Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Considerazioni critiche sulla compatibilità europea della disciplina italiana sul monitoraggio fiscale a margine di una recente pronuncia della Corte di Giustizia UE (di Francesco Spinello)


Con la sentenza del 27 gennaio 2022 (causa C-788/19) la Corte di Giustizia UE ha stabilito che la normativa spagnola sul monitoraggio fiscale degli investimenti e delle attività finanziarie possedute all’estero da soggetti fiscalmente residenti in Spagna si pone in contrasto con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con i principi di proporzionalità e di libera circolazione dei capitali. Le recenti statuizioni della Corte offrono lo spunto per svolgere alcune considerazioni critiche sulla compatibilità della disciplina italiana sul monitoraggio fiscale, che presenta notevoli consonanze con l’impianto normativo spagnolo ritenuto non conforme al diritto dell’Unione Europea.

 

Critical remarks on the compatibility with EU law of the Italian rules on taxpayer’s reporting duties in the aftermath of a recent judgment of the Court of Justice of the European Union

On 27 January 2022 (case C-788/19), the Court of Justice of the European Union ruled that the Spanish legislation on taxpayer’s reporting duties concerning investments and financial activities held abroad by its residents is in contrast with EU law and, in particular, with the principle of proportionality and the free movement of capital. The recent judgment offers the opportunity to carry out some critical remarks on the compatibility with EU law of the Italian discipline on taxpayers’ reporting duties, which has many similarities with the Spanish one.

Keywords: taxpayer’s reporting duties, doubling of the terms for tax assessment, free movement of capital, proportionality principle, tax administrative penalties.

MASSIMA: Il Regno di Spagna: (i) avendo previsto come conseguenza dell’inadempimento o dell’adempimento inesatto o tardivo dell’obbligo di informazione riguardo ai beni e ai diritti situati all’estero l’assoggettamento a imposta dei redditi non dichiarati corrispondenti al valore di tali attivi come «plusvalenze patrimoniali non giustificate», senza possibilità, in pratica, di beneficiare della prescrizione; (ii) avendo corredato l’inadempimento o l’adempimento inesatto o tardivo dell’obbligo di informazione riguardo ai beni e ai diritti situati all’estero di una sanzione proporzionale del 150% dell’imposta calcolata sulle somme corrispondenti al valore di tali beni o di tali diritti, sanzione che può essere cumulata con sanzioni forfettarie; e (iii) avendo corredato l’inadempimento o l’adempimento inesatto o tardivo dell’obbligo di informazione riguardo ai beni e ai diritti situati all’estero di sanzioni forfettarie il cui importo non è commisurato alle sanzioni previste per infrazioni simili in un contesto puramente nazionale e per il cui importo complessivo non è previsto un limite massimo, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 63 TFUE e dell’articolo 40 dell’accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992. PROVVEDIMENTO: SENTENZA DELLA CORTE (PRIMA SEZIONE) – 27 GENNAIO 2022 «Inadempimento di uno Stato – Articolo 258 TFUE – Libertà di circolazione dei capitali – Obbligo di informazione riguardo ai beni o ai diritti detenuti in altri Stati membri dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo (SEE) – Inosservanza di tale obbligo – Prescrizione – Sanzioni». Nella causa C‑788/19, avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 23 ottobre 2019, Commissione europea, rappresentata inizialmente da C. Perrin, N. Gossement e M. Jáuregui Gómez,in qualità di agenti, successivamente da C. Perrin e N. Gossement, in qualità di agenti, ricorrente, contro Regno di Spagna, rappresentato da L. Aguilera Ruiz e S. Jiménez García, in qualità di agenti, convenuto, LA CORTE (PRIMA SEZIONE), composta da L. Bay Larsen, vicepresidente della Corte, facente funzione di presidente della PrimaSezione, J.-C. Bonichot (relatore) e M. Safjan, giudici, avvocato generale: H. Saugmandsgaard Øe cancelliere: A. Calot Escobar vista la fase scritta del procedimento, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 luglio 2021,ha pronunciato la seguente SENTENZA (Omissis) Contesto normativo 2 La diciottesima disposizione aggiuntiva alla Ley 58/2003 General Tributaria (legge 58/2003, recante il codice generale dei tributi), del 17 dicembre 2003, come [continua..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login

inizio


SOMMARIO:

