Le eccedenze di imposta che emergono dalle dichiarazioni tributarie sono oggetto di varie forme di impiego, tra le quali il contribuente è chiamato a scegliere all'interno della stessa dichiarazione. Da qui la possibilità di errori nell'esercizio di tali scelte e l'esigenza, data la presenza di indicazioni normative discordanti, di individuare con precisione la via attraverso al quale il contribuente possa recuperare l'eccedenza.
Tax excess that arises from tax return may be used in different ways, among which taxpayer can choose inside tax return. So, it is likely that taxpayer does mistakes making that choice and the need, since there are conflicting provisions, to precisely identify how to recover tax excess.
Premessa - 1. Cenni sulla natura della dichiarazione tributaria - 2. L’eccedenza da dichiarazione e le sue forme di impiego - 3. Il regime delle scelte sull’impiego delle eccedenze - 4. (segue) Dichiarazione integrativa ed eccedenze di imposta - 5. Decorrenza del termine per chiedere il rimborso delle eccedenze emerse dalla dichiarazione - 6. (segue) E per le eccedenze emerse dalla dichiarazione integrativa -
Il presente lavoro si propone di fare luce su alcuni problemi riguardanti gli impieghi delle eccedenze che emergono dalla dichiarazione tributaria. L’eccedenza, infatti, è suscettibile di diverse forme di impiego, fra le quali il contribuente è chiamato a scegliere, tramite una manifestazione di volontà interna alla dichiarazione. Inoltre, e a maggior ragione, tali modalità di impiego, a seconda dei casi, possono ripercuotersi sulle dichiarazioni successive; sicché ci si potrebbe interrogare sulle sorti di tali situazioni attive nel caso in cui le eccedenze non siano state impiegate correttamente dal contribuente. Da queste premesse muovono le considerazioni che ci si appresta a svolgere, con l’avvertenza che: il presente lavoro sarà limitato al sistema delle imposte sui redditi; si procede per passaggi che, forse poco collegati, vogliono essere funzionali a ragionare sulle vicende delle eccedenze; a ciò si vuole guardare anche in presenza di dichiarazioni errate o mancanti.
Nella misura in cui è all’interno della dichiarazione tributaria che le eccedenze emergono e che le scelte riguardanti il loro impiego vengono effettuate, si intende prendere le mosse da alcune considerazioni sulla natura della dichiarazione e sulla pluralità dei contenuti che essa può racchiudere. Tali considerazioni costituiranno il sostrato del discorso che verrà sviluppato in seguito. Secondo l’opinione maggiormente diffusa nella dottrina e nella giurisprudenza la dichiarazione tributaria ha natura di dichiarazione di scienza, pertanto, ad essa non può ascriversi efficacia costitutiva del debito tributario [1]. Detto in altri termini, nella dichiarazione il contribuente è chiamato ad indicare analiticamente gli elementi che concorrono alla individuazione del presupposto ed alla determinazione dell’imponibile, ma tale indicazione non ha di per sé l’attitudine a far sorgere il debito tributario [2]. Sennonché nella dichiarazione confluiscono ulteriori contenuti, ancorché non indispensabili ai fini della determinazione del debito di imposta [3]. Alcuni autori riconducono a questa categoria anche quegli elementi che concorrono a determinare la base imponibile, ma che non sono qualificabili come componenti reddituali in senso stretto (si pensi ad esempio agli oneri detraibili) [4]. L’ambito cui si fa tipicamente riferimento ove si discuta di contenuto non necessario è, tuttavia, quello delle manifestazioni di volontà del contribuente che vengono esercitate all’interno della dichiarazione tributaria. I casi sono senza dubbio numerosi [5], a titolo di esempio possono richiamarsi le scelte circa il criterio di tassazione [6], l’imputazione soggettiva del reddito [7] o i profili contabili [8]. La giurisprudenza maggioritaria [9] e parte della dottrina [10] sono orientate ad attribuire, in questi casi, natura negoziale ai corrispondenti passaggi della dichiarazione, posto che la scelta del contribuente esprime un determinato regolamento di interessi [11] che vincola l’amministrazione oltre che il contribuente stesso. Sul presupposto della natura negoziale la giurisprudenza ritiene che una rettifica dell’opzione potrà essere giustificata solo ove venga accertata una causa di invalidità, trattandosi di un atto unilaterale tra vivi assoggettato alle norme che [continua ..]
