Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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I limiti europei all'imposizione patrimoniale: analisi ricostruttiva e riflessioni de iure condendo (di Claudio Cipollini)


Nell’attuale contesto pandemico la ricerca di nuove forme di prelievo per finanziare la crescente spesa pubblica riporta all’attenzione il dibattito intorno al limite massimo dell’imposizione patrimoniale. Muovendo dai precedenti sforzi della dottrina, il presente contributo affronta il medesimo tema adottando una prospettiva di analisi incentrata sul diritto europeo. Viene così ricostruita la dialettica tra ordinamento europeo e ordinamento interno con l’individuazione dei limiti esterni entro il quale il legislatore nazionale può legittimamente fare uso della leva impositiva. I risultati, nel confermare l’esistenza di un limite massimo, suggeriscono di valorizzare una lettura in chiave garantista del principio di capacità contributiva, aprendo la strada ad un effettivo bilanciamento tra il prelievo tributario e le altre libertà economiche costituzionalmente tutelate. Su queste basi, viene altresì sostenuta la necessità di un intervento del legislatore nazionale sul quantum del limite massimo dell’imposizione patrimoniale, con un’ipotesi de jure condendo sulle caratteristiche di una norma ad hoc inserita nello Statuto dei diritti del contribuente. Le conclusioni auspicano un cambio di passo dell’ordinamento interno, con la presa di coscienza dei limiti europei all’imposizione patrimoniale e la conseguente definizione di una regola generale sul quantum in grado di superare gli approcci casistici basati sul dato qualitativo.

 

The european limits to wealth taxation: reconstructive analysis and de iure condendo remarks

In the current pandemic context, the search for new forms of taxation to finance the growing public expenditure brings again the attention on the debate concerning the maximum limit of wealth taxes. Starting from the previous efforts made by scholars, this study tries to analyse the topic through an analytical approach based on European law. The dialectic between European and national legal systems is thus reconstructed with the identification of the external limits within which the national lawmaker may legitimately make use of the tax lever. The results, in confirming the existence of a maximum limit, suggest to enhance an application of the ability to pay principle, paving the way for an effective balance between the tax levy and other constitutionally protected economic freedoms. On this basis, the need for intervention by the national lawmaker on the threshold identifying the maximum limit of property taxation is also supported, with a de jure condendo hypothesis, on the characteristics of an ad hoc provision included in the Taxpayer’s Bill of Rights. The conclusions call for a change of pace in the national system, with the awareness of the European limits to property taxation and the consequent definition of a general rule on the threshold capable of overcoming the case-by-case approaches based on qualitative data.

Keywords: wealth taxation, maximum tax limit, fundamental rights of the individual, Treaty on European Union, ECHR.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il dibattito nazionale sul limite massimo del prelievo patrimoniale - 3. Segue: la tesi contraria all’esistenza di un limite massimo - 4. Segue: la tesi favorevole - 5. Segue: il problema irrisolto del quantum del limite massimo - 6. Analisi ricostruttiva alla luce dei principi europei - 7. Segue: la proprietà privata come diritto fondamentale dell’ordinamento europeo - 8. Segue: l’obiettivo di crescita economica nel Trattato sull’Unione Europea - 9. Segue: i tax ceilings nelle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri - 10. Sintesi ricostruttiva della dialettica tra ordinamento europeo e ordinamento interno - 11. Sulla necessità di un intervento del legislatore nazionale sul quantum del limite massimo - 12. Ipotesi de iure condendo per un criterio normativo di quantificazione - 13. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

