Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Tassazione e parità di genere: l'impatto del sistema fiscale tra gender bias e incentivi al lavoro femminile (di Natalìa Cecconi)


Quella della gender equality rappresenta una dimensione ormai trasversale a tutte le forme dell’azione pubblica, non ultima quella fiscale. Il presente lavoro muove da un'indagine sul modo in cui il sistema delle imposte impatta negativamente sulla parità di genere. Circoscrivendo il raggio di osservazione alla tassazione del reddito familiare, ci si sofferma sull’esistenza di bias di genere che scoraggiano la partecipazione femminile al mercato del lavoro nei diversi modelli impositivi. In questo panorama, il sistema di tassazione individuale, adottato dall’ordinamento italiano e caldeggiato anche dalle istituzioni europee, si presenta come il meno distorsivo in termini di offerta di lavoro del secondary earner. Ma ciò non basta: una riflessione conclusiva è volta a evidenziare la necessità di rimuovere i meccanismi di disincentivo oggi esistenti, non esimendo però il legislatore tributario dal compito di adottare, con approccio extrafiscale, misure e agevolazioni idonee a promuovere attivamente il lavoro femminile.

Taxation and gender equality: gender bias of the tax system and incentives to female employment

Gender equality represents an issue that nowadays cuts across all forms of public action, not least taxation. This paper investigates how the tax system negatively affects gender equality. By narrowing the scope of research to the taxation of family income, we focus on the existence of a gender “bias” that discourages female participation in the labor market in different models of taxation. In this scenario, the individual taxation system, adopted by the Italian system and also advocated by European institutions, comes across as the least distorting in terms of secondary earners’ labour supply. But this is not enough: a final remark highlights the need to eliminate the existing gender bias, while not exempting the tax lawmaker from the task of adopting, with an extrafiscal approach, adequate measures and tax breaks to actively promote female employment.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. I bias di genere nel sistema fiscale - 2.1. Il “punto di intersezione” tra fiscalità e genere - 3. Uno sguardo di genere sui modelli di tassazione del reddito familiare: la centralità dell’unità impositiva - 3.1. Le implicazioni sull’offerta di lavoro femminile: il secondary earner bias - 4. L’esperienza italiana - 4.1. Dal cumulo dei redditi alla sentenza n. 179/1976 - 4.2. Il sistema attuale: fra tassazione individuale e disincentivi che permangono - 5. Conclusioni: l’insufficienza di un sistema gender-neutral - NOTE


1. Introduzione

Malgrado gli ultimi decenni abbiano mostrato un avanzamento in termini di parità economica e sociale fra uomini e donne, radicati stereotipi di genere continuano ad alimentare il già consistente gap lavorativo. In questo contesto ha un ruolo decisivo il sistema fiscale, che agisce in vario modo sulla distribuzione dei ruoli di genere. A seconda di come è congegnato, e nei termini che si vedranno, infatti, il sistema delle imposte può applicare un trattamento fiscale deteriore per le contribuenti – o, comunque, concorrere a rafforzare gli stereotipi –, può, ancora, acquisire una consistenza gender-neutral o, infine, spingersi ad elaborare misure consapevolmente ed esplicitamente orientate a promuovere l’eguaglianza sostanziale fra uomini e donne, ad esempio favorendo l’integrazione di queste nel mercato del lavoro. Identificare ed analizzare tale connessione è, dunque, centrale e urgente, in tempi in cui la gender equality, come opportuno che sia, è sempre più una priorità politica che richiede di essere affrontata sotto diversi profili dell’azione pubblica [1]. La necessità che le politiche pubbliche tengano conto del fattore genere è oggi pienamente riconosciuta a livello internazionale, secondo il noto principio del gender mainstreaming [2], la cui idea è di includere nel processo di valutazione di qualsiasi azione pianificata tutte le possibili implicazioni in punto di parità di genere. Tale approccio dovrebbe caratterizzare, quindi, anche i processi di adozione delle politiche fiscali, come confermato dal testo stesso della Piattaforma, che contiene alcuni riferimenti all’integrazione di genere in questo contesto [3]: significativa è la richiesta ai governi di «studiare i regimi nazionali d’imposta sui redditi […] per eliminare qualsiasi parzialità a detrimento delle donne» [4]. Anche l’OCSE dimostra di dedicare crescente attenzione al tema quando sollecita i Paesi a tenere conto del fattore genere nell’elaborazione delle politiche fiscali [5], così come l’UE continua a incoraggiare l’adozione da parte degli Stati membri di un sistema di tassazione che eviti i disincentivi al lavoro femminile [6], nonché la riduzione o eliminazione della c.d. tampon tax [7]. Ugualmente, il legislatore italiano si è mosso [continua ..]


