Ai fini della configurabilità del reato di auto riciclaggio gioca un ruolo fondamentale la concreta attitudine delle condotte ad ostacolare la rintracciabilità dell’origine delittuosa delle utilità oggetto di riciclaggio. Tale attitudine decettiva costituisce l’elemento differenziale tra post-factum non punibile e condotta di auto riciclaggio e non la destinazione personalistica dei proventi riciclati. In tal senso, l’idoneità decettiva caratterizzante le condotte tipiche in ambito tributario, nonché la simile ratio della punizione penale, fa presagire un sempre più stretto rapporto tra queste due figure di reato.
For the purposes of configuring the crime of self-money laundering, the concrete attitude of the conduct to hinder the traceability of the criminal origin of the utilities subject to laundering plays a fundamental role. This deceptive attitude represents the differential element between a non-punishable post-factum and the self-money laundering conduct and not the personal destination of the laundered proceeds. In this sense, the deceptive suitability characterising the typical tax conducts, as well as the similar rationale of criminal punishment, suggests an increasingly close relationship between these two criminal figures.
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La vicenda sottoposta al vaglio della Suprema Corte origina da un ricorso proposto dall’imputato avverso una sentenza del Tribunale della Libertà che disponeva la misura cautelare degli arresti domiciliari: l’imputato era accusato di aver “posto in essere un’associazione per delinquere finalizzata all’evasione dell’imposta sul valore aggiunto e dell’auto-riciclaggio dei relativi proventi”. In particolare, l’evasione dell’IVA avveniva mediante l’utilizzo di una serie di società di comodo, le quali si procuravano la disponibilità di beni in regime di sospensione di imposta mediante l’utilizzo di lettere di intenti; i coimputati provvedevano poi ad effettuare ripetute cessioni tra le società medesime, nelle cui fatture veniva esposta cartolarmente l’IVA, che di fatto non veniva mai versata, anche se veniva portata in detrazione: quindi, ogni società tratteneva una piccola percentuale dal ricavato delle vendite e tale profitto finiva a favore degli associati. Di interesse, ai nostri fini, è che lo schema utilizzato per reimmettere nel circuito legale i proventi dell’attività illecita era oggettivamente distinto dal reato presupposto, nonché non caratterizzato da fine imprenditoriale: invero, secondo la prospettazione accusatoria, gli imputati, al fine di offuscare la tracciabilità del denaro, trasferivano i proventi dell’evasione ad una società olandese, attraverso l’emissione di fatture oggettivamente inesistenti da parte di quest’ultima; il denaro veniva, poi, riconsegnato in contanti da un corriere nelle mani degli indagati. Prima di passare all’analisi dell’arresto della Cassazione, è opportuna una nota sulla condotta di riciclaggio nel caso concreto. Invero, questo caso ben rappresenta la fallacia, in termini criminologici, dell’inquadramento del riciclaggio quale mero post-factum del reato presupposto [1]: l’occultamento della provenienza delittuosa dei proventi del reato, specialmente in caso di forme di criminalità maggiormente sofisticate (quali la criminalità finanziaria o il terrorismo), è attività estremamente complessa, che richiede ingenti mezzi ed organizzazione autonoma [2]. Tale autonoma esistenza, in termini oggettivi, è chiara nel caso di specie: una volta ottenuto il provento del [continua ..]
