Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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L'influenza della disciplina sul transfer pricing nella determinazione del reddito della stabile organizzazione (di Stefano Dorigo)


A partire dal 2010, il Modello OCSE ha inteso privilegiare, per la determinazione dei profitti attribuibili ad una stabile organizzazione, un metodo mutuato dalla disciplina del transfer pricing e basato su una analisi funzionale. Si tratta di quello che è stato definito l’Authorized OECD Approach (AOA), per chiarire che solo questo è il metodo ammesso dall’Organizzazione ad esclusione di ogni altro. L'avvento del­l’economia digitale sta mettendo a dura prova la tenuta di questo metodo, anche in conseguenza del sempre maggiore scetticismo che il principio dell'arm's lenght sta suscitando al cospetto di fenomeni nuovi e difficilmente valutabili. Si vanno affermando metodologie di apportionment dei profitti su scala mondiale, come confermano anche le proposte di direttiva dell'Unione europea sull'imposizione dell’eco­nomia digitale.

The influence of transfer pricing rules in determining the profit attributable to the permanent establishment

Since 2010, the OECD Model has favoured, for the determination of profits attributable to the permanent establishment, a method borrowed from the transfer pricing discipline and based on a functional analysis. This is what has been called the “Authorized OECD Approach” (AOA), to clarify that this is the only method admitted by the Organization to the exclusion of any other. The advent of the digital economy is putting a strain on the stability of this method, also as a result of the ever-increasing scepticism that the arm's length principle is arousing in the face of new and difficult to assess phenomena. Profit apportionment methodologies are gaining ground on a global scale, as confirmed by the proposals for a European Union directive on the taxation of the digital economy.

SOMMARIO:

1. La stabile organizzazione: concetto, funzione ed evoluzione al tempo del­l’economia digitale - 2. L’attribuzione del reddito alla stabile organizzazione nel diritto tributario internazionale prima del BEPS - 2.1. L’attribuzione dei profitti alla stabile organizzazione nella dimensione storica - 2.2. Le modifiche del 2010 e l’avvento dell’Authorized OECD Approach (AOA) - 3. La disciplina italiana: l’art. 152 del TUIR - 4. Il progetto BEPS e la crisi dell’Authorized OECD Approach - 5. Gli effetti dell’avvento dell’economia digitale - NOTE


1. La stabile organizzazione: concetto, funzione ed evoluzione al tempo del­l’economia digitale

La stabile organizzazione è un concetto antico del diritto tributario internazionale; ciò nonostante essa conserva, in seno ad esso, un ruolo estremamente attuale [1]. La nozione di stabile organizzazione figura già in talune convenzioni internazionali stipulate alla fine del secolo XIX ed è stata presente, poi, nei modelli di convenzione bilaterale elaborati dalla Società delle Nazioni nel 1928 [2]. Con l’apparizione del Modello OCSE, ad essa viene dedicata sin dalla prima versione del 1963 un’apposita definizione, l’art. 5, nonché una disposizione volta a delinearne la funzione, ovvero l’art. 7. Si può dire, dunque, che la consapevolezza della rilevanza della stabile organizzazione abbia da sempre accompagnato la riflessione sui modi di regolamentazione della imposizione internazionale; e che, in particolare, l’intera parabola del diritto tributario internazionale moderno, che in qualche modo può essere fatta coincidere con lo sviluppo dell’attività dell’OCSE nel secondo dopoguerra, sia in qualche modo ad essa legata. La funzione della stabile organizzazione, quella di collegare ad un certo ordinamento il reddito prodotto da un’impresa non residente, emerge dall’art. 7 del Modello OCSE – così come riprodotto in un numero elevatissimo di convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni – e realizza un’eccezione al principio secondo il quale il reddito d’impresa è imponibile unicamente nello Stato di residenza dell’impresa. Tale eccezione, a sua volta, si giustifica, di fatto, con l’esigenza di tutelare il principio di territorialità e di consentire, pertanto, all’ordinamento nel quale viene prodotta parte di quel reddito di portare ad esecuzione la propria legittima pretesa impositiva [3]. Coerentemente con tale funzione, la definizione di stabile organizzazione, quale emersa per l’appunto nel corso del secolo scorso, oscilla tra una dimensione materiale ed una personale, le quali tuttavia altro non sono che due distinte manifestazioni di un fenomeno unitario: quello della presenza concreta, non solo economica ma anche organizzativa e funzionale, dell’impresa estera nel contesto di un certo mercato. Si può dire che il successo della nozione di stabile organizzazione si connette all’affermazione di forme di imposizione personale del [continua ..]