2. I bias di genere nel sistema fiscale

In che modo, dunque, il sistema fiscale produce a sua volta forme di discriminazione di genere? Come noto, le leggi tributarie sono, spesso, distorte da veri e propri gender bias [12], per tali intendendosi forme di pregiudizio sui differenti ruoli ricoperti da uomini e donne, espressione di norme sociali e culturali di un dato momento storico che, per quanto qui interessa, si insinuano nella disciplina fiscale [13]. I bias di genere possono essere espliciti o impliciti [14]. I primi, oggi del tutto recessivi, risiedono in specifiche previsioni di legge o regolamenti che, espressamente, distinguono fra contribuenti donne e uomini prevedendo trattamenti fiscali diversificati, e si riconoscono pertanto nella stessa formulazione della disposizione. Ne è un esempio l’esclusione, oggi superata, della moglie non legalmente ed effettivamente separata dal novero dei soggetti passivi d’imposta, derivante dal combinato disposto fra gli artt. 2 e 4 del D.P.R. n. 597/1973 [15]. Forme implicite di bias si individuano, invece, in leggi o regolamenti, apparentemente neutrali rispetto al genere (c.d. gender-neutral) [16], che tuttavia hanno un impatto diverso su uomini e donne, in ragione dei differenti comportamenti economici che li caratterizzano – tra cui reddito, partecipazione al mercato del lavoro, pattern di consumo –, finendo per dare ulteriore nutrimento all’esistente divario socioeconomico di genere. È, questo, il caso di un modello di tassazione del reddito familiare come quello del cumulo c.d. puro che, per come è congegnato, produce un effetto disincentivante rispetto all’offerta di lavoro del secondo percettore di reddito (infra § 3.1.) – tipicamente, la donna. I gender bias espliciti, evidentemente i più facili di riconoscere, sono stati nel tempo eliminati dagli ordinamenti europei, per essere poi, in taluni casi, reintrodotti sotto forma di reverse gender bias [17], tramite misure volte a favorire il miglioramento della situazione femminile. Viceversa, i bias impliciti, ‘invisibili’ e in grado di insinuarsi fra le pieghe delle norme tributarie, sono notevolmente più difficili da intercettare e, per questo, tutt’oggi esistenti nella maggior parte dei sistemi fiscali. La distinzione fra bias espliciti e impliciti è stata assimilata [18] a quella fra discriminazione diretta e indiretta accolta dal diritto [continua ..]


2.1. Il “punto di intersezione” tra fiscalità e genere

È in quest’ultimo passaggio della Risoluzione, riferito ai bias impliciti, che si coglie chiaramente l’intersezione tra il fenomeno fiscale e la questione della parità di genere. Al di là di forme esplicite di discriminazione, infatti, la norma tributaria tende a colpire diversamente uomini e donne, producendo effetti diversi sui due generi, in ragione della sua capacità di agire sulle dinamiche economico-sociali che ne caratterizzano le condotte. Condotte che risultano differenti in forza di costruzioni di genere, cioè di tutte quelle implicazioni che gli stereotipi producono in termini di «ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini» [21]. Appare superfluo evidenziare la necessità di intercettare e, ove possibile, eradicare dal sistema queste forme di discriminazione, siano esse dirette o indirette. A ben vedere, peraltro, eliminare completamente i bias impliciti è impossibile: il sistema fiscale, operando su dinamiche socioeconomiche, nelle quali vengono in rilievo differenti comportamenti umani, non può essere totalmente neutrale rispetto alle scelte effettuate da uomini e donne: si avrà sempre un effetto che è diversificato, tra l’altro, in base al genere di appartenenza [22]. Si coglie così come l’impostazione della disciplina fiscale, una volta intervenuta nel senso di eliminare i bias più dannosi, dovrà però poi procedere, in senso extrafiscale, ad un’ulteriore azione in favore del genere svantaggiato, se intende concorrere a perseguire un’effettiva parità di fra uomini e donne fungendo da strumento dell’azione pubblica.


