La prospettiva offerta dalla Corte di Cassazione con la sentenza in nota consente di approfondire la natura dei certificati CO2 propendendo per una qualificazione, in ambito Iva, alla stregua delle prestazioni di servizi ed escludendo la vocazione accessoria alla produzione di energia. L’occasione porta ad elaborare alcune valutazioni sulla natura giuridica e tributaria delle quote di emissione, parte dell’European Union Emissions Trading Scheme (“EU ETS”), al fine di osservare come la loro rilevanza nelle imposte sui redditi e nell’imposta sul valore aggiunto possa essere funzionale alla tutela ambientale.
The perspective offered by the Italian Supreme Court with the commented decision allows to deepen the nature of CO2 certificates, leaning towards a qualification, in the field of VAT, identical to the supply of services and excluding the ancillary vocation to energy production. This occasion leads to elaborate some evaluations on the legal and tax nature of emission allowances, part of the European Union Emissions Trading Scheme (“EU ETS”), in order to observe how their relevance for income taxes and VAT may be functional to environmental protection
Keywords: CO2 certificates, tax nature, environmental protection, income taxes, VAT.
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1. I. certificati CO2, il sistema europeo di scambio di quote di emissione e le questioni in ambito IVA - 2. La natura giuridica dei certificati CO2 e la tutela ambientale - 3. I certificati CO2 tra la natura tributaria e quella di prestazione imposta - 4. I certificati CO2 quali autonome prestazioni di servizi imponibili ai fini IVA - 5. La circolazione dei certificati CO2 tra gratuità e onerosità, nelle imposte sui redditi - 6. I certificati CO2 attribuiti gratuitamente e il “green deal europeo”, tra agevolazioni fiscali e aiuti di Stato
Le quote di emissione, o certificati CO2, si inseriscono in un panorama ove la tutela ambientale viene perseguita attraverso differenti tipologie di “certificati” come quelli “verdi” e “bianchi”: i primi, sono rivolti ai produttori di energia elettrica per adempiere all’obbligo di immettere ogni anno in rete una quota di energia elettrica da fonti rinnovabili [1]; i secondi, rappresentano titoli di efficienza energetica e attestano il risparmio di gas ed energia elettrica realizzato attraverso sistemi di efficientamento della produzione [2]. I certificati CO2, propriamente detti quote di emissione, fanno parte dell’EU ETS, ovverosia del sistema europeo per lo scambio di quote di emissione, si rivolgono alle attività produttrici di gas a effetto serra e costituiscono il diritto di emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente in un periodo determinato [3]. L’EU ETS è stato istituito a livello europeo attraverso la Direttiva 2003/87/CE, in attuazione del Protocollo di Kyoto, per ridurre le emissioni di gas a effetto serra nei settori energivori: viene fissato un tetto massimo di emissioni al di sotto del quale i partecipanti possono emettere CO2 in ragione delle quote acquistate e vendute sul mercato; il quantitativo complessivo delle quote, fissato a livello europeo, è programmato per conseguire una graduale riduzione delle emissioni di gas serra e per ottenere il target climatico del 2030 al 55% di riduzione rispetto ai livelli del 1990 [4]. La sentenza in nota ruota attorno alla nozione dei certificati CO2 o meglio al rapporto tra la natura e la fiscalità delle quote di emissione osservato nel momento della loro circolazione. La vicenda coinvolge una società residente che aveva acquistato dei certificati CO2 da un soggetto francese con conseguente “autofatturazione” applicando l’aliquota IVA ridotta del 10% in luogo di quella ordinaria, al tempo pari al 20%. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso proposto alla Agenzia delle Entrate, qualifica i certificati in oggetto come beni immateriali e la loro cessione quali prestazioni di servizi da assoggettare ad aliquota IVA ordinaria, escludendo così il carattere dell’accessorietà rispetto alla produzione o alla distribuzione di energia. Gli spunti di riflessione possono essere molteplici, a partire dalla natura prima giuridica e [continua ..]