Con la pronuncia n. 9755/2020, la Suprema Corte torna ad affermare la natura complementare della scriminante prevista dall’art. 648 ter 1 c.p., comma 3. In particolare, questo comma prevede che “fuori dai casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”. Tale clausola, inserita durante l’approvazione parlamentare del reato di auto riciclaggio [8], sin dalla sua introduzione, ha suscitato rilevanti dibattiti in dottrina riguardo al suo significato, nonché al suo ambito di applicazione. Chiaro esempio dello scadimento tecnico del legislatore, questa disposizione è o sostanzialmente inutile, o frutto di un error calami. Difatti, una scriminante che si applichi solamente al di fuori delle fattispecie che essa stessa scrimina, è logicamente un controsenso. Invero, la scriminante è un’oggetto negativo della fattispecie criminosa, la quale rende quest’ultima atipica, segnalando la mancanza d’interesse alla punizione del legislatore in quel dato caso [9]. È pertanto chiaro che la scriminante, in quanto elemento negativo di altra fattispecie, non ha esistenza propria. Il comma 4 dell’art. 648 ter c.p. evidentemente rientra nella summenzionata categoria. Difatti, questa disposizione prevede un elemento della condotta di auto riciclaggio – la mera utilizzazione ovvero il godimento personale del frutto del reato presupposto – che elimina l’interesse a punire dello Stato. Il ragionamento avrebbe un suo senso se non fosse che il legislatore ha inserito, quale clausola di apertura del comma 4, la locuzione “fuori dai casi di cui ai commi precedenti”. Ciò comporta che detta scriminante agisca in un vuoto giuridico, scriminando condotte non già incriminate e che, pertanto, non necessitano di essere scriminate date la loro liceità, o, per lo meno, non autonoma rilevanza penale. Pertanto, se interpretata secondo quanto “fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”, questa disposizione ha una portata sostanzialmente nulla [10]. Al più potrebbe fungere quale argine esterno rispetto ad interpretazioni estensive operate dalla giurisprudenza della condotta di cui al co 1, creando una sorta di area di sicura liceità [11]. Di fronte [continua ..]
Al fine di meglio comprendere le problematiche legate alla definizione di auto riciclaggio è necessario volgere lo sguardo all’inquadramento internazionale di questo delitto. Difatti, il riciclaggio, lungi dall’essere una questione meramente nazionale, è al centro di accesi dibattiti e sviluppi a livello internazionale ed europeo; invero, il contrasto al riciclaggio è uno degli ambiti più fecondi in termini di collaborazione internazionale. Ragione di questa attenzione è collegata alla relazione esistente tra questo reato ed, in particolare, il finanziamento del terrorismo e la criminalità organizzata, nonché le sue potenzialità in termini di destabilizzazione macroeconomica. La strategia internazionale per la lotta al riciclaggio è costituita da un mix tra controllo diffuso amministrativo, affidato alle istituzioni finanziarie sotto la supervisione delle Unità di Informazione Finanziaria nazionali, le quali agiscono mediante attività di KYC e reporting e crescente qualificazione in termini criminali delle condotte. A supervisionare questa attività sono nate, in seno a differenti organismi internazionali, autorità specifiche; queste svolgono sia un’attività di analisi dei rischi e proposta legislativa, sia un’attività di valutazione dell’efficacia dei sistemi predisposti dagli Stati. Tra queste si possono ricordare il GAFI [16], MONEYVAL [17] e l’Egmont Group [18]. È di rilievo rammentare che la non ottemperanza alle raccomandazioni del GAFI può avere effetti considerevoli in termini di rapporti con paesi terzi e libera circolazione dei capitali, dato il potere del GAFI di stabilire contromisure che possono arrivare alla limitazione o al divieto di transazioni finanziarie con la giurisdizione segnalata. Di ancor maggiore spessore è il ruolo dell’Unione Europea sia a livello normativo, mediante l’adozione delle Direttive Anti-Riciclaggio, sia a livello amministrativo, con il ruolo di coordinamento svolto dall’Autorità Bancaria Europea: il riciclaggio è sempre più un affare europeo. Da ultimo, la prossima introduzione del Pubblico Ministero Europeo (EPPO) comporterà verosimilmente una diretta competenza degli organi comunitari in ambito di persecuzione del riciclaggio dato che la competenza prevista dall’art 22 del regolamento n. [continua ..]
