Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Le valute virtuali alla luce della V Direttiva Antiriciclaggio (di Vito Pacillo)


Il saggio affronta il tema delle valute virtuali e – dopo aver analizzato le relative que­stioni definitorie, nonché la rilevanza rispetto alla vigente normativa antiriciclaggio – evidenzia come la tassazione possa rappresentare uno strumento utile, se di­retta principalmente a finalità di controllo e prevenzione. Tuttavia, laddove il possesso e/o l’utilizzo di valute virtuali diventassero fiscalmente svantaggiosi, probabilmente l’intero sistema che gravita attorno a queste rischierebbe un arresto improvviso, non potendosi escludere che i relativi traffici (soprattutto, quelli illeciti) si orientino, di conseguenza, verso nuove ed ulteriori frontiere, oggi sconosciute.

Virtual currencies in the light of the 5th Anti-Money Laundering Directive

The essay deals with the topic of virtual currencies and – after having faced the connected defining issues, as well as the relevance with respect to anti-money laundering regulations – it highlights how taxation may represent a useful instrument, if maneuvered mainly for purposes of control and prevention. In fact, in the event that the possession and use of virtual currencies become fiscally disadvantageous, probably the entire system that gravitates around them would risk an abrupt arrest, since it cannot be excluded that the linked transactions (especially the illicit ones) would channel themselves, as a consequence, towards new and further frontiers, today unknown.

SOMMARIO:

1. L’intervento normativo - 2. Le questioni definitorie - 2.1. Valuta avente corso legale - 2.2. Valute virtuali - 3. I rischi legati alle valute virtuali - 4. L’incidenza degli aspetti fiscali - 4.1. Cenni sul caso Sardex - NOTE


1. L’intervento normativo

Il 19 giugno 2018 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la Direttiva (UE) 2018/843 [1] del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018, che modifica la Direttiva (UE) 2015/849 [2] relativa alla pre­venzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio [3] o finanziamento del terrorismo [4] e che modifica le Direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE. Le novità introdotte [5] dalla V Direttiva Antiriciclaggio, in parziale accoglimento della proposta presentata dalla Commissione europea [6], in parte anticipate dal legislatore italiano con il D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90 [7], rivelano l’at­tenzione del legislatore europeo nei confronti dei fenomeni criminali legati al­l’uso del sistema finanziario e la volontà di esercitare una concreta azione preventiva, mediante interventi normativi il più possibile – ma non sempre in misura sufficiente – efficaci ed al passo con l’evolversi delle tecniche utilizzate per riciclare ed autoriciclare proventi illeciti e finanziare il terrorismo. Prima di approfondire più compiutamente il tema delle valute virtuali [8] e l’impatto del recente intervento normativo sulla disciplina delle stesse, pur non rivestendo tutti eguale rilevanza ai fini della presente trattazione, si offre di seguito una breve panoramica dei punti salienti della V Direttiva Antiriciclaggio. Una prima novità riguarda l’ampliamento [9] del novero dei soggetti obbligati [10], i quali sono i destinatari primari della disciplina antiriciclaggio, il cui principale obbligo è quello di applicare le misure di adeguata verifica della clientela [11], secondo un approccio basato sul rischio, nonché segnalare le operazioni sospette [12]. Per quanto qui di nostro interesse, si evidenzia la previsione della soggezione alla suddetta disciplina anche dei soggetti la cui attività consiste nella prestazione di servizi di cambio (exchangers, anche detti cambiavalute virtuali) tra valute virtuali e valute aventi corso legale e dei soggetti prestatori di servizi di portafoglio digitale (wallet) [13], previsione tra l’altro già introdotta dal legislatore italiano – in chiave anticipatoria rispetto al legislatore europeo – in sede di recepimento [continua ..]


2. Le questioni definitorie

2.1. Valuta avente corso legale

Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht [32] ed a seguito del processo europeo di unificazione, anche monetaria, dal 1° gennaio 2002 sono entrate in circolazione in Italia le banconote e le monete in euro e, dopo un bimestre di doppia circolazione con la lira, dal 1° marzo 2002 l’euro è divenuto l’unica valuta avente corso legale, potendo da tale data i possessori di banconote e monete in lire solo richiederne la conversione [33] in euro, presso le filiali della Banca d’Italia, non oltre il giorno 28 febbraio 2012 [34]. Per valuta avente corso legale [35] deve intendersi quella moneta che consente al soggetto che ne possiede un corrispettivo in denaro [36] (o pezzi monetari) di estinguere i debiti pecuniari, ai sensi dell’art. 1277 c.c. [37]. Considerato che, tradizionalmente, alla moneta sono attribuite le tre funzioni [38] di pagamento, conto [39] e riserva, la valuta avente corso legale si caratterizza in quanto rappresenta l’unità di misura del valore dei beni e dei servizi [40] ed ha valore solutorio delle obbligazioni [41]. Di converso, qualunque altra valuta priva di corso legale nello Stato, può es­sere rifiutata dai creditori di debiti pecuniari. È in corso un dibattito a livello europeo, inoltre, circa la liceità [42] o meno dell’utilizzo stesso del termine valuta [43] con riferimento – anche – alle banconote ed alle monete la cui circolazione non sia stata legalmente autorizzata, e ciò anche in funzione di protezione e salvaguardia dell’euro e, di conseguenza, del sistema finanziario.