L’eccedenza emerge quando, all’esito della liquidazione, non emerge un debito di imposta del contribuente, ma una situazione attiva verso l’Amministrazione Finanziaria. Detto più precisamente, questa situazione attiva che, utilizzando formule coniate dalla dottrina, può definirsi in senso lato «credito da dichiarazione» [19], sorge quando gli acconti pagati, le ritenute subite, i crediti di imposta eccedano l’ammontare dell’imposta dovuta. Tuttavia, l’emersione della eccedenza di imposta non ne determina giocoforza il rimborso da parte degli uffici, piuttosto a livello normativo emerge un ventaglio di forme di impiego che possono essere scelte alternativamente dal contribuente, con una manifestazione di volontà da effettuarsi all’interno della dichiarazione. In base a quanto previsto dall’art. 22, comma 2, del Testo unico del 22 dicembre 1986, n. 917, «se l’ammontare complessivo dei crediti di imposta, dei versamenti e delle ritenute, è superiore a quello dell’imposta netta sul reddito complessivo, il contribuente ha diritto, a sua scelta, di computare l’eccedenza in diminuzione dell’imposta del periodo d’imposta successivo o di chiederne il rimborso in sede di dichiarazione dei redditi…»: la stessa previsione si ritrova anche negli artt. 11 e 80 del TUIR [20]. Al rimborso ed al riporto a nuovo si è aggiunta in seguito una ulteriore forma di impiego della eccedenza, la compensazione. L’art. 17, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 ha consentito l’impiego dei «crediti» derivanti dalla dichiarazione per l’estinzione degli obblighi di versamento delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS o di altre somme dovute allo Stato o alle regioni [21]. Altra forma di impiego della eccedenza è la cessione, prevista dagli artt. 43 bis e 43 ter D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. La prima disposizione [22] consente la cessione delle eccedenze di imposta che siano state chieste a rimborso nella dichiarazione dei redditi. Si tratta di una forma di impiego, per così dire, di secondo livello, posto che presuppone una richiesta di rimborso all’interno della dichiarazione e quindi una scelta del contribuente sul modo di utilizzare l’eccedenza. La seconda disposizione[23], invece, prevede la cessione delle eccedenze dell’imposta sui [continua ..]
Parallelamente alla previsione di diverse forme di impiego delle eccedenze i dati normativi tengono conto anche dei possibili errori che il contribuente possa commettere nella scelta per una di esse. Infatti, questi aspetti sono disciplinati in sede di attuazione del TUIR, con particolare riferimento alle ipotesi in cui l’eccedenza sia stata riportata a nuovo. L’art. 4, comma 1, D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42 prevede che «il diritto di scelta tra il riporto e il rimborso dell’eccedenza, previsto negli articoli 11, comma 3, 19, comma 2, 94, comma 1, e 107, comma 3, del testo unico, deve essere esercitato nella dichiarazione dei redditi per l’intero ammontare dell’eccedenza stessa. La scelta non risultante dalla dichiarazione si intende fatta per il riporto». Il comma 3 dello stesso articolo prevede che, se nella dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo l’eccedenza non sia stata impiegata nel suo intero ammontare, la parte non utilizzata sarà nuovamente oggetto di una scelta o per il rimborso o per il riporto a nuovo. Infine, il comma 4 dell’art. 4 prevede che ove l’eccedenza non sia stata «computata in diminuzione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta successivo, o se questa non è presentata, il contribuente può chiederne il rimborso presentando istanza all’Intendente di finanza del suo domicilio fiscale a norma dell’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602». La disposizione in esame non ammette la rettifica della scelta operata nella dichiarazione di origine; solamente nel caso in cui l’eccedenza non possa essere più utilizzata, a causa della mancata indicazione della stessa (nella nuova dichiarazione) o della mancata presentazione della (nuova) dichiarazione, sarà possibile recuperarla presentando una istanza di rimborso, ai sensi dell’art. 38, D.P.R. n. 602/1973; ove invece non sia stato possibile utilizzarla del tutto viene ripristinata, nella dichiarazione successiva, la possibilità di scegliere nuovamente sulla forma di impiego. E si tratta di una soluzione giustificabile alla luce della esigenza per cui «l’assetto del rapporto tributario non può essere oscillante e mutevole a seconda delle preferenze del momento, ma implica una stabilità non revocabile, fissata dalla dichiarazione [24]». [continua ..]
