Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Nozione di reddito: spunti di carattere sistematico e considerazioni de iure condendo (di Alessandro Vicini Ronchetti)


Il tema trattato nel presente studio riguarda la possibile adozione di una nozione dogmatica di reddito imponibile a differenza dell’attuale legislazione ove è assente una definizione di carattere generale avendo il legislatore optato per un criterio analitico. La disciplina attualmente vigente appare insufficiente per includere tra i redditi imponibili tutte le manifestazioni di capacità contributiva. Quanto detto è emerso in maniera ancor più evidente con le nuove modalità con cui può essere realizzata e valorizzata la ricchezza, si veda ad esempio il caso delle cripto valute. Il legislatore è pertanto costretto ad intervenire per colmare le lacune che l'elencazione casistica dei redditi implica. La nozione di “reddito entrata” appare essere maggiormente adeguata ad assoggettare a tassazione tutte le manifestazioni di capacità contributiva.

The notion of taxable income: systematic remarks and potential legal developments

The topic dealt with in this study concerns the possible adoption of a dogmatic notion of taxable income, unlike the current discipline where a general definition is absent, since the lawmaker has opted for an analytical criterion. The current legislation appears insufficient to include all expressions of ability to pay among taxable income. This has emerged even more clearly with the new ways in which wealth may be created and valued, see for example the case of cryptocurrencies. The lawmaker is, therefore, forced to intervene to fill the gaps that the casuistic listing of income implies. The notion of “entry income” appears to be more suitable for subjecting to taxation all expressions of ability to pay.

SOMMARIO:

1. Premessa e finalità dello studio - 2. Relazione tra reddito e fonte - 3. Reddito imponibile e requisito della “produzione” - 4. L’attuale legislazione: assenza di una compiuta nozione di reddito imponibile - 4.1. Le categorie reddituali di cui all’art. 6 del D.P.R. n. 917/1986 e le problematiche che nascono dall’elencazione casistica - 4.2. Le innovazioni digitali e il necessario adeguamento della legislazione tributaria – cenni - 5. Il reddito come ricchezza novella percepita dal soggetto passivo: applicazione del comma 1, art. 53 Cost. - 6. Implicazioni riguardanti il tributo sulle donazioni e successioni - 7. Riflessioni su una nozione di reddito “non prodotto” - 8. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Premessa e finalità dello studio

La legislazione tributaria fa sovente rimando al reddito senza recarne un’espressa definizione. Sebbene il legislatore della riforma del 1971 abbia introdotto un sistema di tassazione personale – parametrata sul reddito complessivo –, il ricorso a termini e a nozioni che richiamano la tassazione reale è diffusamente presente nell’attuale legislazione [1]. Difatti, non possiamo affermare che il sistema tributario sia informato ad un diffuso criterio di tassazione personale su base progressiva ma, come osserva la dottrina, “L’IRPEF progressiva non è affatto, nonostante le apparenze, un’imposta personale sul reddito complessivo, bensì un tributo con significativi elementi di realità [2]”. I riferimenti alla “fonte” del reddito, adottati nell’attuale legislazione, evidenziano la persistenza di nozioni tipiche del regime previgente, ove l’atten­zione del legislatore era appuntata all’oggetto della tassazione oltre a mostrare una mancata percezione del mutato contesto economico [3]. Proponiamo pertanto, con il presente contributo, una riflessione sulla nozione di reddito che dovrà necessariamente tenere conto delle tendenze economiche, politiche e sociali. L’assenza di una definizione generale di reddito imponibile è stata peraltro rilevata dalla Corte costituzionale, la quale ha negato la possibilità di desumere dal sistema tributario una nozione di reddito che, in quanto espressiva del principio di capacità contributiva, possa costituire un modello al quale raffrontare le varie ipotesi di tassazione che il legislatore va via via introducendo, qualificandole come fattispecie di imposizione sul reddito [4]. Ciò deriva dalla constatazione che il testo unico delle imposte sui redditi non offre un’univoca opzione legislativa per il “reddito prodotto” o per il “reddito entrata” – come peraltro affermava la relazione al disegno di legge che accompagnava la legge delega di riforma del 1971 [5] – ma è stato seguito un criterio descrittivo [6]. Con specifico riferimento al contesto anteriore alla riforma fiscale la dottrina non mancò di auspicare che il nuovo tributo avrebbe dovuto essere ispirato al “reddito entrata” piuttosto che “reddito prodotto” [7]. È opportuno evidenziare alcuni aspetti che [continua ..]


