Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Le manifestazioni di volontà del contribuente tra efficacia persistente ed emendabilità delle dichiarazioni (di Alberto Renda)


I più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità sembrano voler confermare che le manifestazioni di volontà, finalizzate alla fruizione di benefici fiscali o anche solo orientate alla scelta di regimi opzionali derogatori rispetto a quelli ordinari, siano irretrattabili, in quanto riconducibili al più ampio schema dei negozi giuridici che producono effetti obbligatori e vincolanti per il contribuente. Tuttavia, nel focalizzare l’attenzione sulle scelte volontarie che trovano riscontro nella dichiarazione, è possibile rilevare che il mutato scenario normativo, che privilegia la possibilità per il contribuente di rimediare ad errori od omissioni per salvaguardare il diritto alla fruizione di una determinata agevolazione, potrebbe indurre ad un ripensamento del consolidato indirizzo ermeneutico anche sacrificando il dato formale della rappresentazione dichiarativa.

Taxpayer’s manifestations of will between persistent effectiveness and amendability of tax returns

The most recent Italian Supreme Court case law seems to confirm the irrevocability of manifestations of will – made in order to obtain tax benefits or even just to choose optional tax regimes – as they may be classified in the broader category of legal transactions that give rise to obligations and are binding on the taxpayer. However, if we focus on voluntary choices made in tax returns, the changed legislative scenario, which safeguards the taxpayers’right to remedy errors or omissions in order to obtain a certain tax benefit, could lead to rethinking the settled case law, even if this involves a sacrifice of the formal declaration made in the tax return.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La persistente efficacia della rivalutazione dei terreni nel quadro delle manifestazioni di volontà finalizzate alla fruizione di un beneficio fiscale - 2.1. Orientamenti contrapposti sugli effetti della “rinuncia” alla rivalutazione, ma convergenti sull’irretrattabilità della scelta operata dal contribuente - 3. Dichiarazione tributaria e atti di manifestazione della volontà - 3.1. Orientamenti giurisprudenziali favorevoli all’emendabilità “processuale” della dichiarazione priva dell’indicazione di crediti d’imposta - 3.2. L’estensione dei termini per l’emendabilità della dichiarazione e gli effetti sull’accesso a regimi opzionali e agevolativi - 4. Il regolamento per il riordino della disciplina delle opzioni in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto - 5. L’istituto della remissio in bonis nel mutato contesto della dichiarazione integrativa di favore - 6. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

La sent. 31 gennaio 2020, n. 2321, emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che ha risolto il conflitto interno alle sezioni semplici sugli effetti dell’indicazione nell’atto di cessione di un terreno di un corrispettivo inferiore rispetto al valore rivalutato a seguito del versamento dell’imposta sostitutiva, offre la possibilità di sviluppare alcune considerazioni in merito alle manifestazioni di volontà che il contribuente può esprimere con la finalità di accedere ad agevolazioni tributarie o a regimi opzionali, derogatori rispetto alla disciplina generale prevista dall’ordinamento [1]-[2]. In particolare, partendo dai principi desumibili dall’arresto citato, si avrà modo di riflettere sulla emendabilità delle scelte operate dal contribuente, con particolare riferimento a quelle che trovano riscontro nella dichiarazione, allo scopo di verificare, sulla base degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, se l’indirizzo interpretativo, che sembra orientato all’immutabilità delle manifestazioni di volontà, possa trovare soluzione di continuità nell’evo­luzione del diritto positivo. La possibilità di operare rettifiche in melius della dichiarazione, non soltanto limitata alle dichiarazioni di scienza, ma estesa anche alle scelte che il soggetto passivo del tributo ha operato o avrebbe potuto operare per fruire di benefici fiscali o di istituti volti alla razionalizzazione del carico impositivo, sarà, quindi, oggetto di indagine per verificare, se la risposta dell’ordinamento alle molteplici sollecitazioni del giudice della nomofilachia, possa considerarsi adeguata ed anche più innovativa rispetto agli orientamenti consolidati.


