Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Sanzioni amministrative tributarie e principio di proporzionalità (di Roberto Cordeiro Guerra)


Il principio di proporzionalità, di amplissima portata, riguarda tradizionalmente l’esercizio dei pubblici poteri ed opera trasversalmente nei settori del diritto penale, di polizia, amministrativo e tributario. Sulla base delle indicazioni di dottrina e giurisprudenza è dato coglierne due fondamentali dimensioni applicative in materia di sanzioni tributarie: una prima di carattere ordinamentale/generale, riguardante la proporzione della sanzione contemplata dalla legge rispetto all’interesse offeso; ed una seconda concernente l’adeguamento della sanzione alla condotta concretamente tenuta dal colpevole. La riforma fiscale costituisce un’occasione da non perdere per ridurre l’eccessiva misura edittale delle nostre sanzioni, dettare regole specifiche di riduzione del minimo nei casi di comportamenti di modesto disvalore e creare un codice nel quale inserire la disciplina degli illeciti per tutti i tributi, in modo che ad identiche violazioni corrisponda la medesima sanzione.

Tax administrative penalties and principle of proportionality

The principle of proportionality, characterised by a very broad scope, traditionally concerns the exercise of public powers and operates transversally in the areas of criminal, police, administrative and tax law. On the basis of the indications of doctrine and jurisprudence, it is possible to grasp two fundamental dimensions of its application in the field of tax penalties: the first one, of an ordinal/general nature, concerning the proportionality of the sanction contemplated by the law with respect to the offended interest; and the second one, concerning the adaptation of the sanction to the conduct concretely engaged in by the offender. The tax reform is an opportunity not to be missed to reduce the excessive edictal measure of our penalties, to dictate specific rules for reducing the minimum penalty in cases of conduct of modest disvalue, and to create a code in which to include the regulation of offenses for all taxes, so that identical violations are matched by the same penalty.

SOMMARIO:

1. Basi normative e portata del principio di proporzionalità - 2. Difficoltà a trarre dal principio di proporzionalità un metro vincolante nei confronti del legislatore ordinario - 3. La Corte costituzionale e le sanzioni draconiane: prove di proporzionalità - 4. Le fonti sovranazionali - 5. Una recente pronuncia della Corte di Giustizia in tema effetto diretto del principio di proporzionalità e di sua applicazione da parte del giudice nazionale - 6. I punti di attrito del nostro attuale sistema sanzionatorio con il principio di proporzionalità - 7. La legge delega per la riforma: un’occasione da non perdere per l’ade­guamento del sistema sanzionatorio al principio di proporzionalità - NOTE


1. Basi normative e portata del principio di proporzionalità

Trascorsi ventisei anni dalla precedente riforma delle sanzioni amministrative tributarie [1] è opportuno interrogarsi sullo stato di effettiva rispondenza al principio di proporzionalità del nostro sistema di repressione amministrativa dell’illecito fiscale. Per rispondere, partiamo da una breve ricognizione dell’elaborazione concettuale del principio di proporzionalità e di alcune sue interessanti declinazioni da parte della giurisprudenza, sia domestica che comunitaria [2]. Quanto alle basi normative, trattasi di principio di solidissime ascendenze, tanto da essere definito dalla dottrina tedesca come Uberverfassungsrang, ossia sovracostituzionale: esso riguarda tradizionalmente l’esercizio dei pubblici poteri (e dunque l’agire dell’amministrazione nei confronti del cittadino), in modo trasversale nei settori del diritto di polizia, dove è nato come limite all’agire alle autorità di pubblica sicurezza, penale, amministrativo e tributario [3]. Tradizionalmente è declinato in tre distinti aspetti: quello dell’idoneità che attiene al raggiungimento del risultato prefissato; quello della necessarietà, intesa come impossibilità di ricorrere ad uno strumento giuridico differente ed infine quello della ragionevolezza, consistente nel contemperare l’interesse del singolo e della collettività in modo tale che il sacrificio dell’uno non sia sproporzionato rispetto al beneficio dell’altra. L’applicazione pratica di tali profili di operatività ben si coglie, ad esempio, nell’affermazione della Corte di giustizia secondo la quale qualora si presenti una scelta fra più misure appropriate, è necessario ricorrere alla meno restrittiva e che gli oneri imposti non siano sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (Corte Giust. Schräder 11 luglio 1989, C-265/87). In uno dei terreni selettivi di applicazione del principio, ossia quello del diritto penale, la dottrina ha sottolineato che esso opera sullo sfondo del principio di offensività, talché dovrebbe parlarsi del binomio offensività/propor­zionalità, nel senso che subito dopo aver operato la selezione dei comportamenti penalmente rilevanti secondo il principio di offensività, entra in gioco il principio di proporzionalità: il suo carattere relativo lo renderebbe infatti da solo [continua ..]