3. Uno sguardo di genere sui modelli di tassazione del reddito familiare: la centralità dell’unità impositiva

Circoscrivendo il raggio d’indagine alle forme implicite di gender bias, non si può prescindere dall’osservazione dell’ambito in cui questi maggiormente si manifestano, nonché il più esplorato [23]: quello dell’imposizione diretta e, segnatamente, della tassazione del reddito di lavoro. In questo contesto, assume un rilievo centrale l’unità impositiva, quindi il modello di tassazione del reddito familiare adottato dal sistema fiscale [24]. Se si concorda nel definire la famiglia il «luogo primario, essenziale e strutturante dei rapporti di genere» [25], appare infatti chiaro come sia proprio nelle dinamiche di ripartizione dei ruoli e carichi familiari che maggiormente si concentrano forme insidiose, e ancora poco conosciute, di bias di genere e, quindi, di discriminazione [26]. La scelta del modello impositivo dei redditi familiari – che può assumere ad unità impositiva il nucleo familiare oppure l’individuo – non è irrilevante in un ordinamento improntato alla progressività [27]: ha implicazioni sociali ed economiche, ad esempio, sulla scelta tra le diverse forme di convivenza, sulla numerosità del nucleo e, per quanto qui interessa, sulla parità di genere.


3.1. Le implicazioni sull’offerta di lavoro femminile: il secondary earner bias

Alcuni sistemi di imposizione del reddito possono essere particolarmente penalizzanti in una prospettiva di genere, incidendo negativamente sull’oc­cupazione femminile, mentre altri si presentano come tendenzialmente neutrali rispetto a questo fattore. Ciò è legato sia a ragioni socioculturali, sul presupposto inespresso che la moglie debba occuparsi in primo luogo della dimensione domestica, sia a dinamiche di carattere economico, che dalle prime sono influenzate. In questo senso, viene in rilievo l’effetto di disincentivo al lavoro che determinati modelli di imposizione del reddito familiare e misure fiscali provocano sul secondo percettore di reddito [28]. Infatti, ma si tornerà sul punto fra un attimo, poiché ancora oggi “secondary earner” è principalmente la donna della coppia, è questa la destinataria di un bias implicito che ne disincentiva l’offerta di lavoro [29]. Inoltre, la maggiore elasticità dell’offerta di lavoro femminile rispetto a quella maschile [30], su cui incide il carico impositivo, inasprisce ulteriormente questa dinamica. Peraltro, la diversa risposta di uomini e donne al variare del reddito, lungi dall’essere fondato su caratteristiche, per così dire, innate, costituisce piuttosto una «reflection of powerful and sticky stereotypes about gender-specific skills and gender-specific roles» [31]. Rielaborazione di schemi presentati da Rapallini (2006) [32] e Di Nicola (2009) [33]. Come da tempo evidenziano le istituzioni e organizzazioni internazionali [34], i modelli di tassazione congiunta, in un sistema progressivo, disincentivano il lavoro femminile. Fra questi, il più penalizzante è il modello del cumulo puro: qui, ogni aumento di reddito prodotto da ciascun membro della famiglia, che viene sommato in un unico ammontare, provoca il rischio di ricadere nello scaglione di reddito successivo, determinando, in ragione della progressività delle aliquote, un’imposta sempre più elevata [35]. A risultarne penalizzato è il partner che rappresenta il secondo percettore di reddito, che non ha nessun incentivo a cercare (o accettare) un impiego, o ad incrementare la propria attività lavorativa, dato che all’aumentare del reddito complessivo aumenta l’aliquota marginale applicata [36]. Il sistema del cumulo, quindi, [continua ..]