2. La persistente efficacia della rivalutazione dei terreni nel quadro delle manifestazioni di volontà finalizzate alla fruizione di un beneficio fiscale

La sent. n. 2321/2020 delle Sezioni Unite ha rilevato che, in tema di plusvalenze, ex art. 67, comma 1, lett. a) e b), TUIR, relative a terreni edificabili e con destinazione agricola, l’omessa indicazione, nell’atto di vendita dell’im­mobile, del valore normale di riferimento contenuto nella perizia giurata (a norma dell’art. 7, L. n. 448/2001) e l’indicazione di un corrispettivo di cessione ad esso inferiore, non legittima un accertamento volto a rideterminare la plusvalenza emersa in sede di cessione tenendo conto del valore storico del bene né determina la decadenza del soggetto passivo del tributo dal beneficio correlato al pregresso versamento dell’imposta sostitutiva [3]. Il contesto normativo di riferimento è rappresentato dalle disposizioni del testo unico delle imposte sul reddito, relative alla determinazione dei redditi diversi e, in particolare, dall’art. 68, comma 1, il quale individua le modalità di determinazione della plusvalenza derivante dalla cessione dell’immobile e dalle disposizioni speciali sulla rivalutazione dei beni, recate dall’art. 7 della L. n. 448/2001 [4]. Si ricorda che quest’ultima norma consente il pagamento su base volontaria di un’imposta sostitutiva ad aliquota fissa, determinata sul valore del bene al momento della perizia estimativa giurata, con la precipua finalità di consentire al contribuente, in vista di una futura, ma non certa, cessione del proprio immobile, un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza [5] [6]. La disposizione è rivolta ai soggetti privati non operanti in regime d’impre­sa, quali persone fisiche, società semplici ed enti non commerciali, ed assicura a tali contribuenti una riduzione del prelievo sul plusvalore, di regola maturato in assenza di attività imprenditoriali nel periodo, che potrebbe risultare anche piuttosto lungo, successivo all’acquisto che precede la vendita [7]. La scelta operata dal contribuente determina, dunque, il vantaggio di poter affrancare, con il pagamento dell’imposta sostitutiva, la plusvalenza latente maturata alla data di entrata in vigore della norma sulla rivalutazione, creando così il presupposto per una minore tassazione in sede di successiva vendita del bene [8]. Naturalmente, in caso di mancata alienazione, la rivalutazione “a pagamento” [continua ..]


2.1. Orientamenti contrapposti sugli effetti della “rinuncia” alla rivalutazione, ma convergenti sull’irretrattabilità della scelta operata dal contribuente

La rinuncia all’indicazione del quantum rivalutato non è preclusa, in astratto, al contribuente, ma gli effetti dalla stessa derivanti sono stati differentemente valutati dai predetti opposti orientamenti che, come sarà meglio illustrato in seguito, in concreto, negano la possibilità di ritrattare la facoltà esercitata dal possessore del terreno che la giurisprudenza qualifica come opzione [14]. Entrambi gli orientamenti sembrano attribuire all’imposta sostitutiva la natura di agevolazione ad efficacia immediata, autonoma rispetto alla fattispecie imponibile rilevante ai fini dell’imposta sostituita, che valorizza la potenzialità economica del terreno posseduto e la cui deroga alla progressività, rispetto all’IRPEF ordinaria, è giustificata dalle esigenze di cassa dello Stato, disposto a rinunciare ad un gettito più elevato, a fronte di un incasso certo ed immediato [15]. Nella prospettiva dell’orientamento giurisprudenziale favorevole alla legittimità dell’accertamento dell’ufficio, l’indicazione di un minor valore del bene nell’atto di alienazione successivo alla rivalutazione determina la possibilità per l’ente impositore di prescindere dal maggior valore rivalutato e di assumere il criterio ordinario, di cui all’art. 68 TUIR, per determinare la plusvalenza. Il parametro di riferimento, da considerare come base di determinazione del plusvalore, sarebbe, pertanto, il costo storico del bene. Ne discende che la scelta di versare un’imposta sostitutiva per beneficiare di una rideterminazione del valore del bene, a beneficio di una minore imposizione, laddove non trovi riscontro nel successivo atto di cessione, costituisce motivo per l’ente impositore per prescindere dall’opzione esercitata e per determinare la plusvalenza secondo i canoni ordinari previsti dalle disposizioni del TUIR [16]. Se, pertanto, si verificano eventi che deprezzano il valore del bene ed il valore di perizia non è dichiarato nell’atto di cessione, anche l’ente impositore può prescindere dal valore periziato in quanto non costituisce più “valore minimo di riferimento”. In altre parole, come evidenziato dall’ordinanza interlocutoria di rimessione alle Sezioni Unite che propende per quest’ultimo orientamento, se il contribuente, dopo aver espresso [continua ..]


