Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Trust e beneficiari: di cosa? La “pervasiva” distinzione tra reddito e patrimonio (di Federico Rasi)


L'attesa Circolare n. 34/E del 2022 ha chiarito numerosi aspetti della disciplina fiscale del trust, in particolare, quelli relativi all'imposizione indiretta. I chiarimenti forniti non si esauriscono, però, a questo profilo; ve ne sono numerosi relativi ad altre imposte. Dall’assetto così delineato emerge la necessità di individuare i “beneficiari” di un trust: sono tali coloro che hanno diritto di ricevere dal trust il reddito o il patrimonio dello stesso. Distinguere tra beneficiari di reddito o di patrimonio è però tutt'altro che agevole. Scopo delle presenti note è cercare di individuare sia quando occorre tenere presente tale distinzione, sia quando ci si trovi di fronte agli uni o agli altri.

Trust and beneficiaries: of what? The pervasive distinction between income and assets

The long-awaited Circular no. 34/E of 2022 clarified numerous aspects about the taxation of a trust, in particular, those relating to indirect taxation. However, the clarifications provided are not limited to this profile; there are numerous ones relating to other taxes as well. From the framework thus outlined, the need to identify the ‘beneficiaries’ of a trust emerges: these are those who are entitled to receive income or capital from the trust. Distinguishing between beneficiaries of income or of capital, however, is far from easy. The purpose of these notes is to try to identify when this distinction should be borne in mind and to provide some elements for identifying the ones and the other.

SOMMARIO:

1. Considerazioni introduttive - 2. La fiscalità diretta degli apporti nel trust: disciplina con “vista” sulle future attribuzioni - 2.2. L’obiettivo di eliminare salti di imposta e le sue implicazioni - 2.2.2. Il problema dell’individuazione del valore fiscalmente riconosciuto del bene. attribuito - 3. La fiscalità diretta delle attribuzioni di beni da parte del trust e la nozione di beneficiario di reddito - 3.1.1. Il trattamento delle erogazioni reddituali di un trust opaco - 3.1.2. La neo-introdotta nozione di “beneficiario non individuato” e le sue implicazioni con riguardo alla distinzione tra reddito e patrimonio - 3.1.3. La neo-introdotta nozione di “beneficiario non individuato” alla prova della pregressa prassi dell’Agenzia delle Entrate: il caso “beneficiario dell’attività del trust” - 3.2. Il quadro di riferimento per il trust non residente - 3.2.1. Le problematiche specifiche per i trust paradisiaci - 3.3. Un primo sguardo sinottico sul regime a fini IRPEF delle attribuzioni del trust - 3.4. Il trust interposto e il superamento di qualunque distinzione tra reddito e patrimonio - 4. La fiscalità indiretta delle attribuzioni di beni da parte del trust - 4.1.2. Il problema dell’individuazione del patrimonio - 4.2. Il trust con funzione liquidatoria e di garanzia - 5. Il trust e gli obblighi di monitoraggio fiscale: “moltiplicazioni” e “divisioni” negli adempimenti - 6. L’applicazione dell’IVIE e dell’IVAFE da parte del trust e dei suoi beneficiari - 7. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Considerazioni introduttive

L’Agenzia delle Entrate, con l’attesa Circolare 20 ottobre 2022, n. 34/E, è finalmente tornata sul tema della tassazione dei trust [1]. A prescindere dalla parte della circolare sulla quale erano riposte le maggiori aspettative, ovverosia quella in cui viene affrontato il regime di questo istituto ai fini dell’im­posizione indiretta, l’Ammini­strazione finanziaria è intervenuta anche a commentare il regime riservato al trust ai fini dell’imposizione diretta, ai fini del monitoraggio fiscale e ai fini dell’IVIE e dell’IVAFE. L’impressione che si ricava dalla circolare è che le conclusioni ivi raggiunte non siano un mero “commento” della normativa, ma che, per più di un profilo, risultino alquanto innovative, talora anche “creative” e idonee a sollevare, a loro volta, nuovi problemi. Più in dettaglio, si osserva come la Circolare n. 34/E del 2022 analizzi l’intera “vita” di un trust cercando di intercettare le diverse problematiche che si possono porre in tutto questo arco di tempo. Le ipotesi analizzate sono molteplici in coerenza con la ben evidente e assodata natura poliedrica dell’istituto in questione e altrettanto molteplici sono le implicazioni fiscali. In via di prima approssimazione, si osserva come il trattamento fiscale del trust e dei suoi atti possa variare in funzione della natura “reddituale” o “patrimoniale” del bene che viene di volta in volta gestito. Assume, pertanto, particolare rilievo il passaggio della circolare che menziona la necessità di operare una distinzione tra ciò che è: - «“patrimonio” [del trust], costituito dalla dotazione patrimoniale iniziale ed ogni eventuale successivo “trasferimento” effettuato dal disponente (o da terzi) a favore del trust»; e ciò che è - «“reddito” [del trust], costituito da ogni provento conseguito dal trust, compresi i redditi eventualmente reinvestiti o capitalizzati nel trust stesso». Questa precisazione viene fornita a commento del comma 4-quater del­l’art. 45 TUIR, ovverosia viene fornita a chiarimento del trattamento delle attribuzioni effettuate da trust esteri, o istituti aventi analogo contenuto, a beneficiari residenti in Italia. In tale contesto la precisazione menzionata è funzionale [continua ..]


