Il tema della tassazione sui rifiuti nelle piazzole autostradali coinvolge la corretta applicazione di una norma considerata speciale (art. 14, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285) che pone in capo al concessionario un generico dovere di pulizia delle strade e pertinenze, in deroga alla disciplina generale del tributo riconducibile alla privativa comunale, e prevista ratione temporis dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507. Nell’escludere la potestà impositiva dell’ente locale sulle predette aree la Corte richiama quanto già statuito sul tema della raccolta e gestione dei rifiuti nelle aree portuali, in quanto fattispecie ritenuta analoga poiché disciplinata, anch’essa, da una disposizione speciale (art. 6, comma 1, lett. c), L. 28 gennaio 1994, n. 84) idonea a derogare il regime ordinario.
Taxation on waste on motorway service areas involves the correct application of a provision considered special (i.e. Art. 14, Legislative Decree no. 285 of 30 April 1992), which places on the concessionaire a generic duty to clean the streets and appliances, in derogation from the general discipline of the tax linked to the municipal property, and provided ratione temporis by Legislative Decree no. 507 of 15 November 1993.
In excluding the taxing power of the local authority on the aforementioned areas, the Italian Supreme Court recalls what has already been ruled on the subject of waste collection and management in port areas, as a case considered similar since it is also governed by a special provision (i.e. Art. 6, para. 1, letter c), Law no. 84 of 28 January 1994) suitable for waiving the ordinary regime.
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1. Premessa e inquadramento sistematico - 2. Il contesto normativo in tema di piazzole autostradali - 3. Una (non) condivisibile sovrapposizione con il regime vigente nelle aree portuali - 4. Conclusioni - NOTE
Con la sentenza in esame la Corte torna ad affrontare il tema dell’applicazione della tassa rifiuti alle piazzole autostradali. La questione, in parte analoga a quella riscontrata nel settore delle aree portuali e degli specchi d’acqua (v. infra), affonda le proprie radici nella controversa sovrapposizione di certuni poteri amministrativi e gestori (quello comunale e quello del concessionario autostradale), nonché nella forte riduzione degli spazi di manovra degli enti locali derivanti, in gran parte, dalle recenti riforme di finanza locale. Queste, infatti, hanno avuto l’effetto di sollecitare le amministrazioni comunali nella costante ricerca di nuove fonti di entrata (si pensi alla necessità di colmare il mancato gettito derivante dall’abolizione dell’IMU sulla prima casa), addivenendo all’individuazione, tra le varie, delle piazzole autostradali quali superfici potenzialmente imponibili ai fini della tassa. La questione controversa, pertanto, incide sulla corretta individuazione della potestà impositiva dell’ente locale in relazione all’area interessata, alla luce di un quadro normativo estremamente frammentato e stratificato. Come noto, in tema di Tarsu l’art. 58, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, pone lo svolgimento del servizio di smaltimento in regime di privativa in capo ai Comuni, chiamati ad istituire una tassa da disciplinare con apposito regolamento nel rispetto delle prescrizioni e dei criteri di cui alla normativa statale. Il presupposto impositivo, fissato dall’art. 62, comma 1, del medesimo testo di legge, insiste sull’occupazione e sulla detenzione di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti. Già da una piana lettura della norma si evince l’assoluta ampiezza e genericità della disposizione, in particolare per quel che concerne l’estensione territoriale entro la quale l’Ente può esercitare l’attività di raccolta. Questa, infatti, potenzialmente si estende ben oltre il “centro urbano”, comprendendo anche le “frazioni”, i c.d. “nuclei abitati” nonché, comunque, le “zone del territorio comunale con insediamenti sparsi” (a nulla rileva, ad esempio, l’eventuale natura demaniale di un’area). In tal senso rientrano nel servizio non solo i rifiuti interni (prodotti dai locali e dalle superfici private), bensì anche quelli [continua ..]
La cornice delineata in premessa consente di approcciare più nel dettaglio la decisione in rassegna, con cui la Cassazione ha sostanzialmente negato la possibilità per il Comune di richiedere al concessionario autostradale il pagamento della tassa rifiuti per carenza di potestà impositiva. Tra le diverse cause di esclusione illustrate la Corte si sofferma, pertanto, su quella concernente la sussistenza di apposite “norme legislative o regolamentari” che pongono in capo a soggetti terzi la titolarità della gestione dei rifiuti in deroga all’ordinaria legittimazione attiva dell’ente locale. In tale prospettiva, come osservato dalla società contribuente, rileva l’art. 14 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (c.d. “nuovo codice della strada”), inserito nel capo dedicato alla “costruzione e tutela delle strade ed aree pubbliche” e rubricato “poteri e compiti degli enti proprietari delle strade”. L’art. 14 pone in capo al concessionario l’onere di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle pertinenze, degli arredi, delle attrezzature, degli impianti e dei servizi. Da qui la Corte, in adesione peraltro ad un proprio risalente precedente [2], deduce che trattasi di disposizione speciale da applicarsi in deroga al regime della privativa comunale, giusto il richiamo all’art. 62, comma 5, D.Lgs. n. 507/1993, non essendo configurabile alcun potere in capo ad un soggetto diverso da quello che espleta il servizio. Eppure, è proprio sul tema del soggetto che in concreto svolge le attività di raccolta, smaltimento, e recupero del rifiuto, che occorre soffermarsi. A ben vedere, infatti, il tenore letterale dell’art. 14 non consente di individuare in modo sufficientemente puntuale i compiti del proprietario autostradale (o del relativo concessionario), limitandosi, invero, a prevedere un generico e condivisibile (per non dire scontato) dovere di pulizia delle strade e delle relative pertinenze. Alcuna specifica si riscontra, però, sul significato e soprattutto sulle attività concrete da porre in essere da parte del gestore. Così come del tutto carenti sono le indicazioni attuative, dovendosi chiedere se siffatta pulizia debba essere intesa come mero asporto dei rifiuti dalla rete viaria e zone limitrofe o se, invece, possa ricomprendere l’intero ciclo di raccolta, [continua ..]
