Il presente contributo affronta il tema dell'inquadramento comunitario nel campo IVA delle negoziazioni di partecipazioni societarie tra operazioni fuori campo IVA ed operazioni esenti. L’applicazione del regime di esenzione influisce, poi, sulla detraibilità dell'imposta assolta sui relativi acquisti. Infine, viene affrontata la possibile assimilazione tra cessioni di partecipazioni totalitarie o di controllo e trasferimenti di un'universalità di beni e come tale assimilazione influisca, di nuovo, sul diritto alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti.
This paper deals with the issue of the European framework in the VAT field of negotiations of corporate shares between non-taxable and exempt transactions. The application of the exemption regime then affects the deductibility of the tax paid on the related purchases. Finally, the possible assimilation between sales of totalitarian or controlling shareholdings and transfers of a universality of goods is addressed, and how this assimilation affects, again, the right to deduct the VAT paid on purchases.
1. Premessa - 2. La cessione di titoli non integra di per sé lo svolgimento di una attività economica tranne nelle ipotesi di svolgimento professionale dell’attività di negoziazione di titoli o di “interferenza” nelle attività della partecipata o, infine, nell’ipotesi in cui consista in un’“estensione” dell’attività svolta - 3. L’esenzione delle operazioni di negoziazione di partecipazioni rilevanti ai fini IVA e il diritto alla detrazione nell’ordinamento comunitario - 4. Segue: …e nel regime domestico - 5. Il trasferimento di partecipazioni quale possibile cessione di azienda - 6. Sulla detraibilità dell’IVA nel caso di cessione di una partecipazione assimilabile ad una universalità di beni, in particolare in ambito domestico - 7. Conclusioni - NOTE
L’inquadramento IVA delle operazioni di negoziazione di partecipazioni societarie presenta problematiche di non facile soluzione. Non sono, invero, sempre chiari i confini tra le operazioni irrilevanti ai fini IVA (per carenza, soprattutto, del requisito dell’economicità dell’operazione di acquisto o vendita della partecipazione) e quelle rilevanti (perché connesse a “interferenze” nelle società controllate o finalizzate a realizzare una “estensione” dell’attività della controllante). In questi ultimi casi non è sempre immediata la relazione che lega la negoziazione delle partecipazioni all’attività economica svolta; relazione che può in taluni casi risultare funzionale a tale svolgimento, ma non in modo diretto, favorendo il sorgere di dubbi interpretativi con riferimento alle diverse fattispecie sottoposte all’attenzione della giurisprudenza sia nazionale che comunitaria. La rilevanza ai fini IVA delle negoziazioni di partecipazioni implica, poi, l’assoggettamento delle stesse al regime di esenzione che, di conseguenza, si ripercuote, limitandola, sulla detraibilità dell’imposta assolta sui relativi acquisti. In questa ipotesi, alle problematiche connesse all’applicazione delle norme comunitarie in tema di detrazione, non sempre interpretate dal giudice comunitario in modo univoco sotto il profilo del nesso che deve sussistere tra operazioni passive ed attive, si sovrappongono quelle legate ai diversi limiti alla detrazione operanti per l’ordinamento interno in caso di svolgimento rispettivamente di “operazioni” ed “attività” esenti. Qualora, infine, la negoziazione riguardi partecipazioni totalitarie o di controllo, diviene importante comprendere se la stessa possa essere assimilata al trasferimento di una universalità di beni, potendo incidere tale assimilazione, ancora una volta, sul diritto alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti ad essa relativi.