2. La fiscalità diretta degli apporti nel trust: disciplina con “vista” sulle future attribuzioni

2.1. Il quadro di riferimento Seguendo la trattazione della circolare e ripercorrendo, dunque, le fasi della vita di un trust, si può muovere dall’analisi delle implicazioni dell’apporto di beni in trust. La disciplina degli apporti incide sul trattamento fiscale delle future attribuzioni e, ai fini dello scopo che ci si è prefissi, si deve comprendere cosa sia “apporto” in quanto esso sarà ciò che costituirà “patrimonio” del trust. Sul punto la Circolare n. 34/E del 2022 [3], a eccezione che per talune, ma alquanto significative, precisazioni su cui si tornerà immediatamente, non si discosta dalla precedente Circolare 6 agosto 2007, n. 48/E [4]. In entrambi i documenti di prassi si afferma la necessità di distinguere il regime fiscale degli apporti a seconda del regime fiscale del soggetto disponente (imprenditore o non imprenditore); tuttavia, la Circolare n. 34/E del 2022 attribuisce, almeno in taluni casi, rilievo anche alla natura commerciale o non commerciale del trust. Nel caso di disponente-imprenditore, ovverosia nel caso di apporto di beni inclusi nel sistema di tassazione del reddito di impresa, l’apporto di beni in trust è considerata essere un’operazione configurante un trasferimento per finalità estranee all’impresa [5]. Ciò comporta per il disponente-imprenditore il conseguimento di componenti positivi di reddito da assoggettare a tassazione secondo i tradizionali regimi del TUIR (da tassare, dunque, quali ricavi, plusvalenze o minusvalenze a seconda dell’iscrizione in bilancio del bene apportato). Il chiarimento in questione dimostra che per l’Amministrazione ciò a cui occorre dare rilevanza è “l’origine” del bene e non “la sua destinazione” di modo che, se i beni apportati sono in regime di impresa, per il soggetto disponente si realizza un fenomeno realizzativo. Nell’ipotesi in esame, dunque, non rileva la circostanza che il bene sia destinato a un trust commerciale o a uno non commerciale; in entrambi i casi, il costo fiscalmente riconosciuto per il trust non potrà essere che quello di realizzo per il disponente. Dal momento che il ricavo e la plusvalenza (o la minusvalenza) deriveranno da un’operazione in cui non è possibile individuare un corrispettivo, il valore da prendere a riferimento sarà il valore [continua ..]


2.2. L’obiettivo di eliminare salti di imposta e le sue implicazioni

2.2.1. La distinzione tra fattispecie realizzative e non Si deve esattamente comprendere la portata di tale precisazione. In linea generale, essa non può che essere messa in relazione con il dichiarato fine perseguito dalla Circolare n. 34/E del 2022, di «evitare salti d’imposta ai fini delle imposte sui redditi». È alla luce di tale quadro che si devono analizzare le diverse ipotesi. Nel caso di soggetto non imprenditore che apporta beni ad un trust non commerciale, non emergerà (così testualmente la circolare) alcuna materia imponibile. Se il fine è, però, quello di evitare salti di imposta, allora, il costo fiscalmente riconosciuto per il trust non commerciale di destinazione non potrà che essere lo stesso che i beni avevano presso il disponente, sicché l’eventuale realizzo di plusvalenze sarà rinviato in capo al trust al momento in cui quest’ultimo disporrà dei beni ricevuti. In altri termini, per dare sostanza all’obiettivo perseguito dalla circolare, si ritiene che dovrà replicarsi presso il trust la medesima situazione che il bene aveva presso il disponente, inclusa l’eventuale valorizzazione effettuata, tipicamente, ai sensi dell’art. 67 TUIR. Ne deriva che, qualora la cessione di tale bene sia potenzialmente destinata a generare plusvalenze tassabili, esse dovranno essere determinate sulla base delle medesime condizioni che avrebbero avuto presso l’originario disponente. Solo così si potrà evitare che l’istituzione di un trust valga quale operazione di “affrancamento” (gratuito) di eventuali maggiori valori latenti del bene. Nel caso di soggetto non imprenditore che apporta beni ad un trust commerciale, in forza del chiarimento per cui il regime di non tassazione vale a condizione che il trust «non si qualifichi commerciale», ne consegue che, nel caso di soggetto non imprenditore che apporta beni ad un trust commerciale, il regime fiscale di riferimento dovrebbe essere diverso di modo che l’opera­zione dovrebbe comportare l’emersione di materia imponibile. Colpisce però l’estrema sinteticità della posizione dell’A­genzia che non chiarisce né le ragioni di questa posizione, né le norme questa volta applicabili. Quella dell’A­genzia sembra nulla di più che una petizione di principio. Il problema [continua ..]