La grave crisi economica dovuta alla pandemia comporta il riemergere di un vivace dibattito sulla possibilità di introdurre una nuova forma di prelievo di natura patrimoniale nel nostro ordinamento. Le misure di sostegno approntate dall’esecutivo, necessarie al rilancio delle imprese e alla tutela delle fasce più deboli della popolazione, contribuiscono ad alimentare il rischio di un aumento del debito pubblico senza precedenti. In questa situazione, diventa giocoforza pensare a nuove soluzioni per finanziare la crescente spesa pubblica e raggiungere un equilibrio sostenibile per le politiche di bilancio a medio e lungo termine. Il contesto attuale offre quindi l’occasione per riflettere sulla necessità di una riforma complessiva del sistema fiscale e, in particolare, sull’ipotesi di una redistribuzione del carico tributario basata anche su una forma di imposizione di tipo patrimoniale. Sono ben note le critiche avanzate verso l’attuale sistema incentrato sul­l’imposta sul reddito delle persone fisiche; secondo alcune autorevoli voci, le aliquote vigenti determinano la concentrazione del carico tributario sui redditi medi con conseguenti effetti negativi su una serie di variabili macroeconomiche, quali i consumi e la produttività del fattore lavoro. I sostenitori del progetto riformatore mirano a realizzare un intervento di ampia portata capace di rimodulare il prelievo sfruttando le diverse caratteristiche dell’impo­sizione reddituale e patrimoniale; l’obiettivo è quello di ridisegnare la progressività del sistema mediante l’apertura verso un più ampio spettro di indici di capacità contributiva e dare vita ad un rinnovato patto sociale in linea con i principi costituzionali [1]. La delicatezza di un intervento del genere è fuori discussione. Una svolta verso un’imposizione di tipo patrimoniale significherebbe modificare gli assetti dei vari indici di capacità contributiva con conseguente destabilizzazione degli equilibri e degli interessi delle parti coinvolte. Per questo motivo, ogni fuga in avanti richiede un’attenta e scrupolosa valutazione preliminare diretta ad individuare quali siano i limiti entro i quali possa legittimamente muoversi il legislatore. Il punto di partenza di questa indagine può contare su un dato che costituisce ormai ius receptum. Dottrina e giurisprudenza sono infatti concordi [continua ..]


2. Il dibattito nazionale sul limite massimo del prelievo patrimoniale

Il tema del limite massimo del prelievo di natura patrimoniale è stato oggetto di un ampio dibattito in dottrina, oltreché di alcune significative pronunce della Corte costituzionale. Tuttavia, ancora oggi i risultati raggiunti non consentono di pervenire a conclusioni univoche con riguardo al fondamento giuridico del limite massimo del prelievo patrimoniale. Da una parte, infatti, la Corte costituzionale, e con essa la dottrina minoritaria, contestano l’esistenza stessa del limite in questione, facendo leva su una lettura autoreferenziale del principio di capacità contributiva che rifiuta ogni dialettica con i diritti economici tutelati nella carta costituzionale, quali la libertà di iniziativa economica, la proprietà privata o il risparmio. Dall’altra, la dottrina maggioritaria si muove in senso diametralmente opposto difendendo la tesi favorevole all’esistenza di un limite siffatto mediante una lettura sistemica capace di valorizzare quei medesimi diritti economici tutelati dalla Costituzione. La complessità e la varietà delle argomentazioni utilizzate per supportare le rispettive tesi richiede quindi un’attenta disamina della letteratura in materia allo scopo di fornire una panoramica esaustiva delle diverse linee di pensiero.


