Con l’introduzione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al D.Lgs. n. 14/2019, si è profondamente inciso sull’istituto della transazione fiscale soprattutto per il caso in cui la stessa acceda ad un accordo di ristrutturazione del debito. Se, per un verso, la modifica è da salutare con favore perché evidentemente tesa ad eliminare le difficoltà applicative che si erano registrate nella prassi, per altro verso solleva nuove ed inedite difficoltà interpretative, emergendo sullo sfondo la possibilità di una rimeditazione della funzione amministrativa esercitata.
The new Code of business crisis and insolvency, introduced by Legislative Decree no. 14/2019, has deeply modified the fiscal transaction especially in those cases in which it allows an agreement aimed at restructuring the debts. If, on one hand, the reform resolves some of the issues previously encountered in the practice, on the other, it raises new and unprecedented interpretative difficulties, giving also the possibility to rethink the administrative function exercised by the tax authorities.
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1. Premessa - 2. L'analisi della disciplina positiva - 3. I problemi interpretativi legati all'art. 63 del nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza - 4. Segue: l'individuazione dei nuovi criteri di valutazione della proposta - 5. L'individuazione della tipologia della funzione esercitata, il piano generale dell’analisi nel diritto amministrativo e 'specialità' tributarie - 6. Segue: la natura della tipologia della funzione esercitata dall'Amministrazione Finanziaria in seno alla transazione fiscale negli accordi di ristrutturazione - 7. Le ulteriori conferme in ordine alla natura vincolata della funzione esercitata: il nuovo art. 48, comma 5, del Codice della crisi e dell’insolvenza - 8. Conclusioni - NOTE
Con la legge delega n. 155/2017, come noto, il parlamento ha delegato il governo per una ampia riforma della legge fallimentare, con abrogazione del precedente tessuto normativo e contestuale introduzione del c.d. “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza”. L’intervento riformatore, culminato con l’approvazione del D.Lgs. n. 14/2019, oltre ad incidere su istituti tipici del diritto fallimentare, ha inciso anche sulla disciplina della transazione fiscale. In questo senso oltre alle modifiche più evidenti, quali la scissione della normativa a seconda che si approcci l’ipotesi concordataria ovvero quella ristrutturativa, se ne aggiungono altre dalla vistosità meno impattante, ma viepiù significative. Lungo questa direttrice, se l’ipotesi di transazione fiscale all’interno del concordato preventivo è rimasta sostanzialmente invariata ad esito della riforma, la maggiore incidenza si è registrata per la variante ristrutturativa la quale, anche complici quelli che come si vedrà appaiono essere degli evidenti difetti di coordinamento, parrebbe dar luogo a criticità interpretative di non secondaria importanza. Lo scopo della presente indagine si mostra quindi duplice. Per un verso, si intendono evidenziare alcuni dei profili di maggiore criticità della nuova formulazione dell’istituto della transazione fiscale una volta calato all’interno degli accordi di ristrutturazione. Per altro verso, si ritiene che le scelte operate con la riforma consentano di indagare sotto nuova luce uno dei temi più complessi dell’analisi normativa, rappresentato dall’indagine della tipologia della funzione, vincolata o discrezionale, esercitata dall’Amministrazione Finanziaria in seno all’istituto considerato.
Prima di scendere nel dettaglio e fermo il quadro sopra delineato per sommi capi, giova all’analisi un esame preliminare del nuovo dato normativo, il quale si presenta come l’ultimo riarrangiamento di un istituto [1] che, nonostante la sua breve vita, ha già attraversato ben sei stagioni di riforme [2]. Focalizzando l’attenzione sulle ultime modifiche apportate con l’introduzione del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, quella a balzare immediatamente all’occhio è la circostanza che l’istituto oggetto di attenzione non trovi più la propria disciplina all’interno di un unico articolo, bensì sotto due diversi articolati con altrettante diverse rubricazioni. Maggiormente nel dettaglio, il legislatore delegato ha deciso di abbandonare la tecnica del rinvio che aveva reso così problematica la concreta applicabilità dell’istituto una volta che fosse stato calato all’interno degli accordi di ristrutturazione [3], propendendo al contrario per una netta differenziazione della disciplina a seconda che la stessa trovi corpo all’interno di un accordo di ristrutturazione del debito, ovvero all’interno del concordato preventivo. Non solo, si è deciso di differenziare le discipline anche in punto di rubricazione, definendo “transazione fiscale e accordi su crediti contributivi”, la prima, e “trattamento dei crediti tributari e contributivi”, in linea di continuità quindi con l’attuale formulazione dell’art. 182 ter L. fall., la seconda. Ciò posto, mentre la disciplina dell’istituto all’interno del concordato preventivo prevista dall’art. 88 del nuovo Codice è rimasta sostanzialmente invariata [4] rispetto a quanto previsto dai commi da 1 a 4 dell’art. 182 ter L. fall., le novità più rilevanti si pongono per gli accordi di ristrutturazione. Focalizzando l’attenzione su questi ultimi, a livello di diritto positivo il comma 5 dell’art. 182 ter L. fall. è stato trasposto nell’attuale comma 1 dell’art. 63 del nuovo Codice. Benché la relazione illustrativa si esprima in termini di una sostanziale identità della previsione originariamente contenuta nell’art. 182 ter L. fall. rispetto a [continua ..]
