Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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I reati tributari e la responsabilità degli enti: nuovi profili applicativi di diritto penale (di Francesco Martin)


Il presente contributo analizza la recente riforma dei reati tributari di cui al D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito in L. 19 dicembre 2019, n. 157, che ha incluso nell’elenco dei reati presupposto per la responsabilità degli enti alcuni dei reati tributari previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

L’organizzazione dei modelli volti alla prevenzione del rischio reato e la nozione di “interesse” o “vantaggio” risultano ora quanto mai attuali e necessari per l’adeguata applicazione della nuova norma.

In particolare, verranno evidenziate le due problematiche derivanti da questa riforma e, cioè, la possibile violazione del principio del ne bis in idem, nonché la disparità di trattamento tra persona fisica e società, alla luce della più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte di Cassazione.

Tax crimes and companies’ responsibility: new application profiles of criminal law

This article analyses the recent reform of tax crimes contained in Law Decree no. 124 of 26 October 2019, converted into Law no. 157 of 19 December 2019, which has included in the list of predicate offenses for companies’ liability certain tax crimes provided by Legislative Decree no. 74 of 10 March 2000.

The organisation of the models aimed at preventing the criminal risk and the notion of “interest” or “advantage” become now extremely actual and necessary for the adequate application of the new rule.

In particular, the article will highlight the two problems arising from this reform, which are the possible violation of the ne bis in idem principle, as well as the unequal treatment between individuals and companies, in the light of the most recent case law of the Court of Justice of the European Union and the Italian Supreme Court.

Keywords: tax crimes, companies’ responsibility, PIF Directive, organisation and mana­gement model, supervisory board.

SOMMARIO:

1. Evoluzione normativa: societas delinquere et puniri potest - 2. L’inclusione degli illeciti tributari nell’elenco dei reati presupposto: l’ori­gine della norma - 3. I modelli organizzativi tra prospettive di non punibilità e modifiche normative - 4. Ne bis in idem: prime problematiche della nuova riforma - 5. Riflessioni conclusive - NOTE


1. Evoluzione normativa: societas delinquere et puniri potest

Il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ha scardinato il principio – quasi diventato dog­ma – del societas delinquere non potest, introducendo la responsabilità degli enti. La dottrina [1] si è lungamente interrogata su quale qualificazione dare a questa nuova forma di responsabilità: se ricondurla nell’alveo di quella amministrativa o di quella penale. Il nostro legislatore ha qualificato espressamente, da un punto di vista nominale, tale responsabilità come «amministrativa», anche per effettuare una distinzione da quella riguardante le persone fisiche cui si riferisce l’art. 27 Cost.; ad una attenta disamina tuttavia si intuisce che ci si trova davanti ad una responsabilità penale dell’ente. Tale classificazione trova l’avallo della dottrina maggioritaria [2], anche se la norma non è stata formulata dal legislatore con una connotazione precisa e chiara e pertanto permangono elementi che spingono anche nella direzione di una responsabilità in chiave amministrativa. Pare utile quindi esaminare i principali motivi posti a sostegno delle due tesi. Elemento necessario per attribuire la responsabilità penale all’ente è che vi sia la commissione di un reato a suo vantaggio o interesse. Inoltre, il legislatore ha previsto l’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella del soggetto agente persona fisica; il fatto tipico criminoso diviene quindi oggetto della responsabilità dell’ente, purché sussista tra l’au­tore materiale e l’ente un collegamento. Esaminate le modalità di attribuzione dell’illecito e le specifiche condizioni che fondano la responsabilità dell’ente, non si delinea alcuna violazione del principio della responsabilità penale personale ex art. 27 Cost., in quanto trattasi di una forma autonoma, che non esclude o limita quella delle persone fisiche autrici del reato. A sostegno della tesi penalistica vi sono altre argomentazioni, come la commissione di un reato, la devoluzione alla cognizione del giudice penale per quanto riguarda l’accertamento dei fatti e l’irrogazione delle sanzioni ed infine l’applicazione agli enti le stesse disposizioni riguardanti l’imputato. La natura amministrativa invece si ricaverebbe innanzitutto dalla definizione dettata dal decreto e dal titolo del capo primo, che [continua ..]