2.2. Valute virtuali

Attualmente non esiste una definizione univoca di valute virtuali, né è pacifica la loro natura, essendo le stesse alternativamente considerate – non senza generare confusione – come mezzi di pagamento [44], beni immateriali [45] o stru­menti finanziari, anche alla luce del fatto che coesistono centinaia di tipologie di valute virtuali [46], che differiscono fra loro per caratteristiche e funzionamento. A tal proposito ed in prima battuta, sembra opportuno differenziarle [47] dalla c.d. moneta elettronica, la quale, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. h ter), del TUB [48] è «il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’e­mittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento come definite al­l’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, e che sia accettato da persone fisiche e giuridiche diverse dall’emittente. Non costituisce moneta elettronica: 1) il valore monetario memorizzato sugli strumenti previsti dall’articolo 2, comma 2, lettera m), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11; 2) il valore monetario utilizzato per le operazioni di pagamento previste dall’articolo 2, comma 2, lettera n), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11». Pertanto la moneta elettronica, la cui unità di conto èsempre la valuta avente corso legale (in Italia, l’euro), ha come suoi punti d’inizio (emittenti) e d’arrivo una banca o un istituto di moneta elettronica au­torizzato, i quali sono tenuti a rimborsarla in ogni momento, su richiesta del de­tentore, al valore nominale, senza concessione d’interessi o altri benefici commisurati alla giacenza della moneta elettronica. Per il legislatore europeo, ai sensi della V Direttiva Antiriciclaggio [49], le valute virtuali sono «una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente». I legislatori degli Stati membri, in tempi diversi ed [continua ..]


3. I rischi legati alle valute virtuali

La crescente attenzione del legislatore europeo, e delle autorità nazionali, nei confronti delle valute virtuali, scaturisce principalmente da una percezione negativa delle stesse, basata su una serie di motivazioni più o meno condivisibili. In primo luogo, l’Unione Europea detiene la sovranità monetaria e, per il tramite della Banca Centrale Europea, esercita un controllo diretto sull’unica valuta avente corso legale (l’euro) e, come tale, utilizzata come valuta di conto, dotata di efficacia solutoria. La BCE regola l’emissione di nuova moneta e, di conseguenza, controlla i tassi d’interesse. Tutti i soggetti che desiderano utilizzare, per qualunque finalità, gli strumenti messi a disposizione dal sistema finanziario, devono necessariamente interfacciarsi con banche od altri istituti o soggetti autorizzati e soggiacere a tutte le relative normative, tra cui quelle in materia di antiriciclaggio. Circa dieci anni fa, per sfuggire a tali forme di controllo e per creare un’al­ternativa concreta (c.d. moneta privata) alle valute controllate dagli Stati, sono nati (tra tanti) i bitcoin [52], i quali sono costituiti da algoritmi crittografati, le cui transazioni sono cronologicamente inserite in un registro pubblico (blockchain), che garantisce sia l’anonimato sia l’impossibilità di alterare i dati registrati [53]. Senza addentrarci nelle questioni prettamente tecniche, i bitcoin [54] (e buona parte delle altre valute virtuali con flusso bidirezionale) sono liberamente acquistabili su piattaforme gestite da prestatori di servizi di cambio e, una volta acquistati, possono essere riconvertiti in una moneta avente corso legale. In secondo luogo, l’anonimato [55], che spesso viene paventato come una delle maggiori criticità in materia, sicuramente costituisce tuttora una delle prin­cipali caratteristiche delle valute virtuali (non tutte), che ne rende desiderabile l’acquisto e l’impiego, soprattutto (ma non solo) da parte di organizzazioni criminali. Tuttavia, è bene chiarire che ogni parvenza di anonimato è destinata a venire meno nel momento in cui la valuta virtuale si interfaccia con il sistema finanziario, ad esempio quando si acquista online, pagando con la propria carta, un bitcoin, o quando si cambia lo stesso bitcoin in euro, avvalendosi di un cambiavalute virtuale o, ancora, quando [continua ..]