La Direttiva 2006/112/CE (d’ora in avanti “la Direttiva”) ricomprende le operazioni di cessione di partecipazioni tra le prestazioni di servizi. Il concetto di “cessione di beni” di cui all’art. 14, richiede, infatti, la presenza di un bene materiale e, sebbene l’art. 15 consenta agli Stati membri di considerare come «beni materiali» anche le azioni, lo consente solo nel caso in cui il loro possesso assicuri l’attribuzione in proprietà o in godimento di un bene immobile o parte di esso [1]. In ogni caso, a prescindere dalla loro natura di prestazioni di servizi, la mera detenzione e la mera vendita di titoli negoziabili, non possono costituire, di per sé, attività economiche ai sensi, prima, della Sesta Direttiva (77/388/CEE) e, oggi, della Direttiva 2006/112/CE [2]. Invero, per l’art. 2, n. 1, della Direttiva, sono soggette a IVA solo le attività aventi carattere economico e, per l’art. 9, n. 1, della medesima «(…) si considera “attività economica” ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate. Si considera, in particolare, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità». Conseguendo i dividendi, o gli altri profitti derivanti dalle azioni, dalla semplice proprietà dei titoli e non costituendo, quindi, il corrispettivo di un’operazione o di un’attività economica, gli stessi non possono ritenersi inclusi nel campo di applicazione dell’IVA [3]. In ambito comunitario, si rinvengono, tuttavia, tre ipotesi in cui la negoziazione di un pacchetto azionario può, per la Corte, integrare il presupposto soggettivo dell’IVA. La prima, la più lineare, non richiede particolari commenti, attenendo all’esercizio professionale da parte del soggetto passivo di un’attività commerciale di negoziazione di titoli [4]. La seconda è quella in cui la partecipazione in un’altra impresa sia accompagnata da un’interferenza diretta o indiretta nella gestione della società partecipata, fatti salvi i diritti che chi detiene le partecipazioni possiede nella sua qualità di azionista o [continua ..]
Prima di analizzare l’ipotesi di alienazione di partecipazioni assimilabili alla cessione di azienda diviene necessario comprendere quali conseguenze comporti l’inquadramento nell’ambito di applicazione dell’IVA delle operazioni di negoziazione di titoli. La gran parte delle controversie portate all’attenzione della Corte di Giustizia sull’inquadramento delle operazioni di negoziazione di titoli partecipativi aveva, infatti, come scopo ultimo la verifica della detraibilità dell’IVA sui costi e sulle spese sostenuti per (o in relazione al)l’effettuazione delle operazioni suddette, come nel caso delle consulenze aziendali o legali o delle intermediazioni. Le problematiche discendono, ovviamente, dalla circostanza che il diritto alla detrazione, che per il principio di neutralità non dovrebbe subire limitazioni («tale diritto si esercita immediatamente per tutte le imposte che hanno gravato sulle operazioni effettuate a monte» [19]) non viene riconosciuto quando «i beni o servizi acquistati da un soggetto passivo abbiano un nesso con operazioni esenti o non rientrino nell’ambito di applicazione dell’IVA». In tal caso, invero, «non può aversi né riscossione dell’imposta a valle né detrazione dell’imposta a monte» [20]. Se, da un lato, si è detto, il mero acquisto o la mera detenzione e vendita di azioni non costituiscono, di per sé, attività economiche per la normativa comunitaria, dall’altro, occorre rammentare che, qualora si rientri nel campo di imponibilità IVA, come meglio esposto più sopra, gli Stati membri, ai sensi dell’art. 135, paragrafo 1, lett. f), della Direttiva 2006/112, devono esentare da IVA «le operazioni, compresa la negoziazione ma eccettuate la custodia e la gestione, relative ad azioni, quote parti di società o associazioni, obbligazioni e altri titoli (…)» (in precedenza art. 13, parte B, lett.d), punto 5, della Sesta Direttiva). Benché le fattispecie di esenzione, come da insegnamento della Corte, debbano essere valutate restrittivamente [21], non è possibile accogliere la tesi, a volte sostenuta dalla Commissione europea, secondo la quale l’art. 135 citato riguarderebbe solo le operazioni effettuate nell’ambito di un’attività commerciale di compravendita di azioni. [continua ..]