I certificati CO2 rappresentano dei permessi negoziabili che, assieme ai tributi ambientali, incentivano un comportamento virtuoso delle imprese influenzandone i costi e/o i benefici sulla base di un imprescindibile legame tra la politica energetica e quella ambientale [5]. Emerge sin da subito l’importanza di strumenti premiali [6], di una fiscalità ambientale funzionale [7] e, dunque, di una valorizzazione del corollario “chi non inquina non paga” [8] e dunque dell’opportuna coesistenza tra i tributi ambientali e il sistema dei permessi di emissione CO2 [9]. Il sistema in oggetto prevede che la massima quantità di emissioni inquinanti sia fissata dall’organo pubblico e sia suddivisa in diritti d’inquinamento affinché le imprese possano optare tra l’acquisto di certificati CO2 o l’attuazione di tecniche produttive meno dannose per l’ambiente, cosicché un aumento dei prezzi dei diritti dovrebbe indurre a propendere per tecnologie ecosostenibili [10]. I certificati CO2, strumento per la tutela ambientale, offrono così all’imprenditore un doppio ruolo, da un lato, destinatario di obblighi ed eventuali sanzioni e, dall’altro, attore consapevole nel preservare l’ambiente tramite l’alternativa acquisizione delle quote di emissione/riduzione delle emissioni inquinanti. Sul fronte della natura giuridica delle quote di emissione di gas serra, già istituite in Italia in attuazione della Direttiva Emissions Trading 2003/87/CE, si è verificata una certa difficoltà di qualificazione: “biens meubles incorporels” è la definizione legislativa presente nell’ordinamento francese, a differenza di quello italiano, ove gli interpreti del diritto si muovono dalla nozione di concessione amministrativa a quella di strumento finanziario [11]. Il giudice di legittimità riassume le differenti ipotesi qualificatorie negando la natura di titolo di credito (a causa dell’assenza di una specifica prestazione sottesa e della determinazione del valore economico), di titoli di legittimazione (non rinvenendo un rapporto contrattuale/obbligatorio), di titoli rappresentativi di merci (in ragione del non trasferimento del potere di disposizione dell’energia) e di strumenti finanziari: tale ultima ipotesi merita particolare attenzione considerato che essa è stata [continua ..]
Il carattere obbligatorio del sistema delle quote di emissione suggerisce di indagare sulla possibile natura tributaria dei certificati CO2 al fine di valutare appieno tale strumento di politica ambientale e di individuare possibili effetti, innanzitutto, in ambito IVA in ragione dell’applicabilità del tributo esclusivamente su valori contraddistinti dalla corrispettività. In prima approssimazione, l’acquisto dei certificati CO2 si concretizza in una incisione del patrimonio dell’imprenditore che pare andare oltre alla mera limitazione della libera iniziativa economica [15]. Il legislatore contingentando le emissioni di CO2 nell’ambiente, crea un mercato di quote, che si sostanzia in una decurtazione patrimoniale in capo all’imprenditore il quale deve o sostenere maggiori oneri per rendere i propri impianti produttivi meno inquinanti (ovverosia riducendo l’attitudine dell’attività produttiva di emettere CO2) o acquistare i certificati CO2: il sistema delle quote di emissione così concepito va oltre al mero onere autorizzatorio [16] condizionando le scelte imprenditoriali che, in ogni caso, si contraddistinguono per maggiori aggravi economici e finanziari [17]. La funzione dei certificati CO2 è riconoscibile nella riduzione delle emissioni e nella promozione degli investimenti a favore delle basse emissioni di carbonio, un duplice obiettivo che si risolve nell’unico, sebbene articolato, sistema delle quote di emissione. Infatti, la riduzione delle emissioni viene perseguita in ragione dell’onere che l’imprenditore dovrà sostenere per l’acquisto delle quote, mentre l’incentivo per gli investimenti è garantito dal bilanciamento che il soggetto inquinante sarà portato a valutare tra la prima opzione e l’adeguamento dei propri impianti a livelli meno impattanti sull’ambiente. Emerge in tal modo un’incisione patrimoniale, utile, ma non sufficiente, ai fini dell’individuazione della natura tributaria dei certificati CO2 rispetto all’appartenenza alla più ampia categoria delle prestazioni imposte [18]. Come ci si accinge ad illustrare, la finalità ambientale dei certificati CO2 ruota attorno al parametro quantitativo della CO2 emessa nell’aria ma non consente di attribuire la natura tributaria, fondamentalmente, a causa della logica di funzionamento del [continua ..]