Come sommariamente accennato, al fine di suffragare la propria decisione la sentenza rinvia ad analogo orientamento [3] – peraltro recentemente consolidatosi [4] – sul tema della tassazione degli specchi d’acqua (posti barca) all’interno delle aree portuali [5]. Anche nel predetto settore la problematica verte sostanzialmente sul versante normativo. Riprendendo, infatti, la deroga alla privativa comunale di cui all’art. 62, comma 5, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, volta ad escludere la potestà impositiva dell’ente locale in particolari settori in virtù di apposite “norme legislative o regolamentari”, la Corte si sofferma sull’art. 6, comma 1, lett. c) della L. 28 gennaio 1994, n. 84 [6]. Tale articolo, infatti, affida all’Autorità Portuale il controllo delle attività dirette alla fornitura agli utenti portuali dei “servizi di interesse generale”. Servizi da individuarsi, ed in concreto individuati, con apposito decreto del Ministro dei trasporti [7]. A ben vedere, le peculiarità e le differenze rinvenute nel settore marittimo rispetto alla tematica in esame sono molteplici e significative, non consentendo una piana sovrapposizione dei due casi. In primo luogo, sul versante soggettivo, occorre evidenziare come nel caso della Autorità Portuale trattasi di un ente pubblico dotato, tra gli altri, di scopi istituzionali tipici di gestione dell’intero ambito portuale, in virtù di apposite disposizioni attuative che ne contraddistinguono finalità e modalità applicative puntualmente disciplinate. Sul piano oggettivo, invece, ove peraltro le discrasie emergono in modo ancora più significativo, non può non cogliersi la marcata differenza tra il generico dovere di pulizia previsto dall’art. 14 del codice della strada, rispetto all’art. 1, lett. b), del D.M. 14 novembre 1994, attuativo dell’art. 6, comma 1, lett. c), L. n. 84/1994, che espressamente include altresì le attività di raccolta e di sversamento a discarica di tutti i rifiuti prodotti negli spazi, nei locali e nelle infrastrutture comuni e private situate nel porto. Ponendo a carico dell’Autorità Portuale addirittura la derattizzazione e la disinfestazione, nonché la gestione della rete fognaria ed il disinquinamento degli specchi d’acqua portuali [8]. Da una [continua ..]
Le osservazioni riportate e l’approfondimento del parallelismo operato dalla Corte sotto il profilo attuativo delle due disposizioni speciali (art. 14 del codice della strada e art. 6 della disciplina portuale) inducono a ritenere non condivisibili le argomentazioni decisorie della sentenza in rassegna. In tal senso, la genericità dell’art. 14 citato non consente di poter assimilare sic et simpliciter all’ente portuale il concessionario autostradale, essendo quest’ultimo privo dei tipici poteri di raccolta, smaltimento e sversamento rifiuti specificamente posti a capo dell’Autorità di sistema portuale. Del resto, lo si ripete, è la stessa Corte a ritenere che nelle zone marittime la deroga alla privativa comunale sussista solo a fronte di un concreto e compiuto onere di raccolta dei rifiuti da parte dell’ente portuale, idoneo come tale a renderlo gestore sostituivo dell’ente locale. Circostanze a ben vedere non rinvenibili in una sommaria e non ben chiara pulizia delle piazzole viarie prevista dal codice stradale. Dal quadro delineato emerge, in conclusione, la persistenza di una significativa ed ormai risalente carenza di coordinamento e suddivisione di ruoli e compiti in precise zone del territorio. Aspetti su cui de jure condendo sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore da parte del legislatore per evitare di dover ricorrere nuovamente alla via interpretativa, ancora oggi foriera di equivoci e soluzioni non del tutto conformi alla ratio del tributo. Peraltro, tale esigenza di cornici e traccianti strategici ben delineati sul piano della ripartizione delle competenze tra i vari organi amministrativi e gestori (enti locali, autorità portuali, concessionari autostradali, ecc.) risulta non più procrastinabile in virtù del susseguirsi dei nuovi regimi applicativi della tassa, successivi alla Tarsu, che a ben vedere hanno generato ulteriori criticità sul piano della compiuta ricostruzione del dato positivo. L’istituzione, dapprima della Tares [11] e quindi dell’attuale Tari [12], infatti, non solo non hanno risposto alla suindicata richiesta di semplificazione della farraginosa normativa (portuale, statale, regolamentare, codicistica, speciale, ecc.) bensì non hanno conservato quanto espressamente previsto dall’art. 62, comma 5, D.Lgs. n. 507/1993 concernente le deroghe espresse alla privativa comunale, idonee ad affidare a [continua ..]