Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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La compensazione opposta dal contribuente (di Giovanni Girelli)


Il lavoro evidenzia la raggiunta diffusione dell’istituto compensativo nell’ordina­men­to tributario ove ha consolidato una capillare applicazione, ma pure sottolinea le ancora presenti criticità e suggerisce possibili soluzioni migliorative de jure condendo. La compensazione in ambito fiscale è rimasta vincolata agli schemi applicativi tassativamente previsti dalle specifiche norme in materia. Non vi è spazio per ipotesi compensative individuate liberamente dal contribuente o dall’Ammi­nistrazione Finanziaria nonostante l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente affermi che l’obbligazione tributaria possa essere estinta per compensazione. La compensazione tributaria come complessivamente considerata in sede legislativa, giurisprudenziale e di prassi amministrativa soffre, difatti, di un approccio estremamente conservativo.

The compensation opposed by the taxpayer

This article highlights the achieved diffusion of the compensatory institution in the tax system where it has consolidated a widespread application, but also underlines a number of still existing issues and suggests some de jure condendo improving solutions. Compensation in tax law has remained bound to the application of patterns strictly provided for by the specific regulation. There is no space for compensatory cases identified by the taxpayer or by the financial administration despite art. 8 of the Statute of Taxpayers' Rights stating that the tax obligation can be extinguished by compensation. Tax compensation as considered in legislative, jurisprudential and administrative practice suffers, in fact, from an extremely conservative approach.

SOMMARIO:

1. La compensazione nel diritto tributario - 2. La compensazione prevista dal D.Lgs. n. 241/1997 - 2.2. I crediti da utilizzare per la compensazione fiscale - 2.3. Il funzionamento della compensazione fiscale - 2.4. L’interpretazione autentica dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 in materia di compensazione tra crediti erariali e debiti previdenziali - 2.5. I requisiti temporali per applicare la compensazione fiscale - 2.6. La natura giuridica della compensazione fiscale - 2.7. I debiti iscritti a ruolo quale ostacolo alla compensazione fiscale - 3. La disciplina della compensazione prevista nell’ambito delle singole leggi di imposta - 3.1. La compensazione nelle imposte sui redditi - 3.2. La compensazione nell’IVA - 3.2.1. La detrazione di imposta da imposta - 3.2.2. Il computo di eccedenza di imposta all’anno successivo - 3.2.3. La liquidazione dell’IVA di gruppo e il Gruppo IVA - 3.3. La compensazione nelle accise - 3.4. La compensazione nei tributi locali - 4. La compensazione di crediti non spettanti o inesistenti - 5. La compensazione delle somme iscritte a ruolo con crediti extra fiscali - 6. La compensazione nello Statuto dei diritti del contribuente - 7. Considerazioni conclusive - NOTE


1. La compensazione nel diritto tributario

La compensazione è istituto diffuso nell’ambito del diritto tributario seppure con caratteristiche assai differenti rispetto alla compensazione civilistica disciplinata dagli artt. 1241 c.c. ss. [1]. In materia fiscale, invero, gli schemi applicativi di compensazione seguono quanto tassativamente previsto dalle varie precipue norme dettate dalla legislazione tributaria e che trovano in seno alla disciplina dei versamenti diretti, in base al dettato dell’art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, l’espressione più significativa e dunque qui appellata compensazione “fiscale”. Fuori dalle ipotesi espressamente regolamentate non vi sarebbe spazio, difatti, per ipotesi compensative individuate liberamente dal contribuente o anche dall’Amministrazione Finanziaria, nonostante il diritto tributario conosca l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212) che si esprime affermando testualmente e con enfasi generale che l’obbligazione tributaria possa essere estinta per compensazione. Tale norma, come si darà atto in seguito, avrebbe potuto assolvere il compito di consentire la compensazione nell’ambito del diritto tributario in via generale, senza preclusioni, come il dato letterale sembrava consentire. Invece la disposizione in parola è stata per lo più interpretata quale mera disposizione primaria regolante un astratto principio finalizzato ad indirizzare la normativa successiva di attuazione e non certo quale precetto di applicazione concreta. Tale ultimo ambito sarebbe, infatti, riservato ai soli interventi legislativi specifici idonei all’individua­zione delle modalità e dei limiti riservati alle fattispecie compensative fiscali.