3. Dichiarazione tributaria e atti di manifestazione della volontà

Nel contesto sin qui delineato, nel preferire l’interpretazione adottata dalle Sezioni Unite sotto il profilo della natura agevolativa dell’opzione per la rivalutazione e volendo ampliare lo spettro dell’indagine non soltanto alle ipotesi di ritrattabilità delle scelte operate per regimi agevolativi, ma anche ai casi in cui il contribuente ometta di esercitare un’opzione per un’agevolazione che trovi riflesso nella dichiarazione, occorre considerare i precedenti giurisprudenziali che si sono occupati della emendabilità delle predette manifestazioni di volontà e verificare, anche alla luce dell’evoluzione normativa in tema di dichiarazione integrativa, se l’irretrattabilità di tali scelte resti un “dogma” imprescindibile ovvero possa trovare differenti soluzioni che inducano al riconoscimento della loro efficacia sostanziale seppure la formalizzazione nei modelli dichiarativi risulti tardiva. L’ermeneutica delle Sezioni Unite sin qui esaminata non è nuova nel panorama degli orientamenti giurisprudenziali che si sono succeduti a proposito delle norme tributarie che pongono il contribuente nelle condizioni di fruire di regimi agevolativi o opzionali, ma si pone in continuità con quell’indirizzo che, affermando costantemente l’impossibilità di emendare le manifestazioni di volontà, ritiene che queste ultime, in quanto riconducibili a negozi giuridici con effetti obbligatori, risultino, a differenza delle dichiarazioni di scienza, irretrattabili, salvo il caso in cui sia possibile dimostrare, ai sensi dell’art. 1428 c.c., che l’errore sia obiettivamente riconoscibile ed essenziale. Al riguardo, si evidenzia sin da subito che le differenti interpretazioni dei giudici di legittimità, di cui si terrà conto nel seguito, non sempre hanno contribuito a delineare un quadro omogeneo delle modalità attraverso le quali si possa ovviare ad un comportamento negligente per fruire di agevolazioni che, pur spettanti nella sostanza, non abbiano trovato un’adeguata formalizzazione nella dichiarazione. Il perimetro di riferimento è quello delle agevolazioni tributarie al cui interno si collocano i crediti d’imposta, che, trovando la loro manifestazione ed esternazione nella dichiarazione dei redditi, non assumono una propria autonomia rispetto alle procedure applicative dei singoli tributi cui le [continua ..]


3.1. Orientamenti giurisprudenziali favorevoli all’emendabilità “processuale” della dichiarazione priva dell’indicazione di crediti d’imposta

Parte della giurisprudenza di legittimità ha espresso un differente orientamento anche con riferimento a quelle fattispecie in cui il legislatore aveva espressamente sanzionato con la decadenza dall’agevolazione l’omessa esposizione in dichiarazione; secondo questa differente prospettiva, le disposizioni che, per l’appunto, disciplinavano la decadenza, in quanto regolamentari, assumerebbero natura formale, non riguardando gli elementi costitutivi del diritto sostanziale che, invece, sono determinati dalla norma primaria [36].. La rilevanza meramente amministrativa di tale limitazione temporale non impedirebbe, pertanto, al contribuente di opporre il credito d’imposta in sede giudiziale, dove, secondo la Corte, potrà e dovrà essere provata la sussistenza degli elementi costitutivi del credito, qualora gli stessi siano contestati dal­l’amministrazione finanziaria. Quest’ultimo orientamento, ancorché non smentisca il principio della non emendabilità della dichiarazione recante manifestazioni di volontà del contribuente, mutua dai principi enunciati dalle Sezioni Unite, con sent. n. 13378/2016, la distinzione tra norme che disciplinano la materia dell’accerta­mento e della riscossione dei tributi, che possono comportare decadenze pro­prie della fase amministrativa, e norme processuali, che comportano l’inappli­cabilità in sede giudiziale delle predette decadenze e, pertanto, consentono al contribuente di opporsi alla pretesa tributaria erariale, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, indipendentemente dai termini entro i quali, in sede amministrativa, la dichiarazione possa essere rettificata [37]. La soluzione proposta dai supremi giudici è sembrata dettata dalla necessità di superare l’impasse nel quale si trovava la giurisprudenza di legittimità che, avendo interpretato restrittivamente le disposizioni sull’emendabilità in melius della dichiarazione, ex art. 2, comma 8 bis, del D.P.R. n. 322/1998 (nel testo vigente anteriormente alle modifiche intervenute con il D.L. n. 193/2016), ha offerto al contribuente la possibilità di ottenere piena tutela in sede processuale, a fronte di errori commessi a proprio danno nella dichiarazione, qualora detti errori trovino riflesso in atti di accertamento dell’amministrazione finanziaria. Se, [continua ..]


