Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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I nuovi (antitetici) trend evolutivi dell'autotutela tributaria (di Marcella Martis)


Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione, nel far proprio l’orien­tamento di legittimità prevalente in ordine all’ammissibilità dell’impugn­azione del diniego di autotutela dell’Amministrazione finanziaria, conferma la giurisdizione tributaria, pur circoscrivendone il vaglio alla sussistenza di un interesse di rilevanza generale alla rimozione dell’atto. Nel riproporre la natura pienamente discrezionale dello jus poenitendi, la Suprema Corte ha tuttavia omesso di calare l’istituto nella specificità della materia tributaria, così perdendo l’occasione di approfondire lo studio dei presupposti dell’esercizio del potere in ambito fiscale. L’impostazione offerta, fin troppo generalista, si pone in antitesi non solo con gli approdi dottrinali più avveduti, ma anche con le recenti proposte di riforma, volte a procedimentalizzare l’istituto con la previsione di un vero e proprio obbligo di riesame in capo alla parte pubblica.

 

The new (antithetical) evolutionary trends in tax authorities’ internal review

With the decision in comment, the Italian Supreme Court, while embracing the prevailing approach about the admissibility of the appeal against the denial of tax authorities’ internal review (autotutela tributaria), confirms the jurisdiction of Tax Courts and limits their examination to the existence of a general interest in the removal of the unlawful tax administrative act. In re-proposing the fully discretionary nature of jus poenitendi, the Supreme Court however failed to include the institution in the specificity of tax matters, thus losing the opportunity to deepen the study of the requirements for exercising such power of internal review in the field of taxation. The approach adopted, which is too general, appears contrary not only with the most prudent positions emerged in literature, but also with the recent reform proposals, aimed at proceduralising the institution with the provision of a real duty of internal review for the public body.

Keywords: notice of assessment, internal review, discretionary power, judicial review, general interest in the removal of the act.

MASSIMA: Il potere di autotutela negativa dell’Amministrazione finanziaria ha natura discrezionale, e al giudice tributario è riconosciuto il sindacato sul relativo diniego anche a fronte della definitività dell’originario provvedimento, pur con una delimitazione del vaglio a eventuali profili di illegittimità del rifiuto correlati alla sussistenza di un rilevante interesse generale, specifico, e concreto. PROVVEDIMENTO: (Omissis) 1. Con il primo motivo del ricorso principale la difesa erariale denuncia la violazione degli artt. 2, 7 e 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 68 del D.P.R. n. 287 del 1982, del D.M. del Ministero delle Finanze 11 febbraio 1987, n. 37 e dei principi generali in materia di autotutela, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Premesso che dalla decisione impugnata si evince che l’avviso di accertamento investito dalla istanza di autotutela è divenuto definitivo e che con sentenza del 17 marzo 2005, non impugnata, è stato rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso la cartella esattoriale, emessa per le somme portate dall’avviso, l’Agenzia delle entrate sostiene, diversamente da quanto affermato dalla C.T.R., che il giudice, in caso di atto impositivo divenuto definitivo, non possa sindacare il diniego dell’e­sercizio di autotutela valutando anche la fondatezza della pretesa portata dall’avviso di accertamento, posto che il sindacato del diniego di autotutela attiene solo al corretto esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione e non può invece riguardare l’atto investito dalla richiesta di autotutela. Sottolinea che fa eccezione a tale regola il caso in cui l’Erario abbia fondato il diniego di autotutela sulla esaminata e ribadita fondatezza della pretesa consacrata e cristallizzata nell’atto di accertamento interessato dall’istanza di autotutela, ipotesi non ricorrente nel caso di specie. (Omissis) 8. Merita accoglimento il primo motivo del ricorso dell’Agenzia delle entrate, con assorbimento del secondo. 8.1. La questione dell’impugnabilità del diniego di annullamento in autotutela, in materia tributaria, concernente atti ormai definitivi è stata oggetto di una evoluzione giurisprudenziale. Le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 16778 del 2005, facendo leva sul “carattere generale” della giurisdizione tributaria, assunto dopo la novella del 2001 n. 448, hanno affermato che, nonostante la mancata inclusione del provvedimento – tacito o espresso – di diniego di autotutela nell’elenco di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 esso è suscettibile di impugnativa giurisdizionale dinanzi al giudice tributario. Con la successiva sentenza delle Sezioni Unite n. 7388 del 2007 si è precisato che l’attribuzione al giudice tributario, da parte della L. n. 448 del 2001, art. [continua..]