2. La compensazione prevista dal D.Lgs. n. 241/1997

2.1. L’ambito di applicabilità della compensazione di cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 Il più diffuso schema applicativo di compensazione in materia tributaria è quello previso dall’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997. Detta disposizione disciplina la compensazione comunemente denominata “orizzontale”, ma qui appellata, come detto, compensazione “fiscale”, e risponde all’esigenza di poter fruire da parte del privato, ma anche per l’amministrazione finanziaria, di un sistema razionale e semplice per onorare i debiti relativi ad imposte, contributi previdenziali e premi assicurativi. Ed infatti, è noto che, prima della riforma attuata con il D.Lgs. n. 241/1997, il sistema dei versamenti delle imposte era caratterizzato da notevole varietà di modalità di adempimento a seconda della tipologia del tributo che doveva essere assolto, nonché dalla differenziazione delle date in cui dovevano essere effettuati i versamenti. Ne derivava una evidente confusione per il privato circa le modalità e le tempistiche per adempiere e la conseguente incertezza per l’erario di ricevere il corretto e tempestivo pagamento di quanto dovuto, oltre alla evidente difficoltà di effettuare i doverosi controlli attesa la diversità e conseguente numerosità di adempimenti da verificare. Quindi gli obblighi di pagamento sono stati razionalmente concentrati in un solo contesto temporale prevedendo un modello di pagamento unificato denominato “F24”. Esso è utilizzato per l’adempimento della sostanziale totalità delle entrate pubbliche previste dalla legislazione fiscale (nonché contributiva ed assicurativa). Ebbene, proprio in seno a detta complessiva riforma dei versamenti diretti il legislatore delegato, a fini ulteriormente semplificatori e di equità della disciplina di estinzione satisfattoria dei tributi, ha previsto, all’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997, una serie di ipotesi tassative in cui è possibile estinguere il tributo a mezzo di compensazione. Il privato, dunque, è legittimato ad estinguere il debito fiscale utilizzando in compensazione un proprio credito individuato dalla disposizione di settore. Nelle ipotesi esplicitate dall’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997, il contribuente, che risulti creditore nei confronti dello Stato per un credito riferibile ad imposte (o [continua ..]


2.2. I crediti da utilizzare per la compensazione fiscale

In merito ai crediti utili ai fini della compensazione di cui all’art. 17 giova sottolineare che non vi è corrispondenza tra la tipologia dei crediti e dei debiti estinguibili per compensazione. Ad esempio, il debito IMU può essere compensato ma il credito relativo alla medesima imposta non concorre alla fattispecie compensativa. I crediti fiscali utilizzabili in compensazione sono esclusivamente quelli emergenti dalla dichiarazione presentata ai fini delle imposte sui redditi, dell’IVA, o dei contributi previdenziali INPS e premi assicurativi INAIL: questo per consentire all’Ammi­nistra­zione Finanziaria la verifica dell’esistenza e della spettanza del credito in capo al contribuente [8]. L’art. 17, comma 1, in argomento fa esplicito riferimento alle dichiarazioni annuali o periodiche presentate dai contribuenti ai fini tributari ovvero alle denunce, intendendosi richiamare, con tale ultima accezione, gli atti ricognitivi della posizione contributiva od assicurativa del soggetto che procede ad effettuare la compensazione [9]. I crediti che il contribuente estingue in compensazione sono, pertanto, i soli crediti di tipo dichiarativo, vale a dire che si riferiscano a posizioni creditorie che emergano – appunto – esplicitamente dalle dichiarazioni annuali ovvero periodiche presentate dal privato e dalle quali, dunque, il fisco possa riscontrare l’esistenza e la spettanza nell’an e nel quantum del credito [10]. Ai sensi del sistema compensativo in esame, non ha alcuna rilevanza che il credito da compensare sia giuridicamente certo, ma è fondamentale, invece, che esso sia esposto dal contribuente in dichiarazione in quanto esso per essere compensabile deve essere tracciato insieme a tutti i versamenti operati dal privato. La necessaria tracciabilità dichiarativa del credito è, difatti, il perno di funzionamento della compensazione fiscale perché il relativo modello operativo è ancorato a quello dei versamenti diretti: l’opposizione in compensazione – dal punto di vista degli effetti giuridici – è così del tutto analoga al versamento compiuto dal contribuente. Il procedimento compensativo di cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 risulta fondarsi, infatti, su una fitta rete di scambio di dati telematici tra diversi soggetti quali gli intermediari di riscossione (gli istituti di credito, [continua ..]


2.3. Il funzionamento della compensazione fiscale

La disamina del peculiare sistema compensativo fiscale riguarda, in particolare, l’ipotesi in cui il credito utilizzato in compensazione afferisca ad un tributo diverso da quello al quale inerisce il debito, nonché di spettanza di un ente, del pari, diverso da quello al quale fa capo quest’ultimo. Infatti, il dato caratterizzante la modalità operativa della compensazione di cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 è da individuarsi nella irrilevanza della reciprocità delle posizioni debitorie e creditorie oggetto di elisione compensativa. Il sistema è, difatti, imperniato sulla caratterizzante modalità di accredito ad opera della Struttura di Gestione ai diversi enti delle somme esposte nel modello di delega di versamento F24. La Struttura di Gestione una volta acquisiti i dati contenuti nei modelli di versamento F24 dal sistema operativo messo a disposizione da parte dell’Agenzia delle Entrate ai contribuenti e agli intermediari abilitati, alle banche convenzionate e all’agente della riscossione, provvede alla suddivisione delle somme nelle contabilità speciali tenute presso l’apposita sezione di tesoreria provinciale dello Stato, in guisa da garantire la successiva percezione, da parte di ogni ente impositore, delle somme dovute. Onde quindi evitare che la compensazione operata ai sensi dell’art. 17 conduca alla riscossione di un introito inferiore a quello spettante a titolo di ciascun tributo o contributo e a ogni ente impositore, atteso che tale sistema compensativo, come detto, non richiede la reciprocità delle posizioni debitorie e creditorie, l’accredito delle somme viene effettuato al lordo degli ammontari elisi con i crediti esposti nelle medesime deleghe di versamento F24. Allorché, difatti, viene presentato il modello di versamento esponente un saldo da corrispondere ottenuto dalla compensazione di un debito con un credito, la movimentazione contabile effettuata dalla Struttura di Gestione sul conto dell’ente creditore del contribuente riguarda l’importo complessivamente dovuto da quest’ultimo, comprensivo, quindi, del quantum non corrisposto a cagione dell’avvenuta compensazione. In questo modo, dunque, l’istituto delineato nell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 non si traduce in una fonte di pregiudizio per le ragioni di credito degli enti pubblici coinvolti nell’applicazione della [continua ..]