2. Difficoltà a trarre dal principio di proporzionalità un metro vincolante nei confronti del legislatore ordinario

Naturalmente, in sede applicativa, difficile si rivela l’individuazione di un limite oltre il quale la proporzionalità è violata e sotto al quale la misura andrebbe di conseguenza ricondotta. Tanto che, per lungo tempo, l’imple­men­tazione effettiva del principio è stata lenta e laboriosa. Emblematica, in proposito, la vicenda della pena minima di venticinque anni per il reato di sequestro a scopo di estorsione, contemplata dall’art. 630 cod. penale ed inasprita con una serie di interventi legislativi sul finire degli anni settanta. Pur apparendo al comune sentire eccessiva tale pena minima, la Consulta solo nel 2012 ha trovato un appiglio che rendesse concretamente possibile il sindacato di costituzionalità della disposizione che la prevedeva [8]. Per molti anni, dunque, il principio, è parso rimanere nel nostro ordinamento allo stato gassoso, di sicura presenza ma di effervescente applicabilità pratica, così rappresentando, come già Beccaria nel 1764 lo definiva nel suo Dei delitti e delle pene, un teorema generale molto utile ma poco conforme all’uso: cioè, perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata ai delitti, dettata dalle leggi. La Consulta, in un lodevole sforzo di concretizzazione, ha osservato che una volta accertato il vulnus alla proporzionalità «non può essere di ostacolo all’esame nel merito della questione di legittimità costituzionale l’assenza di un’unica soluzione a “rime obbligate”: per ricondurre l’ordinamento al rispetto della Costituzione, ancorché si versi in materie riservate alla discrezionalità del legislatore» (sentenza n. 62/2022), risulta sufficiente la presenza nel diritto positivo di una o più soluzioni “costituzionalmente adeguate”, che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente”. La necessità di non invadere l’area della discrezionalità legislativa impedisce al giudice delle leggi di spingersi oltre, sicché il suo sindacato soffre l’evidente limite strutturale di restare confinato esclusivamente alle evidenti e palesemente irragionevoli asimmetrie punitive tra fattispecie assimilabili, in grado di [continua ..]


3. La Corte costituzionale e le sanzioni draconiane: prove di proporzionalità

Un’ autorevole conferma della eccessiva misura edittale delle nostre sanzioni tributarie proviene da una recente sentenza della Corte costituzionale [9]. Le questioni di costituzionalità sottoposte alla Consulta erano state sollevate dal giudice remittente nell’ambito di un contenzioso relativo all’illecito di omessa dichiarazione: in dettaglio, nell’ambito di un gruppo, pur avendo sia la consolidante che le consolidate presentato la propria dichiarazione dei redditi, erano stati omessi (per gli anni di imposta 2014 e 2015) la dichiarazione dei redditi relativa al consolidato fiscale ed il versamento delle correlate imposte; prima di ricevere gli avvisi di accertamento impugnati, si era tuttavia provveduto a versare i tributi dovuti unitamente agli interessi e alle sanzioni ridotte avvalendosi del ravvedimento operoso. L’Agenzia, ritenendo invalido il ravvedimento a fronte di dichiarazione omessa, aveva comminato sanzioni pari al centoventi per cento delle imposte accertate. Il giudice remittente, nell’approcciare il caso oggetto di giudizio, percepisce che la sanzione irrogata, ancorché determinata nel minimo edittale, risulta palesemente eccessiva [10] ma ritiene di non avere strumenti interpretativi che possano condurre ad una mitigazione della sanzione irrogata e solleva questione di legittimità costituzionale della disposizione che contempla l’omessa dichiarazione (art. 1, comma 1, primo periodo, del D.Lgs. n. 471/1997) per contrasto con l’art. 3 Cost., con riguardo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, nella parte in cui prevede che la sanzione dal centoventi al duecentoquaranta per cento si applichi sull’intero ammontare “di tutte le imposte dovute sulla base della dichiarazione omessa”, anziché solo sull’importo residuo delle imposte da versare al momento della notifica del­l’avviso di accertamento. Invero, anche alla Consulta l’irrogazione di una sanzione pari al 120% dell’im­posta non dichiarata appare una reazione punitiva manifestamente sproporzionata: lo afferma senza mezzi termini nella parte terminale della motivazione, ove si osserva testualmente che sanzioni strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte tendono a divenire draconiane quando colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non [continua ..]


