Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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La residenza fiscale delle persone fisiche ed il principio di tassazione su base mondiale alla prova del XXI secolo: critica della disciplina vigente e prospettive di riforma (di Claudio Sacchetto e Lorenzo Pennesi)


Il principio di tassazione su base mondiale applicato alle persone fisiche esprime la pretesa dello Stato di imporre la propria sovranità fiscale sui soggetti passivi che nel suo territorio hanno residenza, in relazione ai redditi ovunque prodotti nel mondo. La giustificazione logico-giuridica di tale principio è ravvisabile nella appartenenza economica del consociato alla “comunità-Stato” (c.d. economic allegiance) e conserva, nella società tecnologica e globalizzata del terzo millennio, una sostanziale attualità di carattere politico e strategico, tutelando l’equità e la neutralità del prelievo. I criteri di attribuzione della residenza fiscale previsti dall’art. 2 TUIR appaiono invece connotati da plurime problematiche applicative e da una eccessiva vaghezza contenutistica, tale da rendere talora irragionevole l’applicazione del principio in commento. La recente L. delega 9 agosto 2023, n. 111 per la riforma del sistema tributario, cui ha fatto seguito il D.Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209, rivede i citati criteri, ma non sembra pervenire ad una soddisfacente rivisitazione della materia. Nell’ambito di una ricerca sviluppata in seno alla European Association of Tax Law Professors (EATLP), sono state sviluppate alcune riflessioni circa nuovi possibili criteri di determinazione della residenza, che trovano nella valorizzazione degli “atti di consumo” del reddito e patrimonio un originale ed oggettivo indicatore del collegamento con il territorio dello Stato.

The residence of individuals for tax purposes and the worldwide tax principle in the 21st Century: critical remarks and prospects for reform

The worldwide tax principle applied to natural persons expresses the State’s claim to impose its fiscal sovereignty on taxable subjects who have their residence within its territory, in relation to the income produced anywhere in the world. The logical-legal justification of this principle finds its roots in the economic belonging of the taxpayer to the “State-community” (so-called economic allegiance) and retains, in the technological and globalised society of the third millennium, a substantive relevance of a political and strategic nature, protecting the tax levy’s equity and neutrality. The criteria for attributing tax residence provided by Art. 2 TUIR, instead, appear to be characterised by multiple practical problems and excessive vagueness in their content, such as to sometimes make the application of the principle in question unreasonable. The recent Delegation Law no. 111 of 9 August 2023, concerning the reform of the tax system, which was followed by Legislative Decree no. 209 of 27 December 2023, reviews the abovementioned criteria, but does not seem to reach a satisfactory restyling of the matter. As part of research developed within the European Association of Tax Law Professors (EATLP), some remarks have been developed regarding new possible criteria for determining the tax residence, which find in “acts of consumption” of income or wealth an original and objective indicator of the connection with the territory of the State.

SOMMARIO:

1. Premessa [1] - 2. Profili generali del principio di tassazione su base mondiale - 3. I criteri di determinazione della residenza fiscale per le persone fisiche - 3.1. L’iscrizione alla anagrafe della popolazione residente: analisi e critica - 3.2. Il domicilio civilistico: analisi e critica - 3.3. La residenza civilistica: analisi e critica - 4. La persistente attualità del principio di tassazione su base mondiale e la necessaria revisione dei criteri di determinazione della residenza fiscale - 5. Le modifiche ai criteri di determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche alla luce della L. delega 9 agosto 2023, n. 111 e del D.Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209 - 6. Alcune considerazioni de jure condendo circa un nuovo ed originale schema di attribuzione della residenza fiscale per le persone fisiche - 7. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Premessa [1]

