Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Riflessioni sull´onere della prova nel processo tributario (di Salvatore Muleo)


Si è da sempre discusso sulla possibilità che il legislatore, da una parte, ed il giudice, dall’altra, stabiliscano liberamente a chi addossare l’onere della prova nel processo tributario. Nel presente lavoro, partendo dalla rivoluzione adottata nel processo civile, si cerca di individuare se i principi europei e costituzionali incidano sull’onere della prova nel processo tributario.

The burden of proof in tax litigation

The possibility that the legislator, on the one hand, and the judge, on the other, freely establish who should bear the burden of proof in tax litigation has always been discussed. In this paper, starting from the revolution adopted in the civil process, we try to identify whether European and constitutional principles affect the burden of proof in tax litigation.

Keywords: tax litigation, burden of proof, distribution criteria, European principles, constitutional principles.

SOMMARIO:

1. Mancanza di una norma specifica nel processo tributario e prime problematicità applicative del rinvio integrativo - 2. L’art. 2697 c.c. ed i mutamenti nella sua interpretazione nella giurisprudenza civilistica - 3. La soluzione adottata nel processo amministrativo - 4. Le norme gerarchicamente superiori applicabili ed il principio di vicinanza della prova - 5. Una conferma: dai poteri previsti per gli uffici, dalle presunzioni poste a suo favore e dalla relazione tra il fatto da provare e le parti si desume che la prova è ordinariamente in capo all’Amministrazione Finanziaria - 6. Ulteriore conferma: obblighi ed oneri del contribuente, principio di completezza dell’istruttoria e principio di non aggravamento - 7. Corollario: il legislatore ordinario non è libero di disporre ad libitum dell’onere della prova - NOTE


1. Mancanza di una norma specifica nel processo tributario e prime problematicità applicative del rinvio integrativo

ben noto come difetti nella norma processuale tributaria alcuna disposizione che preveda espressamente su chi gravi l’onere della prova nel processo tributario. La regola posta all’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 indica, come fonte per l’integrazione in caso di lacune ed in quanto compatibili, le norme del codice di procedura civile. La dottrina più accorta non ha mancato di sottolineare che il richiamo del codice processuale civile va inteso, in realtà, come riferimento ai principi di diritto processuale comune, positivizzati nel codice di procedura civile che appunto ne costituisce espressione [1]. Il richiamo integrativo, visto così, ha una ampiezza maggiore di quanto pre­visto letteralmente, segnalando all’interprete la cautela nell’applicazione diretta delle specifiche regole del processo civile [2] e permettendo forse talvolta di trascenderle. Tale dubbio tuttavia non si pone con riferimento alla questione in esame, poiché, più semplicemente, le regole sull’onere della prova nel processo civile sono contenute nel codice civile e non nel codice di procedura civile. Occorre anzitutto chiedersi quindi se siano applicabili le regole che trovano sede nel codice civile, ed in specie quella posta all’art. 2697 c.c., interpretando in senso lato l’art. 1, comma 2, richiamato. A tale domanda si è in genere offerta risposta positiva [3] e non si ravvisano ragioni per discostarsene, pur avvisando, tuttavia, che la minore immediatezza dell’operazione ricostruttiva deve rendere ancor più cauto l’interprete, obbligandolo ad un costante raffronto con le altre soluzioni anche astrattamente ipotizzabili, desumibili dall’ordinamento.


2. L’art. 2697 c.c. ed i mutamenti nella sua interpretazione nella giurisprudenza civilistica

La regola posta dall’art. 2697 c.c. onera l’attore a provare i fatti costitutivi ed il convenuto i fatti modificativi od estintivi su cui l’eccezione si fonda. Il principio onus probandi incumbit ei qui dicit., già positivizzato dall’art. 1312 c.c. del 1865 solo in relazione all’esecuzione delle obbligazioni, è stato previsto nel codice civile del 1942 come norma generale [4] e, come noto, ha costituito applicazione della Normentheorie [5], secondo cui l’onere della prova grava su colui il quale ne trae effetti favorevoli, sopravanzando l’opposta teoria della vicinanza della prova [6]. La regola civilistica ha svolto la sua funzione in un quadro di relativa tranquillità sin quando è intervenuta la Corte di Cassazione con la rivoluzionaria sentenza n. 13533/2001, emessa a Sezioni Unite, che ha superato il dato positivo dell’art. 2697 c.c. per leggerlo, quando serve, al contrario, valorizzando la vicinanza della prova. La Corte, movendo dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione, indica che l’onere della prova deve essere “ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l’uno o per l’altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione”. Per far ciò la Corte, oltre ad aver richiamato la necessità di un’interpreta­zione razionale, che era stata adottata dall’orientamento sino ad allora minoritario, si è basata sul principio della presunzione di persistenza del diritto, che ha desunto dallo stesso art. 2697 c.c. Ed ha aggiunto che l’identità del regime probatorio, per i tre rimedi previsti dall’art. 1453, merita di essere affermata anche per palesi esigenze di ordine pratico, poiché “la difficoltà per il creditore di fornire la prova di non aver ricevuto la prestazione, e cioè di fornire la prova di un fatto negativo (salvo che si tratti di inadempimento di obbligazioni negative), è superata dai sostenitori dell’orientamento maggioritario con l’affermazione che nel vigente ordinamento non vige la regola secondo la quale ‘negativa non sunt probanda’, ma opera il principio secondo cui la prova dei fatti negativi può essere data mediante la prova dei fatti positivi [continua ..]


