Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Considerazioni sulla possibile rinuncia all'iscrizione a ruolo del diritto camerale annuale... (di Giuseppe Ingrao)


Il diritto camerale è una prestazione tributaria dovuta in misura fissa anche dalle imprese inattive, in quanto la fattispecie imponibile è rappresentata dall’iscrizione nel registro. La Camera di commercio può, però, rinunciare ad attivare l’attività di riscossione, valorizzando l’elevata probabilità dell’infruttuosità dell’azione, nonché la possibilità di essere chiamata a rifondere le spese all’Agente della riscossione; rileva poi il dispendio di energie per la gestione degli eventuali processi. Il principio di indisponibilità del tributo non opera in quelle ipotesi in cui manchi la “sostanza” della tassazione, cioè ove venga meno lo scambio di utilità tipico dei tributi paracommutativi. Agire secondo legalità vuol significare, in questi casi, far prevalere il principio di buon andamento dell’Amministrazione Pubblica ex art. 97 Cost., che impone la corretta gestione dell’ente sotto il profilo economico, rispetto all’art. 53 Cost. che valorizza un’automatica attivazione del procedimento di riscossione dei tri­buti nonostante sia scontata l’infruttuosità.

Remarks on the possible renunciation to registera tax roll aimed at collecting the annual Chamber’s duty ...

The Chamber of Commerce fee is a tax involving a lump payment also due by dormant companies, since the taxable event is the registration. The Chamber of Commerce may, however, renounce to start the forced tax collection, by considering the high probability of its fruitlessness, as well as the possibility of being condemned to reimburse the collection agent’s expenses; it is also relevant the evaluation of the costs for the management of any proceedings. The principle of non-negotiability of taxes does not operate in those cases where the “substance” of taxation lacks, that is, where the exchange of utility typical of para-commutative taxes does not exist. Acting according to the law means, in these cases, to let the principle of good performance of the Public Administration provided by art. 97 Italian Constitution, which imposes the correct management of the institution from the economic point of view, prevail over art. 53 Italian Constitution, which provides the automatic activation of a forced tax collection notwithstanding it appears obvious that this will be unsuccessful.

SOMMARIO:

1. L’obbligo di versamento del diritto camerale annuale in misura fissa per le imprese inattive - 2. La natura del diritto camerale tra imposte, tasse e diritti a carattere remunerativo - 3. La facoltà di non iscrivere a ruolo il diritto camerale dovuto dalle imprese inattive: inapplicabilità del principio di indisponibilità del tributo ove manca “la sostanza” della tassazione - 4. La rinuncia alla riscossione del diritto camerale nel contesto dell’applicazio­ne dell’art. 53 ai tributi paracommutativi - 5. Conclusioni - NOTE


1. L’obbligo di versamento del diritto camerale annuale in misura fissa per le imprese inattive

È da tempo oggetto di discussione la legittimità della richiesta del diritto camerale [1], quantificato in misura fissa, nei confronti delle imprese inattive an­cora iscritte nel registro di cui all’art. 2188 c.c. [2], tenuto presso l’apposito Ufficio della Camera di commercio [3]. Registro che, come è noto, svolge la funzione di pubblicità legale commerciale degli atti giuridici delle imprese, con gli effetti dell’opponibilità ai terzi indicati dall’art. 2193 c.c. [4]. La prevalente giurisprudenza di merito evidenzia che la normativa vigente [5] considera l’aspetto formale dell’iscrizione nel registro, a scapito di quello sostan­ziale dello svolgimento effettivo di un’attività economica, e pertanto conclude affermando che l’iscrizione a ruolo del debito maturato nei confronti delle im­prese inattive è legittima [6]. Questi tesi è condivisibile, in quanto l’art. 18, L. n. 508/1993 pone il diritto camerale «a carico di ogni impresa iscritta o annotata nei registri di cui all’art. 8 (cioè il Registro delle imprese previsto dall’art. 2188 del codice civile), omettendo ogni riferimento allo svolgimento dell’attività economica e facendo sì che l’iscrizione nel Registro determini la nascita dell’obbligazione patrimoniale [7]. Solo l’attivazione del procedimento di cancellazione dal Registro fa venir meno l’obbligo di corrispondere annualmente il diritto, salvo che sussista un provvedimento di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa il quale comporta che le imprese “cessano di essere soggette al pagamento a par­tire dall’anno successivo”» (art. 4, comma 1, D.L. n. 359/2001). Sia l’iscrizio­ne, sia la cancellazione volontaria, sono frutto di un procedimento amministrativo finalizzato ad accertare la sussistenza dei relativi presupposti. L’affermazione per cui il diritto camerale è una prestazione patrimoniale obbligatoria a carico delle imprese iscritte nel Registro, a prescindere dallo svol­gimento o meno dell’attività economica, non sempre, tuttavia, produce conse­guenze positive per l’ente creditore. Le imprese inattive, infatti, sono di norma prive di un patrimonio su cui esperire [continua ..]