3. Segue: la tesi contraria all’esistenza di un limite massimo

La tesi contraria prende le mosse da alcune pronunce della Corte costituzionale che, facendo leva sul principio di capacità contributiva, arrivano a giustificare qualsiasi forma di prelievo coattivo laddove indirizzato a fare fronte alle esigenze dei conti pubblici. Le libertà economiche tutelate nella Costituzione vengono messe in secondo piano rispetto alle ragioni del fisco; al contempo, si assiste all’emergere di una concezione autoreferenziale della capacità contributiva intesa come “idoneità generale del singolo a concorrere alla spese pubbliche” [5]. Secondo tale indirizzo, non vi è spazio per ulteriori approfondimenti sugli effetti del prelievo tributario sulle libertà economiche spettanti al cittadino-contribuente; ciò in quanto la legge tributaria darebbe luogo esclusivamente ad un’obbligazione pecuniaria verso la Stato cui il soggetto passivo è tenuto “con tutto il suo patrimonio e non soltanto con il bene colpito” [6]. In definitiva, non vi sarebbe alcun effetto ablatorio derivante dal prelievo tributario, restando i diritti economici al di fuori del perimetro del sindacato della Corte. Partendo da tali assunti, la Corte costituzionale ha negato in più occasioni l’esistenza di un limite massimo dell’imposizione patrimoniale respingendo di volta in volta le censure formulate dai giudici remittenti con riguardo alla supposta violazione di diritti economici [7]. Un primo gruppo di pronunce riguarda le censure mosse con riguardo alla violazione dell’art. 41 Cost. e, in particolare, al rapporto tra potestà impositiva e diritto di libera iniziativa economica. Secondo il Giudice delle leggi, l’im­posizione fiscale non potrebbe mai costituire un limite alle libertà economiche costituzionali ma dovrebbe essere sempre valutata esclusivamente in ragione dei presupposti formali e sostanziali di cui agli artt. 23 e 53 Cost. [8]; in altre parole, l’esercizio della potestà tributaria deve essere valutato esclusivamente con riguardo al principio di capacità contributiva ed agli interessi ivi protetti. Dunque, secondo tale orientamento, il controllo di costituzionalità si esaurirebbe proprio all’interno del principio di capacità contributiva, restando preclusa la possibilità di estendere l’oggetto di indagine ad altri precetti costituzionali. Viene [continua ..]


4. Segue: la tesi favorevole

La dottrina maggioritaria, dissentendo dalle posizioni esaminate poc’anzi, sostiene con forza la tesi favorevole all’esistenza di un limite massimo per il prelievo patrimoniale [19]. L’opinione diffusa è che vi sia una quota di ricchezza assolutamente intangibile dal fisco; in questo senso il concorso alle spese pubbliche deve essere inteso come un prelievo parziale e, pertanto, lo stesso contribuente, dopo il prelievo fiscale operato, deve pur sempre essere in grado di agire come homo oeconomicus [20]. Su queste basi, la capacità contributiva non viene più concepita come mero criterio di riparto dei carichi pubblici; viene invece valorizzata un’idea di capacità contributiva idonea ad esprimere in concreto la reale attitudine soggettiva all’imposta di ogni cittadino, dando maggior rilevanza al contribuente in quanto titolare non solo del dovere contributivo ma anche di diritti costituzionalmente tutelati. Ne deriva una riscoperta del requisito dell’effettività della capacità contributiva; vi è spazio per una lettura sistemica del dettato costituzionale capace di valorizzare la dialettica tra l’art. 53 Cost. e i principi costituzionali che garantiscono i diritti e le libertà individuali di ciascun contribuente [21]. In tale contesto, diventa imprescindibile il ricorso ad un giudizio di bilanciamento tra differenti valori costituzionalmente tutelati con il superamento di quella visione autoreferenziale della capacità contributiva che, come visto, è stata ampiamente supportata dalla giurisprudenza costituzionale. La nuova prospettiva di analisi offre quindi l’occasione per identificare un collegamento essenziale tra il limite massimo del prelievo patrimoniale e tutti quei precetti costituzionali che tutelano i diritti economici del contribuente. Pare dunque necessario un rinnovato approccio al principio di capacità contributiva che sappia conciliare le esigenze di cassa dell’erario con la necessità di porre un freno all’introduzione di forme di imposizione patrimoniale eccessiva. Partendo da queste premesse, un primo argomento utilizzato dalla dottrina maggioritaria per lo sviluppo della teoria favorevole fa leva sulla tutela della proprietà privata prevista dall’art. 42 Cost. Secondo molti autori, infatti, il rispetto del precetto costituzionale in esame comporta [continua ..]