3.2. L’estensione dei termini per l’emendabilità della dichiarazione e gli effetti sull’accesso a regimi opzionali e agevolativi

Se le perplessità suscitate dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite del 2016, cui si richiama anche l’orientamento più recente delle sezioni semplici della Cassazione, non sembrano dissolversi al cospetto della verifica della coerenza sistematica delle soluzioni proposte dai giudici di legittimità rispetto ai moduli procedimentali previsti per il controllo, l’intervento del legislatore, che alla fine del 2016 ha rivisitato il sistema della dichiarazione integrativa, modificando le disposizioni dell’art. 2, commi 8 e 8 bis, D.P.R. n. 322/1998, costituisce un importante punto di partenza per verificare se il nuovo impianto normativo possa contribuire a dissipare i dubbi sulla emendabilità della dichiarazione recante le manifestazioni “negoziali” del contribuente [45]. L’art. 5 del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modificazioni dalla L. 1° dicembre 2016, n. 225, ha, infatti, riscritto l’art. 2, commi 8 e 8 bis, D.P.R. n. 322/1998, riconoscendo espressamente ai contribuenti la facoltà di emendare la dichiarazione dei redditi, oltre che a proprio sfavore, anche a proprio favore entro il termine previsto per l’accertamento, ex art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, e di utilizzare in compensazione la relativa posta creditoria [46]-[47]. Alla luce del predetto orientamento dei giudici delle Sezioni Unite, le novellate disposizioni, consentono di verificare, de iure condendo, se i regimi opzionali e agevolativi continuino ad essere “discriminati” rispetto alla disciplina generale, orientata alla generale emendabilità della dichiarazione oppure, nella nuova prospettiva, siano anch’essi modificabili entro il termine quinquennale di cui all’art. 8, comma 2, oggi vigente. Tali disposizioni devono, altresì, essere coordinate con il regolamento afferente la disciplina delle opzioni, di cui al D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442 e l’istituto della c.d. remissio in bonis, di cui all’art. 2, commi 1-3 bis, D.L. 2 marzo 2012, n. 16, che, con riferimento alla spettanza di benefici di natura fiscale e all’accesso a regimi opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione o di altro adempimento di carattere formale, regolamenta le ipotesi di mancata o errata manifestazione dell’opzione.


4. Il regolamento per il riordino della disciplina delle opzioni in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto

Il citato D.P.R. n. 442/1997, nell’ambito delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ai fini della identificazione della scelta dispositiva, attribuisce rilievo non tanto alla manifestazione palese e formale in sede di dichiarazione di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili, quanto alla tenuta di un comportamento concludente da parte del contribuente, quale unica condizione per la validità dell’opzione, che deve essere concretamente attuata sin dall’inizio dell’anno o dall’inizio dell’attività. Mediante un “comportamento concludente” il contribuente può dimostrare l’erroneità della prima manifestazione negoziale che si palesa viziata da un errore essenziale e riconoscibile; ciò si verifica ogniqualvolta l’adempimen­to presupponga una precisa scelta difforme, nel contenuto, da quella conseguente al regime originariamente indicato [48]. Viene così enucleato il principio che la manifestazione di volontà dipende dalla condotta concreta del contribuente, desumibile in specie dagli adempimenti contabili e dagli obblighi strumentali, mentre la dichiarazione diviene soltanto la sede in cui tale manifestazione deve essere comunicata all’ammini­strazione finanziaria, un veicolo destinato a portare a conoscenza della controparte il comportamento adottato [49]. Le disposizioni del D.P.R. n. 442/1997 e parte della giurisprudenza di legittimità [50], che si contrappone all’orientamento che nega la rettificabilità delle manifestazioni di volontà che confluiscono nella dichiarazione, tendono, quin­di, ad attribuire alla formalità della comunicazione dell’opzione una funzione strettamente informativa e ricognitiva di scelte già compiute in modo informale [51]. In questa prospettiva, la dichiarazione diviene un luogo di comunicazione di scelte già effettuate per comportamenti concludenti e la mancata comunicazione non fa perdere il diritto al regime opzionale già applicato dal contribuente [52]. Una conferma di tale impostazione è rinvenibile nelle disposizioni relative alle sanzioni amministrative tributarie: in caso di mancata comunicazione nella dichiarazione delle opzioni effettuate nel periodo d’imposta, non è prevista la perdita del regime prescelto, ma soltanto l’applicazione di una modesta [continua ..]


