Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
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Interposizione fittizia e traslazione all'amministratore di fatto dei rapporti giuridici a rilevanza fiscale relativi ad una società di capitali (di Angelica Chiara Tazzioli)


La sentenza in commento affronta il tema della accertabilità dell’amministratore di fatto di una società di capitali, nella specie una società “cartiera”, quando sia dimostrato, anche solo in via presuntiva, che egli, avendo disposto uti dominus delle risorse societarie, sia il vero beneficiario del reddito ed il responsabile dell'effettua­zione delle operazioni aziendali rilevanti ai fini dell’IVA. In sintonia con il meccanismo dell'interposizione descritto dall’art. 37, comma 3, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è infatti consentito all'Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, riferire l’illecito direttamente alla persona dell'interponente in quanto effettivo possessore del reddito d'impresa, non ostandovi il principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie enunciato dall’art. 7, D.L. 30 settembre 2003, n. 269. In tale rilievo, l'oggetto della prova incombente sull’Ufficio non attiene agli elementi costitutivi dell'interposizione, ma solo che il soggetto terzo è l'effettivo possessore del reddito per interposta persona. La pronuncia offre anche uno spunto di riflessione sul sistema punitivo a tutela degli interessi erariali quando la violazione delle norme tributarie integri uno dei delitti contemplati dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per i quali è configurabile una responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231.

Fictitious interposition and transfer to the de facto director of legal relationships with tax relevance relating to a joint-stock company

The commented decision addresses the issue of assessing the de facto director of a joint-stock company, in this case a “missing trader”, when it is demonstrated, even if only presumptively, that he, having disposed uti dominus of company resources, is the real beneficiary of the income and the person responsible for carrying out the business operations relevant for VAT purposes. In line with the interposition mechanism described by Art. 37, para. 3, Presidential Decree no. 600 of 29 September 1973, the tax authorities may indeed, during the tax audit, consider that the offense was made by the interponent as effective owner of the business income, this not being prohibited by the principle of exclusive referral of tax administrative penalties to the legal person according to Art. 7, Legislative Decree no. 269 of 30 September 2003. In this respect, the object of the proof incumbent on the tax office does not concern the constituent elements of interposition, but only that the third party is the actual owner of the income through a third party. The judgement also offers food for thought on the punitive system aimed at protecting tax authorities’ interests when the infringement of tax rules constitutes one of the crimes contemplated by Legislative Decree no. 74 of 10 March 2000, for which a corporate administrative liability may arise pursuant to Legislative Decree no. 231 of 8 June 2001.

MASSIMA: In tema di sanzioni tributarie, nell’interposizione del gestore “uti dominus” alla società di capitali interposta, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973 non ha rilievo il rapporto fiscale di quest’ultima, ma quello che fa capo direttamente all’in­terponente, in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, sicché, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 del d.l. n. 269/2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività. PROVVEDIMENTO: (Omissis) MOTIVI DELLA DECISIONE (Omissis) 3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 2472 e 2332 c.c., art. 87 tuir, D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 4 e D.L. n. 269 del 2003, art. 7 conv. nella L. n. 326 del 2003 per aver la CTR ritenuto responsabile l’amministratore di fatto per i debiti tributari della società di capitali. 3.1. Il quarto motivo denuncia, sul medesimo profilo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. 3.2. Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 7 e D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 16 e 17 per aver la CTR ritenuto le violazioni tempestivamente contestate in quanto contenute nel processo verbale di constatazione, da cui l’irrogazione delle sanzioni alla persona fisica anziché alla sola società di capitali. 4. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto logicamente connessi. Le censure, infatti, si incentrano su un’unitaria questione, ossia se, e in quale misura, l’attività, e le imposte, di una società di capitali siano direttamente imputabili ad un soggetto distinto da quest’ultima, nonché, in via correlata, se le sanzioni per le attività illecite ed evasive dell’ente siano ascrivibile al medesimo soggetto terzo. 5. Le doglianze, inoltre, sono infondate. 5.1. Nella recente giurisprudenza, invero, la problematica è stata affrontata, in particolare, con riguardo all’applicazione delle sanzioni all’amministratore di fatto. Questa Corte ha precisato che l’applicazione della norma eccezionale introdotta dalla D.L. n. 269 del 2003, art. 7 presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico (società dotata di [continua..]

