Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Profili di rilevanza tributaria delle movimentazioni delle quote di emissione di CO2 nel sistema di scambio europeo (di Francesco Garganese)


Il crescente livello di interesse a livello globale da parte degli investitori su asset aziendali strategici per il contenimento dell’inquinamento in campo industriale, quali le quote di emissione di CO2, offre lo spunto per analizzare, in un contesto storico cruciale per i processi di transizione ecologica, i principali profili fiscali delle relative movimentazioni. Per di più, il notevole incremento dei prezzi di scambio, registrato nell’ultimo biennio sul mercato, amplifica i riflessi che sul piano impositivo possono assumere le cessioni delle quote sia sul versante delle imprese, in termini di imposte dovute, sia su quello erariale, in termini di maggiori entrate. Non a caso, crescente appare anche l’attenzione dell’Amministrazione finanziaria sulle movimentazioni di tali permessi negoziabili che vengono ritenute fiscalmente rilevanti anche laddove non sia palese l’effetto traslativo di esse come, ad esempio, è riscontrabile nell’ambito di una particolare tipologia di contratto spesso adottato nella prassi industriale (il tolling agreement).

Profiles of tax relevance of the CO2 emission certificates exchanges in the European trading system

The growing level of global interest on the part of investors in strategic corporate assets for the containment of pollution in the industrial field, such as CO2 emission certificates, offers the opportunity to analyze, in a historical context that is crucial for the transition processes ecological, the main tax profiles of the related exchanges. Furthermore, the significant increase in trading prices, recorded in the last two years on the market, amplifies the effects that the transfer of shares can take on the tax level both on the business side, in terms of taxes due, and on the tax authorities, in terms of higher revenue. Not surprisingly, the attention of the financial administration on the exchanges of these negotiable permits also appears to be increasing, which are considered fiscally relevant even where the translation effect of them is not clear, as, for example, can be found in the context of a particular type agreement often adopted in industrial practice (the tolling agreement).

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Natura giuridica delle quote di emissione: tributi, strumenti finanziari o beni immateriali? - 3. Rilevanza reddituale dei trasferimenti a titolo oneroso delle quote di emissione - 4. La vendita delle quote di CO2 quale prestazione di servizi imponibile ai fini dell’IVA - 5. (segue) Le movimentazioni nell’ambito del contratto di tolling - 6. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Premessa

Il sistema denominato European Emissions Trading System (EU ETS) [1], introdotto in Europa con la Direttiva 2003/87/CE, è uno strumento giuridico ideato per attuare la riduzione dei gas ad effetto serra. Invero, seguendo la definizione legislativa contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. ss), del D.Lgs. 9 giugno 2020, n. 47 [2], per “quota di emissioni” deve intendersi il diritto del gestore di un impianto industriale di emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente per un periodo determinato. Tale diritto viene rappresentato da certificati negoziabili, appunto le quote, assegnati gratuitamente in un certo numero alle imprese esercenti talune attività produttive, senza che ciò possa originare pratiche lesive della concorrenza, venendo il sistema applicato in maniera omogenea in tutti i Paesi dell’UE [3]. In ragione delle singole produzioni industriali, i gestori degli impianti che periodicamente ricevono le quote di emissioni, ai sensi dell’art. 36 del D.Lgs. n. 47/2020, sono obbligati a restituire, entro il 30 aprile di ciascun anno, un quantitativo di quote equivalente alle emissioni rilasciate dal proprio impianto nell’anno precedente. La violazione di tale obbligo comporta l’irrogazione di sanzioni amministrative. Superato il limite di quote a disposizione di ciascun gestore, quest’ultimo sarà legittimato ad emettere ulteriori quantitativi di CO2 soltanto previa acquisizione di ulteriori quote che, appunto, costituiscono giuridicamente il diritto per l’impresa di superare la soglia di inquinamento ad essa inizialmente consentita. Ovviamente, a fronte di gestori di impianti innovativi dal punto di vista tecnologico, tanto da limitare l’impatto ambientale delle relative produzioni con emissioni al di sotto del livello consentito, sussistono, invece, produttori che, non avendo investito nell’innovazione tecnologica dei propri impianti, necessitano di quote di emissione in numero superiore rispetto a quello ricevuto per “compensare” le emissioni di biossido di carbonio prodotte in eccesso. Di conseguenza, tanto le imprese che non ricevono quote di emissione a titolo gratuito quanto quelle che non riescono a coprire il proprio fabbisogno con le quote assegnate gratuitamente devono negoziare sul mercato il proprio fabbisogno di autorizzazioni direttamente con l’autorità pubblica ovvero con le imprese [continua ..]