“La terra risulta legata al diritto in un triplice modo. Essa lo serba dentro di sé, come ricompensa del lavoro; lo mostra in sé, come confine netto; infine lo reca su di sé quale contrassegno pubblico dell’ordinamento. Il diritto è terraneo e riferito alla terra” [2]. La citazione che precede svela una verità che le scienze giuridiche dimostrano di aver compreso da tempo: la territorialità del diritto rappresenta il fondamento di ogni ordinamento statuale moderno giacché non può esistere un potere, espresso e codificato in norme di legge, che sia privo di territorio [3]. In questa prospettiva, il potere fiscale non è immune alla forza attrattiva esercitata dalla logica territoriale del diritto atteso che la norma tributaria deve misurarsi con il duplice problema di stabilire quale Stato abbia diritto di esigere l’imposta e, in conseguenza, entro quali limiti farlo [4]. Secondo l’insegnamento della dottrina più autorevole, l’efficacia della norma tributaria nello spazio non si arresta dinanzi a fattispecie connotate da elementi di transnazionalità o parziale estraneità rispetto al territorio della Repubblica, a patto che sia ravvisabile un collegamento minimo, sulla scorta di criteri aventi carattere reale ovvero personale [5]. In altri termini, la potestà impositiva dello Stato non recede ove il presupposto d’imposta sia espressione di un indice di capacità contributiva che, secondo canoni di ragionevolezza, può essere ricondotto al territorio nazionale. La dimensione territoriale assume pertanto una importanza qualificante nel definire le condizioni di esercizio del potere tributario dello Stato atteso che il legislatore, inserito all’interno di un articolato contesto internazionale, deve necessariamente contemplare l’esistenza di altre realtà statuali nel definire gli elementi della fattispecie tributaria che giustificano il prelievo di ricchezza ovvero che, in antitesi, ne impediscono o limitano la materiale attuazione [6]. Le opzioni di politica fiscale, finalizzate a definire sul piano territoriale l’impo­si­zione sui redditi, si sviluppano pertanto lungo una chiara direttrice, dovendosi perimetrare l’ampiezza della prestazione tributaria in ragione della appartenenza soggettiva del contribuente alla “comunità-Stato” e [continua ..]


2. Profili generali del principio di tassazione su base mondiale

Il principio di tassazione su base mondiale, che prevede l’esercizio della potestà impositiva anche sui redditi prodotti al di fuori dei confini dello Stato, in ragione di un collegamento di natura personale del contribuente (cittadinanza o residenza [16]), è condiviso – seppur in maniera ibrida – da tutti gli ordinamenti occidentali, i quali vi hanno da sempre ravvisato la più nobile affermazione della propria sovranità politica e giuridica [17]. Sin dalle prime teorizzazioni del secolo scorso, invero, è emerso che la sovranità dello Stato si manifesta mediante la libera produzione di norme giuridiche e nell’uso della forza, a titolo monopolistico, al fine di ottenerne l’effettiva attuazione [18]. Ciò si traduce, per ciò che concerne la materia fiscale, nella astratta (e legittima) possibilità di assoggettare ad imposizione i redditi ovunque prodotti nel mondo, purché sussista un collegamento razionale, almeno di ordine soggettivo, con il territorio fisico dello Stato, in cui tale “potestà d’imperio” si esplica [19]. Si è infatti osservato che l’esercizio di una piena sovranità fiscale sui “consociati”, ossia su coloro che vivono all’interno dello Stato ovvero che in esso hanno primari interessi di ordine personale ed economico, non tollera l’apposizione di limiti in quanto i predetti consociati sono parte attiva del binomio “comunità-Stato”, ne condividono le leggi e accedono ai servizi che lo Stato è in grado di garantire (secondo una logica simmetrica di corrispettività) [20]. Peraltro, alla luce del contesto storico della prima metà del XX secolo in cui il principio di tassazione su base mondiale è maturato, si è constatato come esso offrisse alle casse erariali un cospicuo vantaggio finanziario, permettendo di intercettare il profitto di tutti quei contribuenti dediti allo svolgimento di una attività economica di rilievo internazionale [21]. A queste osservazioni, di carattere politico e giuridico, se ne sommano poi altre di ordine economico, debitamente individuate dalla scuola nordamericana. La tassazione mondiale, secondo tali autorevoli insegnamenti, soddisferebbe due esigenze fondamentali di ogni ordinamento fiscale moderno: equità e neutralità [22]. In specie, [continua ..]