Nella sentenza in commento la società residente ha acquistato da un soggetto francese dei certificati CO2 applicando il meccanismo della “doppia rilevazione” destinato agli acquisti intracomunitari in ragione del secondo periodo del secondo comma dell’art. 17, D.P.R. n. 633/1972 [33]. Il soggetto passivo IVA residente ha tuttavia adempiuto ai propri doveri stimando l’operazione come accessoria all’attività di produzione o distribuzione di energia elettrica e, dunque, applicando l’aliquota ridotta del 10% in luogo di quella ordinaria del 22%. L’ipotesi qualificatoria dei certificati CO2 alla stregua di natura accessoria alla produzione o alla distribuzione di energia sarebbe da ricondurre (nel silenzio della sentenza sul punto) all’art. 12, D.P.R. n. 633/1972, rubricato “cessioni e prestazioni accessorie”, con individuazione dell’aliquota del 10% in ragione dell’art. 16, D.P.R. n. 633/1972 e della parte III dell’allegata tabella A ove è tipizzata la fattispecie dell’energia elettrica. Tuttavia, la norma sopra citata riconosce la natura accessoria di una prestazione se effettuata direttamente dal prestatore e se tra le due operazioni sussiste un nesso tale da costituire una sola prestazione economica: [34] ebbene, nel caso di specie, non pare che sussista un legame inscindibile tra la produzione di energia e la contemporanea erogazione di certificati CO2, fondamento per le scelte che l’imprenditore può effettuare per dare vita a processi produttivi maggiormente ecosostenibili, inoltre emerge una differenziazione soggettiva tra chi produce energia e chi cede il diritto ad inquinare. Esclusa così la qualifica accessoria dei certificati CO2 la Suprema Corte, condivisibilmente, li riconduce all’interno della disciplina delle prestazioni di servizi richiamando proprio la definizione fornita dall’art. 3, D.P.R. n. 633/1972 il quale al secondo comma, punto 2), indica “le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti o beni similari ai precedenti”. Si sottolinea che la coerenza di tale qualificazione è individuabile già nella definizione che in generale il legislatore ha fornito con il primo comma del medesimo art. 3 citando le obbligazioni di fare, non fare e permettere. Così viene ricostruita la natura giuridica dei certificati CO2 i quali costituiscono quote di [continua ..]
L’obbligo di consegna dei certificati CO2 in ragione delle emissioni prodotte per essere rispettato comporta la disponibilità delle quote da acquisire a titolo oneroso o, eccezionalmente, gratuitamente. Pertanto, la circolazione dei certificati in oggetto assume una rilevanza fiscale strettamente correlata sia alla loro natura sia a quella dei soggetti coinvolti, ovverosia del produttore di gas a effetto serra o di un intermediario. I certificati CO2 se osservati da una duplice prospettiva, quella della gratuità e della onerosità, mostrano le conseguenze in termini di fiscalità della circolazione in relazione all’obbligo di restituzione degli stessi (in proporzione delle emissioni effettivamente immesse nell’ambiente). La gratuità percepita nei certificati CO2 non si manifesta in tal modo per una particolare meritevolezza in termini di minor emissioni, come avviene invece nei certificati verdi attribuiti ai produttori di energia da fonti rinnovabili [49], ma quale deroga al sistema EU ETS per evitare fenomeni di delocalizzazione del gas serra privi di senso in una prospettiva globale dell’inquinamento. Il concetto di onerosità [50] è rinvenibile anche nei maggiori costi sostenuti dall’imprenditore per rendere gli impianti produttivi meno inquinanti in termini di emissioni CO2, ovvero nell’alternativa scelta di acquisizione tramite asta o sul mercato dei certificati per poter realizzare il proprio interesse imprenditoriale. La circolazione dei certificati CO2 ruota attorno al concetto di corrispettivo laddove essi vengano acquistati direttamente all’asta o sul mercato da una società intermediaria o da altra impresa (che ne deteneva in quantità eccedente rispetto al proprio fabbisogno): ad ogni modo, il corrispettivo coincide con il prezzo determinato dal mercato, generato dall’incontro della domanda con l’offerta, ove l’ente pubblico ha fissato solamente un limite massimo di quote inquinanti e, dunque, di emissioni nocive per l’ambiente. Il principio contabile OIC 8, avente ad oggetto proprio le quote di emissione di gas ad effetto serra, evidenzia la differenza del trattamento contabile a seconda che il certificato CO2 coinvolga una società che rientra nella disciplina per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra o una società trader: si contabilizzeranno, nel primo caso, i) costi e [continua ..]