2. Natura giuridica delle quote di emissione: tributi, strumenti finanziari o beni immateriali?

L’analisi tributaria della fattispecie prospettata richiede una preliminare, seppur breve, indagine sulla natura giuridica delle quote di emissione in quanto dalla relativa qualificazione dipende anche l’individuazione della disciplina impositiva applicabile [6]. Trattasi di una attività interpretativa di non facile compimento atteso che i profili civilistici e fiscali delle quote di emissione non sono ancora completamente disciplinati da norme speciali. Da qualunque prospettiva si voglia analizzare la fattispecie, è certamente sostenibile che le quote di emissione rappresentano una soluzione normativa volta a ridurre l’impatto ambientale di talune produzioni industriali perché impongono, come visto, ai gestori degli impianti alimentati con fonti fossili tradizionali l’obbligo di rispettare limiti massimi di emissioni di CO2 in un dato arco temporale. La circostanza di consistere in uno strumento normativo imposto con possibili effetti decrementativi del patrimonio dell’impresa costituisce un elemento per vagliare la possibile natura tributaria delle quote di emissione [7]. In effetti, l’acquisto delle quote pare sostanziarsi in una scelta obbligata per il gestore di un impianto industriale ad elevato impatto ambientale laddove questi voglia aumentare la produzione, immettendo nell’atmosfera livelli di biossido di carbonio superiori a quelli consentiti. Per di più, qualora l’acquisto venga effettuato presso l’autorità nazionale pubblica, la prestazione imposta comporta la corresponsione di denaro al soggetto pubblico da destinarsi a finalità ambientali. Tale meccanismo è coerente con la ratio del “chi inquina paga”, principio giuridico di matrice europea, idoneo, secondo la teorizzazione pigouviana, a trasferire sul soggetto che inquina le esternalità negative prodotte con il proprio comportamento, tra cui i costi sostenuti dalla collettività per ripristinare gli effetti dell’inqui­namen­to [8]. Da questo profilo, la decurtazione patrimoniale, necessaria per ottenere il rilascio di autorizzazioni a produrre maggiore inquinamento, sembrerebbe rispecchiare lo schema tipico di taluni tributi ambientali in senso stretto [9]. In effetti, a fronte del vantaggio che l’imprenditore intende acquisire, ossia il diritto ad immettere nell’at­mosfera ulteriori quantità di CO2 con [continua ..]