2. La natura del diritto camerale tra imposte, tasse e diritti a carattere remunerativo

Al fine di rispondere al quesito che ci siamo posti, dobbiamo preliminarmente richiamare il dibattito sulla natura giuridica del diritto camerale [10], affrontato, anche se con diverse finalità, sia nell’ambito del diritto nazionale, sia nell’ambito del diritto europeo. Soffermiamoci innanzitutto sulla qualificazione giuridica del diritto camerale nel diritto interno. La questione si è posta in relazione all’individuazione del giudice competente a risolvere le controversie su tale tipologia di prestazione patrimoniale. L’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992, prevede, come è noto, che la giurisdizione tributaria involge i «tributi di ogni genere e specie comunque denominati». Solo se il diritto camerale viene qualificato come prestazione di natura tributaria, la giurisdizione è delle Commissioni tributarie; altrimenti, la giu­risdizione appartiene al giudice ordinario [11]. Sintetizzando i termini del tema, ci limitiamo ad evidenziare che, il consolidato orientamento della Corte costituzionale [12] qualifica il tributo come una decurtazione patrimoniale definitiva a carico del soggetto passivo prelevata in modo coattivo e connessa ad un presupposto economicamente rilevante, finalizzata al sostenimento della spesa pubblica [13]. In questa prospettiva, non tutte le prestazioni imposte dalla legge che determinino una decurtazione definitiva del patrimonio del soggetto hanno carattere tributario, essendo necessario che il prelievo «sia finalizzato al concorso alle pubbliche spese» e «sia posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva» (sent. n. 102/2008); «indice che deve esprimere l’idoneità di tale soggetto all’obbligazione tributaria (sent. n. 91/1972)». Con riguardo al riferimento della Corte costituzionale alla «connessione ad un presupposto economicamente rilevante» [14], che potrebbe indurre in prima approssimazione a restringere l’area del tributo ai prelievi solidaristici (imposte) escludendo quelli paracommutativi (tasse e diritti), anticipiamo quanto diremo meglio più avanti, e cioè che la capacità contributiva che giustifica l’im­posizione di una prestazione obbligatoria di natura tributaria possa rinvenirsi anche nel beneficio che riceve il [continua ..]


3. La facoltà di non iscrivere a ruolo il diritto camerale dovuto dalle imprese inattive: inapplicabilità del principio di indisponibilità del tributo ove manca “la sostanza” della tassazione

Dall’esame della vigente normativa sul diritto camerale emerge inequivocabilmente che l’obbligo di versamento del diritto annuale è collegato alla mera iscrizione nel registro delle imprese e che esso viene meno solo a seguito della cancellazione. Atteso ciò, bisogna verificare se la Camera di commercio possa rinunciare ad avviare il procedimento di riscossione del diritto annuale in misura fissa do­vuto dalle imprese inattive ancora iscritte nel registro, in ragione del fatto che, esercitando la potestà impositiva, non si conseguirebbe alcun effettivo introito, per la mancanza di un patrimonio su cui agire con l’esecuzione coattiva. L’ente camerale, procedendo con la riscossione, sarebbe, altresì, costretto a sostenere costi sia “esterni”, cioè connessi all’obbligo di rifusione all’Agente della riscossione delle spese per l’attività svolta, sia “interni”, cioè attinenti alla gestione amministrativa delle procedure. Asserire la praticabilità della rinuncia (in ragione dell’antieconomicità della attività di riscossione), senza che vi sia una norma che consenta di operare in tal senso, impone necessariamente di dimostrare che, in casi come quello in esame, non operi il principio di “indisponibilità del tributo” [34]. Principio che, come è noto, impone all’ente titolare della potestà impositiva di svolgere l’at­tività amministrativa di accertamento della fattispecie imponibile e di riscossione del credito; l’ente impositore non può, quindi, sulla base di valutazioni di tipo discrezionale (frutto della ponderazione dell’interesse a riscuotere il tributo con altri interessi pubblici o privati), rinunciare a determinare il presupposto nella misura esatta, né a riscuotere il credito. Il principio di indisponibilità del tributo, a prescindere dalle risalenti norme ordinarie che affermano l’impossibilità per l’Ufficio impositore di concedere diminuzioni di tasse [35], trae origine dalla nozione di tributo quale obbligazione di riparto [36]. Disporre della potestà di imposizione significa, in particolare, altera­re le regole di concorso alle spese pubbliche stabilite dalle leggi d’imposta, ren­dendole più onerose per quei contribuenti [continua ..]


