La Legge di Bilancio 2020 ha reintrodotto la disposizione sulla potestà regolamentare secondo cui i Comuni possono prevedere il diritto al rimborso dell’imposta pagata per le aree successivamente divenute inedificabili. L'intervento legislativo non appare invero convincente per diversi ordini di ragioni.
The 2020 Budget Law has reintroduced the provision on the regulatory power according to which Municipalities may exercise their right to refund the Municipal Property Tax paid for areas subsequently become unbuildable. The legislative intervention does not appear indeed convincing for several reasons.
1. Premessa - 2. L’area fabbricabile - 3. La travagliata previsione del rimborso dell’IMU pagata su aree divenute inedificabili - 4. Il “metodo” della disposizione sul rimborso - 5. Il “merito” della disposizione sul rimborso - 6. Considerazioni conclusive - NOTE
La L. 27 dicembre 2019, n. 160 (c.d. Legge di Bilancio 2020) ha operato una articolata revisione della disciplina dell’IMU rispetto al modello vigente sino al 31 dicembre 2019. Per quanto qui di interesse giova evidenziare che l’art. 1, comma 777, lett. c), della citata legge ha reintrodotto il contenuto della disposizione di cui all’art. 59, comma 1, lett. f), del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, previsto per l’ICI, ma che non era stato riproposto dal legislatore in sede di istituzione dell’IMU. È stata, dunque, specificamente riattribuita la potestà regolamentare secondo cui i Comuni possono prevedere il diritto al rimborso dell’imposta pagata per le aree successivamente divenute inedificabili, stabilendone termini, limiti temporali e condizioni, e tenendo nella doverosa considerazione la frequenza e le modalità delle varianti apportate agli strumenti urbanistici. Ebbene, scopo del presente lavoro è quello di verificare la ragionevolezza normativa di tale previsione. Infatti, innanzitutto, va controllato se il precetto legislativo appaia soddisfacente per un tributo patrimoniale ad applicazione periodica quale è l’IMU. Inoltre, la circostanza che il legislatore si esprima in termini di “possibilità”, impone il confronto con i principi costituzionali di eguaglianza e capacità contributiva. La lettera della norma sembra, invero, aver lasciato ai Comuni un’ampia discrezionalità circa l’an del diritto al rimborso che troverebbe così applicazione in maniera non uniforme tra Comune e Comune.
Prima di esaminare il merito delle questioni oggetto del presente studio, appare utile ripercorrere, seppur brevemente, il travagliato percorso che ha interessato la nozione di area fabbricabile ai fini della soppressa ICI e della “vecchia” IMU, per sincerarsi se e come l’interpretazione giurisprudenziale e legislativa susseguitasi nel corso degli ultimi anni abbia condizionato la penna del redattore dell’art. 1, comma 777, lett. c), della L. n. 160/2019 sul rimborso IMU in parola. A seguito del riordino dell’IMU operato dalla L. n. 160/2019, difatti, la definizione di area fabbricabile è oggi contenuta nell’art. 1, comma 741, lett. d), della citata legge. Tale norma, oltre a riprodurre il testo dell’art. 2, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 e, dunque, a definire l’area fabbricabile come quell’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi, ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità, ha anche dichiarato espressamente applicabile l’art. 36, comma 2, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 [1]. Quest’ultima è la norma di interpretazione autentica con cui – come si dirà qui di seguito – il legislatore tributario, con intento semplificatorio, ha tentato di fornire un riferimento ermeneutico di carattere generale che prescindesse (almeno in parte) dalle considerazioni di carattere urbanistico. La definizione di area fabbricabile, come già ampiamente rilevato in altro studio [2], era stata oggetto di diverse interpretazioni (amministrative, giurisprudenziali, dottrinali e, financo, legislative), avendo essa accolto, contemporaneamente, sia una nozione di “edificabilità legale”, legata all’adozione, da parte del Comune, di un piano regolatore generale o attuativo, sia una nozione di “edificabilità di fatto”, legata alla concreta possibilità di costruire al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o dell’accordo di cessione dell’immobile [3]. Ed infatti, inizialmente tale disposizione era stata interpretata dall’Amministrazione finanziaria [4], dalla dottrina [5] e dalla giurisprudenza [6] maggioritarie, nel senso di ritenere [continua ..]