2.2.2. Il problema dell’individuazione del valore fiscalmente riconosciuto del bene. attribuito

Il quadro variegato del trattamento fiscale che ne deriva comporta di procedere ad un altro approfondimento. Non si deve, infatti, dimenticare che le precisazioni in questione, nell’ottica della circolare, sono funzionali ad evitare salti di imposta. Ciò si riflette sul costo storico a cui il trust dovrà considerare i beni acquisiti. Si è visto che alcuni apporti daranno luogo a operazioni realizzative per il disponente, mentre altri no. Allora, se l’obiettivo è quello di evitare salti di imposta, nei casi in cui l’operazione sarà realizzativa e, dunque, tassabile per il disponente, il costo rilevante per il trust sarà il valore normale del bene utilizzato ai fini della determinazione della base imponibile da tassare; se, invece, l’operazione non genererà tassazione in capo al disponente (mancando una fattispecie impositiva), il trust dovrà assumere il costo storico del bene. Sembra questo lo sviluppo più coerente con la ricostruzione proposta dall’A­genzia delle Entrate che definisce il regime degli apporti a un trust non solo in base alla natura del disponente, ma anche in base a quella del trust (almeno nel caso in cui questo sia commerciale) e che espressamente persegue il fine di evitare salti di imposta. In ogni caso, non si manca di vedere come tale assetto sia tutt’altro che lineare. Sul presupposto, infatti, che la norma di riferimento sia l’art. 44, comma 1, lett. e), TUIR per cui sono redditi di capitale «gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all’imposta sul reddito delle società», la norma sarebbe in grado di intercettare tutti gli «enti soggetti all’imposta sul reddito delle società», dunque, tanto quelli commerciali quanto quelli non commerciali. Se il ragionamento dell’Agenzia si fonda su tale norma (essa viene richiamata testualmente), la stessa dovrebbe operare tanto per i trust commerciali, quanto per quelli non commerciali, mentre viene invocata solo per i primi. In definitiva, la posizione dell’Agenzia appare estremamente tranchant; la precisazione per cui l’apporto di beni in trust sia realizzativo soltanto in caso di apporto in un trust commerciale serve essenzialmente a giustificare che il trust adotti quale costo fiscalmente riconosciuto dei beni apportati il loro valore di mercato, ma [continua ..]


3. La fiscalità diretta delle attribuzioni di beni da parte del trust e la nozione di beneficiario di reddito

3.1. Il quadro di riferimento per il trust residente Analizzate le problematiche che si pongono all’“ingresso” dei beni in un trust si possono analizzare ora le problematiche che si pongono alla loro “uscita”. La Circolare n. 34/E del 2022 [10], meritoriamente, cerca di fare il punto di tutte le regole e lo fa ricordando l’impianto sistematico della menzionata Legge Finanziaria 2007 per effetto del quale si devono distinguere due tipologie di trust: - il “trust trasparente”, ovverosia il trust “con” beneficiario di reddito individuato, il cui reddito è tassato in capo al beneficiario, mediante “imputazione” per trasparenza e applicando le regole proprie di tassazione di tale soggetto beneficiario; - il “trust opaco”, ovverosia il trust “senza” beneficiario di reddito individuato, il cui reddito è tassato in capo al trust quale soggetto passivo IRES. Questa distinzione è funzionale affinché, nel caso di trust trasparente, il reddito conseguito sia assoggettato a tassazione per trasparenza in capo al beneficiario (residente) come reddito di capitale ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera g-sexies), TUIR. In tale caso, infatti, questo reddito, imputato «in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali», concorrerà alla formazione del reddito complessivo del percipiente e sarà assoggettato alle ordinarie aliquote progressive IRPEF. Viene confermato che, al fine di evitare duplicazioni di imposta, la medesima regola non potrà operare allorquando il reddito prodotto dal trust avrà già scontato una tassazione a titolo d’imposta o una forma di imposizione sostitutiva in capo al trust stesso. In questa ipotesi, detto reddito non concorrerà alla formazione della base imponibile fino a concorrenza della parte già tassata, neanche in caso di imputazione per trasparenza, in capo al beneficiario individuato [11].


3.1.1. Il trattamento delle erogazioni reddituali di un trust opaco

Ai fini dell’operatività delle norme in questione, è, dunque, necessario comprendere cosa si intenda per “beneficiario individuato”. L’Agenzia delle Entrate continua a offrire sul punto chiarimenti sufficientemente precisi; essa, infatti, continua a ribadire quanto chiarito nella Circolare n. 48/E del 2007, ovverosia che per “beneficiario individuato” si deve intendere il beneficiario di “reddito individuato” [12]. È tale il soggetto che esprime, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva effettiva. Ciò risulta in presenza di un soggetto titolare del diritto di pretendere dal trustee l’as­segnazione di una parte del reddito del trust medesimo. Si tratta dell’unica definizione di “beneficiario” che la circolare fornisce, nonostante il concetto di beneficiario di un trust, come si vedrà, ricorra più volte e con accezioni anche differenti tra loro. La definizione in esame è alquanto precisa dal momento che chiarisce: - “di cosa” un contribuente debba essere beneficiario. Si tratta del “reddito” del trust ovverosia, come noto, il flusso di ricchezza conseguito dal trust nell’arco del periodo di imposta; - “quale relazione” il contribuente debba vantare nei confronti di questo flusso. Nell’ambito della sistematica del trust, un contribuente può essere considerato beneficiario tutte le volte in cui è in grado di vantare un credito nei confronti del trust tale per cui ha diritto a ricevere tutto o parte del predetto reddito. Ove un soggetto si trovi nella situazione di avere diritto di ricevere quanto guadagnato anno per anno dal trust, costui sarà tenuto a inserire nella propria dichiarazione la quota di sua spettanza della “novella ricchezza” prodotta dal trust nell’arco del periodo di imposta. Ne deriva che un trust con beneficiari individuati dovrà conformare i propri modelli di rappresentazione contabile per avere evidenza di quanto conseguito in ciascun periodo di imposta e in modo non da inserirlo nella sua dichiarazione, ma da far sì che tale ammontare confluisca nella dichiarazione dei beneficiari. Comprendere esattamente la parte delle ricchezze del trust che rappresentano l’incremento rispetto alla dotazione iniziale del trust è, però, un’esigenza che, per effetto della Circolare [continua ..]