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SOMMARIO:

1. Premessa e inquadramento del tema di indagine - 2. Dall’autotutela amministrativa allo ius poenitendi tributario. Profili ricostruttivi - 3. Sulla natura del potere di riesame tributario: discrezionalità e doverosità negli antitetici approcci giurisprudenziali e legislativi - 4. L’interesse generale alla rimozione dell’atto nell’ambito tributario: un concetto non ancora contestualizzato - 5. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Premessa e inquadramento del tema di indagine

La sentenza in epigrafe, che si inserisce in quel trend di pronunce rese in tema di autotutela tributaria da parte del Supremo Consesso, consente di soffermarsi sulle principali criticità che hanno caratterizzato (e continuano a informare) l’istituto in esame [1]. In particolare, la pronuncia in commento affronta prioritariamente la tematica della tutela giurisdizionale del contribuente innanzi ad un diniego, espresso o tacito, della parte pubblica di ritirare in autotutela un atto impositivo divenuto definitivo. In ordine a tale profilo la sentenza che si analizza, nel ritenere suscettibile di impugnazione l’atto di diniego nonostante la sua estraneità all’elenco di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, riprende l’indirizzo segnato dalla giurisprudenza di legittimità, ribadendo la sussistenza della giurisdizione tributaria in materia [2]. Confermato il suindicato profilo, la Cassazione riafferma expressis verbis la natura discrezionale dell’autotutela tributaria, estrinsecantesi nella ponderazione tra gli interessi della parte pubblica, che debbono necessariamente involgere un interesse generale alla rimozione dell’atto, e quelli eventualmente emergenti nella concreta vicenda [3]. Trattasi, pertanto, di una valutazione volitiva necessariamente preordinata al perseguimento dell’interesse pubblico concreto. La decisione del Supremo Consesso si segnala, peraltro, per il rinnovato esame sulla vexata questio della nozione di “interesse generale” alla rimozione dell’atto, eletto a presupposto imprescindibile per procedere all’autotutela. Posto quanto sopra, sebbene la Corte di Cassazione effettui una ricognizione dello stato dell’arte giurisprudenziale in ordine alle annose questioni che più di tutte hanno caratterizzato l’evoluzione del riesame in materia tributaria, a ben vedere, non pare sia stata gettata definitiva luce su alcune criticità dell’istituto. Ci si riferisce, in particolare, alla corretta valutazione degli spazi di discrezionalità, nell’an o nel quomodo, relativi all’azione dell’Ufficio, quale presupposto di una rimeditazione della nozione generale di discrezionalità tributaria, nonché alla identificazione del già menzionato concetto di “interesse generale” che, come detto, secondo la Corte concorre a definire il modo di esercizio del potere [continua ..]