4. L’esperienza italiana

La vigente legislazione fiscale italiana, com’è noto, si è da tempo assestata su un sistema di tassazione basato sul reddito individuale [58]: l’unità impositiva è, anche nell’ambito di una coppia o famiglia, rappresentata dal singolo individuo, cosicché la regola è oggi che i redditi prodotti dai coniugi vanno tassati separatamente. Tale assetto ha seguito la storica sentenza costituzionale n. 179 del 1976, con la quale la Consulta ha dichiarato l’illegittimità del sistema di cumulo, sancendo il passaggio al sistema individuale con largo anticipo rispetto ad altri paesi europei.


4.1. Dal cumulo dei redditi alla sentenza n. 179/1976

Anteriormente al 1976, il sistema italiano assumeva ad unità impositiva la famiglia, applicando il meccanismo di cumulo dei redditi: il TU n. 645/1958 sanciva che i redditi della moglie si cumulavano con quelli del marito (art. 131), e che a questa base imponibile si applicava poi l’aliquota progressiva (art. 139). Inoltre, il decreto istitutivo dell’IRPEF, il D.P.R. n. 597/1973 [59], stabiliva al suo articolo 2 che «soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche […] ad eccezione di quelle i cui redditi sono imputati ad altri ai sensi dell’art. 4». Quest’ultimo, a sua volta, disponeva che Ai fini della determinazione del reddito complessivo o della tassazione separata sono imputati al soggetto passivo, oltre ai redditi propri: a) i redditi della moglie, eccettuati quelli che sono nella libera disponibilità della moglie legalmente ed effettivamente separata, nonché quelli dei figli (lett. b)) e quelli altrui dei quali il contribuente avesse la libera disponibilità (lett. c)). La riforma del 1971-73 confermava, insomma, un principio di cumulo obbligatorio dei redditi dei coniugi, in base al quale i proventi della moglie si sommavano a quelli del marito, oltre che a quelli di tutti gli altri soggetti su cui il pater familias esercitasse la potestà. La moglie, dunque, era soltanto responsabile in solido dell’obbligazione tributaria (art. 34 D.P.R. n. 602/1973), ma priva di soggettività passiva dell’imposta. L’opportunità del ricorso a tale sistema trovava una sua forte base, tra l’altro, oltre che in un senso di continuità col passato, in ragioni di carattere socio-normativo, per cui il marito-padre, in quanto capo famiglia, godeva di una patria potestas che gli garantiva quella «libera disponibilità dei redditi degli altri appartenenti al nucleo famigliare che da sola poteva giustificare la tassazione di tali ricchezze direttamente nei suoi confronti» [60]. Alla privazione della soggettività passiva d’imposta per la moglie (e i figli) era sottesa, in altre parole, una concezione gerarchica e patriarcale che individuava nel marito l’unico titolare del potere economico e di gestione delle ricchezze della moglie. Già soggetto a critiche per la rilevata disparità di trattamento fiscale che creava fra coppie sposate e coppie di fatto, questo sistema entrò [continua ..]