2. L’inclusione degli illeciti tributari nell’elenco dei reati presupposto: l’ori­gine della norma

Con il D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”, convertito in L. 19 dicembre 2019, n. 157, il legislatore ha inserito nel sistema sanzionatorio delineato dal D.Lgs. n. 231/2001 i reati tributari. Per inquadrare subito la nuova modifica, il recente art. 25 quinquiesdecies, D.Lgs. n. 231/2001 introduce illeciti amministrativi connessi alla commissione dei delitti di dichiarazione fraudolenta (artt. 2 e 3, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8), occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10), sottrazione fraudolenta al pagamento d’imposte (art. 11), prevedendo le relative comminatorie edittali per la sanzione pecuniaria – sempre aggravabili se l’ente ne ha tratto un profitto di rilevante entità – e l’applicabilità delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, lett. c), d) ed e). A ben vedere, tuttavia, anche prima della riforma del 2019 l’ente rispondeva per i reati tributari, in quanto era ritenuto responsabile, non in termini punitivi, ma sulla base di altre prospettive che potremmo definire nella sostanza compensativo-riscossive [4]. Ed in tal senso la predisposizione dei modelli di organizzazione e gestione era condizionata in quanto l’illecito penale tributario era connesso ad uno dei reati c.d. presupposto per la responsabilità dell’ente. Conseguentemente l’ente doveva adottare dei modelli volti ad ostacolare la Commissione tributaria per impedire la realizzazione del conseguente reato presupposto. In secondo luogo, sussisteva il sistema dell’adempimento collaborativo introdotto dagli artt. 4 e 7, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128; si trattava di un sistema volto a implementare ulteriormente l’adozione di modelli organizzativi, essendo tali sistemi il presupposto per la collaborazione. Inoltre era possibile applicare la confisca [5]; sul punto era intervenuta con una celebre sentenza anche la Corte di Cassazione [6]. Infine, la pena pecuniaria si applicava nell’ipotesi in cui si integrasse l’il­lecito punitivo amministrativo tributario ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472; sanzione che poteva raggiungere significativi livelli di afflittività. Alla luce di tali osservazioni, alcuni autori [7] si sono interrogati sull’effettiva [continua ..]


3. I modelli organizzativi tra prospettive di non punibilità e modifiche normative

Il D.Lgs. n. 231/2001 prevede all’art. 6, comma 1, lett. a) una causa esimente della responsabilità dell’ente, nel caso in cui abbia adottato modelli organizzativi (di seguito “MOG”) idonei alla prevenzione di reati. Il modello deve essere costruito su misura, in base al tipo di ente, e deve essere, nella realtà societaria, in grado di svolgere efficacemente il compito di prevenzione. Spetta all’Organismo di Vigilanza (successivamente OdV) la realizzazione e la successiva vigilanza sul rispetto di tale strumento; è prevista sempre in capo a tale organo la competenza di aggiornare e migliorare costantemente il modello in base alle esigenze societarie. I MOG devono possedere, per ottemperare al meglio a quando previsto dalla norma [28], alcune caratteristiche comuni [29] al fine di divenire una vera e propria esimente della responsabilità per le persone giuridiche e rivestendo, al contempo, anche una funzione di prevenzione speciale [30]. È opportuno, per non dire necessario, che vi sia un controllo periodico [31], affiancato da un sistema sanzionatorio efficace nei confronti di coloro che violino le disposizioni prescritte dal modello. È inoltre necessario che il contenuto possa essere verificato e, proprio per tale ragione, è prevista la conservazione della documentazione rilevante all’interno delle strutture aziendali [32]. Come ogni regola, in caso di violazione sussiste un regime sanzionatorio che si applica sia ai soggetti posti al vertice sia a coloro che sono sottoposti alla loro vigilanza o controllo [33]. È prevista in fine la possibilità del risarcimento dei danni che l’ente ha subito in dipendenza della condotta illecita e produttiva di eventi pregiudizievoli da parte di tali soggetti. Per alcuni autori [34] l’idoneità del modello deve essere considerata efficace o meno attraverso un giudizio ex ante a base parziale, considerando solamente le circostanze che erano conoscibili al momento della mappatura dei settori sensibili [35]. Requisito ulteriore è che i soggetti apicali devono aver agito ponendo in essere una elusione fraudolenta del modello. Tale punto comprova che il modello ha una natura obbligatoria per l’ente; difatti qualora non sussistesse la fraudolenta elusione e la responsabilità si basasse solamente sulla conformità e idoneità del [continua ..]