2. Dall’autotutela amministrativa allo ius poenitendi tributario. Profili ricostruttivi

La disamina dei punti nodali della sentenza in commento, non può prescindere da una ricognizione, seppur essenziale, dei caratteri peculiari del c.d. procedimento di riesame. In primis deve evidenziarsi come l’evoluzione dello ius poenitendi in materia tributaria involga questioni che hanno interessato l’analogo istituto di diritto amministrativo [5], connotando inevitabilmente l’autotutela dell’Amministrazione finanziaria di profili che hanno formato oggetto di discussione in tale ambito. Ci si riferisce, in particolare, alle annose questioni in ordine alla sussunzione del riesame tributario nell’istituto proprio del diritto amministrativo o alla riconducibilità a un potere autonomo; alla tematica in ordine alla doverosità nell’esercizio di tale potere (con riguardo alle elucubrazioni in cui questa sia riferibile all’an, ma non al quomodo; oppure come doverosità che involge entrambi i profili); o, ancora, a seconda della natura attribuita al potere, alla sindacabilità o meno della decisione della parte pubblica. Come verrà evidenziato, risulta quindi indiscutibile come la tematica dello ius poenitendi rivesta un ruolo essenziale anche in materia fiscale sebbene, da un lato per la vincolatezza dei provvedimenti tributari [6], dall’altro per alcune non irrilevanti differenze nelle rispettive discipline di riferimento [7], nell’ambito tributario non sono state raggiunte forme di ermeneusi così nette come nel diritto amministrativo. Di tali approdi – connessi alla natura del potere stesso – e fondanti, inter alia, le principali direttrici evolutive dell’autotutela in entrambe le branche del diritto che ci occupano, deve darsi atto nelle pagine che seguono. L’autotutela amministrativa, secondo la definizione più classica [8], viene intesa come il potere riconosciuto alla pubblica amministrazione di riesaminare e, se del caso, revocare o annullare i propri atti in quanto illegittimi o infondati [9], così da assicurare il più efficace perseguimento dell’interesse pubblico. In questi termini l’isti­tuto in esame, nel consentire all’Amministrazione pubblica di correggere direttamente il proprio operato, di per sé assicura una pressoché immediata rispondenza dell’agere pubblico, oltre che ai principi di legalità, anche a quello [continua ..]


3. Sulla natura del potere di riesame tributario: discrezionalità e doverosità negli antitetici approcci giurisprudenziali e legislativi

La Cassazione da ultimo indagata, come detto, non ha adeguatamente approfondito se gli asseriti spazi di discrezionalità della parte pubblica che esercita lo ius poenitendi siano riferibili esclusivamente all’an dell’azione, oppure anche al quomodo del riscontro all’esito del procedimento di riesame, prescindendo peraltro da una meditazione sulla nozione generale di discrezionalità, dando per acquisita l’interpre­ta­zione offerta dalla dottrina tradizionale [36]. Di fronte alla laconicità dell’attuale dettato normativo, che non prevede espressamente né un termine entro il quale deve concludersi l’iter procedimentale, né l’esistenza di un obbligo di provvedere in capo all’Amministrazione [37], in effetti sembrerebbe che possa predicarsi l’insussistenza di un obbligo in capo all’Erario di attivarsi in autotutela, al pari di ciò che avviene nella successiva fase correlata all’esito del procedimento. Come verrà meglio dettagliato, la suddetta posizione è quella oggi prevalente in dottrina e in giurisprudenza, che da tempo sanciscono l’insussistenza di un obbligo per il Fisco di provvedere alla revisione o alla rimozione dell’atto viziato, ritenendo non coercibile dall’esterno l’attivazione di detto procedimento mediante l’istituto del silenzio-rifiuto [38]. Deve tuttavia rilevarsi come, secondo altro orientamento, non possa al contrario parlarsi di assoluta discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria, quanto meno in ordine all’attivazione del procedimento di autotutela [39]. In base a tale prospettazione, riconoscere al Fisco una discrezionalità nell’an dell’attivazione procedimentale, porterebbe a delle conseguenze inaccettabili. Difatti, se l’Amministrazione avesse una mera facoltà di adottare un provvedimento di autotutela, si potrebbero verificare disparità di trattamento tra diversi contribuenti che si trovino nelle medesime situazioni di fatto. In tal senso, sostiene il suindicato filone interpretativo, l’Ammini­strazione avrebbe un vero e proprio obbligo di avviare il procedimento di riesame [40]. Da ultimo occorre citare la posizione di un’ulteriore branca dottrinale [41], secondo la quale l’art. 2 quater del D.L. n. 564/1994, non prevedendo espressamente alcun criterio [continua ..]