1. La vicenda processuale - 2. La violazione del principio di libera circolazione dei capitali e del principio di proporzionalità delle sanzioni tributarie - 3. Considerazioni critiche sulla compatibilità comunitaria della disciplina italiana sul monitoraggio fiscale degli investimenti e delle attività di natura finanziaria detenute all’estero da contribuenti residenti e del raddoppio dei termini - 3.1.1. Segue: il contrasto con il principio di proporzionalità - 3.2. Sulla proporzionalità delle sanzioni connesse alla violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale - 3.3. Sull’incompatibilità comunitaria della disciplina sul raddoppio dei termini prevista dall’art. 12 del D.L. 1 luglio 2009, n. 78 - 3.4. Sulla proporzionalità del raddoppio delle sanzioni previsto dall’art. 12, comma 2 del D.L. n. 78/2009 - 4. Riflessioni conclusive - NOTE


1. La vicenda processuale

Con la sentenza del 27 gennaio 2022, relativa alla causa C-788/19 (Commissione Europea contro Regno di Spagna), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che la disciplina spagnola sul monitoraggio fiscale degli investimenti e delle attività finanziarie possedute all’estero da soggetti fiscalmente residenti in Spagna è in contrasto con il diritto comunitario. La normativa spagnola, già ritenuta discriminatoria dalla Commissione Europea [1], si pone in contrasto con il principio di proporzionalità, prevedendo rilevanti conseguenze sanzionatorie in caso di omessa, inesatta o tardiva presentazione del Modello 720 [2] (corrispondente al “quadro RW” italiano); tali conseguenze consistono, in particolare, nella qualificazione dei beni e diritti detenuti all’estero come “plusvalenze patrimoniali non giustificate” senza possibilità di eccepire la prescrizione, nell’irrogazione di una sanzione proporzionale pari al 150% dell’imposta calcolata sulle somme corrispondenti al valore di tali beni e diritti, oltreché di sanzioni forfettarie molto elevate e per il cui importo complessivo non è previsto un limite massimo. La sentenza in commento muove dall’assunto secondo cui l’obbligo di presentazione del modello 720 e le sanzioni collegate all’inosservanza o all’adempimento inesatto o tardivo di tale obbligo, che non hanno equivalenti per quanto riguarda i beni e diritti detenuti in Spagna, istituiscono una disparità di trattamento tra i residenti in tale Paese a seconda del luogo in cui si trovino tali attivi. L’0bbligo in questione, infatti, è idoneo a dissuadere, impedire o limitare la possibilità dei soggetti residenti in Spagna di investire in altri Stati [3], provocando così una restrizione al principio di libera circolazione dei capitali di cui agli artt. 63, par. 1 del TFUE [4] e 40 dell’accordo SEE [5]. Secondo i giudici comunitari, inoltre, l’accertamento di tale restrizione non può essere messo in discussione dalla circostanza secondo cui la disciplina spagnola sul monitoraggio persegue gli obiettivi di garantire l’efficacia dei controlli e di contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale realizzata mediante l’occultamento di capitali all’estero [6].