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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Considerazioni preliminari in tema di amministrazione di fatto e interposizione fittizia - 3. La giurisprudenza di legittimità sul presupposto dell’”effettivo possesso” - 4. La sanzionabilità della persona fisica per l’illecito tributario contestato alla società di capitali: un quadro d’insieme - 5. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Premessa

La sentenza annotata affronta il tema dell’accertabilità dell’amministratore di fatto di una società di capitali quando le circostanze oggetto di rilievo dimostrino, anche solo in via presuntiva, che egli, avendo disposto uti dominus delle risorse societarie, sia il vero beneficiario del reddito ed il responsabile dell’effettuazione delle operazioni aziendali rilevanti ai fini dell’IVA. Ne deriva, oltre all’addebito dei tributi evasi, un autonomo assoggettamento a sanzione del titolare effettivo per le norme tributarie violate dal titolare apparente. Si realizza, in tal modo, una traslazione del fatto costitutivo dell’imposizione dall’interposto all’interponente sulla base di uno schema interpretativo che mira ad imputare i vantaggi economici maturati dal primo al secondo, nei confronti del quale, pertanto, l’Amministrazione finanziaria potrà rivolgere le appropriate azioni di recupero. La tesi in esame, costantemente ribadita dalla Corte di Cassazione, si fonda, ad un tempo, sull’applicazione dei principi presenti nell’ordinamento giuridico interno e – per quanto attiene all’IVA – delle previsioni comunitarie rivenienti dall’art. 6, paragrafo 4, della Sesta direttiva secondo cui: «qualora un soggetto passivo che agisca a proprio nome ma per conto di altri partecipi ad una prestazione di servizi si riterrà che egli abbia ricevuto o fornito tali servizi a titolo proprio» [1]. Nel caso in esame, la questione posta al vaglio decisionale dei Giudici di legittimità ruotava intorno ad una frode “a carosello” che vedeva cointeressate numerose persone fisiche ed una società di capitali “cartiera” [2] concorrenti in una complessa frode unionale relativa agli scambi infracomunitari di acquisto e rivendita di auto. L’Agenzia delle entrate, alla luce degli elementi informativi emersi nell’ambito di un procedimento penale avviato a seguito delle attività ispettive poste in essere dal Nucleo operativo delle Dogane in collaborazione con la Guardia di finanza, aveva quindi notificato ai destinatari dell’indagine avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA addebitando loro le imposte evase ed irrogando le conseguenti penalità. Poteva, infatti, ravvisarsi un coinvolgimento diretto delle persone fisiche [continua ..]


2. Considerazioni preliminari in tema di amministrazione di fatto e interposizione fittizia

Le riflessioni svolte dal Collegio giudicante nella sentenza in commento si incentrano su un assunto, ormai noto, secondo il quale anche l’amministratore di fatto di un ente dotato di personalità giuridica può essere assoggettato alla sanzione tributaria amministrativa. Pertanto, giova accennare – seppur per sommi capi – al meccanismo mediante il quale l’ordinamento autorizza ad attribuire alla persona fisica interposta i redditi formalmente imputati all’interponente [3]. In proposito, la giurisprudenza di legittimità [4] avverte che la verifica della fisionomia dell’amministratore di fatto [5] impone, preliminarmente, un’attenta analisi del contesto societario nel quale egli si colloca, richiedendosi, in tale prospettiva, un rigoroso riscontro in merito al grado di inserimento del soggetto che ne ricopre le funzioni nei processi decisionali e organizzativi dell’impresa societaria e del livello di condizionamento esplicato nelle scelte operative ed amministrative della società [6]. Inoltre, è necessario che il soggetto eserciti le proprie funzioni direttive con carattere di sistematicità e completezza e non nel compimento occasionale di atti di contenuto eterogeneo [7]. Ferma, dunque, l’effettività della società di capitali – al di là del proposito dei soci ed ideatori di realizzare per suo tramite un mero schermo rispetto al compimento di possibili attività illecite – vi è da chiedersi a quali condizioni e con quali limiti, a parità di condizione, l’Erario possa imputare aliunde perceptum i redditi maturati dal­l’ente ed i relativi carichi fiscali. Ad avviso della Cassazione, a questi ultimi fini può soccorrere il disposto dell’art. 37, comma 3 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 [8], a mente del quale: «in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona». La norma, in sostanza, mette a disposizione dell’Amministrazione finanziaria un meccanismo giuridico che, di fronte ad una rilevata incongruenza, consente di riallineare l’attività produttiva del reddito al suo effettivo [continua ..]


3. La giurisprudenza di legittimità sul presupposto dell’”effettivo possesso”

In linea generale, la Corte di Cassazione ha sottolineato che l’interposizione, così come regolata dall’art. 37, comma 3, cit., postula la dimostrazione, da parte del­l’Ufficio, che l’asserito interponente abbia incassato e trattenuto il reddito imputato all’interposto, o abbia avuto la giuridica possibilità di disporne, atteso che la traslazione della titolarità del reddito può avvenire in capo all’interponente se e solo se l’interposto ne è stato al contempo privato del possesso. Occorre, allora, avere riguardo all’“effettività dell’esercizio del possesso del reddito” e la “relazione dell’interponente con la fonte di reddito” perché “ciò che rileva ai fini tributari è il possesso del reddito formalmente attribuito a terzi” [15]. Coerentemente, è stato deciso che è ravvisabile un’interposizione: – del contribuente che abbia incassato gran parte del prezzo di vendita di un terreno ceduto da una società ad altra società, risultando quindi l’effettivo beneficiario dell’accredito e della “disponibilità delle somme” [16]; – del socio di maggioranza di una società se le “somme confluite sul conto corrente” suo personale costituiscono il prezzo della cessione di beni appartenenti alla società stessa [17]; – della persona che ha “la gestione del conto corrente” della società [18]; – della persona che abbia accreditato sul “conto personale del contribuente” somme riconducibili a una “cospicua parte della plusvalenza maturata” per effetto di una vendita posta in essere dalla società [19]; – della società nel possesso di redditi apparentemente riferibili al socio amministratore se vengono accertate “ingenti movimentazioni bancarie sui conti formalmente intestati al socio unico e amministratore della società contribuente, direttamente riferibili all’ente collettivo”, con conseguente “sostanziale riferibilità all’ente dei rapporti bancari medesimi” [20]; – del socio nel possesso di redditi formalmente riferibili alla società se egli “dispone di assegni e fogli firmati in bianco dai legali rappresentanti della [continua ..]