5. Segue: il problema irrisolto del quantum del limite massimo

Il piano di indagine si complica ulteriormente quando si tratta di identificare precisamente il quantum del limite massimo del prelievo patrimoniale. La dottrina maggioritaria, infatti, pur non avendo dubbi in merito al fondamento concettuale che conferma l’esistenza di un tetto massimo, entra in crisi nel tentativo di compiere il passo logico successivo, costituito appunto dalla esatta determinazione quantitativa del tax ceiling. Come visto, ampia parte della dottrina è concorde nell’affermare che gli artt. 42 e 47 Cost., garantendo l’esercizio dei diritti economici del cittadino contribuente, pongono un limite all’attività di imposizione patrimoniale. Secondo tale orientamento, è dal rispetto di questi precetti costituzionali che dipende la legittimità degli interventi sul prelievo patrimoniale; dunque, un’imposizione eccessiva, con aliquote troppo elevate, potrebbe violare il dettato costituzionale generando effetti ablatori sul patrimonio del contribuente. Tuttavia, nel momento in cui ci si interroga sul contenuto quantitativo del medesimo limite, emerge con evidenza la mancanza di elementi oggettivi di riferimento che possano giustificare la scelta per un determinato valore numerico. Ciò nonostante, la dottrina non ha mancato di abbozzare alcune soluzioni cimentandosi in ricostruzioni sia di tipo qualitativo che di tipo quantitativo volte ad attribuire un contenuto positivo al limite massimo del prelievo patrimoniale. Gli approcci di tipo qualitativo mirano in primo luogo ad isolare quella parte di patrimonio impiegata dal contribuente per lo svolgimento di un’at­tività economica e a considerarla non suscettibile di imposizione patrimoniale. Secondo tale ricostruzione, i beni produttivi dovrebbero essere esenti da tassazione in quanto funzionali alla libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. [28]. In altri casi, gli approcci qualitativi si focalizzano sull’identificazione in concreto di quella fetta del patrimonio del contribuente che è necessaria per condurre una vita libera e dignitosa. Tale impostazione, che valorizza la lettura dell’art. 36 Cost., sviluppa in senso espansivo il concetto del c.d. “minimo vitale” nell’intento di conseguire un risultato di equilibrio tra i diversi precetti costituzionali che rilevano nel giudizio di bilanciamento. In questo senso, l’idea di fondo [continua ..]


6. Analisi ricostruttiva alla luce dei principi europei

In un contesto come quello odierno sempre più caratterizzato dal processo di integrazione europea è evidente come l’indagine oggetto del presente contributo debba muoversi in un orizzonte ampio in grado di abbracciare i principi sanciti a livello sovranazionale. Non è più pensabile un approccio al tema limitato alla prospettiva nazionale che si risolva nella mera considerazione della legittimità di una norma impositiva con riguardo ai parametri costituzionali dell’ordinamento interno. Il fenomeno dell’imposizione patrimoniale richiede un’analisi anche oltre i confini nazionali, capace di valorizzare la dialettica costante con quei diritti individuali di stampo economico che sono tradizionalmente oggetto di particolare enfasi all’interno dell’ordinamento europeo. È ben nota, infatti, la spiccata attitudine del diritto europeo a concentrarsi sulla difesa dei diritti fondamentali dell’individuo, talvolta andando anche in contrasto con gli interessi collettivi tutelati negli ordinamenti nazionali. Gli obiettivi del presente lavoro richiedono quindi un ampliamento dello spettro di indagine al diritto europeo con un’analisi ricostruttiva sviluppata lungo tre linee direttrici fondamentali. La prima linea attiene alla protezione del diritto di proprietà, da intendersi come diritto fondamentale dell’indivi­duo alla luce delle posizioni espresse dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e della Corte EDU. La seconda linea è incentrata su una prospettiva di tipo teleologico e mira a svolgere una valutazione del rapporto sussistente tra limite massimo del prelievo patrimoniale e l’obiettivo di crescita economica stabilito dall’art. 3 TUE. Da ultimo, la terza linea si focalizza sulle tradizioni costituzionali comuni dei Paesi membri ricercando soluzioni condivise sul tema del tax ceiling. Su queste basi, l’analisi mira così ad aprire una strada per superare le incertezze dell’ordinamento nazionale, verificando la sussistenza di argomenti decisivi a livello europeo per quanto concerne l’esistenza di un limite massimo del prelievo patrimoniale e la sua esatta quantificazione.