2. La violazione del principio di libera circolazione dei capitali e del principio di proporzionalità delle sanzioni tributarie

In maggior dettaglio, con la sentenza in commento la Corte di Giustizia ha stabilito che la Spagna è venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in forza dell’art. 63 del TFUE, avendo previsto, come conseguenza dell’inadempimento o dell’adem­pimento inesatto o tardivo dell’obbligo di informazione relativo ai beni e ai diritti situati all’estero, la qualificazione di tali attivi come “plusvalenze patrimoniali non giustificate”, senza possibilità di eccepire la prescrizione [7]. Secondo la costante giurisprudenza comunitaria, infatti, la mera circostanza che un contribuente residente possieda beni o diritti al di fuori del territorio di uno Stato membro non può legittimare una presunzione generale di evasione fiscale [8]. Peraltro, una normativa interna che presuma l’esistenza di una condotta fraudolenta per il sol fatto che ricorrano le condizioni da essa previste, senza concedere al contribuente alcuna possibilità di confutare tale presunzione, eccede quanto necessario al fine di contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale realizzata mediante l’occultamento di capitali all’estero [9]. A giudizio della Corte, pertanto, le scelte operate dal governo spagnolo in materia di prescrizione risultano sproporzionate rispetto all’obiettivo di contrastare tale fenomeno, in quanto consentono – in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 39, par. 2 della Legge relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche e 121, par. 6 della Legge relativa all’imposta sulle società – all’Amministrazione Finanziaria di procedere senza limiti di tempo alla rettifica dell’imposta dovuta per le somme corrispondenti al valore dei beni o dei diritti situati all’estero e non dichiarati o dichiarati in modo inesatto o tardivo con il modello 720 [10]. In altri termini, il disposto normativo adottato dal legislatore iberico, oltre a comportare irragionevoli effetti di imprescrittibilità, permette all’Amministrazione Finanziaria persino di rimettere in discussione la prescrizione già maturata in favore del contribuente, il che pregiudica la fondamentale esigenza di garantire la certezza del diritto. Con la sentenza in commento la Corte di Giustizia ha inoltre affermato che la Spagna è venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in forza della libera circolazione [continua ..]


3. Considerazioni critiche sulla compatibilità comunitaria della disciplina italiana sul monitoraggio fiscale degli investimenti e delle attività di natura finanziaria detenute all’estero da contribuenti residenti e del raddoppio dei termini

3.1. L’eccessiva onerosità degli obblighi di compilazione del quadro RW: il contrasto con il principio di libera circolazione dei capitali Le recenti statuizioni della Corte di Giustizia offrono lo spunto per interrogarsi sulla compatibilità comunitaria della disciplina italiana sul monitoraggio fiscale degli investimenti e delle attività di natura finanziaria detenute all’estero da contribuenti residenti, che presenta notevoli consonanze con l’impianto normativo spagnolo ritenuto in contrasto con la libera circolazione dei capitali e con il principio di proporzionalità delle sanzioni tributarie. In maggior dettaglio, l’art. 4, comma 1, primo periodo, del D.L. 28 giugno 1990, n. 167, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 1990, n. 227, prevede che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate residenti in Italia, che nel periodo d’imposta detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, hanno l’obbligo di indicarli nel quadro RW della dichiarazione dei redditi; secondo quanto disposto dall’art. 4, comma 4, del D.L. n. 167/1990, i richiamati obblighi di monitoraggio fiscale sono stati individuati dall’Agenzia delle Entrate con il Provvedimento del 18 dicembre 2013 [18]. L’esistenza di una restrizione dei movimenti di capitale rilevante ai fini dell’appli­cazione del TFUE può essere ravvisata, in via preliminare, nell’eccessiva onerosità degli obblighi di compilazione del quadro RW, che appaiono piuttosto gravosi rispetto alle esigenze di accertamento dei redditi prodotti all’estero. In questo senso, la Commissione Europea, con la procedura precontenziosa EU Pilot n. 1711/11/Taxu, aveva già chiesto all’Italia di modificare gli obblighi dichiarativi in questione attraverso l’eliminazione della Sezione III del quadro RW, riservata all’indicazione dei trasferimenti da e verso l’estero [19]. Il legislatore nazionale, invero, con la L. 6 agosto 2013, n. 97 aveva dato seguito alla richiesta della Commissione Europea, modificando l’art. 4 cit. ed eliminando gli obblighi dichiarativi relativi alle Sezioni I e III del quadro RW [20]. L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, nel dare attuazione alle modifiche normative con il richiamato [continua ..]