2. L’attribuzione del reddito alla stabile organizzazione nel diritto tributario internazionale prima del BEPS

Si è visto come la nozione di stabile organizzazione, nell’evoluzione imposta dal necessario adeguamento al nuovo modo di essere dell’economia digitalizzata, sia strettamente collegata alla produzione del reddito d’impresa e serva a consentire allo Stato della fonte di prelevare le proprie imposte sul reddito attribuibile alla stessa in luogo dello Stato di residenza dell’impresa medesima. Di fatto, la stabile organizzazione assolve alla funzione di localizzare il reddito in un ordinamento diverso da quello di residenza dell’impresa. Si pone, pertanto, la questione del modo con cui individuare tale reddito, che come detto viene sottratto alla potestà impositiva di tale ultimo Stato ed attribuito, invece, a quella dello Stato nel quale la stabile organizzazione si colloca. In effetti, dal punto di vista definitorio non esiste alcuna “autonomia” della SO rispetto alla casa madre: essa è semplicemente un’articolazione operativa di quest’ultima, la modalità attraverso l’impresa non residente svolge attività commerciale in uno Stato diverso da quello al cui ordinamento appartiene. Occorre, pertanto, individuare un metodo per astrarre dal reddito complessivo ed unitario della casa madre quello attribuibile alla stabile organizzazione e proprio qui, per l’effettuazione di un’operazione contabile tut­t’altro che semplice, viene in considerazione la disciplina relativa al transfer pricing, considerando la stabile come ente autonomo dalla casa madre, secondo la metodologia della functionally separate entity [26], ed attribuendole così gli utili e le perdite che sarebbero stati realizzati, in identiche condizioni, da un’impresa terza rispetto a quella di cui trattasi. Il tema dell’attribuzione del reddito alla stabile organizzazione è risalente e le soluzioni proposte al riguardo, sia sul piano internazionale che sul versante interno, hanno subito nel tempo profonde modifiche fino all’assetto attualmente condiviso. Conviene, quindi, effettuare in via preliminare una concisa ricostruzione storica della vicenda, anche per comprendere meglio taluni caratteri peculiari della disciplina oggi vigente nonché alcuni perduranti elementi di criticità connessi proprio con le caratteristiche dell’economia digitale.


2.1. L’attribuzione dei profitti alla stabile organizzazione nella dimensione storica

Sin dagli anni ’30 del secolo scorso, in concomitanza con l’avvio degli studi relativi alle regole di una fiscalità internazionale ancora in embrione, venne posto il problema della metodologia in base alla quale determinare quella parte del reddito dell’impresa da attribuire alla stabile organizzazione e, quindi, da sottoporre alla potestà tributaria dello Stato della sua localizzazione. Si impose subito, come mezzo più adatto, quello della separate entity, secondo il quale la stabile organizzazione doveva essere considerata entità autonoma e separata rispetto alla casa madre, dedita ad attività simili nelle medesime condizioni di mercato, così da individuarne il reddito sulla base delle sue scritture contabili [27]. In effetti, la bozza di Convenzione multilaterale proposta nel 1933 dal comitato di esperti nominato in seno alla Società delle Nazioni prevedeva, ai fini dell’attribuzione del reddito alla stabile organizzazione, proprio tale regola generale, di fatto fondata sul principio dell’arm’s length applicato alle transazioni ipoteticamente poste in essere da una simile entità autonoma con la sua casa madre [28]. Peraltro, l’assenza di contratti stipulati tra casa madre e stabile – all’epoca fondamentali per la ricostruzione del valore di libero mercato di una transazione nel contesto del transfer pricing – aveva indotto il comitato di esperti ad affiancare a tale regola generale una serie di regole sussidiarie, basate in ultima analisi su metodi di apportionment e tali da condurre ad una suddivisione proporzionale del reddito complessivo tra casa madre e stabile organizzazione [29]. L’assetto che ne scaturiva – applicazione prioritaria del metodo della separate entity e previsione di metodi sussidiari di mera ripartizione del reddito complessivo – è stato poi conservato dall’OCSE, che l’ha trasfuso nell’art. 7 del Modello di Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni approvato nel 1963 [30]. Esso, infatti, dopo aver proclamato al par. 2 il principio della “distinct and separate enterprise engaged in the same or similar activities under the same or similar conditions and dealings wholly indipendently with the enterprise of which it is a permanent establishment”, al successivo par. 4 riconosceva che “insofar as its has been customary in a [continua ..]