Il regime della detrazione dell’IVA sulle spese sostenute per la negoziazione di titoli potrebbe poi, in ambito domestico, risentire della dicotomia tra “operazioni” e “attività” emergente dal confronto tra i disposti dei commi 2 e 5 dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972. Il primo impedisce la detrazione dell’IVA relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti “operazioni” esenti o, comunque, non soggette; norma perfettamente in linea con l’art. 168 della Direttiva. Il secondo limita il diritto alla detrazione, per i contribuenti che esercitano sia “attività” che conferiscono tale diritto, sia “attività che danno luogo ad operazioni esenti”, all’ammontare che risulta applicando all’IVA sugli acquisti assolta la percentuale del pro-rata di cui al successivo art. 19 bis, ovvero il rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto alla detrazione e lo stesso ammontare maggiorato delle operazioni esenti. Sembra ormai superata la questione se il pro-rata debba applicarsi solo ai cosiddetti costi promiscui [30] o a tutti i costi per beni o servizi utilizzati dal soggetto passivo [31]. Sia la giurisprudenza domestica [32] che comunitaria [33], sia la prassi amministrativa [34], hanno avallato, oramai, la seconda soluzione, ritenendola più conforme al dato normativo e all’opportunità in tal senso lasciata agli Stati membri dall’art. 173, comma 2, lett. d), della Direttiva, al quale lo Stato italiano ha aderito [35]. In presenza, in capo ad un unico soggetto imprenditore, di un’”attività” esente in concomitanza con una imponibile, la limitazione alla detrazione basata sul pro-rata deve trovare applicazione non essendo possibile distinguere tra costi afferenti l’attività imponibile e quella esente, tranne nell’ipotesi in cui il contribuente opti per la separazione delle attività di cui all’art. 36 del D.P.R. 633/1972, unica possibilità concessa per l’esercizio più preciso del diritto alla detrazione [36]. Qualora, invece, si tratti di operazioni esenti svolte nell’ambito di un’unica attività imponibile esercitata, trova applicazione l’indetraibilità specifica dell’IVA sui costi afferenti le operazioni esenti svolte, di [continua ..]
Arrivati a questo punto, delineati i possibili contorni delle diverse operazioni di negoziazione di titoli e il loro regime IVA, non si può non evidenziare come la Corte di Giustizia introduca un ulteriore possibile distinguo tra le operazioni di negoziazione di pacchetti azionari che comportano “il trasferimento di una universalità totale o parziale di beni” (di cui al citato art. 19, primo comma, della Direttiva) e le altre negoziazioni. Questo ulteriore distinguo, come si vedrà, ha anche l’effetto di incidere sul sistema delle detrazioni IVA. Procediamo con ordine. Benché la questione non fosse nemmeno stata affrontata dai giudici del rinvio (punto 38) la Corte di Giustizia dell’UE, pur nel rispetto della ripartizione delle competenze con i giudici nazionali (punto 39), opera la menzionata distinzione nella citata sentenza SKF. Al fine di chiarire tale passaggio, diviene necessario approfondire il caso di cui si è occupata la richiamata sentenza. La SKF era società controllante di un gruppo industriale che svolgeva le proprie attività in vari Paesi. Essa partecipava attivamente alla gestione delle controllate alle quali forniva, dietro corrispettivo assoggettato ad IVA, prestazioni di servizi di tipo gestionale, amministrativo e commerciale. La SKF, al fine di procedere ad una ristrutturazione del gruppo, intendeva cedere l’attività di una sua “filiale”, di cui deteneva la totalità del pacchetto azionario, attraverso il trasferimento del 100% delle azioni (inoltre, essa si proponeva di cedere la propria quota di partecipazione minoritaria in altra società controllata, di cui in passato deteneva il 100% del capitale, alla quale prestava anche, in quanto società madre, servizi soggetti all’IVA). Tale cessione era diretta a liberare capitali per il finanziamento di altre attività del gruppo. Al fine di procedere alle dette cessioni, la SKF intendeva ricorrere a prestazioni di servizi soggette ad IVA in materia di valutazione dei titoli, assistenza nelle negoziazioni e consulenza giuridica specializzata per la redazione dei contratti. Al fine di chiarire le conseguenze fiscali di dette cessioni, la SKF chiedeva allo Skatterättsnämnd (commissione di diritto tributario competente a rilasciare pareri preliminari in Svezia) un parere preliminare in merito al diritto a detrarre l’IVA versata a monte sulle [continua ..]