4. La sanzionabilità della persona fisica per l’illecito tributario contestato alla società di capitali: un quadro d’insieme

Le argomentazioni difensive ponevano in rilievo l’impossibilità – in tesi – di attribuire gli effetti dell’attività di impresa esercitata in forma di società di capitali ad un soggetto diverso, ancorché amministratore di fatto, al quale, inoltre, non poteva essere neppure riferita la sanzione tributaria a ciò ostando le disposizioni contenute nell’art. 7, comma 1 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. nella L. n. 326/2003), nonché negli articoli 16 e 17, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. La portata applicativa delle norme appena citate, che la sentenza in commento contribuisce autorevolmente a delimitare, merita a nostro avviso un approfondimento. Con l’adozione del D.Lgs. n. 472/1997, il legislatore tributario stabilì di individuare nella persona fisica responsabile dell’illecito il centro di imputazione della sanzione [22]. La novellata disciplina, infatti, tendeva ad indirizzare la risposta repressiva non già verso il soggetto beneficiario del comportamento antigiuridico, bensì nei confronti dell’autore materiale della violazione [23]. Da questa scelta di fondo derivavano, a cascata, una serie di corollari teorico-applicativi tutti ispirati al principio della personalità della sanzione che veniva declinato nelle formule, di derivazione penalistica, della colpevolezza e dell’imputabilità che trovano tuttora fondamento giuridico nella lettera dell’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997 che così recita: «la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione» [24]. Conseguentemente, delle violazioni tributarie commesse da una persona fisica a vantaggio della persona giuridica rispondeva, sotto il profilo sanzionatorio, soltanto il soggetto agente in quanto esecutore dotato di particolare qualifica [25], il quale poteva essere non solo l’amministratore di diritto dell’ente societario, ma anche l’ammi­nistratore di fatto sicché nella determinazione della sanzione occorreva avere riguardo anche alla condotta individuale da egli tenuta. Successivamente, a seguito delle modifiche apportate agli artt. 5 e 11 del D.Lgs. n. 472/1997, la sfera applicativa del ricordato art. 2 veniva attenuata prevedendosi, in aggiunta a quella dell’agente, la responsabilità in solido dell’ente che [continua ..]


5. Osservazioni conclusive

Appare necessario, giunti a questo punto della trattazione, svolgere alcune riflessioni conclusive senza tuttavia pretesa di esaustività [44]. L’irrogazione della sanzione amministrativa tributaria affonda le proprie radici in una disposizione che si limita, nelle modalità supra descritte, ad attribuire la punibilità dell’illecito alla sola persona giuridica, senza nulla disporre in merito alle persone fisiche materialmente agenti nella condotta anti giuridica. Tale assetto rischia di determinare un sistema iniquo perché, a stretto rigore dell’art. 7 del D.L. n. 269/2003, il vero autore persona fisica dell’illecito sfuggirebbe da qualsiasi trattamento punitivo lasciando, in sostanza, l’attribuzione della responsabilità totalmente a carico della società. In tal senso, attraverso l’opera interpretativa della Corte di Cassazione, si è estesa la portata di suddetta disposizione rendendo punibile, sotto il profilo sanzionatorio, l’amministratore che ha agito attraverso una società che in realtà è una mera fictio. A rendere ancor più complessa la lettura del sistema punitivo delle violazioni delle norme tributarie attuate mediante società “cartiere”, nella generalità dei casi aventi rilevanza penale, è intervenuto l’art. 25 quinquiesdecies, aggiunto al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 dall’art. 39, comma 2 del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 (convertito, con modificazioni, nella L. 19 dicembre 2019, n. 157), con cui legislatore ha introdotto i reati fiscali tra gli illeciti-presupposto della responsabilità degli enti da reato mutuandone le fattispecie rilevanti proprio dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 [45]. Nell’attuale assetto dispositivo, i reati presi in considerazione corrispondono, segnatamente, a quelli collegati alla commissione dei delitti di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti inesistenti (art. 2 D.Lgs. n. 74/2000), dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3), emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8), occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10), sottrazione fraudolenta al pagamento d’imposte (art. 11), nonché – se commessi nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un importo [continua ..]


NOTE