L’intangibilità delle scelte effettuate può tuttavia essere messa in dubbio alla luce delle modifiche normative che successivamente sono intervenute. Ci si riferisce specificamente alla possibilità di rettificare la dichiarazione, introdotta per la prima volta con l’art. 14, L. 29 dicembre 1990, n. 408 che innovò l’art. 9 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 [27], prevedendo la possibilità di integrare la dichiarazione «mediante successiva dichiarazione …» [28]. Successivamente la disciplina della dichiarazione modificativa è confluita nell’art. 2 D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 [29] che nel corso del tempo ha subito incisive innovazioni. Tralasciando i passaggi intermedi, è bene concentrarsi sulla formulazione attualmente in vigore [30]; il comma 8 dell’articolo appena menzionato equipara il regime delle correzioni effettuabili dai contribuenti: le correzioni favorevoli al contribuente, così come quelle ad esso sfavorevoli possono essere effettuate entro i termini previsti dall’art. 43 D.P.R. n. 600/1973 per la notifica degli atti impositivi. Inoltre, e a maggior ragione, la disciplina vigente lascia emergere l’attitudine della dichiarazione “integrativa” a porsi quale strumento generale finalizzato a porre rimedio a tutti i possibili errori commessi dai contribuenti [31]. L’art. 2, comma 8, cit., infatti, prevede che con la dichiarazione integrativa sia possibile correggere errori od omissioni “compresi” quelli che abbiano determinato l’indicazione di un «maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito». Se, dunque, la dichiarazione modificativa si configura tendenzialmente quale strumento volto a porre rimedio a tutti gli errori commessi dal contribuente nella compilazione della dichiarazione allora sorge spontanea una domanda: che ruolo può riconoscersi attualmente alla disposizione dell’art. 4, comma 4, D.P.R. n. 42/1988? Ebbene, è appena il caso di osservare che la disciplina sulla rettifica della dichiarazione ha carattere generale e, pertanto, non può abrogare una disposizione previgente speciale, quale quella di cui all’art. 4, comma 4, D.P.R. n. 42/1988. Pur tuttavia ciò non vale ad escludere che le sic et simpliciter [continua ..]