2.4. L’interpretazione autentica dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 in materia di compensazione tra crediti erariali e debiti previdenziali

Giova dare conto del recente intervento del legislatore finalizzato all’inter­pretazione dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 e stimolato da alcuni (impropri) recuperi effettuati dall’INPS ed avallati dall’orientamento giurisprudenziale di merito che ha condiviso, nonostante la chiara previsione del citato articolo, l’asserito divieto di compensare crediti erariali e debiti previdenziali. Ed infatti, si è affermato un diffuso orientamento giurisprudenziale giuslavoristico di merito secondo cui non sarebbe possibile utilizzare i crediti d’imposta per estinguere, mediante la compensazione fiscale, i debiti contributivi. Più in particolare, tale filone giurisprudenziale afferma che nel nostro sistema tributario, a prescindere dalla prova della sussistenza o meno del credito, sarebbe, in ogni caso, sempre preclusa la compensazione di debiti previdenziali con controcrediti di natura fiscale anche se appartenenti allo stesso soggetto [18]. Le motivazioni di tali conclusioni derivano ragionevolmente sia da una superficiale lettura dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997, sia dalla mancata conoscenza del sistema di ripartizione delle somme dovute agli enti effettuata dalla Struttura di Gestione. Come sopra chiarito, infatti, la Struttura di Gestione garantisce pienamente l’incasso delle somme dovute agli enti creditori del privato, addirittura anche nel caso in cui quest’ultimo esponga per la compensazione un credito inesistente. L’in­terpretazione offerta dai giudici prescrive, invero, in contrasto con il criterio fondativo dell’art. 17, che mira alla semplificazione ed equità dei versamenti fiscali e contributivi, che il versamento unitario delle imposte consenta di estinguere i debiti mediante compensazione solo se credito e debito siano riferibili al medesimo ente. Dunque, l’orien­tamento in esame è venuto a valorizzare il requisito della reciprocità che, come visto, non pertiene al modello compensativo di cui all’art. 17. A tale proposito va evidenziato, invero, che è stata la locuzione “i medesimi soggetti”, presente nel corpo del comma 1 dell’art. 17, probabilmente a indurre i giudici a concludere che il debito contributivo possa essere compensato solo con debiti riferibili allo stesso ente creditore. La locuzione “i medesimi soggetti” è stata intesa quale espressione della volontà [continua ..]


2.5. I requisiti temporali per applicare la compensazione fiscale

L’art. 17, comma 1, per l’applicazione della compensazione, stabilisce dei requisiti di carattere temporale. È previsto, infatti, da un lato, che la compensazione debba avere oggetto i crediti dello stesso periodo d’imposta del relativo debito che il contribuente intende elidere a seguito del meccanismo compensativo e, dall’altro lato, che essa debba essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva – inerente, cioè, il successivo anno di imposta – [22]. Proprio in virtù della afferenza allo stesso periodo d’imposta delle posizioni da elidere, come visto anche di diversa natura, tale tipologia di compensazione è stata comunemente denominata, come già accennato, “orizzontale”. Naturalmente in caso di mancata completa utilizzazione dell’ammontare dei crediti nel periodo previsto, la somma residua dovrà essere inserita nella susseguente dichiarazione e potrà essere imputata ai debiti insorti successivamente. Con riferimento, poi, al momento iniziale dal quale il contribuente può utilizzare il proprio credito in compensazione sono oggi superati i dubbi interpretativi insorti in passato. Il contribuente, difatti, è legittimato ad utilizzare il credito per compensare i propri debiti a partire dal giorno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta nel quale lo stesso è maturato. In altre parole, il contribuente utilizza il proprio credito afferente ad un determinato anno di imposta a partire dal giorno successivo a quello della chiusura del periodo di imposta per cui deve essere presentata la dichiarazione ove va evidenziato il suddetto credito. In buona sostanza, dunque, tale credito può essere utilizzato a far data dal 1° gennaio del successivo periodo di imposta rispetto a quello in cui il credito risulta essere maturato. Ovviamente, al fine di evitare possibili storture, ovvero l’utilizzazione di crediti non spettanti, è necessario sia che il contribuente possa effettuare i conteggi relativi alla determinazione del credito prima che lo stesso venga esposto in dichiarazione, sia che il credito utilizzato per effettuare la compensazione sia quello effettivamente spettante sulla base della dichiarazione presentata successivamente e che rappresenterà l’esistenza di detto credito [23]. Di talché, si è dell’opinione che per [continua ..]


