La Corte di giustizia dell’Unione europea ha prodotto negli ultimi quarant’anni una vasta giurisprudenza in materia di tutela del contribuente destinatario di sanzioni tributarie, giurisprudenza che tuttavia riguarda unicamente l’applicazione di imposte disciplinate con direttive UE di armonizzazione, principalmente l’IVA e le accise e che si basa sui principi generali dell’ordinamento dell’Unione, in primis: principio di proporzionalità delle pene, diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, principio del ne bis in idem. Questa giurisprudenza della Corte di giustizia ha determinato una disparità di trattamento, in caso di infrazioni identiche o analoghe, fra contribuenti colpiti da sanzioni relative ad imposte non armonizzate, essenzialmente le imposte sui redditi, e contribuenti destinatari di sanzioni connesse alla percezione di imposte armonizzate. La stessa Corte ha escluso in varie sue sentenze che un rimedio a tali “discriminazioni a rovescio” possa essere trovato nell’ambito dell’ordinamento UE. Ne consegue che la soluzione del problema va ricercata nell’ambito degli ordinamenti giuridici di ciascuno Stato membro. La Corte costituzionale ha emanato in passato alcune sentenze aventi ad oggetto “discriminazioni a rovescio” nell’ambito dell’esercizio delle quattro libertà fondamentali di circolazione garantite dal Trattato UE, delle quali una – la n. 443/1997 sui produttori di pasta – fa esplicito riferimento al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. L’autore propone in conclusione di applicare tale principio alla situazione dei contribuenti soggetti ad imposte non armonizzate e destinatari di sanzioni tributarie, estendendo a questi ultimi i diritti e le tutele che la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ha elaborato a favore dei contribuenti soggetti ad imposte armonizzate.
The Court of Justice of the European Union (CJEU) has delivered during the last forty years an extensive case-law related to the protection of the taxpayer’s rights in the area of tax administrative penalties. Such case-law concerns nevertheless the collection of taxes governed by EU harmonization Directives, mainly VAT and excise duties and is based on EU law general principles: proportionality of penalties, right to an effective judicial remedy and the ne bis in idem principle. Such case-law has therefore created a situation of inequality of treatment between taxpayers to whom a tax administrative penalty has been imposed in the framework of the collection of non-harmonised taxes, mainly income taxes, and taxpayers subject to harmonised taxes to whom a penalty has also been imposed for the same or comparable infringement. The CJEU has constantly denied in its judgments that a remedy for such “reverse discriminations” may be found within the EU legal order. It follows that the solution to such a problem has to be sought within the legal system of each Member State. The Italian Constitutional Court delivered in the past some judgments concerning “reverse discriminations” occurred in the framework of the exercise of the four fundamental freedoms of movement granted by the EU Treaty. One of such judgments – i.e. decision no. 443/1997 concerning pasta manufacturers – refers expressly to the equality principle enshrined in Art. 3 of the Italian Constitution. The author proposes in conclusion to apply such principle to the situation of taxpayers subject to non– harmonized taxes and to whom tax administrative penalties have been imposed, by extending to these taxpayers the rights and remedies that the CJEU’s case-law granted to taxpayers subject to harmonized taxes.
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1. La tutela del contribuente destinatario di provvedimenti sanzionatori per violazioni relative ad imposte armonizzate da direttive dell’Unione europea - 2. Le possibili disparità di trattamento fra contribuenti assoggettati ad imposte armonizzate (IVA) e contribuenti assoggettati ad imposte non armonizzate (imposte sui redditi): le “discriminazioni a rovescio” - 3. I possibili rimedi di diritto interno per porre fine alle “discriminazioni a rovescio” - 4. La giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di “discriminazioni a rovescio” - 5. Estensione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. alle situazioni di contribuenti destinatari di provvedimenti sanzionatori relativi ad imposte non armonizzate - NOTE
Un esame sia pure sommario, ma sistematico, della vasta giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di sanzioni tributarie può senz’altro legittimare la conclusione che il contribuente assoggettato ad imposte disciplinate con direttive di armonizzazione dell’Unione europea può contare, in tutti i casi in cui l’amministrazione fiscale gli irroga una sanzione, su un consistente “arsenale” di strumenti giuridici che questo medesimo contribuente può invocare a propria difesa basandosi sulle pronunce della Corte stessa [1]. In primo luogo, infatti, il soggetto passivo di imposte armonizzate potrà contare sull’applicazione nei suoi confronti della Carta dei diritti fondamentali, dato che tutte le leggi nazionali che recepiscono le direttive di armonizzazione fiscale dell’Unione europea e le completano con la previsione di sanzioni in caso di violazioni, costituiscono per espressa statuizione della Corte di giustizia, norme “di attuazione del diritto dell’Unione” ai sensi dell’art. 51, par. 1, della Carta medesima [2]. Non rileva a questo riguardo la circostanza che le direttive di armonizzazione, ed in particolare la Direttiva IVA 2006/112/CE, non impongano espressamente agli Stati membri di prevedere nella loro legislazione l’applicazione di sanzioni in caso di infrazioni commesse dai soggetti passivi dell’imposta armonizzata [3], dato che tale specifico obbligo si iscrive nel più generale dovere degli Stati membri di assicurare l’integrale riscossione sul loro territorio delle imposte armonizzate, in particolare dell’IVA, e di lottare contro la frode [4]. Grazie all’applicazione della Carta dei diritti fondamentali, il contribuente destinatario di provvedimenti sanzionatori potrà pertanto invocare tutti i principi generali dell’ordinamento dell’Unione elaborati dalla Corte prima del 1° dicembre 2009 e successivamente sanciti in vari articoli della Carta stessa, in primis il principio di proporzionalità delle pene (art. 49.3) [5]. Tale principio comporta innanzitutto che la severità di una sanzione deve corrispondere alla gravità dell’infrazione commessa dal debitore dell’imposta armonizzata ed in secondo luogo che nella determinazione del tipo e dell’importo della sanzione l’amministrazione fiscale deve tenere conto delle [continua ..]