La genesi normativa della mancata previsione dell’auto riciclaggio, quale figura autonoma, è da individuare nella clausola di salvaguardia prevista dalla Convenzione del 1990, la quale statuisce all’art. 6.2 che “può prevedersi che i reati di cui al predetto paragrafo non si applichino alle persone che hanno commesso il reato principale”. Questa clausola è ribadita dalla Convenzione di Palermo, seppur in termini più restrittivi. Difatti, l’art. 6, lett. e), prevede che “se richiesto dai princìpi fondamentali del diritto interno di uno Stato Parte, può essere disposto che i reati di cui al paragrafo 1 del presente articolo non si applichino alle persone che hanno commesso il reato presupposto”. Proprio su questa asserita contrarietà si è basata la mancata estensione del riciclaggio all’autore del reato, fino all’entrata in vigore dell’art. 648 ter 1 [31]. Invero parte della dottrina, basandosi su questa clausola, ha ritenuto l’estensione del reato di riciclaggio all’autore del reato come contrario al principio del ne bis in idem [32] e del nemo tenetur se detegere [33]. Sul punto si è affermato, da una parte, che le condotte di utilizzazione dei proventi del reato costituiscano una naturale ed inevitabile prosecuzione del reato presupposto e che una loro criminalizzazione punirebbe un elemento del fatto già punito a monte [34]; dall’altra, che proibire al reo di compiere ogni azione, anche in ambito di tracciabilità del denaro, la quale renda minore il rischio di essere scoperto, contrasti con il principio nemo tenetur se detegere [35]. Nonostante queste opposizioni dogmatiche, la mancata previsione di una condotta di auto riciclaggio nel sistema nazionale è stata individuata da molteplici analisti come un punto debole nel sistema di repressione italiano [36]. Nel 2006 il Fondo Monetario Internazionale, nella sua valutazione sul sistema Italiano di prevenzione del riciclaggio [37], ha statuito che “si raccomanda la criminalizzazione dell’auto riciclaggio (…) paesi con sistemi legali similari stanno progressivamente includendo l’auto riciclaggio quale condotta punibile”. Opinione confermata nel report del 2016, secondo cui “la mancanza di criminalizzazione dell’auto riciclaggio (…) ha minato l’ambito e il [continua ..]
Appare, pertanto, particolarmente meritevole l’orientamento della Suprema Corte da ultimo espresso con la pronuncia in commento. Difatti, questo orientamento porta il fuoco dell’analisi, per lo meno nell’ambito dell’auto riciclaggio, su quello che ne è l’elemento nodale e caratterizzante: “la concreta idoneità dell’attività rispetto all’occultamento della provenienza delittuosa del denaro oggetto di reato” [41]. Tale principio era d’altronde già stato affermato da altra decisione della Suprema Corte [42], nella quale è stata introdotta l’interpretazione qui in commento. A parere di questa “l’ubi consistam del reato di autoriciclaggio (e di riciclaggio) consiste, quindi, nel divieto di condotte decettive finalizzate a rendere non tracciabili i proventi del delitto presupposto, proprio perché, solo ove i medesimi siano tracciabili si può impedire che l’economia sana venga infettata da proventi illeciti che ne distorcano le corrette dinamiche”. Coerentemente quindi, prosegue la pronuncia, la non punibilità è limitata “ai soli casi in cui i beni proventi del delitto restino cristallizzati – attraverso la mera utilizzazione o il godimento personale – nella disponibilità dell’agente del reato presupposto, perché solo in tale modo si può realizzare quell’effetto di “sterilizzazione” che impedisce – pena la sanzione penale – la reimmissione nel legale circuito economico” [43]. Sta proprio in questa centralità delle condotte di occultamento la fallacia della teoria del post factum non punibile [44]. Invero le condotte di riciclaggio, lungi dal costituire un proseguo naturale, quasi automatico, del reato presupposto, rappresentano un momento ulteriore e distinto [45]. Infatti, al fine di commettere questo delitto, il soggetto attivo deve profondersi in ulteriori attività le quali abbiano un elevato potenziale decettivo in termini di tracciabilità finanziaria. Come nel caso di specie, tali condotte possono coinvolgere mezzi e risorse dedicate; questa autonomia del reato di riciclaggio è da ricollegarsi alla crescente globalizzazione e digitalizzazione delle transazioni le quali hanno enormemente espanso la portata del crimine [46]: si pensi alla possibilità per soggetti [continua ..]