2.6. La natura giuridica della compensazione fiscale

Da un punto di vista sistematico, il legislatore ha correttamente individuato la collocazione della compensazione fiscale proprio nell’ambito della normativa sul versamento diretto dei tributi, di cui si ritiene essa rappresenti una peculiare modalità di effettuazione. Non a caso, come è stato illustrato, la procedura compensativa è amministrata dalla Struttura di Gestione che del pari si occupa di regolare i versamenti eseguiti dai contribuenti. Le somme che vanno a compensare il debito del contribuente, poi, sono raffigurate nel modello di versamento F24 quali importi precedentemente versati. Dette somme, inoltre, vengono attinte dalla Struttura di Gestione dai fondi in cui sono presenti i versamenti già eseguiti. L’opposizione della compensazione, quindi, va considerata quale mera diversa imputazione da parte del privato di un versamento già compiuto. Le somme, difatti, non tornano neanche astrattamente nella titolarità del privato, ma rimangono sempre nella disponibilità del fisco [34]. Il perfezionamento dell’elisione del debito del privato per mezzo della compensazione di cui all’art. 17 non necessita di una preventiva riattribuzione in capo al contribuente della disponibilità di esse. Una volta che, infatti, in seguito alla presentazione della dichiarazione, il contribuente si avvede di aver eseguito versamenti in eccesso o una volta che ha, comunque, maturato un credito, esso procede, optando per la compensazione, semplicemente ad informare il fisco che non intende tornare in possesso di dette somme grazie al rimborso ma che imputerà quelle somme ad estinguere ulteriori debiti rispetto a quelli il cui adempimento ha originato appunto detto credito. Con la presentazione della delega di versamento F24, poi, viene perfezionata la nuova imputazione specificando l’ammontare utilizzato e il debito da estinguere con le somme che l’erario ha già a disposizione [35]. La natura giuridica della compensazione opposta ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 va, pertanto, ricostruita quale nuova imputazione di versamento già precedente eseguito dal privato. In maniera analoga, poi, bisogna ragionare per i crediti d’imposta che trovano origine non nel precedente versamento operato dal contribuente ma in norme di carattere agevolativo, sia di impronta fiscale che extra fiscale. Pure in questi casi il credito è [continua ..]


2.7. I debiti iscritti a ruolo quale ostacolo alla compensazione fiscale

L’estinzione del debito per compensazione è preclusa ai sensi dell’art. 31 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 [36], nel caso in cui vi siano debiti per imposte erariali e per i relativi accessori facenti capo al contribuente che siano iscritti a ruolo per un ammontare superiore ad euro 1.500 e per i quali sia già scaduto il termine di pagamento [37]. La norma non impedisce, occorre precisare, che il debito a ruolo possa essere estinto per compensazione ma non consente l’utilizzo dei crediti di cui è titolare il contribuente per estinguere ulteriori debiti rispetto a quello iscritto a ruolo per importi superiori ad euro 1.500 sino a quando quest’ultimo debito sia sussistente [38]. Il divieto di compensazione, comunque, riguarda esclusivamente i crediti relativi ad imposte erariali senza, invece, riferirsi ai crediti d’imposta per agevolazioni ed esenzioni di carattere extra fiscale, ad imposte di diversa natura quali, ad esempio, i tributi locali, il cui credito peraltro non transita per il modello di versamento F24 e non sarebbe, in ogni caso, utilizzabile ai fini della compensazione fiscale, ovvero a contributi o premi assicurativi. Pertanto sia i crediti che non possono essere utilizzati in compensazione, sia i debiti a ruolo che determinano questa preclusione hanno una loro corrispondenza: sono quelli di fonte tributaria erariale. Per quanto concerne i debiti iscritti a ruolo, quindi, qualora ad essere iscritte a ruolo non siano imposte totalmente erariali quanto, invece, imposte afferenti a differenti enti impositori – quali, appunto, gli enti locali –, la preclusione predetta in tema di compensazione non opera, con la conseguenza che il contribuente che abbia ricevuto la cartella di pagamento in cui è riportata l’iscrizione a ruolo di imposte facenti capo, ad esempio, ad un Comune, ben può utilizzare il meccanismo compensativo per estinguere il proprio debito, ad esempio, IRES o IVA, nei confronti dell’erario [39]. La ratio della voluta corrispondenza risiede nella circostanza che secondo il legislatore, evidentemente, era da ritenersi insoddisfacente impedire l’estinzione per compensazione di un credito erariale, quando il privato risulti debitore iscritto a ruolo in relazione ad un altro ente impositore. Secondo l’adottata impostazione legislativa, quindi, non si è voluto che l’impe­dimento alla compensazione si [continua ..]


3. La disciplina della compensazione prevista nell’ambito delle singole leggi di imposta

Dopo aver analizzato il meccanismo più diffuso della compensazione in ambito tributario, è d’uopo dar conto di come l’elisione compensativa possa operare anche grazie a disposizioni previste nell’ambito delle singole leggi di imposta a carattere periodico.