7. Segue: la proprietà privata come diritto fondamentale dell’ordinamento europeo

Il diritto di proprietà riveste una posizione di particolare rilievo nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento europeo. L’art. 6, comma 1, TUE, nell’attribuire alla Carta di Nizza “lo stesso valore giuridico dei Trattati”, configura il diritto di proprietà ivi previsto come un diritto fondamentale dell’individuo [39]. Al contempo, il comma 3 del citato art. 6 stabilisce espressamente che i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU fanno parte dell’Unione in quanto principi generali; tra questi è ricompreso il diritto di proprietà tutelato dall’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla CEDU. In base a quest’ul­tima disposizione, il diritto di proprietà può essere limitato solo in casi eccezionali, ovverosia per soddisfare una causa di pubblica utilità e nel rispetto delle condizioni previste dalla legge e dai principi del diritto internazionale (comma 1). Gli Stati, dal canto loro, possono porre in vigore le leggi ritenute necessarie per disciplinare l’esercizio del diritto di proprietà in modo conforme all’inte­resse generale o per assicurare il pagamento di imposte, contributi, ammende (comma 2). È fuor di dubbio che la tutela del diritto di proprietà nei termini previsti dalla CEDU abbia un impatto sulla potestà tributaria dei singoli Stati; ciò emerge chiaramente dalla formulazione letterale del sopra citato comma 2 e dai verbali dei negoziati precedenti all’approvazione del Primo Protocollo Addizionale che rivelano la comune intenzione di impedire una arbitrary confiscation tramite l’esercizio del potere impositivo [40]. Per queste ragioni, la questione del limite massimo del prelievo patrimoniale deve necessariamente confrontarsi con la tutela del diritto di proprietà sancita dalle fonti sopra richiamate. In buona sostanza, il diritto di proprietà sancito a livello europeo diviene un ulteriore parametro per misurare la legittimità degli interventi del legislatore tributario [41]. L’architettura del sistema delle fonti, caratterizzata dal primato del diritto europeo sul diritto nazionale [42], comporta così il delinearsi di un quadro dove la tutela del diritto di proprietà produce effetti non solo con riferimento alle fattispecie che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione [continua ..]


8. Segue: l’obiettivo di crescita economica nel Trattato sull’Unione Europea

La disamina dell’ordinamento europeo offre ulteriori spunti di riflessione sul tema del limite massimo dell’imposizione patrimoniale. L’art. 3 TUE contiene un’elencazione di obiettivi perseguiti dall’Unione che consentono di aprire un nuovo campo di indagine; adottando una prospettiva di tipo teleologico, infatti, è possibile valutare la coerenza e la proporzionalità degli interventi del legislatore nazionale rispetto ai medesimi obiettivi. In questa direzione, occorre quindi scrutinare i limiti della potestà tributaria alla luce degli obiettivi indicati dal Trattato per verificare in quali termini l’ordinamento europeo possa in tal caso interferire con le scelte discrezionali del legislatore tributario nazionale. In questo quadro, si impone una riflessione con riguardo all’obiettivo della crescita economica equilibrata richiamato espressamente dall’art. 3, comma 3, TUE. È facile intuire infatti come un’imposizione patrimoniale eccessiva potrebbe pregiudicare il raggiungimento di un obiettivo siffatto; ciò in quanto il prelievo patrimoniale colpisce sovente indici di ricchezza – quali il capitale e il risparmio – che sono direttamente o indirettamente correlati allo sviluppo economico di un Paese. In economia, la crescita economica è un fenomeno caratterizzato da un incremento nel medio-lungo termine dello sviluppo della società con aumento generalizzato del livello delle variabili macroeconomiche [60]. Pertanto, in linea generale, la crescita economica viene riferita alla valutazione di un insieme di aspetti quantitativi dello sviluppo, misurati attraverso le principali grandezze macroeconomiche. È quindi fondamentale valutare nel tempo le variabili che incidono sul processo di crescita economica. Tra queste variabili, i modelli di crescita economica evidenziano l’impor­tanza dei fattori del capitale e del risparmio [61]; trattasi evidentemente di quegli stessi fattori che sono interessati dal prelievo di tipo patrimoniale. Il capitale infatti rappresenta una delle tre variabili – insieme al lavoro impiegato e al progresso tecnico – utilizzate nei modelli neoclassici per spiegare il tasso di crescita del prodotto lordo pro capite [62]. Ne deriva quindi un quadro dove l’accumulazione del capitale diviene un fattore determinante per la crescita economica. Anche il risparmio assume un [continua ..]


