuente è oggettivamente ed indiscutibilmente impossibilitato a comprendere le ragioni del fisco. Il giudice, pertanto, non deve essere ancorato ad un’interpretazione eccessivamente rigida e formalistica delle norme che dispongono l’obbligo di motivazione degli atti tributari.
The verification of compliance with the obligation to provide a per relationem motivation should not be carried out on the need or not to attach the recalled tax act. This assessment shall be conducted on the full understanding of the claim addressed to the taxpayer. The motivational burden of the tax act cannot, therefore, be considered fulfilled by the mere allegation of the recalled tax act. Any “flattening” on the content of the preceding tax act may, in any case, lead to the unlawfulness of the administrative action if the taxpayer was not fully informed about such tax claim. On the other hand, the lack of motivation exists only when the taxpayer is objectively and unquestionably unable to understand the reasons of the tax authorities. The judge, therefore, shall not be anchored to an excessively rigid and formalistic interpretation of the rules that provide the duty to motivate tax acts.
Keywords: notice of assessment, per relationem motivation, recalled tax act, invalidity, interpretation.
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1. Premessa - 2. Cenni all’obbligo di motivazione nel diritto tributario - 3. La motivazione per relationem e il diritto di difesa del contribuente - 4. L’allegazione dell’atto richiamato di per sé non soddisfa il requisito motivazionale - 5. Conclusioni - NOTE
Le controversie oggetto delle ordinanze in commento riguardano la necessità o meno di allegare all’avviso di liquidazione dell’imposta di registro il provvedimento giudiziale sottoposto a registrazione. Con dette pronunce la Corte di Cassazione è stata chiamata a tracciare il perimetro della cosiddetta motivazione per relationem in riferimento alla liquidazione dell’imposta di registro relativa ad un provvedimento giudiziario. Ebbene, si può chiaramente evincere dalle ordinanze che l’orientamento della Suprema Corte non è affatto pacifico, posto che il massimo organo nomofilattico a distanza di poco meno di un mese è arrivato a conclusioni diametralmente opposte. Infatti con la prima ordinanza i giudici di legittimità hanno affermato la necessità dell’allegazione all’avviso di liquidazione del provvedimento giudiziario soggetto ad imposizione in assenza di riscontro dell’avvenuta indubbia conoscenza di esso da parte del contribuente. Questo sebbene il provvedimento giudiziario de quo verosimilmente sia stato conosciuto dal privato in quanto quest’ultimo era parte nella causa giudiziaria fonte del provvedimento da sottoporre a tassazione. L’assenza della prova di tale allegazione ha determinato, per la Corte, l’illegittimità dell’atto impositivo per violazione dell’obbligo di motivazione e del diritto di difesa del contribuente. La seconda ordinanza, invece, specifica che l’allegazione di detto provvedimento è necessaria solo se il destinatario fosse stato nell’impossibilità di averne avuto conoscenza e solo se indispensabile per rendere edotto quest’ultimo della pretesa tributaria e del percorso logico-matematico seguito dall’ente impositore. Viene, in buona sostanza, valorizzata la circostanza che nel caso di specie sarebbe stato assai probabile che il contribuente avesse ben conosciuto la sentenza da sottoporre a registrazione atteso che era una delle parti in causa [1]. Non si può invero nascondere che tale ambivalenza della Suprema Corte appaia piuttosto sorprendente perché appare singolare che ad oggi non si sia giunti, almeno all’interno della Suprema Corte, a posizioni pacifiche sulla questione relativa alla motivazione degli atti tributari, tema che, come è noto, è già da lunghissimo tempo oggetto di numerose analisi, sia in dottrina che [continua ..]
