Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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L'impatto della Convenzione multilaterale BEPS sul sistema dei trattati contro le doppie imposizioni (di Stefano Dorigo)


La Convenzione multilaterale (MLI) attuativa del BEPS, entrata in vigore nel luglio 2018, modifica in un colpo solo le convenzioni contro le doppie imposizioni in vigore tra gli Stati parte. Essa mira a uniformare e semplificare le regole convenzionali del diritto tributario internazionale, tuttavia non mancano le perplessità. L’am­pia possibilità per gli Stati di apporre riserve e di evitare l’applicazione di talune norme (tranne quelle che impongono un minimum standard) rende la disciplina frammentaria e di difficile ricostruzione interpretativa. Allo stesso tempo, la previsione di clausole generali anti-abuso, per loro natura generiche e fondate su un linguaggio vago ed “aperto”, connota il regime che scaturisce dall’entrata in vigore del MLI in termini di profonda incertezza. Tale esito è il prezzo che gli Stati hanno pagato per avere una convenzione multilaterale. Si misura qui, ancora una volta, la tensione irrisolta tra sovranità e multilateralismo, tra lotta alla pianificazione aggressiva e interessi di taluni Stati ad avere accesso a propri paradisi fiscali. L’esito non è per il momento incoraggiante per le ragioni del diritto.

The Impact of the BEPS multilateral instrument on the system of double tax treaties

The Multilateral Instrument (MLI) implementing the BEPS, entered into force in July 2018, amends in one fell swoop the double tax treaties in force between the contracting States. Its aim is to standardise and simplify the conventional rules of international tax law, but several doubts arise. The wide possibility for States to make reservations and avoid the application of certain rules (except those imposing a minimum standard) makes the discipline fragmented and difficult to reconstruct in an interpretative way. At the same time, the provision of general anti-avoidance clauses, by their nature generic and based on a vague and “open” language, characterises the regime that results from the entry into force of the MLI in terms of profound uncertainty. This is the price that States have paid for having a multilateral convention. Here, once again, we measure the unresolved tension between sovereignty and multilateralism, between the fight against aggressive tax planning and the interests of certain States in having access to own tax ha­vens. The outcome is not at present encouraging for the reasons of law.

SOMMARIO:

1. Il Multilateral instrument tra la concretizzazione del progetto BEPS e l’aspirazione ad un diritto tributario internazionale certo e privo di lacune - 2. La contraddittoria conservazione di ampi spazi di autonomia per gli Stati parte del Multilateral instrument - 3. L’insostenibile mutevolezza delle norme del Multilateral instrument - 4. L’attuazione del minimum standard previsto dalle azioni BEPS e le sue ambiguità - 5. L’interpretazione delle convenzioni coperte come modificate dal MLI: un groviglio difficilmente districabile - 6. Segue: la problematica interpretazione delle clausole generali antiabuso - 7. Conclusioni: il lascito del MLI tra crisi del multilateralismo, incertezza delle norme e prevalenza dell’interesse erariale - NOTE


1. Il Multilateral instrument tra la concretizzazione del progetto BEPS e l’aspirazione ad un diritto tributario internazionale certo e privo di lacune

La Convenzione multilaterale di attuazione del progetto BEPS, che d’ora innanzi identificheremo più semplicemente come Multilateral instrument (o MLI) [1], porta a compimento una parte delle azioni suggerite dall’OCSE nel­l’ambito – appunto – dei lavori del BEPS [2]. In particolare, essa realizza quanto era stato auspicato dall’action 15, nella quale era stata evidenziata l’opportuni­tà di effettuare un aggiornamento simultaneo delle convenzioni contro le dop­pie imposizioni vigenti, in modo da tradurre in pratica le nuove regole suggerite dal progetto attraverso uno strumento multilaterale [3]. Questo ha l’obiettivo di realizzare un profondo cambiamento rispetto al precedente modo di concepire le regole del diritto tributario internazionale, portando in qualche modo a compimento un percorso durato svariati decenni. Nella concezione classica, fondata sull’esclusiva attribuzione allo Stato della sovranità fiscale, gli unici strumenti utilizzabili per coordinare le pretese di Stati diversi erano le convenzioni bilaterali: esse, infatti, presuppongono una consapevole autolimitazione della sfera sovrana dello Stato conseguente sia alla scelta dello Stato partner (che viene individuato in relazione all’intensità ed all’importanza dei rapporti con esso instaurati), sia alla determinazione della disciplina applicabile [4]. Solo a queste condizioni, che evitano a ciascuno Stato sorprese vuoi sul versante soggettivo vuoi su quello oggettivo, può realizzarsi quella parziale rinuncia alla propria sovranità tributaria che costituisce il presupposto della disciplina convenzionale. Solo in tempi più recenti, grazie anche alla pressione indotta dagli effetti della crisi economica globale [5], si è assistito ad una, sebbene circoscritta, diffusione di strumenti multilaterali: ciò, tuttavia, è avvenuto pressoché esclusivamente nel contesto della cooperazione fiscale, dunque con riguardo a profili procedurali e non sostanziali. Il caso della Convenzione di Strasburgo sulla mutua cooperazione in ambito fiscale e del repentino successo da essa conosciuto a seguito del Protocollo di Parigi del 2010 – dopo un ventennio di inoperatività – rappresenta l’esempio più chiaro di una tendenza che, senza sconfessare [continua ..]