2. Relazione tra reddito e fonte

È opportuno, in primo luogo, soffermarci sul presupposto del reddito. L’art. 1 del D.P.R. n. 917/1986 introduce una formulazione ellittica, affermando che costituisce reddito imponibile il conseguimento di una delle categorie reddituali elencate all’art. 6 [16]. Nel sistema di tassazione diretta, la mancata “positivizzazione” della fonte del reddito ha portato ad un’inversione teorica in base alla quale è precisato prima il reddito (che in realtà costituisce il posterius) e, conseguentemente, viene dedotta per induzione la relativa fonte (che costituirebbe il prius). Ciò è stato puntualizzato dalla dottrina la quale osserva che “Nella nostra materia, si è scritto, la ricerca (del soggetto passivo) avviene, per così dire, a posteriori, con una sorta di inversione logica dei procedimenti di identificazione propri del diritto civile [17]“. Nel caso della tassazione diretta, il presupposto fiscalmente rilevante è quello che il diritto positivo qualifica come tale. In caso contrario v’è solo manifestazione di ricchezza che assume valore solo per l’economia [18]. Il reddito assume rilevanza fiscale se “deriva” da una fonte qualificata; essa, difatti, è idonea a configurare il reddito imponibile solo se la legge assegna il titolo e la tutela giuridica alla fonte stessa [19]. Tale regola non è espressamente sancita dal diritto positivo [20], può essere tuttavia dedotta da un approccio esegetico; sono infatti numerose le ipotesi in cui il legislatore abbina al sostantivo “reddito” il verbo “derivare” o “provenire [21]”, ciò a conferma della rilevanza della fonte quale presupposto del reddito oltre a mostrare la persistenza di una connotazione del reddito inteso come ricchezza proveniente da un fondo, un cespite o un’attività (nozioni “ereditate” dall’imposta di ricchezza mobile, improntate, come abbiamo detto in precedenza, ad un sistema di tassazione reale). L’art. 81 del testo unico delle imposte dirette del 1958, indicava il presupposto nella “produzione di un reddito netto [22]”. Quanto precisato sopra, sebbene riferibile ad una disposizione del 1958, è tutt’ora vigente. In particolare, il reddito imponibile è tutt’oggi caratterizzato, salvo deroghe [continua ..]


3. Reddito imponibile e requisito della “produzione”

L’attuale sistema di tassazione dei redditi esclude, in linea di principio, l’imposizione di ricchezze non intenzionalmente conseguite. Si propone una riflessione, nel presente contributo, sulla opportunità di abbandonare il riferimento esclusivo al fondo o allo svolgimento di un’attività, quale fonte prevalentemente adottata dal legislatore. In passato, a partire dall’imposta di ricchezza mobile, il reddito si realizzava al momento del distacco dalla sua fonte che, per definizione, è raffigurabile con il distacco del frutto dal fondo (aspetto che ritroviamo ancora oggi nella semantica utilizzata dal legislatore ove è previsto che il reddito è “posseduto”), requisito che oggi appare vieppiù desueto [28]. Si tratta di una caratteristica proveniente dalla legislazione riguardante l’imposta di ricchezza mobile secondo la quale il reddito, affinché assumesse rilevanza ai fini tributari, oltre a presentare il requisito di effettività/rea­lizzo, doveva caratterizzarsi per il “distacco” dello stesso dalla sua fonte. Le regole riguardanti la determinazione del tributo del 1844 furono stabilite tenendo in considerazione che la fonte dei redditi di gran lunga più importante era costituita dalla terra. Con il successivo sviluppo della ricchezza mobiliare, la quale trovava realizzazione attraverso molteplici combinazioni di altre attività economiche nell’industria, nel commercio, nelle professioni, il legislatore non ha mutato il criterio, attribuendo pertanto ai redditi derivanti da codeste nuove fonti i medesimi connotati caratteristici che erano propri dei redditi fondiari. Seguendo l’impostazione adottata dal legislatore, il reddito mobiliare – ma lo stesso vale tutt’ora per il reddito assoggettato all’imposta sul reddito delle persone fisiche – doveva rispettare due requisiti: (i) la provenienza del reddito da una fonte permanente, avente quindi l’attitudine a produrre nel futuro analoghe ricchezze; (ii) il distacco del reddito dalla fonte. Non è arduo constatare che i suddetti requisiti mal si adattano alla ricchezza che proviene da attività della persona o dell’impresa, e perdono pertanto consistenza, non essendo verificabili, se non per i redditi fondiari o da capitale. È di evidenza lapalissiana che i presupposti recati, prima per l’imposta di [continua ..]