La positivizzazione di un generalizzato obbligo di motivazione degli atti amministrativi, ad esclusione degli atti normativi e di quelli a contenuto generale, è una “conquista” piuttosto recente nel panorama giuridico italiano, essendo stato introdotto con l’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, il quale ha a sua volta consacrato un principio anteriore di origine dottrinale e giurisprudenziale [2]. L’obbligo di motivazione sancito dall’art. 3 della L. n. 241/1990 gode di copertura costituzionale sotto un duplice profilo. In primo luogo, esso è diretto a realizzare la conoscibilità dell’atto e, quindi, a garantire la pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa, nel rispetto dell’art. 97 Cost. Inoltre, l’obbligo di motivazione è posto a tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa, ex artt. 24 e 113 Cost. [3]. Presidio, dunque, avverso l’amministrazione che ha emanato il provvedimento, in quanto consente al destinatario dello stesso, che ritenga lesa illegittimamente la propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale [4]. Anche, poi, in ambito sovranazionale europeo l’obbligo della motivazione è annoverato da tempo come uno dei principi cardine in tema di garanzie del procedimento amministrativo, nel senso che esso è necessario non solo per far conoscere al destinatario la giustificazione della misura adottata nei suoi confronti ma anche per consentire al giudice di esercitare il suo potere di controllo [5]. Con particolare riferimento al diritto tributario, inoltre, l’obbligo della motivazione ha trovato un generale riconoscimento normativo solo in un momento successivo rispetto al diritto amministrativo con l’approvazione dello Statuto dei diritti del contribuente: grazie all’art. 7 della L. n. 212 del 2000 si è espressamente esteso il dettato dell’art. 3, comma 1, della L. n. 241/1990 agli atti dell’amministrazione finanziaria [6]. Nel panorama tributario, comunque, l’obbligo motivazionale si innesta su provvedimenti che da un lato sono atti vincolati rispetto al fine che perseguono (applicazione dell’imposta) ma, allo stesso tempo, sono il frutto di una serie di valutazioni, seppure non discrezionali, da parte dell’ente impositore il quale, a conclusione dell’attività [continua ..]
I pronunciamenti qui in commento affrontano il tema della legittimità della cosiddetta motivazione per relationem, consistente nel rinvio effettuato, all’interno del provvedimento, ad un altro atto o documento che racchiude, in tutto o in parte, le ragioni giustificative dell’atto principale. Questa modalità di motivare i provvedimenti fiscali ha trovato, come noto, nel diritto tributario diffusa disciplina positiva [8]. Sotto il profilo contenutistico, gli avvisi di liquidazione esaminati dalle ordinanze in commento non trovano, quindi, previsione solo nell’art. 54, comma 5, del D.P.R. n. 131/1986, che impone la mera indicazione dell’atto da registrare o del fatto da denunciare, ma sono regolati, proprio in relazione alla legittimità del richiamo per relationem, dalla normativa di cui all’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente. Pertanto, anche a tale ultima disposizione di carattere generale occorre riferirsi per effettuare la compiuta analisi della fattispecie e, di conseguenza, a queste riflessioni potrà essere riconosciuta valenza non solo per gli avvisi di liquidazione in materia di imposta di registro, ma più diffusamente per tutti gli avvisi impositivi. Sotto il profilo del rinvio per relationem, infatti, le regole da applicare a tale categoria motivazionale appaiono comuni sia a tutti i tributi, sia alle diverse tipologie di provvedimenti impositivi poiché va indistintamente assicurato al privato il complemento informativo reso dall’atto richiamato. La categoria motivazionale per relationem prende corpo, infatti, in tutte le ipotesi in cui l’atto rinviato costituisce il presupposto indefettibile, quanto ai motivi, per l’emissione del provvedimento motivato per relationem e, dunque, il richiamo risulta rispondere ad un’esigenza di efficienza e celerità dell’attività amministrativa [9]. Oggetto del richiamo può essere sia l’atto avente valenza istruttoria per il provvedimento impositivo sia, come nei casi che qui ci occupano, l’atto che dimostri la capacità contributiva del privato e che è sottoposto a tassazione [10]. Ebbene, la questione oggetto del contrasto in seno alla giurisprudenza di legittimità di cui alle ordinanze sopra riportate attiene proprio all’obbligo o meno di allegare all’atto principale, in questo caso un avviso di liquidazione [continua ..]