9. Segue: i tax ceilings nelle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri

Le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri rappresentano un campo di indagine di fondamentale importanza per gli scopi del presente contributo. Occorre ricordare che l’art. 6, comma 3, TUE, qualifica i diritti fondamentali appartenenti alle tradizionali costituzionali comuni quali principi generali del diritto dell’Unione Europea; tra questi, il diritto di proprietà assume una posizione di particolare rilievo, configurandosi come un principio generale condiviso tra gli Stati [65]. In questo quadro, gli ordinamenti costituzionali risultano spesso incompatibili con interventi legislativi troppo invasivi che vanno a compromettere il diritto di proprietà; conseguentemente, anche un’imposizione patrimoniale eccessiva può porsi in contrasto con il quadro costituzionale nazionale, specie allorquando il prelievo tributario finisce per assumere un carattere espropriativo. In questa direzione, vi sono interessanti pronunce delle corti costituzionali degli Stati membri che fissano specifici criteri per limitare il raggio d’azione del legislatore tributario e ricondurlo ad una dimensione quantitativa compatibile con la sostanza del diritto di proprietà. Negli ordinamenti nazionali, infatti, è spesso avvertita l’esigenza di assicurare al cittadino una determinata quota di ricchezza come intangibile dal fisco, evitando la redistribuzione illimitata e i conseguenti effetti di tipo espropriativo. Il primo caso da esaminare è quello della Germania dove il Budesverfassungsgericht ha avuto modo di esprimersi in più occasioni sull’aspetto quantitativo del limite massimo dell’imposizione patrimoniale ponendolo in una relazione proporzionale con il reddito complessivo presunto del contribuente. Il punto di partenza della corte costituzionale tedesca è la clausola generale di equità prevista dall’ordinamento interno la cui applicazione suggerisce di evitare un prelievo totale – tenendo conto di imposizione reddituale e patrimoniale – in misura superiore al 100% del reddito [66]. L’intenzione è quella di scongiurare la violazione del diritto di proprietà nei casi in cui il contribuente si trovi costretto ad intaccare il capitale medesimo per fare fronte alla medesima obbligazione tributaria. Sviluppando ulteriormente questa linea interpretativa, i giudici tedeschi, con la sentenza 22 giugno 1995 [67], [continua ..]


