Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Le esenzioni da accisa sull'alcole alla prova della licenza fiscale di esercizio (di Pietro Giordano)


La Corte di Cassazione con la sentenza del 30 dicembre 2022 n. 38128 è stata chiamata ad esprimersi sulla legittimità dell’esenzione da accisa applicata ad una cessione di alcole detenuto in regime sospensivo in forza di un contratto di affitto di azienda e al fine di garantire la continuità della produzione aziendale. Nel caso in esame, gli Ermellini hanno chiarito i rapporti intercorrenti tra la disciplina autorizzativa delle accise e le ipotetiche deroghe dovute a ragioni sostanziali ed economiche, concludendo per una predominanza delle norme fiscali autorizzative sulle seconde.

Alchol excise exemption at the operating licence test

With the decision 38128/2022 the Italian Supreme Court ruled on the possibility to preserve the excise duty exemption under a business-leasing contract when the alcohol is transferred to a third party, other than an authorized warehouse keeper, keeping the suspension regime on only for economic reason. In the case at hand, the Italian judges have made clear the relationship between the excise authorization law and the possible exemptions based on other reasons.

MASSIMA: Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva notificato alla società Industria Panificazione Ambrosino Srl (di seguito IPA Srl) un avviso di pagamento con il quale aveva richiesto il pagamento dell’accisa sui prodotti alcolici dalla stessa ceduti negli anni 2009 e 2010 alla ditta Ambrosino Commerciale Srl, soggetto che, in forza del contratto di affitto di azienda stipulato con la medesima società, aveva acquistato l’alcol etilico giacente presso l’azienda, in quanto non correttamente era stato ritenuto che la cessione fosse esente da accisa; avverso l’atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli; la società aveva quindi proposto appello. La Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: a seguito del contratto di affitto di azienda, la ditta Ambrosino Commerciale Srl aveva utilizzato ai fini della produzione l’alcol giacente presso l’azienda, regolarmente autorizzato alla IPA Srl e solo nelle more del rilascio della licenzia di esercizio da parte della ditta affittuaria, al solo fine di assicurare la continuità della lavorazione, aveva continuato a rifornire l’affittuaria; in sostanza, vi era stata una continuità di destinazione del prodotto etilico rilevante ai fini dell’ap­plicazione dell’esenzione, sicché non poteva ritenersi che vi fosse stata una immissione in consumo. Avverso la suddetta pronuncia ha quindi proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato ad un unico motivo di ricorso, cui ha resistito la contribuente depositando controricorso, illustrato con successiva memoria. Il Pubblico Ministero in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Mauro Vitiello ha depositato le proprie conclusioni con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso. PROVVEDIMENTO: MOTIVI DELLA DECISIONE Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, artt. 2, 3, 5, 27, 47 e 63. In particolare, si evidenzia che non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che la cessione di alcol etilico in favore della società Ambrosino Commerciale Srl fosse soggetto al regime di esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 27, posto che era comunque necessario che quest’ultima società, al fine del corretto esercizio del deposito fiscale, facesse idonea richiesta di licenza, secondo quanto previsto dall’art. 63, e, in caso di variazione della titolarità dell’impianto, al fine di potere continuare a godere del regime sospensivo ed operare in esenzione di imposta, facesse richiesta di voltura della licenza di esercizio. Nella fattispecie, secondo parte ricorrente, sarebbe venuto a [continua..]

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SOMMARIO:

1. La questione controversa e le argomentazioni della Cassazione - 2. I soggetti che possono legittimamente invocare l’esenzione da accisa per l’alcole utilizzato per specifici scopi di produzione alimentare: il raffronto con la decisione dei giudici di legittimità - 3. La valutazione preventiva dell’Agenzia delle Dogane ai fini del rilascio delle specifiche autorizzazioni rilevanti nel cosmo delle accise - 4. La natura della licenza di esercizio nella normativa sulle accise - 5. L’obbligatorietà del regime sospensivo per la fruizione dell’esenzione da accisa - 6. Conclusioni - NOTE