3.1.1. Segue: il contrasto con il principio di proporzionalità

In ogni caso, pur considerando l’esigenza di assicurare l’accertamento di violazioni tributarie, le misure adottate dai singoli Stati non debbono superare quanto necessario al fine di raggiungere tale obiettivo, così come impone il principio di proporzionalità [26]. Nell’applicare tale ultimo principio, invero, si deve tener presente come da diverse sentenze della Corte di Giustizia emerga che gli ostacoli motivati dall’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli tributari non sono giustificati quando esistono con l’altro Stato (in particolare, se si tratta di uno Stato membro) efficaci sistemi di scambio di informazioni su richiesta, specie se in combinazione con sistemi di scambio automatico, che consentano alle autorità fiscali di innescare tempestive indagini [27]. Ne consegue che, al pari della disciplina spagnola, la normativa nazionale sul monitoraggio fiscale potrebbe porsi in contrasto anche con il principio di proporzionalità, allorquando impone ai contribuenti italiani adempimenti eccessivamente gravosi rispetto alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, a maggior ragione laddove i dati richiesti a tal fine risultino già in possesso dell’Ammi­nistrazione Finanziaria mediante i vari sistemi di scambio di informazioni di cui l’Italia è parte. Del resto, in relazione a quest’ultimo aspetto, è sufficiente ricordare che l’Italia riceve dai Paesi Europei gli scambi di informazione automatici previsti dagli artt. 8, commi 1 e 3-ter della Direttiva 2011/16/UE del Consiglio relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e partecipa al sistema Common Reporting Standard OCSE e al sistema FACTA, ricevendo informazioni sui conti finanziari, i conti di deposito e i conti di custodia detenuti nelle giurisdizioni aderenti al sistema, di cui i soggetti residenti in Italia siano “titolari effettivi” ai sensi della normativa antiriciclaggio [28].


3.2. Sulla proporzionalità delle sanzioni connesse alla violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale

La disciplina sul monitoraggio fiscale delle attività di natura finanziaria e degli investimenti detenuti all’estero appare eccessivamente afflittiva rispetto ai soggetti fiscalmente residenti in Italia anche sotto il profilo sanzionatorio. Al riguardo si evidenzia che l’art. 5, comma 2, del D.L. n. 167/1990 punisce la violazione dell’obbligo dichiarativo previsto dall’art. 4, comma 1 cit. con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 al 15 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati; la richiamata disposizione, inoltre, punisce la mancata esposizione nel quadro RW degli asset detenuti in Paesi black list con l’irrogazione di una sanzione compresa tra il 6 ed il 30 per cento degli imponibili non indicati. Tali sanzioni – che per le attività detenute nei Paesi Europei raggiungono il 15% dei valori non dichiarati – risultano sproporzionate in quanto non variano in funzione dell’entità delle imposte evase. A titolo esemplificativo, basti evidenziare che chi ha detenuto una partecipazione all’estero che non ha mai prodotto redditi e che non è soggetta ad imposte patrimoniali è sanzionato allo stesso modo di chi ha detenuto partecipazioni che hanno distribuito dividendi o immobili dati in affitto o obbligazioni fruttifere. Le richiamate sanzioni, peraltro, si cumulano con quelle relative all’eventuale evasione dell’imposta sui redditi e sul patrimonio [29]. La Corte di Giustizia, invero, ha più volte riconosciuto che la necessità di garantire l’efficacia della riscossione delle imposte, nonché quella di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, possono costituire motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi [30]. La Corte ha parimenti affermato che l’irrogazione di sanzioni, comprese quelle di natura penale, può essere considerata necessaria al fine di garantire il rispetto effettivo di una normativa nazionale, a condizione tuttavia che la natura e l’importo della sanzione inflitta siano in ciascun caso di specie proporzionati alla gravità dell’infra­zione che essa intende sanzionare [31]. In questo senso, una normativa nazionale che prevede una sanzione il cui importo sia privo di un nesso con l’importo dell’imposta dovuta eccede quanto necessario per conseguire gli [continua ..]