4. Le fonti sovranazionali

Un aiuto ad individuare più puntualmente il principio di proporzionalità proviene senz’altro dall’ordinamento sovranazionale, sia sul piano delle fonti che su quello della relativa giurisprudenza. Carte sovranazionali più recenti rispetto a quelle dei paesi alla cui tradizione sono ispirate hanno infatti consentito di dare formulazione autonoma al principio di proporzionalità, altrimenti estrapolabile solo da altri principi fondamentali. Così, in particolare, l’art. 52, paragrafo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea stabilisce che “Eventuali limitazioni al­l’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente carta devono essere previsti dalla legge e rispettare il contenuto essenziale dei diritti e delle libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”. Evidente il riferimento alle tre classiche dimensioni del principio cui si è accennato in apertura: idoneità, necessarietà e ragionevolezza, Con specifico riferimento alle sanzioni, l’art. 49, paragrafo 3 (Principio di proporzionalità delle pene) dispone poi che le “Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”. L’inserimento nella Carta rende il principio pervasivo: tutte le disposizioni che danno attuazione a direttive comunitarie, e dunque in special modo quelle che le completano con la previsione di sanzioni, costituiscono norme di attuazione del diritto dell’unione (art. 51, par. 1 TUE) e devono dunque rispettarlo.


5. Una recente pronuncia della Corte di Giustizia in tema effetto diretto del principio di proporzionalità e di sua applicazione da parte del giudice nazionale

Una recente sentenza della Corte di giustizia [12] sulla pregnanza del principio di proporzionalità riveste notevole impatto applicativo. Si tratta di una decisione che ancorché attinente al regime dei lavoratori distaccati, presenta un evidente parallelo con la situazione normativa in tema di IVA [13]. Il problema sottoposto alla Corte riguardava l’eccessiva severità della sanzione che lo Stato austriaco, in sede di attuazione della Direttiva sul trattamento dei lavoratori distaccati (Direttiva 2014/67), aveva inflitto al Sign. NE – quale legale rappresentante di una società austriaca presso la quale erano stati distaccati lavoratori di altra compagine slovacca- per l’inadempimento di obblighi riguardanti lavoratori distaccati. Nella motivazione della propria sentenza la Corte osserva in primo luogo (punto 22) che il requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto dall’art. 20 della direttiva 2014/67 è di carattere incondizionato e la circostanza (punto 28) che essi dispongano di un margine di discrezionalità non esclude, di per sé, che possa esercitarsi un controllo giurisdizionale al fine di verificare se lo Stato membro interessato abbia ecceduto i limiti fissati al margine di discrezionalità allorché ha trasposto tale disposizione; Non solo: il rispetto del principio di proporzionalità, che costituisce principio generale del diritto del­l’Unione, si impone agli Stati membri anche in assenza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili (punto 31). Qualora poi, nell’ambito di una siffatta attuazione, essi adottino sanzioni aventi carattere più specificamente penale, sono tenuti ad osservare l’art. 49, par. 3 della Carta dei diritti fondamentali del­l’Unione secondo la quale le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato. Detto principio di proporzionalità, che l’art. 20 della dir. 2014/67 richiama, presenta carattere imperativo. Su questo solido ascendente normativo, la Corte aggiunge poi un corollario che supera precedenti posizioni di segno diverso (punto 32), ossia quello che “l’art. 20 della dir. 2014/67, laddove esige che le sanzioni da esso previste siano proporzionate, è dotato di effetto diretto e può quindi essere invocato dai singoli dinanzi ai giudici nazionali nei confronti di uno [continua ..]