2. La contraddittoria conservazione di ampi spazi di autonomia per gli Stati parte del Multilateral instrument

Va preso atto che il modo con cui la Convenzione multilaterale è stata in concreto redatta manifesta non poche contraddizioni, le quali complicano – anziché semplificarlo – il quadro di fondo del diritto tributario internazionale attuale e lo connotano in termini di complessità ed incertezza [13]. Il contenuto del Multilateral instrument si pone infatti in più punti in contraddizione con l’obiettivo di garantire una applicazione il più possibile uniforme e coordinata delle regole del BEPS, e ciò con il chiaro intento di concedere agli Stati parte la possibilità di difendere le proprie prerogative sovrane e quindi di graduare gli effetti della nuova disciplina [14]. Si tratta di un approdo conseguente all’ado­zione di un atteggiamento ispirato al pragmatismo: si è preferito introdurre soluzioni flessibili, a discapito della coerenza del quadro generale, pur di perseguire l’obiettivo del multilateralismo. Ciò peraltro in linea con quanto previsto dal Final Report dell’Azione 15 del Progetto BEPS [15]. L’uniformità è, infatti, ampiamente temperata da una serie di meccanismi che attribuiscono a ciascuno Stato il potere di modellare i confini applicativi ed il contenuto delle regole oggetto dell’accordo, ciò che finisce tuttavia per frammentare il regime comune, rendendo tra l’altro – come meglio si vedrà in seguito – la sua interpretazione pratica di difficile intellegibilità. Due sono le modalità attraverso le quali si giunge ad un simile assetto. Da un lato, la Convenzione multilaterale consente a ciascuno Stato di individuare le convenzioni contro le doppie imposizioni “coperte”, alle quali cioè si esten­dono le modifiche previste [16]. Vi è dunque la possibilità di includere nelle modifiche solo alcuni dei trattati bilaterali vigenti per uno Stato, escludendone viceversa altri, e ciò naturalmente sulla base di considerazioni di opportunità, non avulse da influssi politici circa i rapporti con alcune delle giurisdizioni partner. In secondo luogo, anche con riferimento alle convenzioni “coperte” ciascuno Stato mantiene la possibilità di modellare, almeno entro certi limiti, la disciplina applicabile. Il Multilateral instrument, infatti, consente di [continua ..]


3. L’insostenibile mutevolezza delle norme del Multilateral instrument

L’ambiguità dell’intero impianto del Multilateral instrument si coglie con precisione nel modo con cui le sue norme sono strutturate. È proprio il modo barocco con cui esse sono state scritte che influenza in maniera decisiva l’ef­ficacia della regola, che pure in astratto sembrerebbe muoversi nella corretta direzione. In termini generali, infatti, ciascun articolo si occupa, in prima battuta, di dettare la disciplina sostanziale dell’istituto oggetto di regolamentazione. Tuttavia, l’estensione della portata di esso è subito dopo oggetto di modellamento, attraverso l’operare – congiunto o meno – di tre tipologie di strumenti. Vi è, innanzitutto, la previsione di clausole di compatibilità, le quali si occupano di evitare che – nell’applicazione delle regole del Multilateral instrument alle singole convenzioni bilaterali – sorgano conflitti; e ciò attraverso la disciplina di quali siano le modifiche che il trattato successivo, in questo caso il MLI, apporta al testo dei trattati contro le doppie imposizioni già vigenti [19]. Attraverso questo genere di clausola, dunque, le parti della Convenzione multilaterale stabiliscono in che misura l’introducenda regolamentazione opera rispetto ai trattati bilaterali coperti, in modo che la disciplina che ne scaturisce non risulti contraddittoria. Si tratta di una tecnica ben conosciuta nel diritto internazionale pubblico [20] e della quale non mancano esempi anche nel contesto delle convenzioni in materia tributaria [21]. L’obiettivo è quello di evitare le incertezze che le regole in­terpretative tradizionali – incentrate sul principio della modifica di un trattato mediante un accordo successivo incompatibile e sui limiti imposti dal rispetto di regole di ius cogens – potrebbero comportare. Il Multilateral instrument, come evidenziato nel suo Explanatory statement [22], utilizza al riguardo quattro possibili formule di compatibilità: che la disposizione si applichi “al posto di” una disposizione della convenzione bilaterale co­perta, salvo che questa non contenga alcuna disciplina corrispondente [23]; che si applichi o modifichi la regola preesistente, senza che vi sia una sostituzione e sempre salvo che la disciplina corrispondente manchi [24]; che la [continua ..]