Questa delimitazione ratione materiae del campo di applicazione della giurisprudenza europea riguardante le sanzioni tributarie comporta come ovvio corollario che non possono avvalersi delle ampie tutele previste dal diritto dell’Unione tutti quei contribuenti colpiti da sanzioni inflitte dall’amministrazione in relazione a violazioni di leggi nazionali disciplinanti imposte non armonizzate a livello europeo, in primo luogo le imposte sui redditi. Il problema dell’esistenza di una disparità di trattamento in ipotesi contraria al principio di uguaglianza e di non discriminazione fra contribuenti destinatari di un avviso di accertamento relativo all’imposta sui redditi e contribuenti destinatari di un analogo avviso di accertamento in materia di IVA, è stato posto espressamente alla Corte di giustizia dalla Corte di cassazione belga nelle cause IN e JM c. Belgische Staat [33]. I ricorrenti nei processi a quo avevano infatti invocato l’applicazione nei loro confronti dei principi interpretativi enunciati dalla Corte di giustizia nella sentenza WebMindLicences [34] e riguardanti la delicata questione delle garanzie per il contribuente che il giudice tributario deve assicurare in ordine alla possibilità di utilizzare in un procedimento amministrativo di accertamento dell’IVA, degli elementi di prova ottenuti dall’autorità giudiziaria nell’ambito di un processo penale parallelo non ancora concluso, all’insaputa del soggetto passivo, mediante intercettazioni telefoniche e sequestri di messaggi di posta elettronica [35]. È quindi con piena cognizione di causa che la Corte di giustizia ha statuito, facendo interamente proprie le argomentazioni svolte dall’Avvocato generale J. Kokotte nelle sue conclusioni [36], che l’utilizzo di prove ai fini di un avviso di accertamento dell’imposta sui redditi non costituisce attuazione del diritto dell’Unione ai sensi dell’art. 51, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali, anche se tali prove sono state ottenute nell’ambito di un procedimento penale riguardante una frode IVA commessa dai medesimi soggetti passivi [37]. Non erano pertanto applicabili agli avvisi di accertamento dell’imposta sui redditi notificati ai ricorrenti nei due processi a quo le garanzie previste dall’art. 47 della Carta e dalla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia [continua ..]
Per la Corte di giustizia [43] non vi è dubbio che nell’ambito delle quattro libertà fondamentali di circolazione garantite dal Trattato UE, la soluzione del problema delle “discriminazioni a rovescio” vada trovata nell’ambito dell’ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro [44]. Questo principio è stato confermato in una recente pronuncia dei giudici europei su rinvio pregiudiziale della Commissione tributaria della Lombardia [45], che merita di essere menzionata per la novità costituita da una discriminazione a rovescio posta in essere direttamente da un legislatore nazionale e proprio in ambito tributario. L’imposta contestata nel processo a quo era quella sulle transazioni finanziarie istituita dalla L. n. 228/2012, art. 1, commi 491 e 492, che colpisce sia i trasferimenti della proprietà di azioni emesse da società con sede in Italia e unicamente da quelle (comma 491), sia le operazioni finanziarie sui derivati, ma soltanto qualora il titolo sottostante sia stato emesso da una società residente in Italia (comma 492). Il prelievo si applica poi indipendentemente sia da luogo di conclusione dell’operazione, sia dallo Stato di residenza degli operatori finanziari controparti alle operazioni in questione e/o dell’eventuale intermediario finanziario. L’aspetto del tutto inedito di tale imposta consiste nella circostanza che essa penalizza, per di più sui mercati finanziari di tutto il mondo, le sole negoziazioni di azioni emesse da società italiane e unicamente gli investimenti in derivati basati su azioni di società italiane, mentre non sono soggette a tale prelievo né le negoziazioni di azioni di società estere, né le operazioni su derivati basati su azioni di società estere, che sono effettuate in Italia o comunque da controparti italiane o con l’intervento di un intermediario finanziario stabilito in Italia. Rispondendo al quesito interpretativo dell’art. 63 TFUE formulato dalla CTR della Lombardia, la Corte di giustizia ha affermato – e visti i precedenti giurisprudenziali non poteva che affermare – che “le conseguenze svantaggiose che possono derivare dalle competenze fiscali dei vari Stati membri, purché il loro esercizio non sia discriminatorio, non costituiscono restrizioni alle libertà di circolazione” [46] e pertanto [continua ..]