10. Sintesi ricostruttiva della dialettica tra ordinamento europeo e ordinamento interno

L’analisi svolta finora ha consentito di mettere in luce le spinte propulsive dell’ordinamento europeo in tema di limite massimo del prelievo patrimoniale, tracciando le direttrici fondamentali lungo le quali si va a sviluppare la dialettica con l’ordinamento interno. In questa tensione dialogica, i principi europei operano come limiti esterni all’esercizio della potestà tributaria capaci di definire il perimetro entro il quale il legislatore nazionale può legittimamente fare uso della leva impositiva. Come visto, il primo limite è costituito dalla tutela del diritto di proprietà che viene intesa a livello europeo come un diritto fondamentale dell’indi­viduo, specie alla luce degli accenti contenuti nella Carta di Nizza e nella CEDU. L’idea di fondo è che il prelievo patrimoniale deve in ogni caso consentire la realizzazione economica dell’individuo e, pertanto, l’imposizione deve arrestarsi ben prima della soglia del minimo vitale. In altre parole, le pur legittime richieste dello Stato, volte a reperire le risorse necessarie per il finanziamento della spesa pubblica, devono comunque fare i conti con la tutela della sostanza del diritto di proprietà del contribuente; pertanto, una misura fiscale che privi l’individuo di una parte preponderante delle proprie disponibilità si pone in contrasto con i principi della CEDU che attengono alla tutela del diritto di proprietà [88]. Il secondo limite è incentrato sulla prospettiva teleologica derivante dall’o­biettivo di crescita economica sancito dall’art. 3 TUE. È evidente, infatti, che l’Unione Europea vuole promuovere un’economia di incremento e non di mantenimento, dove i cittadini contribuenti devono essere posti nella condizione di poter migliorare le proprie condizioni economiche anche con riguardo alle variabili del capitale e del risparmio. In un tale disegno, la mancanza di un limite massimo al prelievo patrimoniale finirebbe per impedire il perseguimento dell’obiettivo della crescita economica equilibrata. Non può dunque esserci spazio per la redistribuzione illimitata; ciò in quanto l’obiettivo della crescita economica è un compito non solo delle Istituzioni europee ma anche degli stessi Paesi membri, i quali non possono esimersi dall’adattare le proprie misure fiscali al contesto programmatico di [continua ..]


11. Sulla necessità di un intervento del legislatore nazionale sul quantum del limite massimo

Se l’intenzione del nostro legislatore è davvero quella di riformare il sistema fiscale ponendo l’accento sul patrimonio come indice di capacità contributiva, occorre chiedersi in quale modo un intervento siffatto dovrebbe interfacciarsi con l’acclarata esistenza di un limite massimo al prelievo patrimoniale. Le considerazioni svolte nei precedenti paragrafi infatti consentono di assumere, come dato pacifico di partenza per ogni processo riformatore, la sussistenza di un tetto massimo per tale forma di prelievo tributario sulla base di un’interpretazione sistemica della dialettica tra ordinamento europeo e ordinamento interno. Il problema che si pone a questo punto riguarda ancora una volta l’esatta quantificazione del tetto massimo del prelievo. Vero è che non sussistono dubbi circa l’an di un limite siffatto; tuttavia, nel momento in cui ci si avvicina alla questione del quantum, la giurisprudenza offre solo soluzioni parziali identificando una serie di parametri qualitativi che richiedono un’analisi casistica ben lontana dalla formulazione di regole generali di tipo quantitativo. Nella discussione trova così spazio l’idea di valutare un intervento legislativo ad hoc finalizzato a superare le difficoltà rilevate mediante l’introduzione di un parametro quantitativo di portata applicativa generale. Si tratta di un intervento che, in ipotesi, dovrebbe inserirsi armonicamente nella prospettata riforma del sistema fiscale e rappresentare l’antecedente prodromico alla realizzazione di una nuova imposta patrimoniale. Ad avviso di chi scrive, vi sono molteplici ragioni per auspicare un intervento del legislatore in questa direzione. In primo luogo, la quantificazione esatta del limite del prelievo patrimoniale è necessaria per garantire la certezza del diritto [97]. È inutile dire, infatti, che un approccio meramente qualitativo finisce per rimettere, di volta in volta, ogni valutazione sulla congruità dell’imposizione all’ampia discrezionalità del giudice; una situazione del genere presta il fianco a risultati incerti e dai contorni sfumati che sono preda di facili forzature concettuali spesso trincerate dietro l’affermazione tautologica della ragione fiscale. In secondo luogo, l’attuale approccio casistico – che è logica conseguenza dell’uso di parametri meramente qualitativi – [continua ..]