3. La soluzione adottata nel processo amministrativo

Il nuovo corso giurisprudenziale ha influenzato la disciplina dell’onere della prova nel processo amministrativo, prevista nel codice del processo amministrativo introdotto con il D.Lgs. n. 104/2010, in attuazione della L. n. 69/2009, che in qualche modo rispetta e riflette il principio di vicinanza della prova. L’art. 64 c.p.a., invero, sancisce che spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano “nella loro disponibilità” riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni, assegnando alla vicinanza della prova un ruolo assolutamente centrale. Nei commi successivi, però, ha mantenuto il riferimento al principio acquisitivo, prevedendo poteri officiosi per il giudice. Non è mancato allora chi ha affermato che la persistenza del potere acquisitivo del giudice, ribadito nel comma 3 dell’art. 64, e del principio di prova consentirebbe al giudice amministrativo di distribuire l’onere della prova a seconda dell’andamento del processo [20] e quindi l’onere della prova, proprio per via delle specificazioni contemplate nell’art. 64 c.p.a., sarebbe nel processo amministrativo assolto mediante l’allegazione della stessa, continuando a persistere il principio dispositivo con metodo acquisitivo. Metodo acquisitivo che è finalizzato, come sottolineato dalla giurisprudenza [21], a rimediare alla diseguaglianza di posizioni tra la Pubblica Amministrazione ed i privati. Tuttavia, sebbene siano state da alcuni sottolineate le carenze redazionali del codice del processo amministrativo a causa del suo sincretismo [22], è condivisibile l’opinione secondo cui “anche nel processo amministrativo non si fa altro che applicare il criterio della vicinanza alla prova” [23], evidenziando anche che “la specialità del processo amministrativo è sembrata scolorirsi, nella misura in cui una siffatta operazione di riequilibrio dell’asimmetria tra le parti in ordine alla disponibilità del materiale probatorio è tutt’altro che ignota al nostro ordinamento, essendo stati introdotti analoghi meccanismi anche nel processo civile”. E pare condivisibile l’affermazione di chi, analizzando il rapporto tra onere e disponibilità della prova, ha ritenuto che nel processo amministrativo l’one­re “sussiste nei limiti della [continua ..]


4. Le norme gerarchicamente superiori applicabili ed il principio di vicinanza della prova

Occorre domandarsi se si possano riscontrare delle norme gerarchicamente superiori. Le Grundnormen astrattamente ipotizzabili, rispettivamente di connotazione costituzionale ed europea, sono da un lato il diritto di difesa, ex art. 24 Cost., ed il principio del giusto processo, ex art. 111 Cost.; dall’altro, il principio di effettività della tutela, ex art. 47 diritti fondamentali UE [26] ed il principio del giusto processo, ex art. 6, par. 1, CEDU. È esistita difficoltà, sinora, a rinvenire nelle norme superiori appena richia­mate un riferimento applicabile al tema dell’onere della prova, anche probabilmente risentendo dell’iniziale opinione di un insigne Maestro, che aveva in un primo tempo affermato in una propria famosa opera come spettasse al giu­dice fissare su chi gravasse l’onere stesso [27], salvo modificare la propria opinio­ne in un secondo tempo [28]. Occorre tuttavia prendere atto della nuova sensibilità maturata nel frattempo verso il tema probatorio. Sempre più ci si è resi conto che le difficoltà nel difendersi provando incidono anche fortemente sulla tutela dei diritti della vita. Il criterio della vicinanza della prova appare come unico canone in grado di soddisfare, da un lato, diritto di difesa ed effettività della tutela, e, dall’altro, il giusto processo. Come corollario di tale impostazione, non può esser condiviso, pertanto, l’orientamento di chi ritiene che il legislatore ordinario possa alterare a proprio piacimento l’attribuzione dell’onere della prova [29]. Quindi, ad avviso di chi scrive, esiste la seguente graduazione: a) la regola superiore è quella della vicinanza della prova; b) se le prove sono disponibili per entrambe le parti, si applica il criterio generale di cui alla lettera dell’art. 2697 c.c.[30], tenuto conto delle vicende intercorse nell’istruttoria procedimentale. Nella verifica della vicinanza della prova il giudice, con giudizio sul fatto [31], riscontra quale delle parti sia più vicina ai mezzi di prova ed abbia più facilità di apprensione degli stessi, e quindi rileva che l’onere è a suo carico. Non è, pertanto, il giudice a scegliere a quale delle parti porre a carico l’onere della prova, contrariamente a quanto accadrebbe in altri ordinamenti, essendo invece obbligato a rilevarlo.