4. Ne bis in idem: prime problematiche della nuova riforma

A seguito della riforma del 2019, che ha incluso i reati tributari all’interno dei reati presupposto per la responsabilità dell’ente, sono sorti in dottrina nu­merosi dubbi circa la violazione del principio del ne bis in idem [49]. Lo si evidenzierà subito per chiarezza. La duplice applicazione all’ente delle sanzioni tributarie ex D.Lgs. n. 74/2000 e di quelle di cui al D.Lgs. n. 231/2001, comporta l’irrogazione di un doppio trattamento sanzionatorio per un medesimo fatto, traducendosi in una possibile violazione del principio del ne bis in idem. Le sanzioni tributarie hanno infatti una portata già marcatamente punitiva, calibrata sulla gravità del fatto e pensata per costituire una reazione autonomamente adeguata agli illeciti fiscali. Aggiungervi l’intero campionario delle disposizioni previste dal D.Lgs. n. 231/2001, come se si intervenisse in un settore non ancora presidiato da alcuna pena, delinea un intervento assai poco equilibrato e non rispondente all’esigenza di bilanciare gli esiti dei due procedimenti necessaria per evitare eccessi punitivi. Già prima della riforma del 2019 la persona giuridica rispondeva delle sanzioni tributarie amministrative in conseguenza dell’illecito fiscale commesso da un proprio dipendente, rappresentante o amministratore. Era inoltre possibile, nei confronti della persona giuridica, la confisca, anche per equivalente, del profitto del delitto tributario commesso dal suo legale rappresentante (o dall’amministratore di fatto) [50]. Difatti a fianco dei presidi penalistici previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, l’ordinamento sanzionatorio tributario prevede anche una disciplina di matrice amministrativa, i cui principi, ispirati al diritto penale, sono enucleati nel D.Lgs. n. 472/1997 [51]. In questo sistema, la coesistenza del complessivo regime punitivo viene garantita, sotto il profilo processuale, dall’operatività del regime del cd. doppio binario per quanto concerne il meccanismo di irrogazione della sanzione amministrativa in pendenza di procedimento penale [52]. L’estensione agli enti della responsabilità per i reati tributari può porsi in contrasto con il principio del ne bis in idem: com’è stato efficacemente affermato da alcuni autori [53], «è ben possibile che da una medesima condotta delittuosa possano derivare due diverse tipologie [continua ..]


5. Riflessioni conclusive

La recente riforma in esame ha incluso nell’elenco dei reati presupposto per i quali l’ente è chiamato a rispondere anche i reati tributari. Tale riforma trova la sua origine nella normativa europea, la c.d. Direttiva PIF, e si inserisce nella macro area di tutela degli interessi finanziari dell’U­nione Europea. Seppure la riforma risulti per molti aspetti condivisibile, in quanto colma alcuni vuoti normativi che si erano creati, dall’altra risulta portatrice, prime facie, di una problematica di non poco conto cioè la possibile violazione del principio del ne bis in idem. All’interno del nostro ordinamento, per quanto attiene la materia tributaria e i suoi illeciti, sussiste un doppio profilo sanzionatorio di natura amministrativa e di natura penale. Ed in tal senso la questione è subito e facilmente individuabile: uno stesso fatto verrebbe punito due volte, prima da un punto di vista amministrativo e dopo attraverso la sanzione penale. Sul punto già la giurisprudenza europea, nella sua massima composizione, si era più volte pronunciata sull’argomento ritenendo che non sussisterebbe la violazione del principio del ne bis in idem, anche nel caso in cui vi sia la previsione di una doppia sanzione (una di carattere amministrativo e l’altra penale), a condizione che il cumulo delle sanzioni risulti proporzionale alla gravità del fatto commesso, in conformità ai principi di cui agli artt. 49, 50, 52 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Se quindi la Corte europea di fatto scalfisce, in maniera neppure così velata, il principio del ne bis in idem, dall’altro afferma che affinché tale cumulo sanzionatorio sia legittimo, è necessaria la verifica con riferimento alla sussistenza di un coordinamento tra le misure sanzionatorie previste nelle diverse fonti normative. Per quanto attiene alle problematiche applicative concernenti il D.Lgs. n. 231/2001 sarebbe necessaria una rivisitazione e modifica dell’art. 8, che prevede l’autonomia della responsabilità dell’ente in quanto verrebbe a crearsi una disparità di trattamento. Oltre infatti alla tematica della possibile violazione del principio del ne bis in idem, sussiste un ulteriore problema, sebbene di minore gravità. Come noto l’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 prevede che delle cause di non punibilità qualora il [continua ..]


NOTE