3. I criteri di determinazione della residenza fiscale per le persone fisiche

Si è detto che la residenza fiscale è una nozione centrale della materia tributaria poiché permette di selezionare i contribuenti nei confronti dei quali è ammissibile un prelievo fiscale esteso a tutti i redditi ovunque prodotti nel mondo [29]. Tuttavia, nonostante la funzione svolta, la residenza fiscale rappresenta solo l’e­sito di un giudizio, il cui contenuto è informato a criteri selezionati a monte dal legislatore, secondo un apprezzamento da effettuarsi caso per caso. Questi criteri, secondo il disposto dell’art. 2, comma 2, TUIR, consistono da quasi quarant’anni i) nella iscrizione alle anagrafi della popolazione residente, ii) nel domicilio civilistico, ovvero iii) nella residenza civilistica nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo di imposta [30]. Si tratta di tre regole fondate su evidenze fattuali, desumibili da pubblici registri ovvero da fatti concludenti, che si intersecano con un elemento temporale – integrazione dell’uno o dell’altro criterio per 183 giorni all’anno – in modo tale da denotare la sussistenza di un rapporto qualificato ed oggettivo con la “comunità-Stato”. Il legislatore ha invece abbandonato, quale criterio utile a giustificare l’applica­zione del principio di tassazione su base mondiale, il possesso della cittadinanza italiana che era contemplato dal previgente D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (TUID) [31] e che non appare ad oggi più idoneo a fotografare la predetta “appartenenza economica” della persona fisica al territorio dello Stato, rappresentando uno status politico utile alla configurazione di diritti ed obblighi, si pensi al diritto di voto, estranei alla materia fiscale [32]. I criteri adottati, che poggiano evidentemente su nozioni proprie del diritto civile [33], hanno tuttavia offerto negli anni plurime problematiche applicative, riconducibili sia alla laconica formulazione normativa, che alla vaghezza dei rispettivi significanti lessicali, rendendo talora ostico per l’interprete individuare l’esatto perimetro giuridico della residenza fiscale delle persone fisiche.


3.1. L’iscrizione alla anagrafe della popolazione residente: analisi e critica

Il primo criterio enunciato dall’art. 2, comma 2, TUIR consiste nella iscrizione alle anagrafi della popolazione residente, con il quale si eleva una circostanza prettamente formale a presupposto della tassazione su base mondiale [34]. Invero, si tratta di un criterio concepito dal legislatore per la sua immediata ed agevole applicabilità giacché dal semplice formalismo dell’iscrizione, verificabile in maniera oggettiva, consegue la presunzione circa l’appartenenza dell’individuo all’in­sieme della “comunità-Stato” [35]. Per l’effetto, colui che trasferisce la propria residenza all’estero, al fine di sottrarsi agli effetti della succitata norma, è chiamato a comunicare tempestivamente tale mutamento alle autorità amministrative preposte, provvedendo alla cancellazione dalla anagrafe della popolazione residente ed alla consequenziale iscrizione all’AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) [36]. Il criterio in esame, pur fondandosi su di una base logico-giuridica condivisibile, appare tuttavia irragionevole ove si esaurisca in una mera constatazione dell’ele­mento formale, rendendo irrilevante ogni diversa prova o valutazione. In altri termini, la persona fisica che per incolpevole dimenticanza ometta di cancellarsi dall’anagrafe della popolazione residente, pur vivendo stabilmente all’estero, subisce l’applicazione del principio di tassazione su base mondiale e non ha modo di sottrarsi all’obbligo impositivo che ne consegue, secondo un rigido paradigma di forma che prevale sulla sostanza [37]. Invero, la Suprema Corte, più volte chiamata a pronunciarsi sul tema, individua nell’art. 2, comma 2, TUIR una tipizzazione legale che non ammette prova contraria, essendo destinata a segnare un autonomo criterio identificativo della residenza fiscale, secondo un rigido apprezzamento di carattere politico già effettuato dal legislatore e non suscettibile di diversa interpretazione [38]. Una siffatta linea interpretativa, che costituisce ormai jus receptum, non appare accettabile poiché tramuta una regola evidentemente volta a semplificare l’attività accertativa dell’Amministrazione finanziaria, nonché a presidiare la certezza del gettito, in uno strumento arbitrario di prevaricazione sul contribuente, il quale rischia di essere [continua ..]