1. La questione controversa e le argomentazioni della Cassazione

Con la sentenza n. 38128 la Corte di Cassazione ha rammentato un principio fondamentale nel cosmo delle accise: la necessaria titolarità di un deposito fiscale per godere del regime sospensivo e delle esenzioni connesse a tale istituto quando le norme agevolative ne prescrivono la presenza. Nella pronuncia in questione l’Agenzia delle Dogane aveva recuperato le accise non versate a un soggetto che, in forza di un contratto di affitto di azienda, aveva ceduto alla società affittuaria il proprio alcole detenuto in regime sospensivo, considerandolo erroneamente esente da imposta. Detto recupero era stato ritenuto indebito dalla Commissione Tributaria Regionale in quanto a seguito del contratto di affitto, la società affittuaria (e cessionaria) aveva utilizzato l’alcole acquistato – regolarmente detenuto in regime sospensivo dalla società locatrice cedente – per scopi di produzione alimentare e al solo fine di assicurare la continuità della produzione. Veniva, dunque, valorizzata dai giudici di seconde cure, come rilevante, ai fini del riconoscimento dell’esenzione ex art. 27, comma 3, lett. g) del D.Lgs. n. 504/1995 (d’ora in poi “TUA”), la presenza di continuità di destinazione del prodotto etilico, sicché non poteva rintracciarsi una immissione in consumo nel passaggio della merce tra società locatrice cedente e società affittuaria cessionaria. Quest’ultima motivazione risultava decisiva per i giudici del gravame, nonostante la società acquirente risultasse, in quel momento, non titolare di una licenza di deposito fiscale. È proprio su tale circostanza che si basa la decisione degli Ermellini nella sentenza in esame, che nel valorizzare come necessario il presupposto dell’autorizzazione amministrativa rispetto a quello economico della continuità di lavorazione, concludono per l’accoglimento del ricorso dell’Amministrazione finanziaria. Nei motivi della pronuncia viene, infatti, scalfito che la cessione di alcole (in sospensione), effettuata nei confronti di un soggetto non autorizzato ad operare quale deposito fiscale, comporta uno svincolo irregolare di prodotto con una conseguente immissione in consumo dello stesso senza alcuna possibilità di riconoscimento dell’esenzione invocata. Non rileverebbe la circostanza che la cessione sia stata effettuata al fine di garantire la [continua ..]


2. I soggetti che possono legittimamente invocare l’esenzione da accisa per l’alcole utilizzato per specifici scopi di produzione alimentare: il raffronto con la decisione dei giudici di legittimità

I prodotti sottoposti ad accisa, come noto, non possono essere detenuti da qualunque soggetto, ancor più se su questi persiste ancora il regime sospensivo (ovverosia i beni non risultano immessi in consumo e dunque l’imposta non è ancora divenuta esigibile) [1]. La normativa domestica sulle accise agli artt. 5 e 6 del TUA [2], prevede infatti che la circolazione dei beni in sospensione avvenga – generalmente – da un deposito fiscale verso un altro deposito fiscale (o destinatario registrato), prevedendo in particolare che «La fabbricazione, la lavorazione, la trasformazione e la detenzione dei prodotti soggetti ad accisa in regime sospensivo sono effettuate in regime di deposito fiscale». Il deposito fiscale risulta, dunque, l’istituto principe affinché venga riconosciuto e conservato il regime sospensivo a cui i beni sottoposti ad accisa sono soggetti in determinate fasi della loro vicenda fiscale [3]. Proseguendo nello studio del caso in esame, i giudici hanno analizzato le relazioni intercorrenti tra alcune esenzioni impositive per particolari utilizzi dell’alcole [4] e i soggetti che possono legittimamente invocare tali benefici. Nello specifico, l’oggetto del contendere nella Cassazione in commento trovava fondamento nell’art. 27 del TUA, il quale al comma 1 e al comma 2 dispone rispettivamente che «Sono sottoposti ad accisa la birra, il vino, le bevande fermentate diverse dal vino e dalla birra, i prodotti alcolici intermedi e l’alcole etilico» e che «i prodotti di cui al comma 1, […], sono ottenuti in impianti di lavorazione gestiti in regime di deposito fiscale […]». Detta norma, inoltre, nei successivi commi, prevede alcune esenzioni c.d. “per destinazione” ovverosia quando l’alcole sia impiegato per particolari e specifici utilizzi [5]. Poiché nella sentenza in parola le due società attrici erano coinvolte nel settore della panificazione, risultava astrattamente applicabile il comma 3, lett. g) del medesimo art. 27 il quale ammette il beneficio dell’esenzione per l’alcole «impiegati direttamente o come componenti di prodotti semilavorati destinati alla fabbricazione di prodotti alimentari». Il passaggio fondamentale effettuato dai togati, è stato quello di valorizzare, correttamente, l’esenzione in parola solamente quando [continua ..]


