Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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La disapplicazione delle sanzioni da parte del giudice tributario per obiettiva incertezza della legge (di Maurizio Logozzo)


La scusante dell’obiettiva incertezza della legge tributaria quale causa di non applicazione delle sanzioni amministrative è prevista da più disposizioni dell’ordina­mento tributario tanto da costituire una sorta di principio generale sempre più valorizzato dalla giurisprudenza. Il testo ricostruisce l’origine, la natura giuridica, la ratio della scusante e il suo ambito di applicazione, indicando le possibili cause sintomatiche dell’obiettiva incertezza della legge tributaria. Dopo aver evidenziato la diversità di orientamenti circa la portata della scusante da parte della dottrina e della Corte di Cassazione, ci si sofferma sul potere del giudice tributario di dichiarare la non applicazione delle sanzioni amministrative per obiettiva incertezza della legge tributaria. Vengono prospettate le ragioni in base alle quali tale potere di disapplicazione, contrariamente all’orientamento della Corte di Cassazione, dovrebbe essere esercitato d’ufficio da parte del giudice tributario.

 

The disapplication of penalties by the tax judge due to objective legal uncertainty

The excuse of objective uncertainty of tax law as a reason for non-application of administrative penalties is enshrined by several provisions so as to constitute a sort of general principle increasingly enhanced by the case law. The text reconstructs the origin, the legal nature, the rationale of the excuse and its scope of application, indicating the possible symptomatic causes of the objective uncertainty of tax law. After highlighting the various trends regarding the scope of the excuse made by scholars and by the Italian Supreme Court, we focus on the judge’s power to declare the non-application of administrative penalties due to objective uncertainty of tax law. The paper highlights the reasons on the basis of which such power of non-application, contrary to the case law expressed by the Italian Supreme Court, should be exercised ex officio by the tax judge.

Keywords: objective legal uncertainty, non-application of penalties, general principle, case law, ex officio detectability.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Origine, natura giuridica e ratio della scusante dell’obiettiva incertezza della norma tributaria - 3. Nozione e ambito di applicazione dell’esimente - 4. Le cause sintomatiche dell’obiettiva incertezza della norma tributaria - 5. Sulla disapplicazione “d’ufficio” delle sanzioni amministrative da parte del giudice tributario - 6. Conclusione - NOTE


1. Premessa

È a tutti noto come il diritto tributario si presenta come un diritto estremamente incerto, tant’è che di frequente si parla di “crisi della legalità tributaria”, dovuta alla confusione legislativa conseguente all’eccessivo e disordinato accavallarsi dei vari testi normativi, emanati con una frequenza sempre più impressionante: si parla di “ipertrofia” della legislazione tributaria, la quale è caratterizzata, come messo ben in evidenza dalla Corte Costituzionale [1], da “micro sistemi settoriali” che rendono di difficile comprensione il coordinamento e il significato della normativa tributaria. Per non parlare poi della sempre maggiore estensione degli obblighi formali posti in capo ai contribuenti, tant’è che da tempo si invoca una semplificazione degli adempimenti fiscali previsti da disposizioni spesso di non facile lettura. In tale situazione, al fine di tutelare il contribuente che erri nell’interpre­tazione delle norme e nella conseguente applicazione, il legislatore, sin dagli albori del moderno sistema tributario, ha previsto una specifica esimente che esclude la punibilità quando l’errore di diritto sia incolpevole, perché determinato da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme tributarie, cioè sul loro significato e sulla loro estensione applicativa. Si tratta della causa di non punibilità di più rilevante importanza, anche se non è stata sufficientemente valorizzata dalla giurisprudenza, sia delle Commissioni Tributarie che della Cassazione, nonostante la patologica incertezza del nostro ordinamento e la previsione della scusante in esame in più disposizioni di legge tanto da poter essere qualificata come una sorta di principio generale sotto il profilo sanzionatorio-tributario.