4. La rinuncia alla riscossione del diritto camerale nel contesto dell’applicazio­ne dell’art. 53 ai tributi paracommutativi

Va evidenziato a questo punto che vi sarebbe un ulteriore percorso giuridico che consentirebbe di superare in modo agevole l’operatività del principio di indisponibilità del tributo ove riferito ai diritti camerali, aprendo la strada alla rinuncia alla pretesa: affermare che la sua applicazione è limitata alle prestazioni aventi carattere solidaristico/contributivo, quali le imposte, ove cioè il pagamento non è controbilanciato da una specifica e diretta attività posta in essere dalle istituzioni pubbliche. Come sostenuto da autorevole dottrina [40] e da risalenti pronunce della Cor­te costituzionale [41], l’art. 53 (che costituisce come detto il fondamento giu­ridico del principio di indisponibilità), non involge le prestazioni aventi carattere para-commutativo (pur essendo prestazioni patrimoniali imposte rientranti nel­l’art. 23 Cost.). Secondo questa corrente di pensiero, se per le prestazioni tributarie paracommutative valessero i criteri distributivi previsti dall’art. 53 (per le imposte), in numerosi casi ci troveremmo di fronte a tributi incostituzionali, atteso che le somme rese a fronte delle pubbliche funzioni o dei pubblici servizi richiesti o provocati dal cittadino sono tendenzialmente ancorate al costo del servizio e non alla capacità economica del soggetto. Le garanzie per il contribuente che corrisponde tali tributi si trovano al di fuori della capacità contributiva e sono rappresentate dal fatto che: il suo ammontare non deve mai superare il costo del servizio reso; si ha diritto alla restituzione nel caso di mancata erogazione del servizio per causa imputabile all’ente pubblico [42]. Abbracciando tale ricostruzione si può dedurre che l’obbligazione tributaria connessa a tasse, diritti, contributi, ecc., sarebbe sempre disponibile e quindi pas­sibile di rinuncia da parte dell’ente creditore sulla base di ragionevoli motivazioni, tra cui quelle riconducibili alla buona amministrazione ex art. 97 Cost., anche in mancanza di una norma che ne delimiti i confini. La tesi che esclude i prelievi paracommutativi dall’area di operatività del­l’art. 53 Cost., invero, è tutt’altro che pacifica. A prescindere dal caso delle tasse corrisposte a fronte della fruizione di servizi pubblici essenziali che nella loro determinazione devono tener [continua ..]


5. Conclusioni

Il diritto camerale è da considerarsi una prestazione imposta di natura tributaria ascrivibile alle categoria della “tassa”, in quanto risulta caratterizzato da uno spirito commutativo, essendo controbilanciato dal beneficio che le im­prese ricevono dall’attività svolta dalla Camera di commercio. Non può sostenersi che si tratti di un’imposta, anche perché il diritto camerale è destinato non alla fiscalità generale, ma al finanziamento di servizi erogati a favore delle imprese, secondo un modello di “associazionismo obbligatorio” e di auto-organizzazione pubblicistica del gruppo. Con riguardo alle imprese inattive permane in astratto l’obbligo di versamento del diritto annuale in misura fissa, in relazione alla mancata cancellazione dal registro, ma è sostenibile la Camera di commercio possa rinunciare all’attività di riscossione, in quanto la situazione di inattività denota inequivocabilmente che tali soggetti non beneficiano di alcuna attività [56]. È poi da considerare che l’attività di riscossione sarebbe infruttuosa sul presupposto dell’i­nesistenza di un patrimonio su cui soddisfare la pretesa, facendo sì che la Camera di commercio si troverebbe, paradossalmente, costretta a rifondere al­l’Agente della riscossione le spese di riscossione coattiva; rileva ancora il fatto che, qualora venisse attivato un contenzioso tributario, l’ente si accollerebbe un inutile dispendio di risorse umane per approntare la difesa. La praticabilità della rinuncia alla pretesa non è ostacolata dal principio di indisponibilità del tributo. Esso, infatti, non può trovare applicazione in tutti i casi, come quello di cui ci siamo occupati, ove, pur essendosi realizzata la fattispecie imponibile, manchi la connessione tra prestazione patrimoniale e beneficio goduto. La rinuncia al diritto camerale, peraltro, non solo non determina alcuna alterazione del riparto, ma l’eventuale riscossione in capo alle imprese inattive finirebbe per favorire le imprese che svolgono regolarmente l’attività economica (e beneficiano pienamente dei servizi) in termini di minore contribuzione. Agire secondo parametri di legalità vuol significare, nel caso che ci occupa, far prevalere il principio di buon andamento dell’amministrazione [continua ..]


NOTE