3.1.2. La neo-introdotta nozione di “beneficiario non individuato” e le sue implicazioni con riguardo alla distinzione tra reddito e patrimonio

Per comprendere chi possano essere i beneficiari non individuati di un trust opaco commerciale si ritiene di dover partire dalla nozione di “beneficiario individuato” di un trust trasparente. Si è visto come tale nozione chiarisca sia di cosa un contribuente debba essere beneficiario (del “reddito” del trust), sia la relazione che deve sussistere tra il beneficiario e il reddito (avere il primo il “diritto a ricevere” il secondo). Nella nozione di “beneficiario non individuato” di un trust opaco commerciale, nulla cambia con riferimento all’oggetto dell’attribuzione: resta il reddito. Il regime di tassazione del 26% vale solo per gli incrementi di ricchezza del trust rispetto al suo patrimonio iniziale; come questi incrementi sono oggetto di tassazione per trasparenza, ora sono oggetto di tassazione cedolare. La distinzione tra reddito e patrimonio non è, comunque, un tema nuovo nei redditi di capitale; la tratta, ad esempio, il comma 7 del medesimo art. 47 disciplinando, al verificarsi di taluni eventi [19], l’assoggettamento a tassazione di quanto restituito ai soci, ma soltanto «per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate». Una simile previsione non può operare in caso di trust, in quanto in questa ipotesi continua a non essere individuabile un prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni. Tuttavia, ciò non vuol dire che non si possa porre anche in questo caso il problema di distinguere ciò che è capitale iniziale e ciò che è suo incremento. Affinché la norma menzionata operi, si dovrà, anzi, mantenere ferma tale distinzione. Il principio che il comma in questione stabilisce è quello di escludere da tassazione quanto originariamente investito dal socio; in altri termini, il comma 7 dell’art. 47 TUIR afferma l’irrilevanza fiscale di quanto erogato al socio per la parte corrispondente alla restituzione del patrimonio investito. Nel caso di trust dovrà assicurarsi che non sia oggetto di tassazione quanto distribuito a titolo di ripartizione del patrimonio, ma solo quanto deriva dai suoi incrementi di ricchezza. In caso di trust, però, distinguere tra reddito e patrimonio potrà essere più problematico rispetto a quanto avviene per le società. Si dovrà [continua ..]


3.1.3. La neo-introdotta nozione di “beneficiario non individuato” alla prova della pregressa prassi dell’Agenzia delle Entrate: il caso “beneficiario dell’attività del trust”

Il chiarimento offerto dall’Agenzia potrebbe mettere in discussione anche una pregressa posizione della stessa Amministrazione finanziaria. Ci si riferisce alla risoluzione 4 ottobre 2007, n. 278/E, ove era stato chiesto all’Agenzia delle Entrate di qualificare un trust quale opaco o trasparente e nel caso di specie era giunta a considerare il trust in questione opaco in quanto il beneficiario non era “beneficiario dei redditi del trust”, ma era “beneficiario del­l’attività del trust”. Si trattava di un caso in cui l’Agenzia delle Entrate era stata invitata a valutare i riflessi fiscali di un trust irrevocabile cosiddetto “di scopo”, che presentava i seguenti tratti caratteristici: non era residente nel territorio dello Stato; era costituito a favore di un soggetto disabile incapace di intendere e di volere per assicurarne l’assistenza necessaria “vita natural durante”, in modo che questi, in nessun caso, dovesse trascorrere la propria vita in istituti di assistenza per invalidi; lo stesso soggetto era nominato dal disponente “beneficiario dei beni del trust” [23]. Sulla base di tale ricostruzione, l’Agenzia delle Entrate evidenziava, però, che, nel caso in esame, il soggetto disabile non potesse correttamente qualificarsi in senso giuridico come “beneficiario dei beni del trust” in questione, quanto piuttosto destinatario (e in tal senso beneficiario) dell’assistenza in cui risiede lo scopo della costituzione del trust. Pertanto, il trust non poteva configurarsi quale trust con beneficiario individuato ex art. 73, comma 2, ultimo periodo, TUIR, ma andava qualificato quale trust senza beneficiari individuati, derivandone che i redditi maturati dallo stesso dovevano essere assoggettati ad imposizione da parte del trust e non per trasparenza in capo all’unico beneficiario. L’Agenzia concentrava, in sintesi, la propria attenzione sulla circostanza che, secondo quanto risultava dall’atto istitutivo a sua disposizione, il disabile si sarebbe avvantaggiato non dei redditi del trust, ma del­l’attività che il trustee avrebbe svolto con l’utilizzo dei beni. Secondo l’Agenzia, ciò comportava che il soggetto disabile non fosse il destinatario finale dei beni in trust né percettore dei redditi durante la vita del trust, sicché non poteva essere definito come un [continua ..]