12. Ipotesi de iure condendo per un criterio normativo di quantificazione

Il passo successivo da compiere è l’elaborazione di un contenuto positivo per la norma deputata a fissare il quantum del limite massimo del prelievo patrimoniale. Difatti, una volta assunta la necessità di un intervento del legislatore nei termini poc’anzi discussi, resta da definire in concreto quali siano i tratti essenziali del criterio normativo di quantificazione. Per tale scopo, occorre affrontare una serie di questioni di tecnica legislativa approntando soluzioni coerenti con i principi dell’ordinamento europeo e dell’ordinamento interno. Il primo problema investe la scelta del parametro sui cui basare la determinazione del limite massimo del prelievo patrimoniale. Al riguardo, la disamina svolta nei paragrafi precedenti consente di individuare due strade alternative che vedono da una parte l’utilizzo di un parametro saldamente ancorato al valore venale del bene patrimoniale colpito dall’imposizione e, dall’altra, l’uti­lizzo di un parametro coincidente con il reddito complessivo conseguito dal contribuente nell’esercizio fiscale precedente. La scelta di riferirsi al valore venale del bene non pare convincente per due ordini di ragioni. In primo luogo, è ormai pacifico che il contribuente, quando fa fronte ad un’imposta di tipo patrimoniale, risponde con tutto il proprio patrimonio e non soltanto con il bene su cui ricade il prelievo patrimoniale; di conseguenza, definire il parametro sulla base del valore venale del singolo cespite significherebbe violare il principio di capacità contributiva, specie nel caso di un contribuente con redditi elevati o anche qualora il nuovo sistema impositivo dovesse colpire solo determinate tipologie di beni patrimoniali lasciandone altre esenti. In secondo luogo, un limite massimo legato al valore venale di un cespite non elimina il rischio di un’imposizione espropriativa. Si pensi al caso di un contribuente con un cospicuo patrimonio e un reddito molto basso conseguito nell’esercizio precedente; in tale ipotesi, il contribuente subirebbe comunque un effetto espropriativo posto che, per fare fronte all’obbligazione tributaria e tenuto conto dell’insufficienza del reddito, dovrebbe ricorrere al­l’alienazione, almeno in parte, del proprio patrimonio. L’altra strada pare invece più coerente con gli obiettivi perseguiti; la quantificazione del limite massimo mediante [continua ..]


13. Conclusioni

I risultati di questo lavoro consentono di rispondere in termini ampiamente positivi all’interrogativo sull’esistenza del limite massimo del prelievo patrimoniale. L’adesione dell’Italia all’ordinamento europeo impone un bilanciamento del rapporto tra libertà economiche e prelievo tributario il cui esito non può che confermare la necessità di limitare la potestà tributaria sotto il profilo del quantum. Il sistema di valori e tutele di matrice europea, che riguardano in primis il diritto di proprietà, fanno ingresso nel nostro ordinamento con vigore, fornendo una chiave di lettura della carta costituzionale basata su un rinnovato equilibrio tra interessi collettivi e libertà individuali. In questo quadro, la capacità contributiva riscopre la sua funzione garantista e si apre ad un confronto paritario con i diritti economici costituzionalmente tutelati. Il risultato finale è una dialettica costruttiva tra ordinamento europeo e ordinamento nazionale dove il limite massimo del prelievo patrimoniale diviene baluardo di civiltà giuridica da contrapporre ad una visione autoreferenziale del principio della capacità contributiva. Le conclusioni confermano altresì che un intervento in materia da parte del nostro legislatore è oggi necessario, specialmente se ci troviamo all’alba di un progetto di riforma complessiva del sistema tributario incentrata sulla valorizzazione del prelievo patrimoniale. Solo con un segnale forte del legislatore nazionale potrà essere assicurata la certezza del diritto ed un dialogo armonico con i principi europei sulla base di un rinnovato patto sociale tra fisco e contribuenti. A tale scopo, la soluzione qui prospettata prevede l’elaborazione di una norma positiva sul quantum del limite massimo da inserire nel corpo dello Statuto dei diritti del contribuente per dare così maggiore enfasi ad un intervento siffatto sul piano della gerarchia delle fonti. Con riguardo poi agli aspetti di dettaglio, l’esperienza europea offre senz’altro degli argomenti validi per l’architettura della norma; tra questi, il principio della divisione a metà elaborato dalla Corte costituzionale tedesca rappresenta a tutt’oggi un elemento sui cui costruire la ragionevolezza di scelte che implicano necessariamente un apprezzamento discrezionale. In definitiva, muovendo da una prospettiva de [continua ..]


NOTE