4. L’attuale legislazione: assenza di una compiuta nozione di reddito imponibile

La mancata statuizione di una nozione generale di reddito fiscalmente rilevante [38], sebbene la riforma tributaria introdotta sulla base dei principi statuiti dalla legge delega n. 825/1971 lo abbia posto al centro della tassazione personale, quale tipica manifestazione di capacità contributiva, comportò numerose osservazioni critiche da parte della dottrina la quale evidenziò che il legislatore si dedicò ad una tecnica legislativa di tipo casistico (dettagliando in maniera analitica le fattispecie imponibili), nella convinzione che ciò potesse essere garanzia di certezza del diritto e pertanto potesse escludere possibili arbitrii da parte dell’amministrazione finanziaria [39]. L’art. 1 del D.P.R. n. 917/1986, difatti, non reca una definizione di carattere generale di reddito, al contrario esso rimanda alle categorie reddituali di cui all’art. 6, costringendo l’interprete a verificare se ogni possibile fattispecie sia o meno inclusa nelle predette categorie [40]. Corollario alla scelta del legislatore di rinunciare ad una costruzione dogmatica di reddito imponibile è stata la soppressione dell’art. 80, D.P.R. n. 597/1973, rubricato “Altri redditi”, che recava una norma di chiusura secondo la quale “Alla formazione del reddito complessivo, per il periodo d’imposta e nella misura in cui è stato percepito, concorre ogni altro reddito diverso da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del presente decreto [41]”. La disposizione recata dall’art. 80 introduceva una deroga rispetto alle regole utilizzate per la qualificazione delle categorie reddituali tipiche, essa si risolveva difatti in un generico rinvio a fattispecie reddituali non altrove qualificate dal legislatore. Ciò conferiva al presupposto dell’IRPEF una ampia elasticità suscettibile di dilatarsi o restringersi a seconda della prospettiva d’in­dagine tributaria su dati della realtà empirica, non già disciplinati dalle categorie tipiche, astrattamente espressivi di capacità contributiva. L’abrogazione del sudde3tto art. 80 fu motivata col fatto che essendo una disposizione dotata di ampia genericità implicava sforzi interpretativi per comprendere a quali situazioni dovesse applicarsi [42], oltre ad essere giudicata dalla dottrina, fin dalla sua introduzione con il decreto del 1973, una [continua ..]


4.1. Le categorie reddituali di cui all’art. 6 del D.P.R. n. 917/1986 e le problematiche che nascono dall’elencazione casistica