3.2. Il quadro di riferimento per il trust non residente

Sono previste regole di tassazione specifica per i trust non residenti, per effetto delle quali la distinzione tra reddito e patrimonio continua ad avere rilievo [26]. Anche in questo caso, la distinzione in esame risente delle regole di tassazione in capo al trust che, come quelli residenti, potrà essere trasparente o opaco. Per il caso di trust trasparente non residente, viene precisato che il reddito imputato al beneficiario residente sarà imponibile in Italia in capo allo stesso quale reddito di capitale. Per la circolare, a prescindere dal luogo di residenza del trust, a prescindere dal luogo di produzione del reddito e a prescindere dalla natura commerciale e non del trust, il beneficiario individuato del reddito dovrà dichiarare la quota a lui riferibile. Viene poi utilmente precisato che la determinazione del reddito del trust trasparente non residente da imputare al beneficiario sarà effettuata secondo la legislazione fiscale dello Stato in cui il trust è residente o stabilito. Il beneficiario italiano si limiterà a recepire la quantificazione operata all’estero. Queste precisazioni sembrano valere per tutti i trust trasparenti non residenti, ivi compresi quelli situati in un Paese a regime fiscale privilegiato: sembrerebbe che anche in questo caso operi il regime di tassazione per trasparenza e la quantificazione del reddito secondo le regole dello Stato estero. L’Agenzia non fornisce alcuna precisazione al riguardo (testualmente tratta dei trust siti in Paradisi fiscali solo con riguardo a quelli opachi) il che lascia perplessi sull’effettività della disciplina: potendo essere il reddito determinato secondo le regole operanti nello stato a regime fiscale privilegiato, tali regole potrebbero disporre l’irrilevanza di taluni componenti positivi e il beneficiario individuato residente potrebbe correttamente limitarsi a dichiarare solo quanto determinato nello Stato estero. La cautela di voler assicurare la tassazione in Italia di quanto conseguito per il tramite di trust siti in Paradisi fiscali sembrerebbe, immotivatamente, venire meno in caso di trust trasparenti [27].


3.2.1. Le problematiche specifiche per i trust paradisiaci

Per il caso di trust opaco, ferma l’irrilevanza della sua natura di ente commerciale e non commerciale, la fissazione della sua residenza fuori dell’Italia in uno Stato a fiscalità ordinaria o in uno Stato a fiscalità privilegiata è, invece, cruciale e decisiva nelle modalità di tassazione. In questo caso, infatti, opererà la regola per cui il trust opaco estero è soggetto passivo in Italia per i soli redditi prodotti nel territorio dello Stato «e, ordinariamente, la relativa “attribuzione” al beneficiario non dà luogo a tassazione in capo allo stesso». Questo principio viene superato proprio in caso di trust stabiliti in Stati e territori che si considerano a fiscalità privilegiata dal momento che, in questo caso, le attribuzioni a soggetti residenti in Italia, che non sono beneficiari individuati, assumono rilevanza reddituale in capo agli stessi. Ciò è funzionale ad assicurare la tassazione di redditi che non subiscono una tassazione congrua nella giurisdizione di stabilimento del trust prima di essere attribuiti ai soggetti residenti in Italia [28]. Va osservato come, a livello sistematico, il regime di tassazione subìto dai beneficiari di trust opachi paradisiaci non sia un regime di trasparenza vera e propria in quanto, precisa l’Agenzia, le attribuzioni di reddito da parte del trust al beneficiario anche se non individuato, sono assoggettate ad imposizione in capo allo stesso beneficiario come reddito di capitale e in base al criterio di cassa, a differenza delle attribuzioni di trust trasparenti per le quali, come detto, vale il criterio di imputazione. È noto che in questa ricostruzione è decisiva la qualificazione di un trust (o di un istituto analogo) quale ente stabilito in uno Stato o territorio che si considerano a fiscalità privilegiata ai sensi dell’art. 47 bis TUIR. Come chiarito dalla Circolare n. 34/E del 2022 [29], a tal fine, occorre confrontare il livello nominale di tassazione del reddito prodotto dal trust nell’ordinamento fiscale nel quale il trust è stabilito, al momento di produzione del reddito, con l’aliquota IRES vigente nel medesimo periodo d’imposta, indipendentemente dalla natura commerciale o meno del trust. Pur esulando dalla presente trattazione l’approfondimento di tali chiarimenti, si ritiene comunque rilevante evidenziare la [continua ..]


3.3. Un primo sguardo sinottico sul regime a fini IRPEF delle attribuzioni del trust

Applicando tutte le regole sino ad ora illustrate, si riscontra che: - per i trust trasparenti, ovunque residenti, commerciali e non, varrà la regola della tassazione per imputazione ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. g-sexies, primo inciso, TUIR; - per i trust opachi si dovranno tenere in considerazione più variabili al momento di valutare la tassazione delle attribuzioni. In particolare, si verificherà che se essi sono: ■ residenti commerciali, opererà l’art. 47, comma 8, TUIR che prevede una tassazione per cassa; ■ residenti non commerciali, non opererà alcuna tassazione; ■ residenti in un paese diverso da un Paradiso fiscale, commerciali e non, non opererà alcuna tassazione; ■ residenti in un Paradiso fiscale, commerciali e non, opererà la tassazione per cassa ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. g-sexies, secondo inciso, TUIR [34]. Ne risulta, dunque, un quadro alquanto variegato, ma, purtroppo, tutt’altro che lineare. Se è chiara la scelta del legislatore di tassare in maniera piena i trust paradisiaci, per ovviare alla ridotta o nulla tassazione che essi scontano nei loro Paesi di residenza, non è altrettanto chiara la ricostruzione, anzi le ricostruzioni, che l’Agenzia delle Entrate propone per le attribuzioni operate dalle altre tipologie di trust. Come detto, se la norma di riferimento è l’art. 47, comma 8, TUIR per il quale il regime di tassazione dei dividendi dovrebbe valere per tutti «gli utili derivanti dalla partecipazione in enti, diversi dalle società, soggetti all’imposta di cui al titolo II» del medesimo TUIR, allora, nonostante le differenze tra le tipologie di trust opachi (commerciali e non, residenti e non), il regime fiscale delle loro attribuzioni dovrebbe essere analogo essendo, comunque, tutti «soggetti all’imposta di cui al titolo II». La norma invocata ha una latitudine applicativa estremamente ampia che non può essere ridotta, anzi frammentata. Sulla base della legislazione vigente, dovrebbe, piuttosto, essere tassato come dividendo sia quanto erogato ai beneficiari non individuati di trust commerciali, sia anche quanto erogato dai trust non commerciali, sia, infine, quanto erogato dai trust esteri. L’alternanza di attribuzioni tassate e non appare del tutto incomprensibile. L’unica giustificazione che potrebbe aver [continua ..]