4. L’attuazione del minimum standard previsto dalle azioni BEPS e le sue ambiguità

Vi è, peraltro, un ulteriore e non secondario profilo di complessità del sistema che scaturisce dal Multilateral instrument. Il meccanismo sin qui delineato, infatti, trova una sua peculiare applicazione con riferimento a quelle disposizioni che stabiliscono un minimum standard, ovvero un livello minimo di regolamentazione che non può essere derogato se non nel senso di garantire un grado più elevato di efficacia della risposta a fenomeni di base erosion e profit shifting. Si è già accennato in precedenza alla particolare valenza delle disposizioni che pongono un minimum standard, trattandosi di norme che attribuiscono valore giuridico formale a mere raccomandazioni contenute nelle azioni finali del progetto BEPS [38]. Si tratta ora di verificare come esse operano in concreto, con riferimento in particolare al modo generale di funzionamento della convenzione multilaterale descritto nel precedente paragrafo. Va detto che non vi è nel Multilateral instrument una definizione di cosa sia il minimum standard [39]. Solo due disposizioni vi fanno espresso richiamo: l’art. 7, riguardante la clausola generale antiabuso, e l’art. 16 sulle procedure amichevoli. Peraltro, è opinione condivisa, anche sulla scorta di quanto si trova esposto nell’Explanatory statement, che almeno altre due norme si riferiscano a tale concetto, pur senza nominarlo espressamente [40]. Si tratta dell’art. 6, che impone la modifica del titolo e del preambolo delle convenzioni coperte in modo da esplicitarne l’obiettivo – concorrente con quello tradizionale di prevenire ed eliminare la doppia imposizione – di combattere le transazioni abusive, ovvero quelle aventi come scopo principale quello di ottenere un vantaggio convenzionale la cui concessione non sarebbe in accordo con l’oggetto e con lo scopo della disposizione rilevante; e dell’art. 17, riguardante l’obbliga­torietà degli aggiustamenti compensativi in presenza di una rettifica concernente i prezzi di trasferimento. Non è questa la sede per approfondire l’esame della disciplina sostanziale di queste norme. Qui è sufficiente mettere in evidenza le ulteriori complicazio­ni procedurali che scaturiscono dall’individuazione di alcune disposizioni più importanti, come quelle che fissano un minimum [continua ..]


5. L’interpretazione delle convenzioni coperte come modificate dal MLI: un groviglio difficilmente districabile

La sensazione prevalente che resta dopo l’esame della struttura e del contenuto del MLI è di insoddisfazione. L’indubbia novità di uno strumento multilaterale destinato a mutare la sostanza di molte regole di nuovo conio nel diritto tributario internazionale risulta controbilanciata dalla conservazione di eccessivi margini di scelta per gli Stati parte a causa del modo con cui le norme che incorporano quelle regole sono state redatte [43]. Il problema che si porrà in relazione all’assetto derivante dalle modifiche che il MLI determinerà nel sistema delle convenzioni multilaterali contro le doppie imposizioni riguarda principalmente l’interpretazione delle norme mo­dificate: essa si presenta, infatti, particolarmente complessa, e ciò sotto svariati profili. Un primo aspetto di incertezza è legato all’individuazione della disciplina in concreto applicabile nei rapporti tra due Stati legati da una convenzione bilaterale. Occorre, infatti, in primo luogo comprendere se tale convenzione è, per uno o entrambi gli Stati, da considerarsi coperta; poi, è necessario ricostruire la concreta disciplina dettata dalle singole norme della convenzione me­desima in conseguenza dell’influenza del MLI, tenendo conto tuttavia degli effetti delle riserve e delle opzioni. L’intreccio delle scelte unilateralmente compiute dai due Stati parte e la pro­babile diversità dei regimi introdotti in conseguenza di quelle rendono quanto mai nebulosa l’individuazione di quale norma sia applicabile e in che cosa essa si sostanzi. L’OCSE, consapevole di queste problematiche, ha posto in essere un apposito strumento – il matching database –, basato su uno speciale algoritmo e capace di dare conto dello stato delle convenzioni bilaterali vigenti per ciascuna giurisdizione [44]. La complessità di funzionamento e gestione di un simile strumento è messa in evidenza sia dalla prospettiva di successive implementazioni indicata nel suo manuale di utilizzo; sia ancor più dal di­sclaimer che lo accompagna, nel quale l’OCSE evidenzia come non si tratti di uno strumento giuridico e che la presenza di errori potrebbe renderne non del tutto attendibili gli esiti. Questa posizione da un lato esprime plasticamente l’estrema complessità del sistema scaturito dal MLI; [continua ..]