Nel sistema previgente, caratterizzato dal principio della tassazione reale, la suddivisione delle singole tipologie di reddito e la correlativa differente modalità di prelievo tributario, anche con riferimento all’aliquota applicabile, era coerente rispetto al criterio adottato. Al contrario, in un sistema di tassazione ispirato al modello personale, tale suddivisione categoriale ha minori giustificazioni, se non di natura procedurale [60]. Si è difatti evidenziato, con toni propositivi rispetto ad una modifica della legislazione, come “la nuova frontiera della distinzione qualitativa fra le ricchezze passi da un loro diverso inquadramento: se, fino ad oggi, sono state raggruppate sulla base delle loro fonti e modalità produttive, e a queste gli ordinamenti hanno guardato per selezionare e discriminare, favorendo, almeno apparentemente, quelle derivanti dal puro lavoro, i nuovi scenari dell’economia impongono di differenziarle in altro modo, con criteri diversi da quelli tradizionalmente adottati [61]”. La tecnica legislativa con cui è sancita la rilevanza fiscale dei redditi – mediante, come abbiamo detto, l’elenco delle singole categorie – implica possibili incertezze in caso di fattispecie economicamente rilevanti che, pur tuttavia, risultano non incluse in alcuna delle categorie reddituali sancite dell’art. 6, D.P.R. n. 917/1986. Si pensi alla qualificazione dei redditi derivanti dalle cessioni di marchi o brevetti da parte dell’autore o inventore [62], il corrispettivo derivante dalla cessione di opere d’arte o valori numismatici [63], il regime tributario delle indennità percepite a titolo risarcitorio in virtù di accordo transattivo [64] oppure quale sia il regime tributario del plusvalore conseguito dal lavoratore autonomo a seguito della concessione in uso dell’immobile adibito al­l’attività professionale [65]. In ultimo, a conferma delle difficoltà qualificatorie delle fattispecie ai fini tributari, derivanti dall’evoluzione tecnologica, le problematiche legate alle criptovalute ne rappresentano un’efficace esemplificazione (si vedano le brevi considerazioni di cui al paragrafo successivo). Trattasi di fatti economici di incerta qualificazione tributaria. Ciò deriva da un frastagliato e poco sistematico impianto normativo oltre ad implicare posizioni [continua ..]


4.2. Le innovazioni digitali e il necessario adeguamento della legislazione tributaria – cenni

Le considerazioni sopra svolte meritano una specifica riflessione con riferimento alle innovazioni tecnologiche che sono costantemente introdotte nel sistema economico e necessitano pertanto di un inquadramento sotto il profilo tributario. Ci riferiamo, in particolare, al regime fiscale di fatti economicamente rilevanti ma quantificati attraverso l’uso di strumenti di pagamento non aventi corso legale quali le c.d. valute virtuali o cripto-valute, privi di disciplina normativa (la moneta denominata “bitcoin” è forse quella più utilizzata) [80]. È con rifermento ai fatti economici quantificati con tali strumenti di regolamento finanziario che le categorie reddituali, così come disciplinate dalle clausole del D.P.R. n. 917/1986 – volte ad identificare un “sistema chiuso” che sottopone a tassazione le sole fattispecie analiticamente individuate – evidenziano profili di criticità. Si premette che in questa sede si affronta il tema in via incidentale, ben consapevoli che esso meriterebbe una trattazione dedicata. Ritengo tuttavia che, stante la particolare attualità dell’argomento nonché la rilevanza dello stesso rispetto all’oggetto del presente studio, sia opportuna qualche, seppur breve, riflessione [81]. Si osserva, in via preliminare, a conferma delle lacune emergenti dall’ordinamento tributario riguardo le eventuali ricchezze realizzate mediante l’utilizzo delle cripto-valute, che il legislatore – con la L. 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di stabilità per il 2023) – è intervenuto integrando il D.P.R. n. 917/1986 al fine disciplinare in maniera analitica anche i componenti reddituali realizzati attraverso l’uso delle monete virtuali [82]. L’attuale legislazione, come ribadito dalla Corte costituzionale, consente di attribuire la qualifica di reddito fiscalmente rilevante alle sole fattispecie analiticamente individuate dalla legge [83]. Ciò poneva non trascurabili dubbi in merito alla disciplina tributaria applicabile nel caso plusvalenze realizzate a seguito della cessione di “monete virtuali”. L’art 67 del D.P.R. n. 917/1986 non comprendeva la fattispecie di cui sopra. Di conseguenza, l’ampliamento di tali ricchezze tra quelle fiscalmente rilevanti non era ammissibile, stante l’assenza di una nozione di carattere generale di reddito imponibile e [continua ..]