È evidente che ai fini dell’IMU la qualificazione di un immobile quale area edificabile ha sul contribuente un impatto decisivo, poiché implica la determinazione della base imponibile – oggi ai sensi dell’art. 1, comma 746, della L. 27 dicembre 2019, n. 160 – avendo riguardo al valore venale in comune commercio anziché in base alle risultanze catastali. In tale contesto, ed essendo l’IMU un’imposta immobiliare di natura patrimoniale a carattere periodico [16] e commisurata al valore del bene, è del tutto naturale che potrebbero verificarsi variazioni al rialzo della valutazione dell’immobile, idonee a comportare un maggior prelievo IMU in un determinato periodo di imposta, o variazioni al ribasso – ad esempio, a causa della mancata approvazione del PRG – idonee ad attenuare il prelievo del medesimo immobile in un diverso periodo d’imposta. Nella disciplina originaria dell’ICI, l’art. 13, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. n. 504/1992 regolava espressamente il caso delle aree divenute inedificabili, stabilendo, a condizione che il vincolo di inedificabilità fosse perdurato per almeno tre anni, il rimborso dell’imposta pagata per il periodo di tempo decorrente dall’ultimo acquisto tra vivi dell’area (con il limite massimo di dieci anni). In tale ipotesi, quindi, il contribuente doveva presentare al Comune l’istanza di rimborso e il Comune era obbligato – in virtù della citata disposizione – a procedere al rimborso dell’ICI versata in relazione a dette aree. Con il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, tuttavia, la situazione mutò radicalmente. Ed invero, il citato decreto, nell’intento di introdurre più precise direttive in tema di finanza locale e di determinare una trasformazione, in senso autonomista, della fiscalità locale, aveva non solo attribuito ai Comuni un’ampia potestà regolamentare con riferimento generale a tutte le entrate [17]– inaugurando altresì un sistema decentrato di prelievo dallo Stato agli enti locali territoriali [18] – ma aveva anche inciso, più specificamente, sulla disciplina dell’ICI. L’art. 59 del citato decreto, difatti, dettava una specifica disciplina in materia di ICI, indicando in maniera analitica gli ambiti di intervento delle disposizioni regolamentari del Comune. Più [continua ..]
Analizzata la normativa qui di interesse va adesso evidenziato che la scelta operata dal legislatore con la Legge di Bilancio 2020 non appare, però, razionale e conforme ai principi cardine del nostro sistema tributario. Attualmente, dunque, la sopravvenuta inedificabilità dell’area, a seguito di nuove previsioni di pianificazione urbanistica, comporta per il contribuente il diritto al rimborso dell’IMU versata (in eccesso) solo nel caso in cui il Comune abbia previsto tale rimborso in un proprio regolamento e nei limiti stabiliti dal regolamento medesimo. Dunque questo è l’attuale approdo normativo che si palesa, invero, non soddisfacente già in punto di metodo, prima che – eventualmente – nel merito della scelta legislativa. L’art. 1, comma 777, lett. c), citato, difatti, appare troppo “timido” in quanto non impartisce uno specifico precetto ma introduce una mera facoltà per il Comune. Sebbene l’aver scelto tale via può apparire rispettoso dell’autonomia comunale anche in termini di gestione delle risorse già incassate e, pertanto, eventualmente già stanziate per specifiche finalità, essa non sembra, invero, del tutto ragionevole in termini di eguale trattamento dei contribuenti. A parziale giustificazione della “timidezza” legislativa de qua vi è comunque la circostanza che, come visto, la disciplina del rimborso dell’imposta patrimoniale ha subito alterne vicende nel corso degli anni. Tali alterne vicende indubbiamente evidenziano, invero, la difficoltà del legislatore di trovare il giusto equilibrio tra l’esigenza di autonomia impositiva e di spesa dei Comuni con quella dell’eventuale mancato rispetto dei canoni di imposizione secondo i dettami della capacità contributiva. Peraltro, nel caso di specie, il legislatore con l’art. 1, comma 777, lett. c), e con la conforme previgente normativa, si è dovuto spingere a rompere il vincolo temporale periodico proprio del tributo in argomento. Tali questioni ovviamente creano una decisa instabilità della disciplina di settore perché esse risultano non facilmente conciliabili tra loro determinando, appunto, pulsioni di cambiamento normativo tese a soddisfare l’una o l’altra esigenza. Ebbene, in merito alla disciplina vigente, la prima problematica da risolvere riguarda il metodo utilizzato dal [continua ..]