3.4. Il trust interposto e il superamento di qualunque distinzione tra reddito e patrimonio

Il problema della distinzione tra attribuzioni di reddito e di patrimonio non si pone, invece, nei casi in cui un trust sia interposto formalmente nella titolarità di beni o attività; le attribuzioni cui procederà un simile trust avranno esclusiva rilevanza ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni. Ciò deriva dal fatto che, per l’Agenzia [35], in questi casi, il reddito di cui appare titolare il trust è assoggettato ad imposizione, per imputazione, direttamente in capo all’interponente, venendo meno l’applicazione di qualunque distinzione connessa alla natura trasparente o opaca del trust o anche alla residenza dello stesso. Eventuali attribuzioni saranno a loro volta imputabili all’interponente e il loro intero ammontare, comprensivo anche dei redditi imponibili già tassati ai fini delle imposte sui redditi ove l’interponente sia il disponente, sarà assoggettato all’imposta sulle successioni e donazioni similmente ad ogni altra attribuzione effettuata da una persona fisica. I medesimi ammontari saranno, invece, esclusi dall’imposta sulle donazioni e successioni ove l’interponente sia a sua volta anche il beneficiario delle attribuzioni. Alla luce dei chiarimenti dell’Agenzia [36], dunque, nel caso di trust interposto, oggi, qualunque ammontare attribuito sarà un’erogazione patrimoniale. Depone in tal senso, in particolare, la precisazione secondo cui «nell’ipotesi di decesso del soggetto disponente, tenuto conto della interposizione del trust tra i beni e i diritti che compongono l’attivo ereditario di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 sono inclusi anche quelli formalmente nella titolarità del trust, qualificato come interposto». Si tratta di un chiarimento di non scarso rilievo cui ha fatto seguito la risposta n. 176/2023 del 31 gennaio 2023. Essa riguardava il caso di un beneficiario di un trust in relazione al quale, nel 2021, l’Agenzia delle Entrate, nel fornire una risposta a un interpello presentato dal disponente e dai propri figli (cfr. risposta 1° dicembre 2021, n. 796) avente ad oggetto la corretta tassazione dei redditi imputabili alla quota di socio accomandante segregata nel trust, aveva ritenuto tale trust non «validamente operante sotto il profilo fiscale» con conseguente assoggettamento a «tassazione [continua ..]


4. La fiscalità indiretta delle attribuzioni di beni da parte del trust

4.1. Il trust con funzione successoria 4.1.1. Il beneficiario individuato di patrimonio Le distinzioni tra reddito e patrimonio tornano rilevanti trattando del tema dell’applicabilità dell’imposta sulle successioni e donazioni. Se, fino ad ora, si è analizzato il trattamento della componente “reddito”, ai fini di tale imposta si dovrà individuare il trattamento della componente “patrimonio”. Come anticipato, i chiarimenti che la Circolare n. 34/E del 2022 ha fornito in tema di imposta sulle successioni e donazioni erano estremamente attesi in quanto la circolare in questione doveva essere, come effettivamente è stato, l’occasione per l’Agenzia delle Entrate per recepire finalmente le decisioni della giurisprudenza di Cassazione [40]. Mentre l’analisi del merito delle scelte delle Agenzia delle Entrate e della Cassazione esula dalla presente trattazione [41], ciò che qui preme evidenziare è se l’appli­cazione di questa imposta abbia implicazioni nel procedere alla distinzione tra beneficiari di reddito o di patrimonio. Trattando della disciplina ai fini dell’imposta di successione e donazione delle attribuzioni di beni poste in essere da un trust, la circolare accoglie l’orientamento della Cassazione secondo cui devono essere assoggettate al tributo successorio solo le operazioni con cui si realizza un trasferimento effettivo di ricchezza mediante un’at­tri­buzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale. In caso di trust, tale situazione si verifica solo al momento dell’attribuzione finale del bene al beneficiario. Emerge così la nozione di “beneficiario individuato di patrimonio”. Si tratta di una nozione certamente intrinseca alla ricostruzione della disciplina fiscale del trust che doveva ritenersi esistente fin dalla prime posizioni dell’Agenzia delle Entrate, ma che, tuttavia, trova solo ora una compiuta esplicitazione nel pensiero dell’Am­ministrazione finanziaria e di cui viene fornita anche una definizione. Sono testualmente qualificati come beneficiari del patrimonio «i beneficiari nominativamente o, comunque, inequivocabilmente individuati (o individuabili) [che] abbiano il diritto di ottenere dal trustee, in qualunque momento, sulla base delle clausole dell’atto istitutivo e di eventuali ulteriori disposizioni, il trasferimento di quanto [continua ..]