5. Il reddito come ricchezza novella percepita dal soggetto passivo: applicazione del comma 1, art. 53 Cost.

Veniamo ora al punto focale della nostra ricerca. Come descritto nelle pagine precedenti, non ogni ricchezza percepita assume rilevanza ai fini tributari in qualità di reddito imponibile, essendo necessario verificare – secondo la ricostruzione elaborata da Quarta e confermata dal diritto positivo – la presenza della “causa negoziale” a fronte dell’arricchimento economico verificatosi [88]. Solo alla presenza di tale circostanza sussistono, difatti, i presupposti per affermare che la ricchezza pervenuta nella disponibilità giuridica del soggetto passivo assume la qualifica di capacità contributiva potenziale. L’uso dell’aggettivo “potenziale” è dovuto alla peculiare formulazione legislativa del D.P.R. n. 917/1986 secondo cui è necessaria anche la riconducibilità del fatto economico ad una delle categorie reddituali di cui all’art. 6 del D.P.R. n. 917/1986. Difatti, la specificazione dei singoli redditi all’interno dal testo unico costituisce presupposto imprescindibile per la loro rilevanza tributaria poiché, come afferma la Corte di Cassazione, i redditi “… devono essere indicati necessariamente e in maniera univoca, poiché è rispetto a ciascun reddito che vanno precisati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche [89]”. Occorre quindi indugiare sulla peculiarità sopra descritta: è possibile che il legislatore ordinario, non annoverando talune fattispecie economicamente rilevanti all’interno delle singole categorie reddituali – pur rappresentando queste ultime una manifestazione di ricchezza – introduca, in tal modo, un regime di “esenzione” oggettiva. La disciplina delle imposte sui redditi, in effetti, conferma che vi sono manifestazioni di forza economica non assoggettate a tassazione, come descritto nelle pagine precedenti. È indubbio che l’art. 53 Cost. vieta che possa essere assunta a capacità contributiva una grandezza superiore a quella risultante dalla complessiva capacità economica del soggetto ma, al contrario, non esclude che, in linea di principio, possa essere presa in considerazione dal legislatore ordinario una capacità contributiva di grandezza inferiore. Il limite rappresentato dalla capacità economica verrebbe perfettamente rispettato: solo si consentirebbe al legislatore di non utilizzare [continua ..]


6. Implicazioni riguardanti il tributo sulle donazioni e successioni

I tributi sulla successione e donazione trovano applicazione, ricordiamo, al verificarsi dell’incremento del patrimonio a seguito della percezione di una ricchezza conseguita a titolo gratuito, in assenza di corrispettivi [107]. Nell’am­bito dello studio descritto nel presente contributo, si avverte pertanto la necessità di una riflessione critica su quali potrebbero essere le conseguenze, in merito al tributo sopradetto, in caso di adozione della nozione di reddito entrata. È noto che l’incremento di patrimonio a seguito di atto gratuito soggiace alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 346/1990. Il problema della compresenza all’interno della base imponibile di entrambi i tributi è stato poco analizzato dalla dottrina, sebbene, come sarà in appresso dimostrato, si tratta di una fattispecie compatibile anche con la legislazione attualmente vigente [108]. Occorre premettere, fin da subito, che assoggettare a tassazione diretta ed al tributo sulle donazioni e successioni un incremento di patrimonio non implica una doppia imposizione in senso giuridico; da nessuna disposizione del sistema giuridico tributario è dato evincere che l’imposta sui redditi ed il tributo sulle donazioni e successioni si escludano a vicenda; si tratta di una doppia imposizione economica per la quale non v’è una esplicita disposizione che ne disciplini l’elimina­zione [109]. È tuttavia necessario tenere conto che il sistema tributario, nel suo complesso, deve essere disegnato nel rispetto della coerenza delle differenti forme impositive. In modo particolare, qualora pur in assenza di identità di presupposto, le forme di ricchezza prese a riferimento dal tributo incidano su grandezze economicamente poco dissimili, v’è una maggiore difficoltà nel garantire la coerenza del sistema tributario. In tali contesti, pertanto, è necessaria una maggiore attenzione da parte del legislatore, al fine di rendere coerente la disciplina dei vari tributi, eliminando eventuali tassazioni inappropriate. La necessità che il sistema tributario sia coerente e privo di “distonie”, secondo la dottrina, si evince dalla lettura dell’art. 53 Cost. [110] Inoltre, osserva la medesima dottrina – proprio con riferimento alla necessità di prevenire eventuali prelievi tributari non coerenti con il sistema nel suo complesso – [continua ..]