3.1. La compensazione nelle imposte sui redditi

Con riferimento alla categoria delle imposte sui redditi, la norma da prendere a riferimento va individuata nell’art. 22 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), rubricata “Scomputo degli acconti”. In base ad essa il contribuente può, nell’ordine ivi previsto, sottrarre dall’imposta lorda i crediti di imposta prodotti all’estero, i versamenti eseguiti in acconto dell’imposta e, da ultimo, le ritenute alla fonte a titolo di acconto subite sul totale di tutti i redditi che concorrono a formare il reddito complessivo e su quelli tassati separatamente. Il contribuente, dunque, opererà gli scomputi appena sopra elencati in sede di dichiarazione per calcolare l’imposta definitivamente e complessivamente da versare al fisco per il periodo d’imposta. Le operazioni di calcolo descritte dalla prima parte della norma in esame non possono essere di certo ascritte ad ipotesi compensative in quanto trattasi di mere sequenze liquidatorie del tributo per individuare l’imposta netta da versare (ad esempio la sottrazione delle ritenute subite dall’imposta lorda). Infatti, una mera operazione di elisione di poste aventi origine dallo stesso titolo non può essere ascritta alla figura giuridica della compensazione [43]. Se gli importi da scomputare, poi, dovessero addirittura eccedere l’imposta lorda complessivamente dovuta, allora il contribuente avrà diritto, alternativamente, o al rimborso di quanto versato in eccesso ovvero al computo dell’eccedenza in diminuzione di quanto dovuto per la successiva annualità: il credito generato in un precedente periodo d’imposta è utilizzato per elidere il debito sorto nel periodo d’imposta successivo [44]. Trattasi della c.d. compensazione “verticale”, così denominata in quanto essa opera nell’ambito del solo stesso tributo e verticalmente – id est successivamente –, ossia da un periodo d’imposta all’altro. In questo ultimo caso, quindi, l’elisione non può essere considerata una mera procedura di calcolo del tributo dovuto nell’anno d’imposta perché qui si confrontano due posizioni – quella creditoria e quella debitoria – giuridicamente già definite e, dunque, a sé stanti, che vengono ad annullarsi per le quantità corrispondenti. Il medesimo sistema è previsto dagli artt. [continua ..]


3.2. La compensazione nell’IVA

Nell’ambito della disciplina dell’Imposta sul Valore Aggiunto vanno analizzati, ai fini della trattazione dell’istituto della compensazione, gli artt. 17 e 30 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Tali disposizioni regolano, con il concorso dell’art. 19 del medesimo decreto, rispettivamente, la c.d. detrazione di imposta da imposta ed il computo dell’eccedenza di imposta all’anno successivo. La detrazione di imposta da imposta rappresenta, come noto, uno degli aspetti fondanti per il funzionamento dell’IVA, onde far sì che detta imposta resti neutrale nei confronti del soggetto passivo, mentre in base al computo dell’eccedenza di imposta all’anno successivo è consentito al contribuente elidere le proprie posizioni debitorie con il fisco grazie al credito IVA maturato nell’anno precedente (compensazione c.d. “verticale”). A tale riguardo, dunque, si possono formulare le seguenti considerazioni.


3.2.1. La detrazione di imposta da imposta

In base alla regola della detrazione di imposta da imposta, l’IVA deve essere versata dai soggetti passivi per tutte le operazioni da questi ultimi effettuate, al netto delle detrazioni di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972. È proprio sulla base di tale criterio che il contribuente, al termine del periodo di imposta ovvero in sede di liquidazione periodica infra annuale, dovrà calcolare l’imposta dovuta all’erario, potendo egli risultare a debito, qualora l’IVA da portare in detrazione sia minore rispetto a quella da versare, ovvero potendo risultare in posizione creditoria IVA qualora l’imposta a debito sia inferiore rispetto a quella assolta sugli acquisti (che sia detraibile). Dunque, è evidente che il funzionamento di liquidazione dell’imposta si basa sul reciproco raffronto tra i crediti IVA vantanti dal contribuente verso l’erario e i crediti di quest’ultimo verso il soggetto privato. Proprio dalla differenza tra tali due posizioni, infatti, è possibile calcolare l’IVA dovuta dal contribuente al termine di un determinato periodo, ovvero l’imposta di cui quest’ultimo è creditore verso il fisco. Sebbene detto metodo operativo relativo alla detrazione nell’ambito dell’IVA abbia suscitato più di un’incertezza sulla natura giuridica di esso [45], si ritiene che non possa essere considerato una figura compensativa per le stesse ragioni già esposte in materia di imposte sui redditi. Trattasi, difatti, di mero criterio dettato per la liquidazione dell’imposta dovuta nel periodo di osservazione.


3.2.2. Il computo di eccedenza di imposta all’anno successivo

L’art. 30 del D.P.R. n. 633/1972 dispone che il contribuente, al termine del periodo di imposta, proceda alla liquidazione definitiva dell’IVA e versi l’eventuale differenza dovuta ovvero, nel caso in cui l’ammontare detraibile sia superiore a quello dell’imposta relativa alle operazioni imponibili, esponga in dichiarazione il credito vantato nei confronti del fisco. Tale credito, nella medesima dichiarazione fiscale, dal privato può essere richiesto a rimborso ovvero imputato a scomputo dell’imposta dovuta nell’anno successivo. Per quanto qui di rilievo, emerge la fattispecie già esaminata in seno alle imposte sui redditi di c.d. compensazione “verticale” che origina nel riporto del credito tributario da dichiarazione da un anno di imposta al successivo per essere poi qui compensato con il debito di pertinenza.