4. L’interesse generale alla rimozione dell’atto nell’ambito tributario: un concetto non ancora contestualizzato

In disparte ogni considerazione sulle recenti proposte evolutive dello ius poenitendi, è pacifico come lo stato dell’arte giurisprudenziale, in ordine alla natura dell’autotutela tributaria, qualifichi l’istituto in termini di discrezionalità [56], cui fa da contraltare un ristrettissimo margine di sindacabilità sul modo di esercizio del potere, con particolare riguardo ai profili procedimentalizzati e alla legittimità dell’atto conclusivo [57]. A questo punto della nostra indagine, si pone allora inevitabilmente il problema di individuare quale interesse debba essere considerato primario con specifico riguardo alla materia tributaria, e con riferimento a quali elementi debba essere operata quella valutazione ponderativa richiamata dal Supremo Consesso, anche da ultimo con la sentenza annotata. Come verrà infra meglio chiarito, la corretta interpretazione di tale interesse nell’esercizio del riesame tributario si manifesta più complessa di quanto possa trasparire ad una prima disamina, apparendo nebulosa ed astratta e priva di contorni definitori netti, in quanto figlia, anche se in parte, degli approdi cui sono pervenuti gli studi sull’autotutela amministrativa, in cui emerge in modo preponderante il fattore temporale rappresentato dal criterio della stabilità dei rapporti giuridici costituiti dal provvedimento divenuto inoppugnabile, e consolidati medio tempore. In verità, come già accennato nelle pagine che precedono, il concetto di “consolidamento” dei rapporti, più che al diritto tributario, ben si attaglia all’ordina­mento amministrativo, in cui l’attività di riesame rappresenta, effettivamente, il risultato di una valutazione volta a stabilire se il vizio che ha inficiato l’atto risulti essere stato in qualche modo sanato da quel che è accaduto nelle more. In tal ambito [58], l’interesse alla legalità è infatti destinato ad essere recessivo solo nei casi in cui la situazione storico-ambientale si sia adeguata a quanto stabilito dal provvedimento invalido [59]. Lo stesso criterio non trova tuttavia spazio nella materia tributaria, in cui tendenzialmente ciascun consociato dovrebbe essere inciso da una tassazione conforme alla legge ed espressiva della propria capacità, di guisa che difficilmente il ripristino di una situazione conforme a diritto [continua ..]


5. Considerazioni conclusive

La pronuncia in commento, pur rigorosa nella ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale dell’autotutela tributaria, nello sposarne la tradizionale lettura in termini discrezionali, e nel limitare il vaglio sul corretto esercizio del potere alle ipotesi di rilevante interesse generale alla rimozione dell’atto, tende a privilegiare l’interesse all’ef­ficienza del sistema Stato amministrazione / Stato autorità, rispetto ai valori di equità e giustizia sostanziale che, in realtà, rappresentano i cardini dello Stato-comunità, nei quali pure si esprime lo Stato di diritto, fondato sul principio di legalità. Proprio in tal senso può affermarsi come la Cassazione abbia omesso di contestualizzare l’istituto rispetto alla materia tributaria, sacrificando la giusta imposizione sull’altare di un formalismo che – per certi versi – si pone in contrasto con alcune posizioni assunte in materia dal Supremo Consesso fin dagli anni ’90 del secolo scorso [70], che ha affermato come in uno Stato moderno, il vero interesse del Fisco non sia affatto quello di costringere il contribuente a soddisfare pretese sostanzialmente ingiuste profittando di situazioni contingenti favorevoli al Fisco sul piano amministrativo o processuale, bensì quello di curare che il prelevo fiscale sia in armonia con l’effettiva capacità contributiva del soggetto passivo. A tal fine, come evidenziato nel corso dell’espositiva, l’istituto meriterebbe, in verità, un approccio maggiormente volto a privilegiare l’indagine dei limiti del riesame della pretesa impositiva, sul solco della doverosità, quantomeno nell’an, dell’e­sercizio del potere, necessità che trova la sua prima estrinsecazione nelle più recenti proposte di revisione dell’istituto, con cui vengono evocate forme di obbligatorietà dello ius poenitendi fiscale.


NOTE