2. Origine, natura giuridica e ratio della scusante dell’obiettiva incertezza della norma tributaria

Com’è noto, l’art. 8, D.Lgs. n. 546/1992, attribuisce alle sole Commissioni Tributarie il potere di dichiarare non applicabili le sanzioni amministrative tributarie quando la violazione è giustificata da “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce” [2]. La disposizione riproduce l’art. 39bis (introdotto dal D.P.R. n. 739/1981) della previgente disciplina sul contenzioso tributario di cui al D.P.R. n. 636/1972. L’esimente dell’obiettiva incertezza della legge tributaria è da lungo tempo presente nell’ordinamento tributario, anche se non con riferimento all’espres­sa attribuzione al giudice del potere di disapplicazione. Difatti, traccia dell’esimente è rinvenibile addirittura all’inizio degli anni ’20 del secolo scorso, cioè nel periodo in cui è avvenuto (con la L. 3 dicembre 1922, n. 1601) il primo riordino del sistema tributario. Con il R.D. 25 marzo 1923, n. 796, veniva, infatti, disposto all’art. 9 che “il ministero delle finanze è autorizzato ad emanare le disposizioni … per le riduzioni delle pene pecuniarie …” nei casi di violazioni determinate da “apprezzamenti discordanti o gravi dubbi” sulla normativa applicabile. Analogamente, il D.M. 1° settembre 1931 aveva previsto per le violazioni in materia di imposte indirette l’“abbandono totale delle pene pecuniarie quando le violazioni si riferiscono a casi dubbi di applicazione dei tributi e, come tali, riconosciuti dall’amministrazione centrale” (art. 5). Nel tempo si sono susseguite altre disposizioni anche in materia di imposte dirette (art. 248 T.U. n. 645/1958) fino a giungere alle disposizioni contenute negli artt. 55, ultimo comma, D.P.R. n. 600/1973, e 48, ultimo comma, D.P.R. n. 633/1972, che conferivano agli organi del contenzioso tributario il potere di dichiarare non dovute le pene pecuniarie quando la violazione fosse giustificata da “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma alle quali si riferisce”. Oggi la scusante dell’obiettiva incertezza della legge tributaria sembra assurgere a principio generale dell’ordinamento tributario in forza dell’espressa previsione di cui all’art. 10, comma 3, L. n. 212/2000 [continua ..]


3. Nozione e ambito di applicazione dell’esimente

L’incertezza normativa è assunta come elemento “obiettivo”, in quanto il dato normativo non è oggettivamente in grado di assolvere correttamente la sua funzione, ovvero indicare con precisione e chiarezza il comportamento che il soggetto agente deve tenere nel caso concreto. In merito all’ambito di applicazione della causa di non punibilità, un primo indirizzo enfatizza il profilo oggettivo, così che la scriminante opererebbe nei casi di assoluta oscurità del dato normativo, in presenza cioè di una formulazione gravemente imprecisa, lacunosa o contraddittoria, tanto da rendere la norma praticamente inapplicabile. L’indagine sull’esistenza delle condizioni di incertezza, quindi, deve concentrarsi sulla norma violata, al fine di stabilire se la stessa, anche letta in combinato disposto con altre norme, possa definirsi come assolutamente incomprensibile. Una seconda tesi attribuisce rilievo all’elemento soggettivo: la scusante rappresenterebbe una giustificazione soggettiva posta a tutela della buona fede del contribuente; essa, quindi, si risolverebbe nell’applicazione di un principio equitativo di giustizia sostanziale, ovvero in un istituto assimilabile alle cause di esclusione della colpevolezza previste dal diritto penale, giungendo a coprire anche ipotesi di ignoranza pura e semplice [7]. Entrambi gli orientamenti descritti, esasperando l’uno l’astratta oscurità della legge, l’altro le condizioni soggettive del contribuente, snaturano la funzione dell’esimente. Il carattere oggettivo dell’esimente non può essere portato all’estremo di una inconoscibilità assoluta, cioè dell’impossibilità anche per il giudice di cogliere un significato plausibile della norma in relazione al caso concreto. La tesi soggettivistica, tendendo a giustificare erronee interpretazioni soggettive o comportamenti illeciti caratterizzati dalla buona fede e dall’assenza della volontà di evadere l’imposta, estenderebbe la scusante ad ipotesi al di fuori della sua portata. La scusante va ricostruita in termini oggettivi, senza, tuttavia, giungere al­l’ipotesi estrema (incostituzionalità della disposizione legislativa per indeterminatezza) innanzi delineata. La conoscibilità in concreto della legge rappresenta una pre-condizione oggettiva rispetto alla valutazione [continua ..]