3.2.3. La liquidazione dell’IVA di gruppo e il Gruppo IVA

Il sistema di liquidazione dell’IVA di gruppo si sostanzia in una speciale modalità di elisione infragruppo dei debiti e dei crediti IVA secondo un meccanismo per cui le società controllate perdono la disponibilità dei rispettivi saldi a debito ovvero a credito IVA [46]. Tali posizioni, difatti, vengono trasferite in capo alla controllante così da consentire a quest’ultima di compensare, tramite una mera operazione algebrica, i saldi a credito o a debito risultanti dalle liquidazioni periodiche e dalle dichiarazioni annuali proprie e delle società partecipate [47]. Sicché, proprio a mezzo di tale strumento compensativo, è possibile determinare l’IVA a debito – o, eventualmente, a credito – della società capogruppo che è, in virtù di ciò, l’unico soggetto legittimato al versamento dell’imposta ovvero, in caso di credito, a scegliere tra la richiesta di rimborso e lo spostamento all’anno successivo della eventuale eccedenza [48]. Solo alla società controllante, in altri termini, viene attribuita una posizione di immediato rilievo sul piano tributario nei confronti del fisco, salvo la responsabilità solidale delle controllate in relazione ai debiti IVA trasferiti [49]. L’esercizio del suddetto regime fiscale, che non comporta il venir meno dell’autonoma soggettività passiva con riguardo ai singoli membri del gruppo, determina, quindi, un beneficio di natura finanziaria all’interno del gruppo che consiste nella possibilità di pervenire ad un rapido utilizzo dei crediti IVA vantati da una (o da alcune) delle società del gruppo, per effetto della elisione con l’eventuale IVA a debito di altra (o altre) società del gruppo medesimo. In buona sostanza, nella liquidazione dell’IVA di gruppo, la controllante calcola globalmente il tributo dovuto per l’anno d’imposta e in caso di insorgenza del credito procede a destinarlo alla compensazione “verticale” (o al rimborso). Dunque solo in tale ultima fase è corretto fare riferimento alla compensazione, analogamente a quanto si è detto precedentemente in relazione alla fattispecie liquidatoria del singolo soggetto passivo IVA. La liquidazione dell’IVA di gruppo, peraltro, con la legge di bilancio 2017 (L. 11 dicembre 2016, n. 232) è stata affiancata dal [continua ..]


3.3. La compensazione nelle accise

L’art. 14 del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 sebbene sia rubricato “rimborsi dell’ac­cisa” assume qui rilevanza in quanto è sulla base di tale norma che è consentito per il contribuente l’utilizzo compensativo dei crediti maturati a titolo di accisa. È stato, difatti, precisato supra, in sede di analisi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997, che la compensazione effettuata in virtù di tale ultima disposizione è ammessa per estinguere il debito d’accisa a mezzo di crediti di diversa natura, mentre il credito relativo all’accisa non concorre al sistema della compensazione fiscale [52]. È, dunque, all’art. 14 del D.Lgs. n. 504/1995 che occorre fare riferimento in tema di recupero dei crediti d’accisa che ai sensi di tale articolo devono essere “rimborsati” al privato. Il rimborso può avvenire a mezzo di versamento in numerario al contribuente, ovvero, ai sensi del comma 7 del predetto art. 14, tramite l’“accredito” dell’imposta [53]. Infatti per le accise l’istituto della compensazione del credito è annoverata quale modalità di rimborso e non assume dignità giuridica autonoma: il “rimborso” viene disciplinato non solo tramite la restituzione in numerario ma anche mediante “accredito” dell’im­posta da utilizzare per il pagamento dell’imposta. Proprio tale ultima modalità permette l’elisione compensativa dei debiti e dei crediti di accisa vantati reciprocamente dal contribuente e dall’erario. Dal punto di vista procedimentale il D.M. 12 dicembre 1996, n. 689, all’art. 6, attuativo delle modalità di effettuazione dei rimborsi, regola due diverse modalità di presentazione della domanda di “rimborso” da parte del contribuente. L’art. 6, comma 1, indica il numero di esemplari del modello necessari per ottenere il “rimborso”: qualora quest’ultimo sia richiesto in denaro sono necessari due esemplari, mentre qualora il “rimborso” sia richiesto mediante accredito ne servono, invece, tre. Inoltre, nel caso in cui il contribuente avanzi la richiesta di esecuzione del “rimborso” mediante accredito, il privato è tenuto ad indicare presso quale specifico impianto intende utilizzare detto accredito. Quindi, l’ente erariale preposto, una volta [continua ..]