Avviando quindi l’analisi, già al livello del dato normativo, la nuova formulazione si presenta foriera di non pochi dubbi interpretativi. Ed infatti, la scelta di differenziare nettamente la disciplina a seconda che la stessa trovi corpo nel concordato preventivo ovvero negli accordi di ristrutturazione, se è da salutare con favore perché aiuta a dirimere talune problematiche in ordine alla concreta applicabilità della disciplina, per altro verso mostra il fianco a non poche criticità per via delle modalità con cui tale differenziazione è stata effettuata. Maggiormente nel dettaglio, come in parte è stato anticipato, la differenziazione è stata operata semplicemente mediante la scissione, con contestuale attribuzione di una diversa rubricazione, dell’originale 182 ter L. fall. in due articoli separati, senza tuttavia operare il benché minimo coordinamento tra gli stessi. Così facendo, l’interprete si ritrova però orfano, complice anche la modifica di cui alla Legge di Bilancio 2017 [7], di tutto l’impianto procedurale e procedimentale che in realtà costituiva (e costituisce tutt’ora) la base portante, definizioni a parte, dell’istituto della transazione fiscale. Ed infatti, le difficoltà interpretative sopra menzionate appaiono evidenti sol che si rifletta sulla circostanza che nella previgente formulazione la disciplina della transazione fiscale all’interno degli accordi di ristrutturazione era costruita in termini di sostanziale dipendenza rispetto all’ipotesi concordataria. Approfondendo l’analisi, il comma 5 dell’art. 182 ter L. fall. rinvia(va), in punto di disciplina positiva, al comma 1 il quale si occupa(va) di disciplinare l’istituto sotto tre aspetti fondamentali: i) in primo luogo, forniva una definizione normativa, sebbene indiretta, di quello che si dovesse intendere per “transazione fiscale”, laddove rendeva edotto l’interprete che per tale istituto si doveva intendere il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi, dei contributi e dei relativi accessori; ii) in secondo luogo, disciplinava l’oggetto della possibile transazione mediante il richiamo tanto alla categoria generale del “tributo” [8] quanto a quello, assai più controverso, [continua ..]
Come si è sopra anticipato, la modifica legislativa non si è limitata ad eliminare il difetto di coordinamento fra l’ipotesi concordataria e quella ristrutturativa, ma ha altresì inciso, e ciò a prescindere che tale intervento fosse voluto o meno [15], sui criteri di valutazione della proposta. Ed infatti, l’elisione del rinvio operato alla fattispecie concordataria comporta, in via automatica, l’impossibilità di predicare la perdurante applicabilità della condizione normativa ivi prevista, in specie rappresentata dal maggior grado di soddisfacimento del credito erariale privilegiato rispetto all’alternativa liquidatoria [16]. Alla predetta elisione, come detto, è purtuttavia mancata l’introduzione di una puntuale disciplina dei criteri direttivi o, se si preferisce, degli accertamenti in fatto che l’Amministrazione è tenuta a compiere onde prestare il proprio assenso. In questa prospettiva, ad una prima lettura del dato normativo si potrebbe essere indotti a ritenere, in maniera non dissimile da quanto accaduto in riferimento alla primigenia formulazione dell’art. 182 ter L. fall., che il legislatore abbia inteso consentire all’Amministrazione fiscale di disporre del credito ad libitum, giusta la mancata predeterminazione dei criteri direttivi cui attenersi, con tutti i conseguenti problemi di costituzionalità [17] e dei conseguenti risvolti in ordine all’individuazione dell’esatta tipologia della funzione esercitata dall’Amministrazione Finanziaria in seno all’istituto. Purtuttavia, a tale interpretazione si ritiene ne sia opponibile un’altra orientata nel senso diametralmente opposto. Lungo questa direttrice, due sono gli elementi che meritano compiuta valorizzazione: i) il particolare oggetto dell’attestazione del professionista terzo indipendente nel caso in cui agli accordi di ristrutturazione acceda una transazione fiscale, in specie rappresentato dalla maggiore convenienza del trattamento proposto all’erario rispetto all’alternativa liquidatoria, peraltro rafforzato da uno specifico controllo del Tribunale sul punto; ii) lo specifico accertamento in fatto che deve essere compiuto dal Tribunale per esercitare quello che, come si vedrà più avanti, parrebbe essere un effettivo potere [continua ..]