3.2. Il domicilio civilistico: analisi e critica

Il secondo – ma rilevantissimo – criterio previsto dall’art. 2, comma 2, TUIR per l’attribuzione della residenza fiscale è dato dalla sussistenza in Italia del domicilio civilistico per la maggior parte del periodo d’imposta. Invero, l’art. 43 c.c. definisce il domicilio come il luogo in cui la persona “ha stabilito la sede principali dei suoi affari ed interessi”, introducendo una nozione elastica e dai confini indeterminati, che esprime un collegamento soggettivo al territorio variamente rappresentato dagli interessi familiari od economici, ovvero dalla sovrapposizione di entrambi gli elementi [45]. L’opzione legislativa per il criterio in commento poggia su di una evidenza di ordine logico: il luogo che funge da centro degli interessi personali del contribuente presuppone la volontà di una presenza significativa, anche se non fisica o stabile, nel territorio dello Stato e, in ogni caso, esprime una relazione qualificata con esso che, anche in prospettiva commutativa, giustifica l’applicazione del principio di tassazione su base mondiale [46]. Tuttavia, il domicilio civilistico ha sempre comportato notevoli problematiche applicative giacché, spesso utilizzato dall’Amministrazione finanziaria [47] per ricondurre in Italia la residenza di soggetti formalmente residenti all’estero, si connota per una intrinseca vaghezza circa la definizione degli “interessi” che fungono da fattori di attrazione della residenza fiscale e si presta pertanto alle più eterogenee (e talora irragionevoli) interpretazioni [48]. In primo luogo, gli affari ed interessi sono sovente ricondotti dalla giurisprudenza e dall’Amministrazione finanziaria alla sfera affettiva e delle relazioni familiari, secondo un apprezzamento che, sebbene possa talora essere indice effettivo di una relazione privilegiata con il territorio dello Stato [49], può in altrettanti casi risultare fuorviante poiché è palese che i legami affettivi non permettano – su di un piano razionale – di allocare la capacità contributiva in Italia, ove il contribuente viva esclusivamente all’estero, ivi detenendo i propri asset ed esercitando la propria attività lavorativa. Il rischio che ne consegue è di ritenere come fiscalmente residente in Italia ogni soggetto che abbia nello Stato i propri familiari o financo [continua ..]


3.3. La residenza civilistica: analisi e critica

L’ultimo criterio individuato dall’art. 2, comma 2, TUIR consiste nel possesso della residenza ai sensi del codice civile per la maggior parte del periodo d’imposta. Tale criterio, da sempre oggetto di minore attenzione presso gli interpreti rispetto agli altri due sin qui esaminati, è identificato con il “luogo in cui la persona ha la dimora abituale” ed esprime pertanto una correlazione diretta col territorio dello Stato [57]. La residenza civilistica presuppone infatti la sussistenza di un luogo fisico nel quale il consociato possa abitare (la c.d. dimora) e, contestualmente, di un elemento soggettivo, afferente alla sfera psichica, rappresentato dalla volontà di permanere stabilmente presso la dimora prescelta. Tale ultimo requisito, tuttavia, non deve essere necessariamente interpretato quale intenzione di una permanenza ininterrotta e prolungata nel tempo ma quale mera “volizione d’animo”, ossia quale specifica attitudine della persona fisica a conservare in quel dato luogo la propria abitazione e a farvi ritorno ogni qual volta ciò sia possibile per ragioni economiche ed affettive (quindi, anche a seguito di prolungate assenze) [58]. Il principale aspetto problematico di questo criterio è ravvisabile, ancora una volta, nel fatto che in esso si insinua pertanto un elemento evanescente, rappresentato dalla volontà di eleggere un luogo a propria stabile dimora, tale da imporre una indagine sulla imponderabile sfera psichica individuale, analoga a quella richiesta per l’individuazione del domicilio [59], e, talora, in grado di produrre esiti distonici rispetto al principio di capacità contributiva [60]. Ad esempio, un soggetto che abbia la propria unica abitazione in Italia ma che, in realtà, sia iscritto all’AIRE e si trovi a viaggiare costantemente nel mondo per la propria attività lavorativa alle dipendenze di una società estera, potrebbe vedersi applicato il principio di tassazione su base mondiale, pur manifestando un legame assai labile con il territorio dello Stato [61]. Il criterio in commento, ad avviso di chi scrive, accede pertanto ad un’area di eccessiva aleatorietà giacché presuppone valutazioni che solo parzialmente sono ancorate a dati tangibili, legate a profili oggettivo-quantitativi della durata della dimora, richiedendo per la restante parte un esame di carattere [continua ..]