3.4. La compensazione nei tributi locali

Nell’ambito dei tributi locali il legislatore ha esplicitamente ammesso la compensazione quale forma di estinzione del tributo. Infatti, l’art. 1, comma 167, della L. 27 dicembre 2006, n. 296 ha indicato agli enti locali di disciplinare le modalità con le quali i contribuenti possano compensare le somme a credito con quelle dovute al medesimo ente a titolo di tributi locali. Dunque in questo ambito opera la compensazione per estinguere l’IMU, la TARI o qualsivoglia altro tributo comunale. La norma citata, tuttavia, presenta una formulazione assai generica che lascia al singolo ente locale ampio spazio di regolamentazione su come debba avvenire la compensazione. A tale proposito, va evidenziato che, dalla disamina di varie singole discipline comunali, emerge che numerosi Comuni hanno aderito per i tributi di propria spettanza alla disciplina di cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 per quanto compatibile. Si è detto, difatti, in sede di analisi della disciplina del citato art. 17 che, ad esempio, sono coinvolti nell’ambito della compensazione fiscale i soli debiti IMU da estinguere, mentre i crediti IMU non concorrono al sistema compensativo perché non esposti in una dichiarazione annuale o, comunque, periodica che è parte essenziale del sistema procedurale previsto dal D.Lgs. n. 241/1997. I crediti riferibili al tributo comunale possono essere, comunque, utilizzati in compensazione secondo le regole specifiche dettate dal regolamento comunale e che generalmente seguono i criteri già esposti per le imposte sui redditi e per l’IVA in tema di compensazione c.d. “verticale”. Giova qui sottolineare che a differenza di quanto avviene in sede di compensazione “verticale” erariale, talvolta, i tributi che concorrono all’elisione possono essere anche diversi tra di loro pur restando di pertinenza del singolo Comune [54]. Dal punto di vista operativo, dunque, il contribuente comunica al Comune, a mezzo di apposito modello, la sussistenza del credito annuale e l’intenzione di compensarlo al successivo termine di versamento del tributo [55]. Dall’esame della normativa locale emerge, quindi, il diffuso utilizzo della compensazione che è regolamentato più o meno uniformemente, ma, allo stesso modo che per i tributi statali, la disciplina comunale prescrive sempre precisi limiti in materia. Anche nell’ambito dei tributi [continua ..]


4. La compensazione di crediti non spettanti o inesistenti

Il sistema dell’estinzione del debito fiscale a mezzo compensazione è basato, si è visto, sulla (condivisibile) scelta di riconoscere l’estinzione di detto debito grazie alla mera imputazione del credito ad opera del privato. Solo successivamente l’Ammi­nistrazione Finanziaria si occupa della verifica della legittimità dell’esposizione creditoria effettuata dal contribuente. A tale affidamento rispetto al corretto comportamento del contribuente corrispondono, del tutto ragionevolmente, disposizioni che garantiscono all’ente impositore tempi più dilatati per effettuare i controlli e un rinforzato apparato sanzionatorio. Il non brillante tratto di tali disposizioni, però, esplicita una difficile coordinazione interpretativa tra di esse. Conseguentemente l’applicazione di queste norme risulta essere incerta ed oggetto di connessi contrasti interpretativi, ad oggi, non risolti. Il dissidio esegetico riguarda, difatti, la distinzione da operare tra crediti non spettanti e crediti inesistenti che avrebbe rilievo ai fini di individuare i tempi di accertamento concessi all’Amministrazione Finanziaria e l’entità del carico sanzionatorio amministrativo e penale [56]. Principiando dal tema dei tempi di accertamento, la confusione interpretativa nasce dai precetti del legislatore in materia di atti di recupero dei crediti indebitamente utilizzati in compensazione. Questi ultimi sono atti amministrativi che si aggiungono ai tradizionali avvisi di accertamento e che vengono impiegati quando vi sia da contestare specificamente l’illegittima compensazione del credito. Sebbene, difatti, l’art. 1, comma 421, della L. 30 dicembre 2004, n. 311, nel disciplinare l’emissione dell’atto di recupero del credito, non distingua tra l’ipotesi del credito non spettante e quella del credito inesistente, e faccia semplicemente riferimento ai crediti indebitamente utilizzati [57], poi l’art. 27, comma 16, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 [58], invece, indica il termine decadenziale di otto anni per la notifica dell’atto di recupero citando i soli crediti inesistenti. Quindi si è sviluppato un acceso dibattito circa la tempistica offerta dal legislatore all’Amministrazione Finanziaria quando vi sia da contestare un credito la cui esistenza non sia controversa ma sia in discussione solo il mancato rispetto delle regole per [continua ..]


5. La compensazione delle somme iscritte a ruolo con crediti extra fiscali

Merita attenzione anche l’art. 28-quater del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che autorizza il contribuente ad estinguere per compensazione i debiti iscritti a ruolo con i propri crediti maturati nei confronti delle amministrazioni pubbliche a seguito di somministrazioni, forniture, prestazioni professionali e appalti[71]. I provvedimenti di attuazione previsti dalla normativa primaria di cui sopra sono stati emanati con il D.M. 25 giugno 2012 e con il D.M. 19 ottobre 2012: il primo si è occupato della compensazione dei crediti verso le regioni, gli enti locali e gli enti del servizio sanitario nazionale mentre il secondo ha riguardato la disciplina della compensazione da attuare verso lo Stato e gli enti pubblici nazionali [72]. La ratio di tale normativa è da individuare nella esigenza di provvedere a due diverse rilevanti criticità: la prima concernente il cronico ritardo della pubblica amministrazione nel pagare imprese e professionisti per le forniture o le prestazioni svolte; la seconda riguardante l’ele­vatissimo ammontare dei debiti iscritti a ruolo rimasti insoluti presso l’Agenzia delle Entrate-riscossione [73]. Così si è voluto, del tutto razionalmente, rendere immediatamente disponibili per il privato detta tipologia di crediti, sebbene con una destinazione vincolata, e allo stesso tempo assicurare una più sollecita estinzione dei debiti iscritti a ruolo. Va, però, sottolineata la non condivisibile scelta secondo cui i crediti ammessi alla compensazione debbano necessariamente essere di natura commerciale ovvero di natura professionale. Sono esclusi, dunque, i crediti dei privati nei confronti della pubblica amministrazione che abbiano origine diversa da quelle menzionate (ad esempio un credito da risarcimento del danno). Tale limitazione legislativa, dettata dal voler attenuare specificamente il disagio di imprese e professionisti costretti a lunghe attese prima di essere remunerati, non appare convincente sotto il profilo dell’equa­nime trattamento dei contribuenti. Se il legislatore, difatti, ha deciso che il credito extra fiscale del privato possa essere impiegato per estinguere il debito iscritto a ruolo, non è ragionevole che siano eleggibili a tale funzione solo i crediti di natura imprenditoriale o professionale. Dunque l’art. 28 quater del D.P.R. n. 602/1973 necessiterebbe di un ampliamento applicativo in tal senso. Per quanto [continua ..]