2.2. Le modifiche del 2010 e l’avvento dell’Authorized OECD Approach (AOA)

Il processo di aggiornamento dell’art. 7 del Modello OCSE si è concretizzato nel 2010 a seguito di un ampio dibattito di cui è traccia nel Rapporto sull’attribuzione dei profitti alla stabile organizzazione pubblicato proprio in quell’anno dall’OCSE. La scelta degli Stati partecipanti, trasfusa nella nuova formulazione di tale disposizione, è stata quella di abbandonare le pregresse ambiguità, indotte dalla mancata scelta di un unico metodo di attribuzione dei profitti, per individuare un’unica metodologia autorizzata, quella del functionally separate legal entity. Secondo l’art. 7, par. 2, del Modello OCSE 2010 (rimasto peraltro immutato fino ad oggi), tali profitti sono quelli che la stabile “might be expected to make, in particular in its dealings with other parts of the enterprise, if it were a separate and independent enterprise engaged in the same or similar activities under the same or similar conditions, taking into account the functions performed, assets used and risks assumed by the enterprise through the permanent establishment and through the other parts of the enterprise”. Tale formulazione mette in evidenza come tale metodo sia esclusivo, non essendo più contemplati metodi alternativi o sussidiari come nelle precedenti versioni del Modello OCSE; allo stesso tempo, si chiarisce che esso deve essere applicato effettuando un’analisi funzionale e, quindi, di fatto lo si riconduce nell’alveo delle elaborazioni concernenti la disciplina sui prezzi di trasferimento. Si tratta, per l’appunto, di quello che è stato definito l’Authorized OECD Approach (AOA), per chiarire che solo questo è il metodo ammesso dall’Organizzazione ad esclusione di ogni altro. Di fatto, l’AOA si fonda sulla finzione che la stabile organizzazione sia una società autonoma ma collegata alla casa madre, quindi una subsidiary, operante in circostanze identiche o similari. Il primo passaggio che, a partire da tale assunto, risulta necessario è quello dell’analisi funzionale, con individuazione delle funzioni svolte, dei beni impiegati e dei rischi assunti dalla stabile in particolare con riferimento alle transazioni da essa poste in essere con le altre parti dell’impresa. Così, ad esempio, laddove un bene immateriale sia nella disponibilità della stabile organizzazione ma venga impiegato anche da altre parti [continua ..]


3. La disciplina italiana: l’art. 152 del TUIR

L’ordinamento italiano ha per lungo tempo manifestato un approccio eccentrico al tema dell’attribuzione del reddito alla stabile organizzazione. Si trattava della regola c.d. della “forza di attrazione” della stabile organizzazione, secondo la quale nel reddito della stabile organizzazione, e perciò imponibile secondo le regole domestiche, si computavano anche gli elementi positivi di reddito relativi all’attività di impresa svolta in Italia dal soggetto non residente ancorché non conseguiti attraverso la stabile organizzazione medesima [40]. Tale disciplina, peraltro non coerente con gli indirizzi internazionali, è stata poi eliminata mediante il D.Lgs. n. 147/2015 (c.d. decreto internazionalizzazione), con la conseguenza che oggi gli enti commerciali non residenti possono essere assoggettati ad imposizione in Italia per i soli redditi di impresa conseguiti attraverso l’attività di una o più stabili organizzazioni collocate entro il nostro ordinamento. Così, l’art. 152, comma 1, del TUIR stabilisce che “per le società e gli enti commerciali con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, il reddito della stabile organizzazione è determinato in base agli utili e alle perdite ad essa riferibili”, aggiungendo poi al comma 2 il riferimento al functionally separate legal entity approach di matrice internazionale [41]. Quindi, anche nel nostro ordinamento i profitti imputati e tassati in capo alla stabile organizzazione sono determinati come se si fosse al cospetto di una distinta e separata impresa, residente in Italia ed operante in maniera indipendente dalla casa madre, per quanto ad essa collegata. Risulta pertanto necessario indentificarne le funzioni e, conseguentemente, attribuirle i beni, i rischi ed il capitale a quelle relativi. A questa analisi funzionale segue, poi, la determinazione del reddito corrispondente “alle transazioni e alle operazioni tra la stabile organizzazione e l’entità cui la medesima appartiene” che il comma 3 del medesimo art. 152 esplicitamente riconduce alle metodologie dettate dall’art. 110, comma 7, del TUIR in tema di prezzi di trasferimento. Peraltro, la piena applicazione delle regole sul transfer pricing era stata da tempo riconosciuta nel nostro ordinamento, avendolo l’Amministrazione finanziaria affermato sin dalla risalente Circolare 32/1980. Per [continua ..]