6. Segue: la problematica interpretazione delle clausole generali antiabuso

Le questioni, sin qui affrontate in termini generali, trovano un’ulteriore com­plicazione laddove si concentri l’esame sulle clausole generali antiabuso che, come si è accennato poco sopra, vengono delineate dal MLI per l’inclusione nelle convenzioni coperte ed il cui contenuto costituisce anzi un minimum standard per gli Stati parte della Convenzione multilaterale. Qui la complessità del sistema dipende non tanto dal già ricordato margine di scelta attribuito agli Stati sulla tipologia di clausola generale anti-abuso da inserire nei propri trattati fiscali, un problema per adesso (in attesa cioè degli orientamenti degli Stati che aderiranno in futuro) ridimensionato dal pressoché unanime indirizzo degli Stati che sono già parte della Convenzione multilaterale di optare per la regola fondata sul principal purpose test [54]; quanto piuttosto dalla vaghezza del relativo testo: la natura per l’appunto generale delle norme antiabuso previste dal MLI ha imposto il ricorso a una terminologia aperta, densa di concetti astratti destinati a riempirsi di contenuto solamente al cospetto del singolo caso concreto che deve essere risolto. Si tratta, certamente, del prezzo conseguente alla scelta di perseguire la via di una clausola generale anziché di tante clausole specifiche: al risultato pratico di poter disporre di una disciplina adattabile a qualsiasi fattispecie possa emergere nella prassi fa infatti da inevitabile contraltare l’incertezza della formulazione testuale e quindi l’elevato margine di discrezionalità attribuito agli interpreti [55]. La lettura dell’art. 7, par. 1, del MLI concernente appunto la clausola PPT rende evidente con chiarezza quanto appena accennato. Conviene soffermarci su questa clausola, che come detto non è l’unica proposta dalla Convenzione multilaterale, sia per il già ricordato favore con cui essa è stata sin qui accolta, sia ancor più perché è la sua formulazione testuale che solleva le maggiori perplessità. Ebbene, la disposizione nega il riconoscimento di un beneficio accordato dal trattato bilaterale al verificarsi di talune condizioni, tutte descritte in modo assolutamente generico: deve infatti essere “reasonable” – alla luce di tutti i fatti e le circostanze rilevanti – che [continua ..]


7. Conclusioni: il lascito del MLI tra crisi del multilateralismo, incertezza delle norme e prevalenza dell’interesse erariale

Per lo studioso di diritto tributario internazionale, la vicenda che ha interessato il Multlateral instrument costituisce un severo monito ad evitare di leggere gli sviluppi della prassi con il metro delle proprie personali aspettative. Nonostante il carattere multilaterale della convenzione ed il suo obiettivo di conferire al diritto tributario internazionale un volto nuovo centrato sulla chia­rezza e l’uniformità di alcune regole fondamentali, essa realizza infatti un assetto, da un lato, molto conservatore; dall’altro, fortemente incerto. Risulta, in primo luogo, accuratamente preservata la capacità degli Stati di modellare le nuove norme, adattandole alle proprie esigenze. E ciò, come mostra il caso degli Stati Uniti, fino al punto di rigettare del tutto la disciplina conseguente ai lavori del BEPS. Resta dunque confermato come allo stato attuale la fiscalità internazionale – quanto meno sul piano delle regole sostanziali che presiedono alla tassazione di fenomeni transnazionali [69] – sia ancora dominata dagli interessi degli Stati e quindi da meccanismi più politici che non genuinamente giuridici. Certo, la conclusione e l’entrata in vigore di uno stru­mento multilaterale vanno senza dubbio salutate con favore e con esse l’in­di­viduazione di talune regole che dovrebbero valere per l’intera comunità internazionale; tuttavia, non appena – come si è visto – si oltrepassa il dato for­male per analizzare il modo di funzionamento ed applicazione della disciplina introdotta si comprende come il multilateralismo risulti contraddetto proprio per effetto della discrezionalità attribuita ai singoli ordinamenti. Il secondo aspetto degno di nota, peraltro collegato al primo, è che il passaggio dalle mere enunciazioni teoriche alla loro inclusione in documenti vincolanti si rivela insoddisfacente per le ragioni del diritto. Finché si tratta di assu­mere – per quanto solenni – posizioni di principio non vincolanti, il consen­so è ampio, come dimostra l’accoglienza riservata alle azioni del BEPS. La tra­duzione però di tali indirizzi in norme positive rivela la perdurante riluttanza di molti Stati ad abbandonare spazi di sovranità nella materia tributaria. Da qui, come si è visto, la necessità di una formulazione di [continua ..]


NOTE