7. Riflessioni su una nozione di reddito “non prodotto”

La ricchezza novella confluita a titolo definitivo nella disponibilità giuridica del soggetto passivo, a prescindere dalla volontaria attività posta in essere per la percezione della stessa, ha i requisiti di attualità ed effettività. La Corte Costituzionale ha peraltro avuto modo di esprimersi sulla coerenza dell’art. 53 Cost. rispetto alle forme di tassazione ove sia assunto a presupposto un fatto slegato da un comportamento intenzionale volto al conseguimento del reddito, purché sussista il collegamento oggettivo del tributo ad un concreto presupposto impositivo [122]. La forza economica assoggettabile a tassazione potrebbe pertanto essere identificata con una entrata netta, non necessariamente proveniente da un fonte tipizzata [123]. Tale possibilità, peraltro già evidenziata dal Griziotti [124], permetterebbe di assoggettare al prelievo tributario la mera ricchezza, inclusi gli acquisiti a titolo gratuito, le plusvalenze di ogni tipo, etc., non essendo rinvenibile nell’art. 53 alcun riferimento alla presenza o meno di intento speculativo al fine di individuare la capacità contributiva [125]. Se è vero che i casi di tassazione di redditi non prodotti sono sino ad oggi limitati e necessariamente disciplinati da specifiche disposizioni normative, non troviamo preclusioni per l’introduzione di una nozione che consenta di comprendere nel presupposto imponibile del tributo diretto anche le ricchezze conseguite indipendentemente da un processo produttivo [126]. Ciò, peraltro, rappresenterebbe, a nostro avviso, un’evoluzione della nozione di reddito imponibile che nel corso degli anni si è distaccata dal fermo rapporto di causalità con la proprietà di un cespite o l’esercizio di una attività per comprendere, sebbene in maniera non organica, anche i redditi di tipo straordinario e quelli connessi all’alea [127]. Si potrebbe pertanto prendere in considerazione una accezione di reddito non più legata alla capacità contributiva in capo al soggetto che sia in grado, con una propria manifestazione di volontà, di incidere positivamente sulle caratteristiche del reddito stesso, ma accogliere una nozione che prenda in considerazione la titolarità giuridica di una ricchezza novella attuale e disponibile [128]. Quanto al requisito di effettività, essa dovrebbe [continua ..]


8. Considerazioni conclusive

Come abbiamo descritto, la nozione di reddito deve partire dalla centralità del sistema di tassazione attuale che è rappresentata dal reddito complessivo in capo alla persona e, probabilmente, il richiamo alle singole situazioni giuridiche poste alla base di ogni reddito renderebbe il tentativo vano. La definizione unitaria e rigorosa del reddito complessivo, tuttavia, non è agevole. Si tratta, difatti, di una categoria eterogena, composta dalla confluenza di singoli tipi di reddito individuati dal diritto positivo [141]. Una qualificazione di reddito legislativamente statuita, in cui sia assunta a presupposto la percezione e la giuridica disponibilità a titolo definitivo di una ricchezza economicamente valutabile [142], tralasciando i requisiti di produzione del reddito stesso, permetterebbe di superare i retaggi ancor presenti nell’at­tuale testo unico che mal si conciliano con (i) un sistema di tassazione personale incentrato sul reddito complessivo nonché (ii) un contesto economico ove il reddito come frutto di una attività di un cespite appare vieppiù desueto [143]. Invero, se si considera che colui che riceve una ricchezza, ancorché a titolo gratuito, è in grado di concorrere alle spese pubbliche in maniera più consistente rispetto a coloro che non sono destinatari di tale arricchimento, come afferma la dottrina “è ragionevole sostenere che, per esigenze di razionalità e di coerenza della normativa, tutti i beneficiari delle erogazioni gratuite dovrebbero subire il prelievo fiscale sotto forma di imposta reddituale [144]”. Una nozione generale espressa di reddito imponibile più ampia – con relativo assoggettamento ad imposta progressiva [145] – e, soprattutto, il superamento del subsistema di cui ai redditi diversi, è dettato anche dall’avvenuto superamento della nozione di “intento speculativo” che era tradizionalmente presente nel precedente sistema tributario [146]. In esso coesistevano due principi, sebbene non espressamente statuiti come tali: la peculiarità che il reddito fosse fiscalmente rilevante se assumeva la caratteristica di “reddito prodotto” e quindi derivante da una attività volontariamente esercitata al fine di conseguirlo e l’intento speculativo che, in talune ipotesi, era sufficiente a qualificare come fattispecie [continua ..]


NOTE