Il meritevole orientamento assunto dalla Suprema Corte in tema di auto riciclaggio porta l’interprete ad interrogarsi sull’opportunità dell’orientamento assunto dalla stessa Corte in merito al reato gemello di riciclaggio previsto dall’art. 648 bis. Invero, la Cassazione, in tema di riciclaggio, ha applicato un approccio nettamente più disinvolto riguardo la necessaria idoneità decettiva delle condotte poste in essere [52]. Difatti, in diverse pronunce è stata riconosciuta la qualificabilità del delitto in parola a seguito di mero deposito di denaro sporco su conti correnti o su carte prepagate [53]. Qualificare tali condotte come riciclaggio comporta una compressione del requisito oggettivo di ostacolo, ai limiti della presunzione dello stesso. È analizzando tale orientamento che si comprende l’origine della teoria del post factum non punibile; difatti, è evidente, come se qualunque movimentazione di fondi di origine illecita venisse qualificata come autonomamente illecita, ben si potrebbero punire nuovamente condotte che meramente costituiscono una prosecuzione del reato presupposto e che non recano alcuna autonoma offensività. Per l’appunto, come illustrato nel corso della trattazione e come affermato dalla stessa Corte, è nella potenzialità di ostacolare la tracciabilità di fondi di origine illecita e nei conseguenti rischi in termini macro e micro economici a risiedere l’offensività della condotta di riciclaggio unitariamente intesa. Pertanto, lo svilimento del requisito dell’ostacolamento comporta una degradazione della condotta di riciclaggio [54] e fomenta incomprensioni ed irrigidimenti. La divergenza tra i due orientamenti è giustificata, sul piano letterale, dall’utilizzo da parte del legislatore dell’avverbio “concretamente”, quale rafforzativo della condotta di ostacolamento nell’art. 648 ter 1. Tale avverbio è mancante nella formulazione dell’art. 648 bis, nonostante ciò l’art. 648 bis richiede comunque che la condotta sia posta in essere “in modo da ostacolare l’identificazione”. Seppur comprendendosi che in ambito di riciclaggio l’alterità del soggetto costituisca già di per sé un ostacolo alla tracciabilità, l’orientamento qui in commento in ambito di auto riciclaggio [continua ..]
L’orientamento della Suprema Corte in ambito di auto riciclaggio ha un ruolo fondamentale nella sfera dei reati tributari. Invero, la ritrovata centralità del requisito della potenzialità decettiva delle condotte costituisce un fondamentale e giusto argine al potere punitivo in ambito di reati tributari. Ciò in quanto il profitto dei reati tributari è costituito, nella maggior parte dei casi, da un risparmio piuttosto che da un guadagno, che non si presenta come entità economica autonoma, bensì rimane confuso nel patrimonio del soggetto attivo del reato presupposto. Se pertanto la Suprema Corte avesse perseguito il precedente orientamento in materia di riciclaggio il rischio sarebbe stato quello di un automatico aggravio della pena a seguito della commissione di un reato tributario [55]. Difatti, se la mera movimentazione del denaro sporco fosse stata sufficiente ad integrare la condotta di auto riciclaggio, qualunque attività svolta dal soggetto attivo del reato presupposto sul proprio patrimonio avrebbe potuto potenzialmente costituire auto riciclaggio. D’altronde, seppur la rivitalizzazione del requisito della concreta decettività delle condotte costituisce un argine ad un’espansione eccessiva, i reati tributari costituiscono uno degli ambiti dove più potenziale esplica l’auto riciclaggio. Invero, queste condotte tendono ad essere caratterizzate per sé da un elevato grado di fraudolenza e sofisticazione, con la conseguenza frequente che la soglia del concreto ostacolamento potrà essere superata; inoltre, la precisata irrilevanza della destinazione ultima dei profitti riciclati e la quasi totale verificazione degli illeciti tributari in contesti finanziari o imprenditoriali comporta una assoluta ricomprensione di queste condotte nell’alveo dell’auto riciclaggio. Di ulteriore interesse è la possibilità che condotte, finora solo configuranti reati tributari, possano ora configurare anche il delitto di auto riciclaggio. Invero, le condotte sottostanti specifici reati tributari – si pensi all’emissione o all’utilizzo di fatture false – ben possono costituire non presupposto, bensì strumento della condotta di riciclaggio: i reati tributari hanno quale finalità l’elusione del controllo pubblico dei flussi finanziari, il che li accomuna con le condotte di riciclaggio e li rende [continua ..]