3.3. Sull’incompatibilità comunitaria della disciplina sul raddoppio dei termini prevista dall’art. 12 del D.L. 1 luglio 2009, n. 78

Le recenti statuizioni della Corte di Giustizia offrono altresì lo spunto per svolgere alcune considerazioni critiche sulla compatibilità europea delle disposizioni di contrasto ai paradisi fiscali, introdotte con l’art. 12 del D.L. 1 luglio 2009 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2009, n. 102 [32]; in particolare, l’art. 12 cit. prevede per gli accertamenti basati sulla presunzione secondo cui le attività finanziarie detenute in Paesi black list si considerano costituite mediante redditi sottratti a tassazione [33], il raddoppio dei termini di accertamento (comma 2 bis [34]) ovvero dei termini per la constatazione delle violazioni degli obblighi di monitoraggio (comma 2-ter [35]), nonché il raddoppio delle sanzioni previste dall’art. 1 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (comma 2 [36]). Più precisamente, le recenti statuizioni dei giudici unionali consentono di riaprire il dibattito sulla compatibilità comunitaria della normativa de qua sorto a margine di alcune pronunce rese dalla Corte di Giustizia e in relazione alla corrispondente disciplina olandese, che estendeva da sei a dodici anni il termine di decadenza per la rettifica della dichiarazione relativa alle imposte sui redditi in relazione ad elementi imponibili detenuti o generati all’estero [37]. In particolare, con la sentenza dell’11 giugno 2009, relativa alle cause C-155/08 e C-157/08, X e Passenheim-van Schoot, la Corte di Giustizia aveva inizialmente ritenuto che la disciplina olandese – ancorché configurasse una restrizione alla libertà di circolazione dei capitali – avrebbe potuto fruire della deroga prevista dall’art. 65 del TFUE [38] per le misure di carattere fiscale, a condizione che l’Amministrazione Finanziaria interessata avesse dimostrato di non aver potuto esercitare il controllo nei termini ordinari per il fatto di non disporre di alcun indizio circa la detenzione di attività finanziarie estere da parte del contribuente sottoposto a verifica [39]. Tuttavia, con la sentenza dalla Corte di Giustizia del 15 febbraio 2017, relativa alla causa C-317/15, X contro Staatssecretaris van Financiën, la medesima normativa prevista dal diritto olandese non era stata ritenuta più giustificabile sulla base della deroga prevista dall’art. 65 del TFUE. In questo senso, i giudici comunitari hanno [continua ..]