6. La compensazione nello Statuto dei diritti del contribuente

Lo Statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212) all’art. 8 espressamente afferma che l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione. Il dato letterale poteva obiettivamente far intendere che la volontà legislativa fosse quella di fissare quale principio generale dell’ordinamento tributario la possibilità di estinguere l’obbligazione fiscale per compensazione. Tale principio, poi, avrebbe dovuto avere attuazione grazie ai regolamenti ministeriali che dovevano emanarsi in base al comma 6 dello stesso articolo che a tutt’oggi, però, non hanno visto la luce [75]. Dunque, l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente avrebbe dovuto assumere dignità di norma funzionale a far operare la compensazione in materia tributaria anche al di là delle fattispecie già specificamente tipizzate e sopra esaminate, altrimenti la sua introduzione e l’annuncio normativo degli dei relativi regolamenti attuativi non avrebbero avuto alcun senso. L’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, difatti, avrebbe meritato che fosse ad esso riconosciuto un valore immediatamente precettivo e non meramente programmatico. Esso non doveva, peraltro, essere letto quale semplice norma autorizzativa all’emissione dei regolamenti (di cui all’art. 8, comma 8, della L. n. 212/2000) tesi ad ampliare le ipotesi compensative specificate dall’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 sia perché tale interpretazione svilisce il portato di un precetto di così ampio respiro, sia perché l’autorizzazione per ampliare i casi compensativi in via regolamentare già sussiste nel corpo dello stesso art. 17 al comma 2, lett. h ter. L’art. 8 doveva essere classificato quale disposizione a sé stante, dotata di portata generale e nata per supplire alle deficienze normative lasciate dall’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 (o dalle altre disposizioni fiscali). La norma della Statuto ovviamente, attesa la sua portata generale, non si pone in conflitto con le disposizioni atte a regolare le specifiche ipotesi compensative ma può svolgere funzione di riempimento residuale per quanto non già esattamente individuato dal legislatore in materia di compensazione. La previsione legislativa in esame, in buona sostanza, attesa la perdurante e non giustificabile assenza dei regolamenti attuativi, avrebbe ben [continua ..]


7. Considerazioni conclusive

Il sistema compensativo nel diritto tributario è rigidamente ancorato alla tassatività delle fattispecie attuabili dal contribuente ma esse hanno raggiunto ormai una previsione positiva così numerosa che le disposizioni vigenti quasi esauriscono quelle astrattamente ipotizzabili. Dunque, va apprezzato il percorso compiuto in materia dal legislatore che, seppur valorizzando sempre un approccio casistico alla disciplina, è riuscito ad assicurare al privato l’utilizzo in via compensativa della quasi totalità dei propri potenziali crediti. Infatti i crediti non ancora ammessi alla compensazione sono di numero assai esiguo e di impatto non così rilevante ai fini di un equilibrato rapporto tra fisco e contribuente anche perché le attuali tempistiche per i rimborsi sono solitamente ragionevoli. Manca, comunque, al legislatore di percorrere l’ultimo tratto del percorso per fornire al privato un sistema compensativo compiuto. Il legislatore, se vuole, può procedere in due modi. Il primo è indubbiamente il più semplice: vengono espressamente regolate le ipotesi compensative ad oggi mancanti e sopra individuate. Tale soluzione non è particolarmente complessa da adottare e segue l’impostazione normativa sino ad oggi preferita per regolare la compensazione. Essa, però, costringerebbe il legislatore a continuare a monitorare la materia in quanto, attesi i continui cambiamenti a cui è soggetta la fiscalità, è assai probabile che col passare del tempo emergano nuove e, dunque, non previste fattispecie creditorie che si palesino idonee ad essere compensate. Quindi, tale scelta si accompagna al necessario periodico update della disciplina compensativa. L’alternativa è l’introduzione di una norma di interpretazione autentica volta a superare l’esposta radicata posizione esegetica sull’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, così da riconoscergli efficacia precettiva, a cui dovrebbe anche seguire l’immediata introduzione dei tanti attesi regolamenti di cui si è fatto già cenno. Questa, invero, è da considerare l’opzione preferibile perché così il sistema compensativo tributario potrebbe auto rigenerarsi senza dover attendere ogni volta la specifica norma sulla nuova fattispecie di compensazione. L’occasione in tal senso sarebbe pure fornita dai [continua ..]


NOTE