Evidenziate quelle che allo stato parrebbero essere le maggiori criticità della nuova formulazione dell’art. 63 ed analizzatene le ricadute, si può ora affrontare il tema della tipologia della funzione esercitata dall’Amministrazione in seno alla vicenda transattiva. Il profilo che in questo senso viene in rilievo è quello della discrezionalità, ovvero della vincolatezza, delle scelte che l’Amministrazione Finanziaria è chiamata a compiere in seno all’istituto della transazione fiscale, oggi da dover anche mettere in rapporto con una norma, l’art. 48, comma 5 del nuovo Codice il quale, in punto di dato normativo, si presta tutt’altro che ad una lettura lineare. Procedendo con ordine, la questione della tipologia della funzione esercitata dall’Amministrazione in seno all’istituto della transazione fiscale è tema che affatica la dottrina da ben prima che l’istituto fosse introdotto nel corpus della legge fallimentare. Ed infatti, già sotto il vigore dell’abrogata transazione sui ruoli di cui all’art. 3, comma 3, D.L n. 138/2002 la dottrina si è a più riprese interrogata circa la natura del potere esercitato dall’Amministrazione Finanziaria a fronte dell’istanza presentata dal contribuente [19]. Con l’avvento dell’art. 182 ter L. fall., tale dibattito è viepiù aumentato in ragione dell’assoluta lacunosità del dato normativo, almeno nella sua primigenia formulazione, in punto di criteri direttivi, tanto da far propendere la dottrina maggioritaria per il riconoscimento di un potere discrezionale e non già vincolato, con i conseguenti problemi di costituzionalità, sul fronte della indisponibilità del tributo [20], posta la natura circolare [21] del rapporto che avvince la presenza di un potere dispositivo, da un lato, e la funzione discrezionale, dall’altro. Ed infatti, si è sostenuto, in assenza di un chiaro criterio cui l’Amministrazione doveva attenersi, fosse giocoforza riconoscere un potere discrezionale e non vincolato, in quanto la mancata predeterminazione del criterio avrebbe lasciato intendere la volontà legislativa di rimettere la ponderazione degli interessi [22] direttamente all’Amministrazione [23]. Con la riforma [continua ..]
Tanto basta per iniziare a tirare le fila del discorso. Ed infatti, pur nel silenzio della norma in ordine alla riscontrabilità di un potere discrezionale ovvero vincolato, avuto conto del generale interesse pubblico perseguito dall’Amministrazione Finanziaria ed appurata la rilevanza del momento volitivo ai fini dell’individuazione di una funzione realmente discrezionale, parrebbe lecito potersi nutrire più di qualche dubbio circa la sua ricorrenza all’interno del nuovo art. 63 del Codice della crisi di impresa. Maggiormente nel dettaglio e muovendo dal dato normativo, si è già visto come l’attuale configurazione dell’art. 63 del Codice della crisi e dell’insolvenza richieda, ai fini della prestazione dell’assenso da parte dell’Amministrazione a fronte della proposta transattiva, che il debitore offra alla stessa un grado di soddisfacimento maggiore rispetto all’alternativa liquidatoria. Sempre sul medesimo piano, occorre altresì evidenziare come la norma, nel richiedere la maggiore convenienza della via transattiva nei termini sopra riferiti, non distingua in alcun modo tra credito privilegiato o chirografario, da ciò derivandone che quanto offerto al fisco dovrà essere superiore rispetto al grado di soddisfacimento complessivo che lo stesso riceverebbe, tanto per i propri crediti privilegiati, quanto per quelli chirografari, in sede di liquidazione. Se questo è il piano dell’analisi normativa da cui si muove, allora la natura vincolata dell’attività svolta dall’Amministrazione [45], tale per cui al ricorrere della condizione normativa della maggiore convenienza della proposta deve seguire l’assenso del fisco quale attività di mero adempimento, parrebbe argomentabile su tre livelli distinti: i) un primo livello, di carattere generale, dato dal recepimento delle conseguenze che in ambito amministrativo si è soliti ricollegare ai casi in cui, quale è quello di specie, la norma non indichi expressis verbis la sussistenza di un potere discrezionale ovvero vincolato; ii) un secondo, di ordine sistematico, facente leva sull’assenza nel contesto normativo di riferimento di un effettivo potere dispositivo strictu sensu inteso; iii) un terzo, di ordine teleologico, dato dal rapporto fra [continua ..]