3. Rilevanza reddituale dei trasferimenti a titolo oneroso delle quote di emissione

Ai fini delle imposte sui redditi, se le assegnazioni a titolo gratuito delle quote di emissione da parte della autorità pubblica non assumono particolare rilevanza, atteso che il soggetto beneficiario non sostiene alcun costo, il trasferimento a titolo oneroso comporta, invece, effetti rilevanti per le imprese che concludono l’acquisto e, laddove esso avvenga tra privati (in luogo delle negoziazioni tramite asta pubblica sul mercato regolato dal GSE), anche per quelle che pattuiscono la cessione. In tale ultima ipotesi, infatti, la cessione delle quote consentirà all’impresa venditrice di ricavare un provento, costituito dal corrispettivo pattuito per la compravendita e dagli eventuali oneri accessori, che integra evidentemente un componente positivo del reddito d’impresa. Al contrario, per l’impresa acquirente l’operazione comporterà la registrazione di un componente negativo di reddito. Tuttavia, per comprendere quale sia la corretta incidenza che detti componenti assumono nell’ambito del reddito d’impresa, appare utile differenziare l’analisi tra imprese cedenti ed acquirenti le quote e, con riferimento alle prime, distinguere ulteriormente quelle che esercitano attività di produzione industriale da quelle che svolgono, invece, mera attività di intermediazione. Per quanto concerne le imprese soggette alla disciplina dell’ETS, perché esercenti attività industriale, va anzitutto escluso che i corrispettivi conseguiti con la cessione delle quote costituiscano ricavi d’impresa in senso stretto. Difatti, per tali soggetti le quote di emissione non sono inquadrabili in nessuna categoria di beni dalla cui cessione o monetizzazione il legislatore fa discendere la realizzazione di ricavi imponibili ai sensi dell’art. 85 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 [18]. Esclusa, quindi, la riconducibilità di detti corrispettivi alla categoria dei ricavi, resta da verificarne la possibile classificazione nell’ambito delle altre due categorie dei componenti positivi del reddito d’impresa, ossia quelle delle plusvalenze e delle sopravvenienze attive. Come insegnato dalla migliore dottrina [19], nella categoria delle sopravvenienze rientrano quegli eventi straordinari che modificano componenti positivi o negativi di reddito che hanno già concorso a formare il reddito d’impresa in esercizi precedenti. Così [continua ..]


4. La vendita delle quote di CO2 quale prestazione di servizi imponibile ai fini dell’IVA

Esaminati gli effetti che conseguono, ai fini delle imposte sui redditi, ai trasferimenti delle quote di emissione, è opportuno, ora, analizzare la rilevanza delle medesime operazioni ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, assumendo, come dato di partenza, la qualificazione precedentemente proposta delle quote di emissione quali beni immateriali. Al riguardo, pur dovendosi ammettere che la nozione di bene assume nel diritto tributario un significato piuttosto ampio, ricomprendendo ogni entità materiale ed immateriale (compresi i servizi) che possa formare oggetto di diritti [24], ciò non consente ugualmente di qualificare, ai fini dell’IVA, la vendita delle quote di emissione alla stregua di un’operazione di cessione di beni, imponibile ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Le ragioni vanno ravvisate, così come rilevato in dottrina [25], in una interpretazione eurounitaria della nozione di “cessione di beni”, giacché, ai sensi dell’art. 14 della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio (relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto), è tale solo il trasferimento del potere di disporre di un “bene materiale” come proprietario. Al contrario, a norma del successivo art. 25, comma 1, lett. a) della medesima Direttiva, una prestazione di servizi può consistere nella “cessione di beni immateriali, siano o no rappresentati da un titolo”. Da altro punto di vista, la Corte di Giustizia UE [26] ha avuto modo di rilevare che l’art. 56, par. 1, lett. a), della Direttiva IVA, in tema di luogo della prestazione di servizi, laddove in passato si riferiva ad “altri diritti analoghi” [27], deve essere interpretato come inclusivo delle quote di emissione di gas ad effetto serra di cui all’art. 3, lett. a), della Direttiva 2003/87/CE concernente la istituzione dell’emissions trading system. In ragione delle richiamate disposizioni, l’impostazione interpretativa maggiormente condivisibile è quella di ricondurre i trasferimenti a titolo oneroso delle quote di emissione all’alveo delle prestazioni di servizi tanto più che anche il legislatore nazionale, in ottemperanza delle disposizioni europee, ha ricondotto in tale categoria di operazioni imponibili le cessioni di diritti immateriali aventi ad oggetto licenze relative a diritti d’autore, [continua ..]