4. Le cause sintomatiche dell’obiettiva incertezza della norma tributaria

Dalla casistica elaborata dalla giurisprudenza (che parla di “fatti-indice”) [20] e dalla dottrina [21], si possono individuare una pluralità di cause sintomatiche dell’obiettiva incertezza, valevoli come concreti modelli di riferimento a cui ricondurre l’applicabilità della scusante. In via meramente esemplificativa si possono, quindi, indicare le seguenti cause sintomatiche dell’obiettiva incertezza. a) Oscurità, ambiguità e contraddittorietà del testo normativo che rende difficile la comprensione del suo esatto significato. Si tratta del più alto grado di oscurità, in quanto si riferisce ad ipotesi di difficoltà interpretative non facilmente superabili a causa di una “terminologia generica del testo normativo” ovvero di una “equivocità della disciplina legislativa”. Ciò è in contrasto col principio in base al quale le norme tributarie, essendo norme di diritto pubblico, debbono essere improntate al principio della massima chiarezza, affinché i destinatari siano consapevoli del loro contenuto. In tale prospettiva è particolarmente eloquente la massima fissata da lungo tempo dalla giurisprudenza di legittimità in base alla quale “per escludere l’incertezza sulla portata della norma, occorre che la sua formulazione letterale sia assolutamente chiara” [22], in modo da essere immediatamente comprensibile. b) Difficile individuazione delle disposizioni normative applicabili alla fattispecie concreta. c) Mancanza di informazioni o di prassi amministrativa o loro contraddittorietà[23]. d) Mancanza di precedenti giurisprudenziali ovvero contrastanti orientamenti giurisprudenziali. Quando la disposizione non sia formulata in modo chiaro, la mancanza, in relazione ad essa, di un orientamento giurisprudenziale al quale il contribuente possa conformare la propria condotta, costituisce presupposto per la non applicazione delle sanzioni, specialmente se all’epoca in cui è stata commessa la violazione non fosse neppure intervenuta una circolare da parte dell’ammi­nistrazione. Sotto il profilo in esame, suscita notevole perplessità la recentissima giurisprudenza della Cassazione, che ha assunto una posizione “svalutativa” della giurisprudenza di merito, affermando che non “milita a favore della tesi della incertezza [continua ..]


5. Sulla disapplicazione “d’ufficio” delle sanzioni amministrative da parte del giudice tributario

Un’ulteriore questione è quella della disapplicazione «d’ufficio» delle sanzioni non penali da parte del giudice tributario nell’ipotesi di obiettiva incertezza della legge. Afferma la Cassazione che l’onere di allegare la ricorrenza di elementi di confusione normativa o comunque l’esistenza di una equivocità del contenuto delle disposizioni tributarie «grava sul contribuente, sicché va escluso che il giudice tributario di merito debba decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esi­mente né, per conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto» [35]. Oltre a richiedere una specifica istanza, da ultimo, afferma la Cassazione che “trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, su quest’ultimo grava l’onere di allegare la ricorrenza di elementi di confusione (incertezza inevitabile sul contenuto, sull’og­getto e sui destinatari della disposizione tributaria), qualora effettivamente esistenti, secondo le regole generali in materia di onere della prova” [36]. Posto che il potere di disapplicazione è attribuito alle sole Commissioni tributarie, la questione in esame concerne la possibilità di dichiarare non applicabili le sanzioni amministrative senza che vi sia una esplicita domanda in tal senso da parte del ricorrente nel ricorso introduttivo del giudizio. Sotto il profilo in esame è da sottolineare l’involuzione della giurisprudenza della Cassazione, la quale, negli anni ’90 dello scorso secolo, aveva pacificamente riconosciuto rilievo “officioso” alla sussistenza della fattispecie scriminante, rilevando che «il potere-dovere della Commissione tributaria presenta un carattere sostanziale che storicamente si riannoda all’origine puramente amministrativa dell’organo decidente», con l’ulteriore specificazione che «in considerazione del carattere sostanziale del potere e della sua origine storica, ne discende che il giudice tributario, cui quel potere è stato dall’or­dinamento attribuito, non è di regola vincolato al principio della domanda nell’esplicazione del potere medesimo, il cui esercizio deve ritenersi, quindi, possibile anche ex officio» [37]. In dottrina è stato affermato che [continua ..]


6. Conclusione

In conclusione, si auspica una maggiore valorizzazione dell’esimente in questione da parte sia dei difensori che della giurisprudenza, constatata la patologica incertezza del nostro ordinamento tributario. In questo quadro, per le ragioni sopra dette, dovrebbe essere riconosciuto espressamente il potere del giudice tributario di rilevare d’ufficio la disapplicazione delle sanzioni nel­l’ipotesi di obiettiva incertezza della normativa tributaria. Nell’ambito del progetto di riforma del processo tributario elaborato da Cesare Glendi, l’art. 12, rubricato “Potere decisorio del giudice tributario”, al terzo comma, prevede che il giudice tributario “qualora ritenga che la violazione delle norme possa essere giustificata da obiettive condizioni di incertezza, annulla, in quanto non applicabili, le sanzioni irrogate”. Dal contesto dell’articolo si desume chiaramente il riconoscimento al giudice tributario di rilevare ex officio l’esimente. Nell’auspicata riforma del processo tributario sarebbe bene prevedere espressamente il potere del giudice di rilevare d’ufficio l’esimente in parola. In ogni caso, la riforma dovrebbe muoversi nel solco della tradizione, conservando le Commissioni tributarie quale giudice speciale, ma valorizzando il profilo professionale, considerato il grado di complessità e di tecnicismo crescente che condiziona il nostro ordinamento, fonte spesso di oggettiva incertezza.


NOTE