4. La persistente attualità del principio di tassazione su base mondiale e la necessaria revisione dei criteri di determinazione della residenza fiscale

Sostiene autorevole dottrina che “è proprio sull’uguaglianza che si fonda la legittimità etica dello Stato sociale impositore e la sua funzione mediatrice e distributiva” di modo che, per raggiungere questa parità di chances tra consociati, lo Stato è legittimato ad esercitare la sua potestà impositiva secondo precisi canoni di “razionalità, coerenza, logicità, congruità e proporzionalità” [62]. Ad avviso di chi scrive, tale lente prospettica appare imprescindibile per comprendere se il principio di tassazione su base mondiale applicato alle persone fisiche ed i relativi criteri applicativi possano dirsi, nella società interconnessa e globalizzata del XXI secolo, ancora attuali ed ammissibili [63]. Si è detto che il suddetto principio trova fondamento nel “dominio fiscale” dello Stato, il quale è tale in forza della sovranità che esso esercita sul proprio territorio e sui propri consociati, financo estendendosi ai redditi derivanti da fattispecie transnazionali [64]. Nell’esperienza giuridica italiana, l’art. 53 Cost. ha implicitamente attratto il principio all’interno della Carta Costituzionale e vi ha attribuito legittimità, giustificando una maggiore intensità del prelievo fiscale, in chiave solidaristica, in capo ai contribuenti che manifestano un intenso (e ragionevole) collegamento soggettivo con il territorio nazionale, accedendo ai doveri e privilegi che sono corollario della appartenenza alla “comunità-Stato” [65]. Invero, l’adozione del principio di tassazione mondiale rispecchia l’effettività della capacità contributiva poiché permette di misurare l’incremento di ricchezza conseguito dal contribuente in maniera globale ed unitaria, indipendentemente dal luogo in cui tale ricchezza ha avuto origine [66]. L’uguaglianza cui deve tendere il sistema tributario appare meglio presidiata dal principio in commento poiché declina secondo ragionevolezza il grado di partecipazione alle spese pubbliche in ragione del parallelo grado di appartenenza alla comunità degli individui cui tali spese sono indirizzate [67]. Così argomentando, si ritiene che il worldwide taxation principle palesi una persistente attualità, che diviene irrinunciabile nel contesto [continua ..]


5. Le modifiche ai criteri di determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche alla luce della L. delega 9 agosto 2023, n. 111 e del D.Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209

L’urgenza di rivedere i criteri di determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche, alla luce delle ragioni dinanzi esposte, è stata chiaramente percepita dal legislatore che con l’art. 3, comma 1, lett. c), della L. delega 9 agosto 2023, n. 111 ha espresso la volontà di modificare le regole esistenti, allineandole alla migliore prassi internazionali, nonché alle regole desumibili dalle Convenzioni contro la doppia imposizione [75]. Alla luce della predetta delega, il Governo ha quindi approvato il D.Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209 [76], il quale è intervenuto sul testo dell’art. 2, comma 2, TUIR, dettando un mutato indirizzo per l’individuazione della residenza fiscale, ad oggi vigente [77]. La nuova formulazione dei criteri, ad una prima analisi, appare solo in parte soddisfacente poiché, lungi dal risolvere le incertezze che si sono segnalate nei precedenti paragrafi, adotta formule ambigue, di primo acchito idonee a generare frizioni tra contribuenti ed Amministrazione finanziaria, alimentando uno scenario di incertezza applicativa. Trattandosi di disposizioni di recentissima introduzione [78], appare opportuno – in questa sede – limitarsi ad un breve commento dei soli aspetti che appaiono più salienti ovvero meno condivisibili. Rovesciando la prospettiva adottata dal vigente art. 2, comma 2, TUIR, il legislatore delegato attribuisce preminenza, quale criterio di collegamento, alla residenza civilistica e al domicilio che, tuttavia, non risulta più ancillare alla nozione espressa dal codice civile [79]. Il domicilio fiscale, secondo la novella di legge, corrisponde al luogo in cui si sviluppano, per la maggior parte dell’anno, le relazioni personali e familiari del consociato. Con effetto dirompente, la norma esclude la rilevanza degli interessi patrimoniali – che, al contrario, sono sempre parsi maggiormente idonei ad allocare la capacità contributiva entro il perimetro dello Stato [80] – valorizzando in via esclusiva una dimensione, quella affettiva, che mal si presta a dimostrare l’“appartenenza economica” del consociato alla “comunità-Stato” [81]. Il legislatore delegato, pur prefiggendosi l’obiettivo di ancorare di domicilio a parametri oggettivi, omette di considerare che le relazioni affettive possono essere oggi coltivate su di un piano [continua ..]