3.4. Sulla proporzionalità del raddoppio delle sanzioni previsto dall’art. 12, comma 2 del D.L. n. 78/2009

Come anticipato, la disciplina prevista in relazione alle attività detenute nei Paesi black list appare eccessivamente afflittiva nei confronti dei contribuenti residenti in Italia anche sotto il profilo sanzionatorio. In tal senso, l’art. 12, comma 2 del D.L. n. 78/2009 prevede che nei casi in cui opera la presunzione che i capitali detenuti all’estero siano il frutto di redditi evasi, le sanzioni per l’omessa o infedele dichiarazione dei redditi sono raddoppiate. Di conseguenza, nell’ipotesi di infedele dichiarazione, la sanzione risulterebbe compresa tra il 180 e il 360 per cento della maggior imposta di cui si presume l’evasione, mentre in caso di omessa dichiarazione, tale penalità sarebbe compresa tra il 240 e il 480 per cento delle imposte evase. In tali ipotesi, pertanto, il carico sanzionatorio potrebbe persino eccedere il controvalore dell’asset non dichiarato [46]. Tale penalità, inoltre, si cumula con quella prevista dall’art. 5, comma 2 del D.L. n. 167/1990; come enunciato in precedenza, la richiamata disposizione punisce la mancata esposizione nel quadro RW degli asset detenuti in Paesi black list con l’irrogazione di una sanzione compresa tra il 6 ed il 30 per cento degli imponibili non indicati. Un simile carico afflittivo potrebbe considerarsi sproporzionato alla luce del costante orientamento della giurisprudenza comunitaria, secondo cui l’irrogazione di sanzioni, comprese quelle di natura penale, può essere considerata necessaria al fine di garantire il rispetto effettivo di una normativa nazionale, a condizione tuttavia che la natura e l’importo della sanzione inflitta siano in ciascun caso di specie proporzionati alla gravità dell’infrazione che essa intende sanzionare [47]. Al riguardo, inoltre, la Corte di Giustizia ha stabilito che una sanzione il cui importo sia privo di un nesso con l’importo dell’imposta dovuta va oltre quanto è necessario per conseguire il rispetto effettivo di una normativa nazionale [48]. La “sproporzione” di tale sanzione potrebbe oltretutto derivare dal fatto che, in relazione a tutti gli Stati che consentono un adeguato scambio d’informazioni, l’obiettivo di garantire l’efficacia dei controlli fiscali è già adeguatamente garantito dallo scambio automatico d’informazioni e dallo scambio d’informazioni su [continua ..]


4. Riflessioni conclusive

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la disciplina italiana sul monitoraggio fiscale, al pari di quella spagnola, potrebbe ritenersi in contrasto con il principio di libera circolazione dei capitali di cui all’art. 63, par. 1 del TFUE, il quale, come enunciato dalla costante giurisprudenza comunitaria, vieta l’imposizione da parte di uno Stato membro di misure idonee a dissuadere, impedire o limitare le possibilità degli investitori residenti di investire in altri Paesi [51]. L’esistenza di una restrizione dei movimenti di capitali rilevante ai fini dell’applicazione del TFUE potrebbe essere ravvisata nell’eccessiva onerosità degli obblighi di compilazione del quadro RW individuati dall’Agenzia delle Entrate con il Provvedimento del 18 dicembre 2013; nonostante le modifiche introdotte con la Legge 6 agosto 2013, n. 97, al fine soddisfare le richieste di semplificazione degli obblighi dichiarativi a suo tempo formulate dalla Commissione Europea con la procedura precontenziosa EU PILOT 1711/11/TAXU, la normativa italiana presenta tuttora notevoli complessità rispetto alle esigenze di accertamento dei redditi prodotti all’estero [52]. Come noto, pur considerando l’esigenza di assicurare l’accertamento di violazioni tributarie, le misure adottate dai singoli Stati membri non debbono infatti superare quanto necessario al fine di raggiungere tale obiettivo, così come impone il principio di proporzionalità. Nell’applicare tale principio, invero, si deve tener presente come da numerose pronunce della Corte di Giustizia emerga che gli ostacoli motivati dall’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli tributari non sono giustificati quando esistono con l’altro Stato efficaci sistemi di scambio di informazioni che consentano alle autorità fiscali di innescare tempestive indagini [53]. Ne consegue che, al pari della normativa spagnola, la disciplina italiana sul monitoraggio fiscale potrebbe porsi in contrasto anche con il principio di proporzionalità, in quanto impone ai contribuenti italiani adempimenti eccessivamente gravosi rispetto alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, a maggior ragione laddove i dati richiesti a tal fine risultino già in possesso dell’Amministrazione Finanziaria mediante i vari sistemi di scambio di informazioni di cui l’Italia [continua ..]


NOTE