5. (segue) Le movimentazioni nell’ambito del contratto di tolling

In tema di IVA, un discorso a parte meritano le movimentazioni delle quote di CO2 che avvengono nell’ambito di un negozio atipico (il c.d. tolling agreement), particolarmente in uso nel mercato della produzione energetica. In esecuzione di tale contratto, la produzione di un bene non è compiuta dal soggetto che è titolare della materia prima (c.d. toller), bensì da un terzo (c.d. tollee), titolare di un impianto di produzione, il quale dietro il pagamento di un corrispettivo (c.d. tolling fee) trasforma la materia messa a disposizione dall’altro contraente[31]. Il prodotto finito, si pensi all’energia immessa nella rete elettrica dal prestatore, resta di proprietà del titolare della materia prima (il toller) e viene da questi commercializzato. Trattasi di una tipologia di contratto a cui ricorrono frequentemente quelle imprese non idonee tecnologicamente a trasformare la materia prima (fonti fossili tradizionali) in energia elettrica da immettere in rete [32]. Ebbene, poiché unitamente alla materia prima il toller consegna al prestatore anche le quote di emissione, che dovranno essere restituite all’autorità pubblica in numero corrispondente alla quantità di CO2 prodotta, si pone il problema di verificare se la consegna di tali diritti, avvenendo in esecuzione del tolling agreement, sia da considerare a titolo oneroso e, quindi, rilevante ai fini dell’IVA ovvero a titolo gratuito con conseguente irrilevanza fiscale della medesima movimentazione. Secondo una interpretazione fornita in più occasioni dall’Agenzia delle Entrate [33], la consegna delle quote di emissione da parte del toller al titolare dell’impianto di produzione energetica configurerebbe una prestazione imponibile nell’ambito di una operazione permutativa ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. n. 633/1972. Specificamente, la consegna delle quote si sostanzierebbe in una controprestazione dovuta a titolo di parziale corrispettivo, ulteriore rispetto al denaro (la tolling fee), dal soggetto titolare della materia prima al gestore dell’impianto industriale a fronte della produzione di energia eseguita da quest’ultimo. In buona sostanza, nell’ottica della Agenzia fiscale, anche in assenza di una specifica clausola negoziale in tal senso, le quote consegnate dal toller configurerebbero una parte del corrispettivo complessivo (in parte in natura e in parte in [continua ..]


6. Considerazioni conclusive

Il sistema di scambio delle quote di emissione di CO2 costituisce, senza dubbio, uno strumento di facile attuazione su scala globale, particolarmente efficace nella funzione ambientale ad esso attribuita. Trattasi, infatti, di uno strumento normativo che influenza le scelte delle imprese, spingendo le stesse, a seguito di una analisi tra costi e benefici, ad adottare soluzioni tecnologiche maggiormente ecocompatibili. Non a caso, a far data dall’emanazione della Direttiva 2003/87/CE, il sistema ha fornito dati fortemente incoraggianti in termini di riduzione delle emissioni inquinanti. Ciononostante, la Commissione europea ha palesato la necessità di intervenire nel prossimo futuro in maniera ancora più ferma per quanto concerne il contesto delle produzioni industriali che richiedono normalmente elevate soglie di sfruttamento energetico [43]. È in tale ottica, ed in particolare in base alla previsione di un ulteriore innalzamento dei target europei di contenimento delle emissioni di CO2 [44] (come disposto dal c.d. pacchetto Fit for 55) e di una progressiva riduzione anche delle quote assegnate gratuitamente a taluni settori produttivi, che nell’ultimo biennio si è assistito ad un esponenziale incremento dei prezzi e dei volumi negoziati nel mercato delle quote di emissione [45]. In effetti, specifiche analisi di mercato hanno evidenziato come i prezzi di scambio praticati nel mercato europeo dell’Emissions Trading System hanno raggiunto nell’anno 2021 il picco massimo di euro 80 per tonnellata di CO2, ossia un valore superiore più del doppio rispetto al prezzo mediamente negoziato nel medesimo mercato nell’anno 2020. Tale aumento, se da una parte ha consentito ai Paesi membri UE di incrementare anche le entrate patrimoniali [46] e tributarie ritraibili dalle movimentazione dei menzionati diritti, recuperando in tal modo risorse che possono essere destinate per mitigare l’effetto dei costi della transizione ecologica sui cittadini e sulle imprese più vulnerabili, dall’altro, ha comportato, unitamente ad altri fattori, anche un effetto negativo a boomerang, incidendo fortemente sul rialzo dei prezzi al consumo di prodotti energetici e beni primari; il tutto con un effetto inflattivo che ha assunto negli ultimi tempi allarmanti connotati di tipo sociale. Difatti, l’aumento dei costi della produzione – tra i quali va sen­z’altro [continua ..]


NOTE