3. La valutazione preventiva dell’Agenzia delle Dogane ai fini del rilascio delle specifiche autorizzazioni rilevanti nel cosmo delle accise

Un profilo strettamente connesso alla necessità di essere un soggetto ben identificato ai fini delle accise (sia esso un deposito fiscale o un destinatario registrato) per utilizzare il prodotto in esenzione, è quello legato alla fondamentale attività di verifica e valutazione preventiva da parte dell’Amministrazione finanziaria nell’ambito che qui interessa [9]. Quest’ultima, infatti, prima di rilasciare una delle due autorizzazioni [10] citate, provvede ad effettuare in capo al richiedente una valutazione di merito di tutte le condizioni richieste dalla legge [11] strumentali a salvaguardare l’in­trinseca pericolosità fiscale (e non solo) dei prodotti sottoposti ad accisa. Nel caso di specie è stata valorizzata come predominate – rispetto alle ragioni economiche individuate dalla CTR nei motivi “di continuità” della produzione che premiavano indirettamente anche la circostanza che la società fosse in attesa del rilascio della relativa licenza – la necessità di essere preventivamente un soggetto specificamente autorizzato e qualificato ai fini delle accise. Le ragioni economiche della continuità (nelle more di un’operazione straordinaria quali quella dell’affitto d’azienda), invocate nel giudizio di secondo grado, non potrebbero, infatti, prevedere nessuna deroga non scritta alla disciplina delle accise. A supporto di tale tesi, i giudici Ermellini hanno evidenziato che l’applicazione del regime di esenzione di cui all’art. 27 cit., presupponeva, inoltre, lo svolgimento di una attività istruttoria da parte dell’Ufficio competente in relazione ai profili menzionati nella norma. L’attività amministrativa di cui trattasi sarebbe stata finalizzata non solo a tutelare le ragioni fiscali ma anche quelle di salute e sicurezza connesse alle lavorazioni e ai possibili impieghi dell’alcole [12]. Il principio evidenziato [13] mostra, dunque, il potere riconosciuto all’Ammi­nistrazione in merito alla capacità di svolgere i dovuti controlli per il rilascio della qualifica di depositario autorizzato (i.e. il titolare del deposito fiscale) o destinatario registrato, effettuando, appunto verifiche e controlli istruttori [14] in ragione della opportuna tutela tributaria, amministrativa e di sicurezza, ben potendo anche concludere per un [continua ..]


4. La natura della licenza di esercizio nella normativa sulle accise

L’interpretazione secondo cui il prerequisito della licenza di deposito fiscale rappresenti un “elemento sostanziale” per accedere ad una agevolazione non è tuttavia immune da qualsiasi tipo di diversa argomentazione a favore dell’opposta “accessorietà”, anche se la dimostrazione positiva di tale antitetica concezione incontrerebbe fin da subito degli ostacoli (di non poco conto) da superare (in primis la descritta attività istruttoria dell’amministrazione nel rilasciare licenze di questo tipo). Sulla continua tensione tra “forma” e “sostanza” è infatti intervenuta più volte la Corte di Giustizia UE [18], che, anche in ossequio al principio di proporzionalità [19], ha ormai reso assioma della fiscalità comunitaria armonizzata – iva e accise – il principio di “prevalenza della sostanza sulla forma” [20]. Quest’ultimo permette di declassare a requisito “formale” un adempimento contabile e/o dichiarativo che nelle esperienze domestiche degli Stati Membri veniva in passato [21] ritenuto condizione essenziale per l’accesso ad elementi favorevoli dell’imposizione (esenzioni, detrazioni e deduzioni). Tale nuovo orientamento, che in primis si è calcificato in ambito iva – in merito al riconoscimento del diritto di detrazione – ha poi subito trovato anche conferma all’interno dell’impianto normativo delle accise armonizzate, nello specifico con le sentenze della Corte di Giustizia Roz-Swit [22] e Polihim –ss [23]. Con la prima pronuncia venivano, infatti, affrontate le conseguenze di un’omessa trasmissione di una comunicazione mensile – un elenco riepilogativo di dati – che per la legge polacca veniva considerata come condizione necessaria per l’ottenimento di un’agevolazione consistente nell’applicazione di un’aliquota ridotta per la tassazione di carburanti destinati al riscaldamento [24]; nella seconda veniva, invece, valutato l’operato dell’ammini­strazione bulgara che aveva richiamato a tassazione l’accisa non versata a seguito della rilevazione del presupposto impositivo in uno schema trilaterale di vendita di un prodotto energetico che però, in realtà, veniva direttamente consegnato al soggetto normativamente legittimato a poterlo utilizzare in [continua ..]