Sulla questione di “merito”, ad un primo e preliminare esame parrebbe non potersi che confermare la bontà della soluzione del rimborso. È, invero, evidente la necessità di correlare il prelievo tributario all’effettiva capacità contributiva [27] manifestata dal contribuente per il tramite del possesso di un immobile che, per scelte del Comune o comunque della Regione o dello Stato, ha visto mutare la propria qualificazione e, dunque, il proprio valore a seguito della modifica/integrazione/approvazione di strumenti urbanistici. Se è vero, come detto, che l’IMU incide sia sul possesso delle aree fabbricabili sia su quello dei terreni agricoli – e, quindi, la distinzione tra tali tipologie di beni non serve per differenziare un bene imponibile da uno non imponibile –, è altrettanto vero, però, che la sopravvenuta inedificabilità dell’area è assai rilevante ai fini fiscali, perché essa incide sui criteri utilizzati per determinare la base imponibile del tributo. È sempre evidente, difatti, che se l’area in un determinato periodo d’imposta X – in base agli strumenti urbanistici vigenti – è qualificabile quale area fabbricabile, il contribuente viene chiamato (in forza della scelta del Comune di considerare edificabile il cespite) al versamento dell’IMU calcolata sulla base dei criteri previsti per le aree edificabili e, quindi, al versamento dell’imposta in misura assai più gravosa rispetto a quella dovuta per i terreni agricoli o, comunque, in misura superiore rispetto a quella dovuta per un’area concretamente non edificabile. Conseguentemente, se la medesima area, successivamente ed in un determinato periodo d’imposta Y, diviene inedificabile a seguito di approvazione di varianti agli strumenti urbanistici generali o attuativi oppure per vincoli imposti da leggi nazionali o regionali, è indubbio che il contribuente, per gli anni precedenti, si sia trovato a versare un’imposta in misura superiore a quella dovuta per il valore poi definitivamente assunto dal bene immobile di sua proprietà. La immediata lettura della norma indurrebbe, quindi, ad avallare la previsione sul diritto al rimborso. Tuttavia, re melius perpensa, questa prima impressione non appare pienamente convincente e occorre dunque accertarsi se effettivamente quel pregresso [continua ..]
De jure condendo per i dubbi di costituzionalità espressi in precedenza, sarebbe auspicabile che il legislatore abrogasse la disposizione di cui all’art. 1, comma 777, lett. c), della L. n. 160/2019 e tornasse alla disciplina della “vecchia” IMU per cui il rimborso non era previsto. Se tale, indubbiamente impopolare, strada non fosse ritenuta percorribile allora sarebbe paradossalmente meglio che si introducesse in via generalizzata il diritto al rimborso dell’IMU pagata per le aree successivamente divenute inedificabili, rimettendo alla potestà regolamentare del Comune solo la disciplina di dettaglio (limiti, termini, ecc.) e non anche l’an del diritto al rimborso in questione. Almeno, in questo modo, si supererebbe una delle problematiche sopra evidenziate: ossia la sperequazione tra l’imposizione fiscale gravante sui titolari di immobili in Comuni che abbiano adottato regole sul rimborso differenti. Se la norma primaria, peraltro, imponesse al Comune di prevedere in via regolamentare il rimborso, si aprirebbe anche la possibilità, per quei contribuenti titolari di immobili siti in Comuni che – non osservando il precetto di legge – non avessero disciplinato il diritto al rimborso, di adire fondatamente la via della tutela giurisdizionale per ottenere quanto versato all’Ente impositore locale. Per tali casi, infatti, oggi il ricorso al giudice non appare possibile proprio perché la norma primaria si esprime in termini di mera possibilità per il Comune e non di dovere. Invece, laddove ci fosse un obbligo, rimasto inadempiuto, il contribuente ben potrebbe, previa richiesta inevasa al Comune, rivolgersi al giudice per vedere condannato il Comune al rimborso. De jure condito, sarebbe opportuno, sempre per le ragioni da ultimo evidenziate, che tutti i Comuni valorizzassero ed inserissero all’interno dei propri regolamenti il diritto al rimborso in questione atteso che, seppur qui non condiviso, vi è un espresso indirizzo legislativo in questo senso. Il diffuso intervento comunale sull’argomento a mezzo dei propri regolamenti verrebbe anche di fatto a sanare la evidenziata non provvidenziale lettera di legge che ad oggi lascia ampi potenziali spazi di discriminazione tra i contribuenti titolari di aree divenute inedificabili.