6. I punti di attrito del nostro attuale sistema sanzionatorio con il principio di proporzionalità

La ricognizione fin qui effettuata consente di poggiare su alcuni punti fermi il vaglio del nostro sistema sanzionatorio in ordine all’effettivo rispetto del principio di proporzionalità. Come emerso, esso richiede infatti: - da un punto di vista per così dire assoluto, una proporzione (a livello edittale) tra l’interesse offeso e la reazione sanzionatoria; - da un punto di vista per così dire relativo (a livello di sanzione irrogata), la possibilità di graduare la sanzione all’effettiva gravita della condotta punita. Verifichiamo sotto entrambi i punti di vista la misura delle sanzioni contemplate per le principali figure di illecito tributario, e dunque quelle di infedele ed omessa dichiarazione, oggi sanzionate con una sanzione minima rispettivamente pari al 90 e al 120 per cento del tributo di riferimento. In entrambi i casi, si muove dall’idea che la soglia minima cui ancorare la reazione punitiva sia l’ammontare del tributo evaso, di talché il minimo edittale nella fattispecie di minore disvalore (infedele dichiarazione) è appena sotto l’imposto del tributo (90%) ed in quella di omessa dichiarazione leggermente superiore (120%). In verità, nella disciplina generale delle sanzioni tributarie non è stabilito un obbligo di aggancio tra la misura della sanzione e l’importo del tributo evaso, limitandosi l’art. 2 del D.Lgs. n. 472/1997 a stabilire che la sanzione pecuniaria consiste nel pagamento di una somma di denaro [15]. Sebbene il regime di parte generale non connoti la sanzione pecuniaria come necessariamente proporzionale, nel coevo regime di parte speciale è stata di fatto operata una scelta pressoché costante di ancoraggio all’ammontare del tributo, prevedendosi di regola un minimo edittale pari tendenzialmente all’imposta evasa [16] ed un massimo corrispondente ad un suo multiplo. La scelta non è coerente con l’adozione di un modello di sanzione afflittiva [17]: baricentrando la sanzione minima sull’importo evaso piuttosto che sull’ef­fet­tivo grado di rimproverabilità del soggetto, e quindi sul disvalore della condotta, si accredita piuttosto l’impronta civilistica del danno e della riparazione, od ancora peggio dello strumento finalizzato a produrre gettito [18]. Un modo radicale per sottrarsi a questo errore concettuale potrebbe essere quello [continua ..]


7. La legge delega per la riforma: un’occasione da non perdere per l’ade­guamento del sistema sanzionatorio al principio di proporzionalità

La legge delega per la riforma del sistema tributario (L. n. 111/ 2023) prevede all’art. 20, lett. c) di migliorare [20]la proporzionalità delle sanzioni tributarie, attenuandone il carico e riconducendolo ai livelli esistenti in altri Stati europei [21]. Si tratta di una disposizione di delega che ha alle spalle numerosi precedenti analoghi. Già la legge delega per la realizzazione della storica riforma del sistema tributario degli anni settanta (L. 9 ottobre 1971, n. 825:Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria) prevedeva all’art. 10, comma 2, punto 11) la “commisurazione delle sanzioni all’effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni”. Circa venti anni dopo un’altra legge delega (art. 3, comma 133, lettera q) della L. 23 dicembre 1996, n. 662:Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) disponeva l’adeguamento delle disposizioni sanzionatorie attualmente contenute nelle singole leggi di imposta ai principi e criteri direttivi dettati con il presente comma e la revisione dell’entità delle sanzioni attualmente previste con loro migliore commisurazione all’effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni in modo da assicurare uniformità di disciplina per violazioni identiche anche se riferite a tributi diversi, tenendo conto al contempo delle previsioni punitive dettate dagli ordinamenti tributari dei Paesi membri dell’Unione europea. Infine, nel 2014 l’art. 8, comma 1 della L. delega n. 23/2014 contemplava la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all’effettiva gravità del comportamento. La presenza di norme successive di tenore identico o molto simile certifica il fallimento dei precedenti tentativi: è dunque quantomai opportuno mettere in campo idee per l’effettivo successo dell’odierno intervento di riforma. Si è visto che il principio di proporzionalità, per ricevere concreta attuazione, richiede specifici punti di riferimento. La delega ne indica almeno tre: migliorare la proporzionalità; diminuire il carico delle sanzioni; adeguarlo ai livelli esistenti in altri Stati europei. Cominciando da quest’ultimo profilo, e compatibilmente con le dimensioni della presente [continua ..]


NOTE