Fermo quanto esposto nel paragrafo che precede, si deve osservare che l’allegazione del provvedimento giudiziario non riparerebbe, comunque, l’atto emesso dall’amministrazione erariale da possibili censure per vizi di motivazione. Infatti detta allegazione, così come il mero richiamo del diverso atto qualora esso sia già conosciuto dal privato, potrebbe di per sé non essere sufficiente a ritenere assolto l’obbligo di motivazione del provvedimento impositivo. La sufficienza motivazionale degli atti impositivi non dovrebbe, in verità, essere verificata tanto in riferimento alla necessità di allegare l’atto richiamato, bensì sull’analisi complessiva delle informazioni fornite al privato dall’ente impositore. Del resto, l’allegazione dell’atto richiamato, così come anche la semplice riproduzione del contenuto essenziale dell’atto medesimo, non sempre appare di per se stessa idonea a far comprendere al soggetto passivo d’imposta, in maniera sufficiente, le ragioni di fatto e di diritto alla base del recupero a tassazione effettuato nei suoi confronti, nonché il processo di calcolo delle imposte a lui richieste. Si pensi, ad esempio, ai casi in cui gli atti richiamati sono dei provvedimenti giudiziali, come nelle vicende a cui si riferiscono le pronunce in commento. Siffatti provvedimenti potrebbero contenere statuizioni che ai fini impositivi non appaiano di semplice coniugazione e che necessariamente debbano essere correlate in senso chiarificatorio con le disposizioni fiscali utili alla determinazione dell’imponibile e, poi, dell’imposta dovuta dal contribuente. Quindi, la sentenza potrebbe poco dire al contribuente in merito alle spiegazioni della pretesa impositiva laddove non vi fosse una puntuale opera di collegamento tra le motivazioni del decisum dell’organo giudiziario e la determinazione della conseguenziale richiesta fiscale [14]. Ne deriva che è compito dell’ente impositore sopperire a dette problematiche informative, indicando nell’atto principale una intellegibile spiegazione del perché l’imposta è dovuta e come essa sia stata calcolata. Solo in questo modo il contribuente sarà reso adeguatamente edotto delle ragioni erariali e potrà eventualmente esercitare, in modo pieno, il proprio diritto di difesa. Secondo l’approdo [continua ..]
Alla luce delle riflessioni sopra esposte, appare dunque ragionevole concludere che, in relazione ad un avviso di liquidazione dell’imposta di registro relativo ad un provvedimento giudiziario civile, la verifica del rispetto dell’obbligo di motivazione per relationem non debba essere effettuata sulla necessità o meno di allegare l’atto richiamato soggetto a registrazione. Invece, detta verifica va condotta sulla piena comprensione della pretesa rivolta al contribuente. Allo scopo di evitare pronunce di illegittimità dell’avviso di liquidazione, l’amministrazione finanziaria non deve preoccuparsi di allegare l’atto richiamato. L’eventuale mero appiattimento sul contenuto dell’atto presupposto, si è visto, potrebbe, in ogni caso, determinare il vizio dell’azione impositiva. Per rendere edotto il contribuente della pretesa tributaria, infatti, è necessario il pieno assolvimento dell’onere informativo, ovvero permettere al destinatario dell’avviso impositivo l’agevole intelligibilità degli elementi essenziali della richiesta tributaria rivolta nei suoi confronti, ovvero di come viene individuata la materia imponibile e i suoi valori, le aliquote applicate, i criteri di calcolo e, di conseguenza, l’imposta liquidata. Il vizio di motivazione, comunque, sussiste solo qualora sia stato leso in concreto il principio di trasparenza dell’azione amministrativa, ovvero se il giudice accerti che effettivamente il contribuente è stato messo nell’impossibilità di comprendere le ragioni e i criteri di determinazione della pretesa impositiva, così da non consentire l’adeguato, efficace e pieno esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito [15]. Ne deriva, pertanto, che il giudice non deve essere ancorato ad un’interpretazione eccessivamente rigida e formalistica delle norme che dispongono l’obbligo di motivazione degli atti tributari e che ne determini la relativa caducazione al di fuori dei casi strettamente necessari. Tale conclusione appare la più corretta non solo in riferimento alla ratio delle disposizioni sulla motivazione degli atti fiscali ma anche in ragione dell’importanza che riveste l’attività di recupero delle somme dovute e indebitamente non versate dai privati, specie in questo difficile momento storico.