5. L’istituto della remissio in bonis nel mutato contesto della dichiarazione integrativa di favore

Il regolamento sulle opzioni, proprio per effetto dell’evoluzione che i regimi opzionali hanno subito nel tempo, non è stato più ritenuto sufficiente per disciplinare i casi di omissioni degli adempimenti formali richiesti dalla legge, soprattutto in considerazione delle fattispecie che correlavano la decadenza del regime di favore o dell’agevolazione alla mancata indicazione in un atto dichiarativo della scelta operata dal contribuente. Per tali ragioni, le disposizioni di cui all’art. 2, comma 1, D.L. n. 16/2012, hanno introdotto una normativa finalizzata alla salvaguardia dell’efficacia di regimi opzionali in presenza di errori commessi dai contribuenti a proprio svantaggio. Il provvedimento sulla remissio in bonis è stato, infatti, adottato con la precipua finalità di evitare che mere dimenticanze relative a comunicazioni, di cui doveva essere reso edotto l’ente impositore, ovvero, in generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente, potessero precludere al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali [54]. Nelle fattispecie oggetto della normativa sull’emenda dei predetti regimi tanto l’obbligo di comunicazione, quanto l’adempimento formale, devono essere previsti a pena di decadenza dal beneficio o dal regime opzionale oggetto di rettifica; per effetto delle norme summenzionate, i contribuenti non decadono dal regime fiscale opzionale o dal beneficio di natura fiscale prescelto, a condizione che sussistano i relativi requisiti sostanziali, che la violazione non sia stata constatata e che venga comunque eseguito l’adempimento richiesto entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile. Per comprendere la ratio dell’istituto della remissio in bonis, potrebbe essere sufficiente ricordare che i regimi opzionali introdotti successivamente al D.P.R. n. 442/1997 sono stati caratterizzati da rigorosi oneri ed obblighi di comunicazione, volti ad evitare strumentalizzazioni della disciplina contrarie allo spirito della legge ed a consentire all’amministrazione di venire tempestivamente a conoscenza della scelta compiuta. Ciò rilevava in particolar modo per l’accesso ai regimi per i quali era richiesta una comunicazione preventiva da compiersi secondo le modalità e nei termini all’uopo [continua ..]


6. Conclusioni

La modifica normativa del 2016, che ha interessato i termini e le modalità di presentazione della dichiarazione integrativa, ha avuto l’indubbio pregio di cristallizzare la simmetria tra i termini previsti per l’accertamento in rettifica e quelli entro i quali è possibile emendare la dichiarazione in bonam partem nonché di circoscrivere e delimitare gli ambiti entro i quali il contribuente possa procedere con una rettifica in melius in sede processuale anche oltre i termini decadenziali positivamente predeterminati [64]. Nel sistema sin qui delineato sarebbe, quindi, condivisibile l’interpretazio­ne dei primi commentatori della riforma del 2016, che ritengono che le modifiche alla disciplina della dichiarazione integrativa possano risultare assorbenti di tutti i casi di rettifica dei dati inseriti in dichiarazione, comportando, di conseguenza, una tacita abrogazione del regime di cui al D.L. n. 16/2012 [65]. In ogni caso, quandanche non si volesse attribuire alle vigenti norme in materia di rettifica della dichiarazione una efficacia tale da ritenere non applicabili le disposizioni sulla remissio in bonis, il superamento dell’interpretazione restrittiva, fornita dall’amministrazione finanziaria in ordine ai termini entro i quali il diritto di remissione può essere esercitato, consentirebbe di accedere al regime opzionale prescelto o di fruire del beneficio fiscale, per il quale sia stato omesso l’adempimento formale normativamente richiesto, entro un intervallo temporale di un anno, decorrente, non dal termine previsto per effettuare la comunicazione o eseguire l’adempimento, ma dal momento in cui il contribuente abbia preso coscienza del proprio errore omissivo. Le modifiche del D.L. n. 193/2016 sembrano, quindi, prospettare un sistema fondato sulla centralità della fase amministrativa, che si articola secondo le forme ed i termini ad essa relativi, nel quale anche la modifica della dichiarazione non può prescindere dal coordinamento con lo svolgimento della funzione amministrativa in cui tale momento partecipativo si inserisce. In questa prospettiva, la scelta operata dal legislatore dovrebbe comportare un ripensamento degli orientamenti giurisprudenziali che, con particolare rifermento ai regimi agevolativi ed opzionali che trovano riflesso nella dichiarazione, deviando dalla fase amministrativa a favore di quella giurisdizionale, legittimano le [continua ..]


NOTE