Nella misura in cui la rettifica della dichiarazione consenta di porre rimedio agli errori commessi nell’impiego delle eccedenze, si restringe, senza venir meno, il ruolo dall’art. 4, comma 4, D.P.R. n. 42/1988 [37]. Infatti, se il contribuente abbia omesso di indicare una eccedenza riportata a nuovo, anziché chiedere il rimborso della stessa eccedenza, potrà correggere la dichiarazione, inserire l’eccedenza, ed utilizzarla “all’interno” della dichiarazione. Nel caso in cui la dichiarazione successiva sia stata omessa, la richiesta di rimborso della eccedenza non utilizzata, parimenti, non costituirà l’unica via percorribile dal contribuente posta la possibilità di rettificare la dichiarazione originaria, chiedendo il rimborso dell’eccedenza originariamente riportata a nuovo. Il campo di azione dell’art. 4, comma 4, dunque, va adeguato all’evoluzione normativa: l’istanza di rimborso ivi prevista concorre con la dichiarazione integrativa. Definito il campo di azione dell’art. 4, comma 4, è possibile affrontare un aspetto problematico che pone la disciplina in esso contenuta. In particolare, occorre individuare il momento a partire dal quale decorre il termine decadenziale per chiedere il rimborso delle eccedenze. La questione non ha rilievo meramente teorico posto che in alcune pronunzie recenti della Suprema Corte vengono proposte delle interpretazioni che restringono inopinatamente i limiti temporali di cui gode il contribuente per presentare l’istanza di rimborso. In particolare, la Cassazione ritiene che nel caso in cui il contribuente si trovi a richiedere il rimborso dell’eccedenza ai sensi dell’art. 4, comma 4, D.P.R. n. 42/1988, a tale istanza di rimborso si applicherà la disciplina prevista dall’art. 38, «disciplina generale concernente modalità e termini di decadenza applicabili in materia di rimborsi di versamenti diretti» [38]. In altre parole, se si percorre questa via il contribuente vede limitata, e a volte anche preclusa, la possibilità di chiedere il rimborso della eccedenza: infatti, il presupposto perché si possa richiedere il rimborso dell’eccedenza ai sensi dell’art. 4, comma 4, è l’emersione della stessa in una dichiarazione ed il suo mancato impiego nella dichiarazione successiva (o la mancata presentazione di [continua ..]
La disposizione dell’art. 4, comma 4, D.P.R. n. 42/1988 si riferisce alle eccedenze riportate a nuovo e non impiegate o per errori del contribuente o per l’omessa presentazione della dichiarazione. Ebbene, la dichiarazione integrativa in base a quanto disposto dall’art. 2, comma 8, D.P.R. n. 322/1998 può essere presentata, fra l’altro, per correggere errori ed omissioni che abbiano determinato un maggior imponibile o un maggior debito di imposta o un minor credito. Ed è evidente che in queste ipotesi dalla dichiarazione integrativa può ben emergere una eccedenza rispetto alla quale il contribuente è chiamato a scegliere la modalità di impiego. Ove il contribuente non abbia chiesto il rimborso dell’eccedenza così emersa, e tale eccedenza non venga utilizzata nella dichiarazione successiva ovvero quest’ultima sia stata omessa, dell’eccedenza potrà essere chiesto il rimborso mediante apposita istanza da presentare agli uffici ai sensi dell’art. 4, comma 4, D.P.R. n. 42/1998. Dunque, se è vero che la dichiarazione integrativa «si connota per la medesima natura e funzione di quella originaria [42]» non dovrebbero esserci dubbi ad estendere quanto detto in precedenza anche alle eccedenze che siano emerse da una dichiarazione integrativa; ed il termine per presentare istanza di rimborso ai sensi dell’art. 4, comma 4, cit. dovrebbe essere legato al termine per la presentazione della dichiarazione in cui l’eccedenza avrebbe dovuto essere riportata. Sennonché la posizione della giurisprudenza sembra essere diversa. In un recente arresto [43], la Cassazione ha applicato alle eccedenze che siano emerse da una dichiarazione rettificativa in diminuzione, e non siano state compensate nella dichiarazione successiva, la medesima soluzione che si è vista supra e, quindi, ha ritenuto che il termine decadenziale di cui all’art. 38, comma 1, D.P.R. n. 602/1973, per chiedere il rimborso di tali eccedenze, decorra dal momento del versamento originario da cui è sorta l’eccedenza. È evidente che tale ricostruzione presta il fianco alle medesime contestazioni che si sono proposte in precedenza, anzi, potrebbe dirsi che in quest’ultimo caso tali contestazioni rafforzino il loro vigore. Detto più specificamente, in base all’art. 2, comma 8, D.P.R. n. 322/1998 il contribuente [continua ..]