4. L’incidenza degli aspetti fiscali

L’Amministrazione Finanziaria, perseguendo finalità diverse rispetto al legislatore, non di rado – anche mediante circolari, pareri e risoluzioni – prende posizione circa gli aspetti fiscali inerenti ad istituti giuridici dibattuti e non ancora compiutamente disciplinati dalla legge: ne sono un esempio (ex multis) i trust [57] e, per quanto qui di interesse, le valute virtuali. Senza addentrarci nei dettagli del trattamento fiscale [58] applicabile ai soggetti che, a vario titolo, trattano le valute virtuali, vedremo come alcune delle misure proposte potrebbero concorrere, di fatto, ad un migliore monitoraggio delle attività di detenzione, uso e scambio di codeste valute [59]. A tal proposito, tuttavia, è necessario menzionare preliminarmente la disciplina introdotta dall’art. 8, comma 7, D.Lgs. n. 90/2017, che ha modificato l’art. 1 [60], D.L. 28 giugno 1990, n. 67 [61], che obbliga i «prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, limitatamente allo svolgimento dell’attività di conversione di valute virtuali da ovvero in valute aventi corso forzoso» [62] a tra­smettere all’Agenzia delle Entrate i dati [63] relativi a tutte le operazioni [64], effettuate anche in valuta virtuale, di importo (o il cui controvalore sia, n.d.r.) pari o superiore a euro 15.000. Tale disciplina, senza dubbio, potrebbe garantire un discreto livello di controllo sulle attività di cambio di valute virtuali in valute aventi corso legale e viceversa: tuttavia, come già ricordato, gran parte delle transazioni e, dunque, anche degli illeciti, può avvenire in assenza dell’ausilio dei cambiavalute virtuali, senza trascurare, inoltre, che la suddetta disciplina si riferisce ai soli prestatori di servizi soggetti alla legge italiana. Per eludere i controlli in materia di adeguata verifica della clientela e non essere segnalati all’Agenzia delle Entrate in caso di prestazioni di importo pari o superiore ad euro 15.000, potrebbe essere sufficiente avvalersi di un cambiavalute virtuali residente in un Paese terzo, anche extra UE. Appare, dunque, evidente che la scelta di focalizzare i controlli solo nei confronti dei prestatori di servizi (cambiavalute virtuali e portafogli digitali), presta il fianco al rischio di adozione di (relativamente) facili metodi elusivi, resi ancor [continua ..]


4.1. Cenni sul caso Sardex

Una particolare valuta virtuale, nata in Italia e precisamente in Sardegna, è quella denominata Sardex [78]. Essa è stata introdotta con la precipua finalità di sostenere le imprese sarde nel corso della crisi economica, fornendo loro un’al­ternativa all’assenza di accesso al credito bancario, scongiurandone finanche il rischio di fallimento. Il circuito Sardex, originariamente vincolato al territorio sardo, riconosce agli imprenditori ed ai professionisti aderenti un credito (scritturalmente un Sardex equivale ad un euro), commisurato al valore dei beni e dei servizi che gli stessi intendono immettere nel circuito. Successivamente, ciascun iscritto potrà sia acquistare che vendere beni ad altri iscritti, senza che vi sia mai alcun passaggio di denaro, in quanto i rapporti dare/avere vengono registrati ed aggiornati in tempo reale, in regime di compensazione, attraverso la piattaforma Sardex. Ad esempio, un imprenditore agricolo potrà vendere dei prodotti alimentari ad un titolare di un supermercato, il quale a sua volta potrà acquistare un autoveicolo da un concessionario, il tutto senza effettuare pagamenti in valuta avente corso legale. Sebbene il suddetto schema potrebbe far pensare – prime facie – all’istituto della permuta [79], di cui all’art. 1152 c.c. [80], in realtà il funzionamento di Sardex non è riconducibile a detto istituto, in quanto la permuta presuppone il reciproco trasferimento della proprietà di beni o altri diritti, tra le due parti. In Sardex, invece, quasi mai gli scambi avvengono tra due medesimi contra­en­ti, essendo più frequente l’eventualità che gli scambi siano plurilaterali, salvo l’aggiornamenti dei valori dei crediti, espressi in Sardex, di ciascuna parte [81]. Alla luce di quanto sopra, la valuta virtuale in oggetto si distingue nettamente dalla maggior parte delle “classiche” valute virtuali (es. bitcoin), poiché non persegue finalità speculative né di anonimato, bensì esclusivamente finalità di sostegno alle imprese. Ai fini fiscali, tuttavia, gli scambi in Sardex sono soggetti alla disciplina prevista in materia di permuta e, pertanto, rientrano nel campo di applicazione dell’IVA, differenziandosi così dai sopra richiamati orientamenti sostenuti sia dalla Corte di [continua ..]


NOTE