4. Il progetto BEPS e la crisi dell’Authorized OECD Approach

Nonostante la scelta netta operata dall’OCSE nel 2010, la nuova disciplina imperniata sull’AOA non è riuscita ad imporsi in modo indiscusso. È possibile che a questo risultato abbia contribuito la crisi del principio arm’s length in atto nell’ambito della regolamentazione dei prezzi di trasferimento. Quel che è certo è che sono molti gli elementi che mostrano una generalizzata freddezza verso tale metodologia di determinazione del reddito attribuibile alla stabile organizzazione. Sebbene l’intenzione dell’OCSE sia stata quella di introdurre un criterio univoco ed idoneo, in quanto tale, ad essere condiviso anche da Stati non membri dell’Organizzazione, in realtà la nuova formulazione dell’art. 7 ha condotto molti Stati a formulare riserve, mentre solo alcuni (come ad esempio i Paesi Bassi) hanno espressamente sostenuto questa soluzione, facendo riferimento a tale norma, come modificata nel 2015, nella negoziazione di nuove convenzioni bilaterali [45]. Allo stesso tempo, mentre l’ONU non ha ritenuto di modificare in senso conforme il proprio Modello di convenzione contro le doppie imposizioni [46], appare significativo che il progetto BEPS non si sia espressamente occupato della questione, addirittura omettendo di inserire nel testo della Convenzione multilaterale una disposizione quale quella del­l’art. 7 del Modello OCSE nella versione del 2010. Questa circostanza evidenzia l’assenza di consenso tra gli Stati in merito al­l’AOA, ciò che ha impedito che la relativa disposizione potesse essere inserita in un testo, quale quello del Multilateral Instrument, notoriamente frutto di un ampio compromesso [47]. La conseguenza è che, salvo specifiche negoziazioni ad hoc, la disciplina centrata sull’approccio autorizzato non troverà ingresso nel vasto numero di convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni concluse anteriormente al 2010, ciò che sembra idoneo a depotenziarne in misura forse decisiva la portata. Vi è, in aggiunta, un diffuso sfavore per l’eccessivo appiattimento del nuovo art. 7 del Modello OCSE rispetto all’art. 9 ed alla disciplina del transfer pricing, specialmente in considerazione del fatto che la finzione di trattare la stabile come se fosse una subsidiary realizza una forzatura mancando sia l’effet­tiva proprietà di un capitale e di [continua ..]


5. Gli effetti dell’avvento dell’economia digitale

L’avvento, nell’ultimo decennio, dell’economia digitale ha per parte sua aggiunto elementi di discussione, in particolare con riguardo all’attribuzione del reddito ad una presenza dematerializzata dell’impresa non residente. Sebbene, come si è accennato in precedenza, non si sia ancora giunti – né in ambito OCSE, né a livello di Unione europea – ad ampliare la nozione di stabile organizzazione fino a ricomprendervi l’ipotesi di presenza non fisica ma digitale, sembra opportuno soffermarsi brevemente sul tema delle possibili regole di attribuzione del reddito a tale forma di presenza dematerializzata, cercando di individuare possibili linee di sviluppo della questione in un futuro che, data la rapidità dell’evoluzione tecnologica, potrebbe non essere così lontano. Con riguardo a questo nuovo scenario, è stato osservato come la metodologia attuale, basata come si è più volte detto sulla valorizzazione delle significant people functions, non risulti adeguata, dal momento che le imprese digitali sono in grado di operare in una data giurisdizione senza alcuna presenza fisica [53]. Allo stesso tempo, muta il processo di creazione del valore per l’impresa, ora strettamente collegato con l’utente ed in particolare con i dati dal medesimo, più o meno consapevolmente, forniti. Come è stato osservato, nell’eco­nomia digitalizzata l’utente non è più solo passivo consumatore, ma acquisisce la veste attiva di soggetto che contribuisce ad accrescere il valore del bene o del servizio da lui acquistato o utilizzato [54]. Conseguentemente, è stata da più parti sostenuta l’inapplicabilità dell’AOA a questo nuovo fenomeno [55], mentre andrebbero recuperati metodi di appoprtionment su base proporzionale. Va osservato che in questa direzione si muove la proposta di Direttiva 147/2018 della Commissione europea, concernente la definizione di una significativa presenza digitale quale nuovo elemento di collegamento di una impresa con uno Stato diverso da quello di residenza. Essa, infatti, all’art. 5, pur ribadendo al par. 2 l’importanza dell’AOA [56] ed al par. 3 l’esigenza di una analisi funzionale, si preoccupa di precisare come ai fini di quest’ultima rilevano i dati forniti dagli utenti nonché le attività di questi [continua ..]


NOTE