6. Alcune considerazioni de jure condendo circa un nuovo ed originale schema di attribuzione della residenza fiscale per le persone fisiche

A valle delle riflessioni che precedono, aderendo all’invito del Prof. Manfred Moessner [87], si può ora delineare un possibile schema alternativo ed originale – quindi del tutto nuovo – di attribuzione della residenza fiscale. Chi scrive è consapevole che le regole che verranno illustrate sono, attualmente, di non immediata applicazione, anche per l’assenza di una fiscalità coordinata a livello sovranazionale ed europeo [88]. Tuttavia, si ritiene che tali principi possano nondimeno offrire un interessante spunto di riflessione, utile a favorire – in una futura prospettiva de jure condendo – una moderna evoluzione del tema. Il presupposto da cui si ritiene di partire è che la materia tributaria deve essere connotata, in relazione ad ogni suo aspetto, da un elevatissimo grado di certezza del diritto, dovendosi prediligere l’introduzione di regole e criteri oggettivi, inidonei ad interpretazioni mutevoli o faziose [89]. Su questa premessa logico-giuridica, lo schema di attribuzione della residenza fiscale alle persone fisiche dovrebbe essere improntato alla combinazione funzionale di pochissimi criteri, funzionali a suggerire una relazione stabile e certa del consociato rispetto al territorio e, per mezzo di esso, alla “comunità-Stato”. Il primo di questi criteri è noto e già presente nell’ordinamento domestico, essendo rappresentato dalla iscrizione alla anagrafe della popolazione residente, mentre il secondo, del tutto nuovo ed originale, è dato dal consumo del reddito all’inter­no del territorio dello Stato [90]. L’iscrizione anagrafica conserverebbe pertanto l’attuale funzione di identificare la residenza fiscale del consociato in via primaria atteso che l’efficacia del criterio nel provare l’esistenza di un collegamento con lo Stato appare consolidata. Invero, al netto di casi eccezionali, solo chi ha un preciso centro di interessi all’interno dello Stato, siano essi affettivi ovvero patrimoniali, si trova iscritto all’anagrafe della popolazione residente e conserva scientemente tale iscrizione [91]. Al fine di salvaguardare l’effettività del principio di capacità contributiva ed in conformità con i principi tracciati dalla L. delega 9 agosto 2023, n. 111, tale criterio sarebbe tuttavia destinato ad avere un valore esclusivamente [continua ..]


7. Considerazioni conclusive

La lungimiranza del pensiero di Gian Antonio Micheli, tra i primissimi a studiare le relazioni tra fiscalità e territorio, sul piano domestico ed internazionale, è resa quanto mai evidente dalla lucidità di talune argomentazioni che, ancora oggi, fungono da efficace sintesi ante tempus delle questioni che sono state affrontate in questo scritto [101]. Secondo Micheli, la potestà di imposizione dello Stato, declinata in termini di sovranità fiscale, deve essere sempre esercitata sulla scorta di ragionevoli elementi di collegamento con il suo ordinamento atteso che la natura extra-territoriale del reddito conseguito all’estero impone di ricercare a monte una relazione qualificata, in chiave soggettiva od oggettiva, con il territorio statuale, tale da consentire l’“esercizio effettivo e ragionevole” della norma tributaria [102]. In questa prospettiva, chi scrive ritiene che il principio di tassazione su base mondiale, finalizzato ad intercettare la capacità contributiva espressa all’estero dai membri della “comunità-Stato” sia ancora oggi irrinunciabile se sapientemente ancorato alla “effettività” e “ragionevolezza” della norma tributaria che ne dà attuazione, come preconizzato proprio da Micheli. Nell’odierno contesto globale, connotato dal nomadismo (fisico e digitale) delle persone fisiche e dalla celere traslazione del reddito da una giurisdizione all’altra, il principio di tassazione su base mondiale è l’unico in grado di assicurare il rispetto della capacità contributiva espressa dall’individuo, la quale non può esimersi dall’in­tercettare i redditi ovunque prodotti dal contribuente, preservando al contempo la neutralità negli investimenti ed attenuando il rischio di sacche di impunità fiscale [103]. Il sintagma dell’“economic allegiance”, ossia dell’appartenenza economica del consociato all’insieme della “comunità-Stato”, appare in definitiva un valore non sacrificabile dall’ordinamento tributario moderno, essendo oggi – ancor più che in passato – un “elemento determinante per l’assoggettabilità al potere tributario di uno Stato e per l’attribuzione della sovranità tributaria nell’ambito delle imposte dirette sul reddito [continua ..]


NOTE