4.1.2. Il problema dell’individuazione del patrimonio

Questa ricostruzione è complicata dalla precisazione secondo cui ai fini dell’applicazione dell’imposta di successione e donazione «il valore dei beni dovrà essere determinato in base alle specifiche disposizioni [valide per l’imposta sulle successioni, donazioni e costituzione di vincoli di destinazione], a seconda del tipo di bene trasferito, con riferimento alla data dell’atto con il quale viene effettuato il trasferimento». Il trust dovrà tenere traccia molto puntuale delle dotazioni iniziali, ma dovrà valutarle al momento della fuoriuscita del bene. Se, nell’ipotesi di mantenimento dal punto di vista qualitativo di tutti i beni che compongono la dotazione iniziale, non vi sono problemi nell’individuare l’oggetto della tassazione e nel procedere alla sua valorizzazione al momento del trasferimento, in caso di mutamento qualitativo degli stessi, la situazione si complicherà. Si tratta della circostanza, tutt’altro che infrequente, in cui il trust abbia mutato la tipologia dei beni posseduti. In questo evenienza il problema della loro valorizzazione pare non agevole È la situazione, ad esempio, in cui il trust originariamente possedeva 100 azioni della società A e ora possiede 150 azioni della società B. Dal momento che i nuovi beni, acquisiti in sostituzione di quelli originari, saranno quelli oggetto di attribuzione, saranno allora questi nuovi beni a dover essere oggetto di valorizzazione, ad accezione che per la parte degli stessi acquistata con utili reinvestiti. Si dovrà, in altri termini, comprendere se le ulteriori 50 azioni della società siano state acquisite solo con il patrimonio derivante dal disinvestimento nella società A e senza impiegare nulla di quanto ritratto da una eventuale plusvalenza derivante dalla vendita delle azioni della società A. Si può così completare il ragionamento svolto in precedenza con riferimento alle imposte sui redditi [43]. Già in quella sede si evidenziava come fosse necessario che la contabilità del trust consentisse di distinguere ciò che era reddito da ciò che era patrimonio e che tale distinzione dovesse seguire l’intera vita del trust. Non si può che ribadirlo ora che dall’esatta individuazione del reddito del trust consegue l’esatta identificazione del patrimonio del medesimo. Tale [continua ..]


4.2. Il trust con funzione liquidatoria e di garanzia

Agiscono con una logica che esclude l’operatività di tutte le regole sino ad ora esaminate i trust c.d. “liquidatori” e “di garanzia”. Si tratta di trust istituiti, come ricorda l’Agenzia [46], al fine, ad esempio, di garantire o estinguere un debito del disponente nei confronti dei propri creditori o dei creditori della società dallo stesso partecipata, sicché le operazioni con cui vengono poste in essere tali attività saranno soggette ad autonoma imposizione, diretta o indiretta, secondo la natura e gli effetti giuridici che le caratterizzano, imposizione da individuare volta per volta con riferimento al caso concreto. In sintesi, dal momento che tali trust altro non faranno che garantire l’esecuzione di precedenti accordi o obbligazioni del disponente, la tassazione di queste operazioni dipenderà dagli accordi attuati. Sono casi in cui il ricorso all’istituto del trust serve a garantire il perseguimento di taluni risultati: il trustee in queste ipotesi è solamente il soggetto che si sostituisce all’originario obbligato per conseguire un risultato. Le implicazioni fiscali di questa operazione devono comportare che le operazioni poste in essere ricevano il medesimo trattamento fiscale che avrebbero ricevuto se poste in essere dall’ori­ginario obbligato. Non si pone, allora, il problema di distinguere tra beneficiari di reddito o di patrimonio: saranno ragionevolmente sempre attribuzioni di patrimonio, che non implicheranno l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, ma, al contrario, comporteranno l’applicazione delle norme in tema di imposta di registro. Dal punto di vista dell’imposizione diretta non potrà trovare applicazione, in capo a colui che riceverà questi beni, né la regola della tassazione per trasparenza, né la regola dell’art. 47 TUIR, piuttosto, esse avranno rilevanza per il soggetto garantito o per il soggetto la cui liquidazione viene gestita tramite trust. In questo caso, l’operazione non sarà rilevante per i soggetti a valle, ma per quelli a monte della stessa. Da tale ricostruzione consegue, complessivamente, che la distinzione di cui si discute tra beneficiari di reddito e patrimonio non avrà rilievo.


5. Il trust e gli obblighi di monitoraggio fiscale: “moltiplicazioni” e “divisioni” negli adempimenti

Si può ora passare a valutare se la necessità di distinguere tra beneficiari di reddito e di capitale abbia rilevanza anche quando si affronta il tema degli obblighi di monitoraggio fiscale del trust. La risposta si ritiene positiva. La Circolare n. 34/E del 2022 [47] ricorda che è tenuto al monitoraggio fiscale non solo il possessore diretto delle attività estere, ma anche il soggetto che, ai sensi della normativa antiriciclaggio di cui al D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, risulta essere il “titolare effettivo” dei predetti beni. La circolare, ricostruiti i diversi richiami normativi, conclude ritenendo che i trust (trasparenti e opachi) residenti in Italia e non fittiziamente interposti, in linea di principio, sono tenuti agli adempimenti di monitoraggio fiscale per gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria da essi detenuti [48]. Tuttavia, in caso di trust trasparente, il trust stesso deve adempiere agli obblighi di monitoraggio fiscale con l’indicazione del valore delle attività estere e della percentuale del patrimonio solo per la parte non attribuibile ai “titolari effettivi” residenti, i quali saranno tenuti agli obblighi dichiarativi. Se, invece, sussistono soggetti residenti titolari effettivi dell’intero patrimonio dell’ente, quest’ultimo è esonerato dalla compilazione del quadro RW e, in questo caso, i beneficiari assolveranno gli obblighi di monitoraggio fiscale indicando il valore degli investimenti detenuti all’estero dall’entità, delle attività estere di natura finanziaria ad essa intestate, nonché la percentuale di patrimonio nell’entità stessa. I trust opachi dovrebbero, invece, essere i soggetti obbligati in via esclusiva al monitoraggio del patrimonio estero. Ciò, però, va coordinato con la precisazione per cui i beneficiari di un trust non discrezionale assolvono pienamente gli obblighi di monitoraggio fiscale, mentre i beneficiari di trust discrezionali, vi procedono nei limiti delle informazioni loro disponibili. Sembrerebbe che, anche in questo caso, i beneficiari abbiano l’obbligo di indicare nel quadro RW solo l’ammontare del relativo credito vantato nei confronti del trust, unitamente agli investimenti e alle attività finanziarie detenute all’estero, una volta che il trustee avrà comunicato loro la [continua ..]