È bene da subito ricordare come lo Stato italiano abbia optato per la non rilevanza ai fini IVA, quale cessione di beni, della cessione di azienda, ai sensi del citato art. 2 del D.P.R. n. 633/1972. Chiarito, inoltre, quando la cessione di un pacchetto azionario di controllo di una società possa essere assimilata alla cessione di una universalità totale o parziale di beni, occorre comprendere se l’IVA afferente alle spese ed ai costi sostenuti dalle parti (cedente ed acquirente) in relazione a tale operazione possa essere detratta (e se sì, in che limiti) o meno. L’art. 19, comma 2, statuisce che «non è detraibile l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta». In altre parole, come si è già detto, la regola generale sarebbe quella della indetraibilità dell’IVA strettamente relativa a spese sostenute per operazioni non soggette a loro volta al tributo (per l’IVA attinente alle “spese generali” si rinvia al precedente par. 3). Il comma 3 prevede, tuttavia, che «la indetraibilità di cui al comma 2 non si applica se le operazioni ivi indicate sono costituite da: (…) c) operazioni di cui all’articolo 2, terzo comma, lettere a), b), d) ed f)». La lett. b) del comma 3 dell’art. 2 citato, contempla «le cessioni e i conferimenti in società o altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda». Per tali operazioni, quindi, l’IVA afferente ai relativi costi è assolutamente detraibile. In tal senso si è espressa anche la prassi amministrativa. Il Ministero delle Finanze, con la Circ. 24 dicembre 1997, n. 328, ha, non solo, confermato la detraibilità dell’IVA a monte di tali operazioni, ma ha giudicato la deroga di cui al comma 3 dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972 in linea con l’art. 17 della Sesta Direttiva (ora, con l’art. 168 della Direttiva). Si riporta il passo più significativo: «A tale regola (quella dell’indetraibilità, n.d.a.) fa eccezione una vasta gamma di operazioni per le quali il comma 3 del medesimo articolo 19 riconosce il diritto alla detrazione, anche se le medesime non sono soggette ad imposta. L’ammissione di tali [continua ..]
Come si è avuto modo di vedere la rilevanza nel campo di applicazione dell’IVA delle operazioni di negoziazione di titoli nei casi di “interferenza” nell’attività della controllata o di “estensione” dell’attività della controllante – di per sé non sempre chiaramente identificate nell’ambito dell’ordinamento comunitario – sottopone le medesime, comunque, al regime di esenzione. Conseguentemente, sotto il profilo del diritto comunitario rimane, tuttavia, dubbia la detraibilità dell’IVA sulle spese inerenti a tali operazioni. Qualora si sia tenuto conto di tali spese nella determinazione del prezzo dei titoli (indagine di cosiddetto primo livello) non appare chiaro, invero, se sia interdetta la detrazione della relativa IVA o se sia ancora possibile l’indagine di secondo livello volta a verificare (in caso di attinenza dell’operazione all’attività tout court, come nelle ipotesi di “interferenza” o di “estensione”) se di tali spese si sia comunque tenuto conto nella determinazione del prezzo dei prodotti oggetto dell’attività imponibile, indagine il cui esito positivo ne consentirebbe, invece, la detrazione. I dubbi crescono nel momento in cui si leggono le operazioni di negoziazione di titoli che realizzano “interferenze” o “estensione” anche attraverso la lente dell’ordinamento interno dove, ai fini della detrazione e dell’applicazione del pro-rata, viene data rilevanza all’occasionalità o meno dell’operazione. Se, come pare più corretto, l’occasionalità deve essere letta, non tanto come non ripetitività, quanto come non afferenza all’attività imponibile svolta, l’“interferenza” o l’“estensione” finiscono inevitabilmente coll’attirare l’operazione nell’ambito dell’unica (se ve ne è una sola, ovviamente) attività imponibile esercitata, con la conseguenza di rendere inapplicabile il regime del pro-rata. In tale ipotesi la detrazione sarebbe possibile solo negli angusti limiti comunitari ai quali si è fatto appena cenno. Infine, la parificazione della cessione di un pacchetto di maggioranza alla cessione di una universalità di beni, pur in assenza di prese di posizione della [continua ..]