Nell’ambito del diritto tributario la Corte costituzionale è già stata adita due volte con questioni di legittimità costituzionale [57] nelle quali i giudici a quo avevano posto a confronto, ai fini del giudizio di costituzionalità, due norme di legge riguardanti i rimborsi di imposte indebitamente percepite dallo Stato italiano, la prima riguardante le imposte dichiarate dalla Corte di giustizia incompatibili con il diritto dell’Unione [58] e la seconda avente ad oggetto le restituzioni di imposte non dovute disciplinate da leggi tributarie “puramente interne” [59]. La Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale in entrambi i casi il trattamento deteriore che l’art. 19 del D.L. n. 688/1982 riservava ai contribuenti “puramente interni” rispetto ai contribuenti che agivano sulla base dell’art. 29 della L. n. 428/1990 per la ripetizione dell’indebito tributario riscosso in violazione di norme dell’Unione, trattamento deteriore tanto sotto il profilo della limitazione alla sola prova documentale della dimostrazione della mancata traslazione su altri soggetti dell’imposta non dovuta [60], quanto sotto il profilo dell’inversione dell’onere della prova, posto a carico dell’attore in ripetizione e non dell’amministrazione, in ordine alla medesima mancata traslazione “a valle” dell’imposta indebitamente versata [61]. Tuttavia il giudizio di incostituzionalità della Corte si è basato, nella prima sentenza, sulla violazione dell’art. 24 Cost. per lesione del diritto del contribuente ad agire in giudizio, mentre nella seconda pronuncia la Corte costituzionale ha sì constatato una violazione dell’art. 3 Cost., ma unicamente sotto il profilo della “lesione del generale canone di ragionevolezza” provocata dall’inversione dell’onere della prova della mancata traslazione dell’imposta illegittimamente versata. Ne consegue che queste due sentenze non costituiscono purtroppo utili precedenti di comparazione – ai fini di un giudizio di costituzionalità basato sull’art. 3 Cost. e sotto il profilo esclusivo del principio di eguaglianza – di due fattispecie tributarie sostanzialmente simili ma delle quali quella “puramente interna” (imposta sui redditi) si trova a beneficiare di un trattamento meno [continua ..]
Resta a questo punto da esaminare se sulla base di questo precedente particolarmente pertinente rappresentato dalla propria sent. n. 443/1997 “produttori di pasta”, la Corte costituzionale potrebbe procedere ad un’applicazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. alle norme di legge italiane che per ipotesi riservassero, o che permettessero all’amministrazione o ai giudici tributari di riservare, una disparità di trattamento sotto il profilo sanzionatorio a danno dei debitori di imposte non armonizzate quali le imposte sui redditi, rispetto ai soggetti passivi IVA. Si tratterebbe in altri termini di un’applicazione per analogia del principio interpretativo dell’art. 3 Cost. formulato dalla Corte costituzionale nella sua sent. n. 443/1997 a due gruppi di operatori economici – i contribuenti di imposte armonizzate e i contribuenti di imposte non armonizzate – che si trovano in situazioni giuridicamente comparabili ma che tuttavia, a differenza dei produttori di pasta italiani e di quelli di altri Stati membri, sono entrambi stabiliti in Italia [72]. Un argomento decisivo a favore di questa possibilità di mettere a confronto la posizione dei soggetti passivi IVA (o accise) e quella dei debitori delle imposte sui redditi può essere tratto dalla sentenza Scialdone [73] della Corte di giustizia, avente ad oggetto l’interpretazione dell’art. 325, par. 2, TFUE in forza del quale: “Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari”. Si tratta all’evidenza di una disposizione del Trattato assai rilevante ai fini dell’applicazione alle sanzioni tributarie del “giudizio di eguaglianza” [74] affidato alla Corte costituzionale italiana, in quanto impone agli Stati membri nel loro complesso – da intendersi, secondo costante giurisprudenza della Corte di giustizia: i legislatori, le amministrazioni nazionali e i giudici di ogni ordine e grado – di allineare costantemente i propri regimi sanzionatori relativi all’IVA, che costituisce una risorsa propria del bilancio dell’Unione, ai regimi sanzionatori relativi alle imposte non armonizzate sui redditi il cui gettito rappresenta invece un’entrata essenziale per gli “interessi [continua ..]