6. L’applicazione dell’IVIE e dell’IVAFE da parte del trust e dei suoi beneficiari

Con riferimento, infine, all’IVIE e all’IVAFE, l’Agenzia chiarisce che l’allar­gamento del loro ambito soggettivo di applicazione, oltre che alle persone fisiche, anche agli enti non commerciali e alle società semplici (e soggetti equiparati) residenti in Italia, comporta che i trust residenti in Italia devono assolvere al pagamento di tali imposte per gli immobili e le attività finanziarie detenute all’estero dal 1° gennaio 2020. Tuttavia, viene precisato che gli stessi prelievi «non devono essere assolti dai beneficiari di trust opachi in quanto manca il presupposto per l’assolvimento di tali imposte, vale a dire la proprietà dell’im­mobile o la titolarità di altro diritto reale sullo stesso e/o la detenzione dei prodotti finanziari, conti correnti e libretti di deposito». La ricostruzione dell’Agenzia non appare del tutto chiara in quanto: a) si dice che i trust sono tenuti al pagamento, ma non si chiarisce se ciò valga sia per i trust opachi che per quelli trasparenti; b) si dice che i beneficiari di trust opachi non sono tenuti al pagamento (precisazione che potrebbe apparire superflua in ragione della precedente), ma non si dice se, invece, siano tenuti al pagamento i beneficiari di trust trasparenti. Come evidenziato in dottrina [50], la posizione dell’Agenzia non è assolutamente chiara. Essa si giustifica solo se si ritiene che con questa presa di posizione, l’Am­ministrazione finanziaria abbia voluto allineare i soggetti passivi dell’IVIE e del­l’IVAFE con i soggetti passivi del monitoraggio fiscale. Come si è visto, però, l’individuazione dei soggetti passivi del monitoraggio fiscale è tutto sommato inappagante nei casi, menzionati in precedenza, in cui sullo stesso bene convivono beneficiari dei redditi del bene (beneficiari del reddito) e beneficiari del bene in quanto tale (beneficiari del patrimonio). Questo assetto complica l’assolvimento dell’IVIE e dell’IVAFE. L’unica lettura che per questa ipotesi sarebbe corretta si ritiene non possa essere che quella che fa ricadere questi obblighi non sui beneficiari, ma sul trustee. Ad essa, si può, anzi si deve, pervenire valorizzando, come ricordato in dottrina [51], la giurisprudenza sorta in materia di ICI e IMU. Ci si riferisce, in particolare alla sentenza 20 giugno 2019, n. [continua ..]


7. Considerazioni conclusive

La Circolare n. 34/E del 2022 è in definitiva “all’altezza” delle aspettative che vi erano state riposte e della lunga attesa che ha richiesto la sua emanazione. È, però, andata anche “oltre” queste aspettative e, in diversi aspetti, si è sostituita al legislatore. Ciò la rende tutt’altro che conclusiva dell’evoluzione della disciplina dei trust e anzi le fa aprire nuovi scenari e nuove prospettive. Ci si poteva attendere che fosse la “fine” per le discussioni che riguardano l’istituto in questione e, invece, è l’ennesimo nuovo “inizio”. Come evidenziato, essa è, in diversi suoi passaggi, alquanto “creativa” al punto che si spinge a disporre un’applicazione non sempre del tutto fondata di svariati regimi fiscali. Neppure l’estrema poliedricità dell’istituto in esame pare una ragione sufficiente per giustificare queste scelte; esse, purtroppo, paiono essere l’esito di forzature dell’Amministrazione. Si è visto, nei primi paragrafi del presente contributo, che ciò vale per il regime delle attribuzioni di un trust e si è visto, negli ultimi paragrafi dello stesso, che ciò vale per il regime IVIE e IVAFE riservato ai trust. In più di un passaggio della circolare, l’Agenzia finisce, dunque, per “piegare” il sistema fiscale ai risultati che ritiene di dover raggiungere, piuttosto che accettare le soluzioni che deriverebbero dalla interpretazione più piana possibile delle norme o dei principi propri del sistema fiscale. Andare oltre la normale interpretazione delle norme tributarie è un modo di procedere non del tutto nuovo dell’Amministrazione quando è chiamata a confrontarsi con il trust. Questo “stile” pare, anzi, accomunare la Circolare n. 34/E del 2022 alle precedenti che si sono occupate del medesimo istituto. Non si ritiene, però, sia colpa solo dell’Amministrazione; è piuttosto la prova di una normativa ancora non del tutto adeguata e ancora incapace di inquadrare in modo corretto il trust. Non si può, dunque, auspicare altro che un intervento del legislatore. Ferme tali considerazioni, in punto di ricostruzione generale del regime fiscale del trust, ritornando al tema che ci si è prefissati, ovverosia indagare le tipologie di “beneficiari” di [continua ..]


NOTE