4.2. Il sistema attuale: fra tassazione individuale e disincentivi che permangono

I ripetuti tentativi di modificare il sistema di imposizione dei redditi familiari [71] hanno, finora, portato ad un nulla di fatto, cosicché il sistema è tutt’oggi imperniato sul reddito dei singoli contribuenti [72], in linea con la sollecitazione del Parlamento europeo. Come è stato messo in evidenza, tuttavia, anche in ordinamenti basati sul reddito individuale come il nostro, l’introduzione di misure a sostegno della famiglia possono riprodurre quelle stesse distorsioni che l’istituzione della tassazione separata aveva inteso neutralizzare [73]. È il caso, in Italia, della detrazione per coniuge a carico [74]. Potendo essere fruita laddove a svolgere un lavoro retribuito sia uno solo dei due consorti, e venendo meno quando il secondo inizia a percepire un reddito superiore alla cifra indicata (2.840,51 euro), questa misura scoraggia l’ingresso nel mercato lavorativo per il coniuge non occupato o disincentiva il secondo percettore ad incrementare la propria attività lavorativa. Essendo tali ruoli ricoperti per lo più da donne, una misura come la detrazione per coniuge a carico vale a favorire la persistenza della famiglia monoreddito che vede il marito come male-breadwinner [75]. Dello stesso avviso è anche il Parlamento europeo che nella citata risoluzione del 2019 rileva che sgravi fiscali quali le detrazioni per coniuge a carico «solitamente disincentivano le donne coniugate dall’accedere al mercato del lavoro e portano direttamente o indirettamente le donne a riassegnare il proprio tempo dal lavoro retribuito al lavoro non retribuito» [76]. Nell’ambito dell’ultima riforma fiscale, proprio alla luce della Risoluzione appena menzionata, era stata evidenziata l’opportunità di modificare l’istituto in questione [77]: l’arresto subito dal processo di riforma, tuttavia, non ha consentito di osservare lo sviluppo di tale proposta. Al fine di rimuovere l’unpaid work bias rappresentato dalla detrazione per coniuge a carico sarebbe, in conclusione, auspicabile rimuovere dal sistema tale misura, rimasta intoccata anche dalla disciplina dell’Assegno Unico Universale per i figli (AUU) [78]. Peraltro, proprio il legislatore dell’AUU dimostra di adottare un apprezzabile approccio di genere quando, all’art. 1 della legge delega n. 46 del 1° aprile 2021, pone fra gli [continua ..]


5. Conclusioni: l’insufficienza di un sistema gender-neutral

Evidenziata così la necessità di rimuovere dall’ordinamento, ove possibile, forme di disincentivo al lavoro femminile, va però anche osservato che un sistema fiscale gender-neutral è in realtà del tutto insoddisfacente nell’assolvere all’obiettivo di un’effettiva parità fra uomini e donne [83]: esso, infatti, pur non esacerbando ulteriormente il divario esistente, non contribuisce tuttavia a colmarlo attivamente. Il sistema impositivo dovrebbe, piuttosto, spingersi ad agire da leva fiscale, proponendosi come strumento utile a favorire una sostanziale uguaglianza di genere. Di misure mirate, peraltro, il nostro ordinamento non risulta del tutto sguarnito. Va guardata con favore, ad esempio, l’esistenza di una previsione come quella della deduzione maggiorata sull’Irap in caso di assunzioni di «lavoratori di sesso femminile» impiegati nel periodo d’imposta [84]. Ma ciò non basta. De iure condendo, è essenziale immaginare misure “positive” più incisive e strutturali in ottica di incentivo al lavoro femminile. È nota, in questo senso, la proposta una tassazione differenziata per genere, consistente in una riduzione dell’aliquota del reddito di lavoro per le donne, nell’intento di stimolarne l’offerta lavorativa [85]. La proposta di una gender tax, tuttavia, è stata spesso contrastata dall’accusa di violazione dei principi di eguaglianza e di capacità contributiva, in ragione dell’asserita ingiustificatezza di un trattamento fiscale differenziato fra uomini e donne [86]. Critiche, queste, a mio avviso superabili. La detassazione sul reddito di lavoro femminile non contrasta, anzitutto, con il principio di capacità contributiva. Infatti, se è vero che questo rappresenta il presupposto dell’imposizione, individuando «la misura massima del tributo, nel senso che questa non può mai essere fissata ad un livello superiore alla capacità dimostrata dall’atto o dal fatto economico» [87], ciò non esclude, «purché tale limite sia rispettato, che gli stessi atti o fatti possano in tempi diversi dar luogo a prelievi tributari di diversa entità, secondo gli obiettivi di politica fiscale di volta in volta perseguiti dal legislatore» [88]. In questo senso, la costante giurisprudenza [continua ..]


NOTE