Se quanto sino ad ora argomentato è il piano generale dell’analisi, questa deve essere altresì rapportata con un’ulteriore innovazione normativa che, almeno secondo talune delle interpretazioni prospettabili, sembrerebbe valere quale definitiva controprova della sussistenza di un’attività vincolata e non già discrezionale. È bene premettere sin da subito che l’uso del condizionale è d’obbligo in quanto il dato normativo si presenta, come anche già anticipato, tutt’altro che univoco e di piana lettura. Principiando dalla disposizione citata, il comma 5 dell’art. 48 del nuovo Codice espressamente dispone che: «Il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione Finanziaria quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 57, comma 1, e 60, comma 1 e quando, anche sulla base delle risultanze del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria». L’innovatività della disposizione risulta immediatamente percepibile sol che si rifletta sulla circostanza che, per suo tramite, il legislatore parrebbe aver inteso derogare al generale principio di inefficacia degli accordi di ristrutturazione rispetto ai creditori rimasti estranei, in quanto non aderenti. Il problema, purtuttavia, si pone nella misura in cui la reale portata derogatoria di tale disposizione, giusta il tenore legislativo, appare tutt’altro che scontata. Ed invero, le criticità interpretative che si pongono sono almeno due: i) non risulta agevole comprendere la reale portata precettiva della disposizione in commento, stante il richiamo all’omologa dell’accordo e non già alla sua efficacia; ii) su di un piano nient’affatto coincidente, si pone il problema relativo all’individuazione delle esatte condizioni legittimanti l’applicazione della disposizione in commento. Procedendo con ordine, è dato pacifico che il concetto di omologa degli accordi di ristrutturazione sia invero del tutto dissimile rispetto a quello dell’efficacia. In questo senso l’accordo, benché abbia raggiunto una percentuale di adesione di almeno il 60% dei [continua ..]
Per quanto sia allo stato impossibile esprimere delle vere e proprie conclusioni rispetto ad una disciplina normativa da poco innovata, ponentesi per di più nell’ambito di una più estesa riforma dell’intero ordinamento fallimentare e peraltro non ancora in vigore, parrebbe comunque doversi salutare con favore l’intervento di riforma oggetto di analisi in quanto, come visto, risulta di cruciale importanza onde garantire la concreta applicabilità dell’istituto. Posto quanto sopra, deve purtuttavia essere sommessamente rilevato come l’impianto normativo disciplinante siffatta ipotesi sembrerebbe richiedere quantomeno un intervento correttivo, onde evitare i prevedibili contrasti interpretativi cui la norma darà origine, stanti le molteplici criticità rilevate. In questo senso, gli interventi ipotizzabili abbracciano tanto gli aspetti definitori quanto quelli più strettamente applicativi, quali l’indicazione dei tributi transigibili, la regolamentazione dell’attività procedimentale dell’Amministrazione a seguito della presentazione dell’istanza, una più puntuale ed esplicita indicazione delle condizioni al ricorrere delle quali il giudice, ai sensi dell’art. 48 cit., possa sostituirsi all’Amministrazione. Ad ogni modo ed in un’ottica di più ampio respiro, la riforma della norma in commento e di quelle ad essa collegate si muove chiaramente nel solco di una più chiara ed intellegibile valorizzazione degli interessi pubblici in gioco sotto due diversi profili. Per un verso, infatti, viene rafforzato il convincimento che uno ed uno solo debba essere l’interesse tutelato dall’Amministrazione in seno alla transazione fiscale rappresentato, per l’appunto, da quello erariale. In questo senso, con l’espressa indicazione delle condizioni normative legittimanti l’assenso, invero secondo modalità in parte già collaudate con l’attuale legge fallimentare, viene evitato che nelle pieghe della norma possano essere individuati ulteriori interessi da attribuirsi all’Amministrazione la cui tutela non le è propria. Allo stesso tempo, vengono però introdotte altre norme, quali l’art. 48 cit., le quali queste sì portano in seno una tensione tra interessi pubblici e privati la cui ponderazione legislativa peraltro [continua ..]