5. Una conferma: dai poteri previsti per gli uffici, dalle presunzioni poste a suo favore e dalla relazione tra il fatto da provare e le parti si desume che la prova è ordinariamente in capo all’Amministrazione Finanziaria

È ben nota l’impostazione alloriana [32] secondo cui l’Amministrazione Finanziaria deve dare la prova a se stessa della fondatezza dell’atto impositivo, prima di emettere l’atto stesso [33]. Come puntualmente ricordato [34], a tale conclusione l’insigne Maestro era giunto tenendo conto delle numerose presunzioni legali che agevolavano per più verso l’azione dell’Amministrazione Finanziaria. In effetti, di fronte al problema dell’accertamento del fatto – nel nostro caso, ai fini di una giusta imposizione – gli ordinamenti hanno reagito o mediante le presunzioni o prevedendo poteri in capo al soggetto deputato ad effettuare le indagini. Tuttavia, se lo strumento delle presunzioni è sempre stato adoperato (e si certo lo era fortemente nell’epoca in cui Allorio scriveva), occorre prendere atto che, in misura lenta ma costante, i poteri spettanti all’Amministrazione Finanziaria sono andati crescendo. Senza però che, dall’altro verso, le presunzioni diminuissero. Basti pensare ai poteri relativi alle indagini bancarie, che, da strumento non previsto dall’ordinamento, sono diventate un ordinario mezzo di ricerca della prova. Oppure ai mezzi di ricerca della prova previsti per le indagini penali tributarie, le cui risultanze possono trovare ingresso nel procedimento e nel processo tributario. Occorre prender atto dell’ingigantimento dei poteri istruttori dell’Ammi­nistrazione Finanziaria – di cui si è stigmatizzata la scarsa compatibilità strutturale con un consistente impianto di presunzioni legali a favore dell’Ammini­strazione Finanziaria [35] – per rilevare che essa ha a propria disposizione ampi mezzi di ricerca della prova; e quindi può acquisire con facilità i mezzi di prova. Di conseguenza, sarà facile rilevare che l’onere della prova sta quasi sempre in capo all’Amministrazione Finanziaria [36]. Seguendo tale impostazione, solo con riferimento ai mezzi di prova non conosciuti, non conoscibili e nella disponibilità del contribuente si dovrà concludere che l’onere della prova sta a carico di esso [37]. Ed anche nei processi di rimborso l’onere della prova sta a carico dell’Amministrazione Finanziaria quan­to ai mezzi di prova da essa posseduti o facilmente acquisibili.


6. Ulteriore conferma: obblighi ed oneri del contribuente, principio di completezza dell’istruttoria e principio di non aggravamento

Peraltro, come è stato ampiamente sottolineato dalla dottrina più accorta [38], l’atto impositivo è la risultante dell’istruttoria procedimentale, che, a sua volta, prende atto ed elabora l’attività svolta dal contribuente. Questi ha in virtù della situazione prevista dalle singole leggi d’imposta, obblighi ed oneri di vario tipo ai quali adempiere [39]. È a tale articolata realtà – caratterizzata, come si diceva, da obblighi, oneri ed esercizi di potere – che occorre porre attenzione, evitando di riferire alla problematica dell’onere della prova, per sua natura squisitamente processuale, questioni che incidono diversamente sulla materia probatoria poiché relative a comportamenti tenuti nella fase procedimentale (magari legittimanti tipologie determinate di accertamenti o incidenti in vario modo sul thema probandum) [40]. Peraltro, anche l’azione pubblica non è scevra da conseguenze sulla materia probatoria, derivanti dalle modalità di esercizio del potere ed in particolare dal rispetto del principio di completezza dell’istruttoria procedimentale nonché del principio di non aggravamento, previsto in materia tributaria dall’art. 6, comma 4, dello Statuto dei diritti del contribuente. Tali profili non sono toccati dalle impostazioni assunte sull’onere della prova. Peraltro, un impianto normativo così dettagliato (sia riguardo gli obblighi del contribuente durante la realizzazione della fattispecie sia in ordine alle regole procedimentali e poi processuali), quale è nell’attuale epoca storica, sminuisce, ad avviso di chi scrive, completamente l’impatto che l’adesione alla teoria dichiarativa od a quella costitutiva può avere sulla questione dell’onere della prova [41].


7. Corollario: il legislatore ordinario non è libero di disporre ad libitum dell’onere della prova

Se si condividono le analisi sopra riportate, il principio della vicinanza della prova – come si è visto, a rilevanza costituzionale ed europea – comporta che il legislatore ordinario possa disporre a suo piacimento l’inversione dell’onere della prova solo se ciò non impatti significativamente sulla vicinanza della prova e se, quindi, il soggetto onerato sia nella effettiva condizione di poter soddisfare l’onere stesso [42]. Né può abbassare il livello degli standards probatori per una delle parti [43], poiché, in punto di fatto, ciò significherebbe per l’appunto invertire l’onere della prova.


NOTE