5. L’obbligatorietà del regime sospensivo per la fruizione dell’esenzione da accisa

Quanto fin qui detto si presta ad un ulteriore approfondimento. Oltre ad indagare sulla natura, formale o sostanziale della qualifica di deposito fiscale in presenza di norme agevolative che ne prescrivono la presenza, un ulteriore profilo di criticità potrebbe essere rappresentato dalla compatibilità, a monte, di una norma nazionale, che ancori il beneficio dell’esenzione alla presenza del regime sospensivo in capo all’operatore economico. In altre parole si rende necessario analizzare se sia compatibile con il diritto europeo una norma che ammette un’esenzione, come quella di cui all’art. 27, comma 3, lett. g), solamente quando l’utilizzo avvenga sotto l’egida del regime sospensivo (e dunque solo in presenza della qualifica di deposito fiscale o destinatario registrato). A ben vedere, infatti, l’esenzione di cui trattasi potrebbe essere, in astratto, anche riconosciuta tramite il meccanismo del rimborso d’imposta [33], già previsto al comma 4 dell’art. 27 domestico citato il quale dispone che: «Le agevolazioni sono accordate anche mediante rimborso dell’imposta pagata». Così facendo, si potrebbe assistere al riconoscimento dell’esenzione anche ex post e non solo ex ante (ovverosia non solo nei casi in cui l’utilizzo del prodotto avvenga nell’ambito di un regime sospensivo e dunque nessuna imposta sia preventivamente versata). Parafrasando quanto detto con un esempio pratico, l’esenzione tramite rimborso potrebbe essere accordata ad un soggetto che, sprovvisto di qualsivoglia qualifica che legittimi l’applicazione del regime sospensivo, acquisti i prodotti assolvendo l’im­posta, chiedendo solo successivamente il rimborso all’Amministrazione finanziaria e dimostrando l’utilizzo degli stessi per le finalità esenti ammessi dalle norme. È lecito chiedersi, dunque, se una norma nazionale che ancori necessariamente le esenzioni alla preesistenza di un regime sospensivo in capo al soggetto utilizzatore, risulti compatibile con i principi e le norme istitutrici europee. A tal riguardo con la sentenza della Corte di Giustizia UE del 24 novembre 2022 causa C-166/21 è stata sottoposta al vaglio del giudice europeo la compatibilità con l’ordinamento unionale di una norma polacca che, per beneficiare dell’esenzione da accisa dell’alcole adoperato per la [continua ..]


6. Conclusioni

Per concludere, come già ribadito, l’esenzione non può mai giustificare fattispecie che di fatto si realizzano in svincoli irregolari di prodotto, in quanto, a salvaguardia di eventuali pericoli di frode, il riconoscimento dell’esenzione (diretta) deve avvenire rispettando le norme che impongono specifiche qualifiche amministrative-tributarie in capo agli utilizzatori. I giudici di legittimità hanno ritenuto come preminente la mancanza dello status di deposito fiscale (o, completando, di destinatario registrato), nonostante la società si trovasse nelle more del rilascio di detta qualifica e che dunque teoricamente già la stessa integrasse tutti presidi amministrativi di tutela propri di tale istituto. Pur essendo condivisibile in via di principio tale interpretazione, gli Stati devono sempre garantire in ogni caso il diritto a godere dell’esen­zione, in quanto la previsione di stringenti vincoli amministrativi – che non trovano riscontro nell’esigenza di tutelare eventuali pericoli di frode – rischia di essere contraria alle norme armonizzate e al principio di proporzionalità. A ben vedere, infatti, se nel caso in esame la cessione di prodotto alcolico in esenzione non sia stata preceduta da una movimentazione degli stessi verso un luogo privo della licenza di deposito fiscale, la mancanza di quest’ultima qualifica potrebbe essere posta – eccezionalmente – in secondo piano. In una circostanza in cui l’affitto di azienda includa anche il deposito fiscale, la cessione di prodotto tra società locatrice e società affittuaria avverrebbe, come detto, senza lo spostamento dei beni verso un sito sprovvisto di tutte le tutele fiscali, in quanto i prodotti rimarrebbero nell’originario luogo in cui il regime sospensivo era ex ante riconosciuto [38]. Il principio di proporzionalità permetterebbe, dunque, di dare rilievo ad una circostanza sostanziale in cui i beni, ancorché alienati, siano rimasti in un luogo in cui vengono conservate tutte le caratteristiche del deposito fiscale nonostante il nuovo soggetto gestore non sia ancora titolare della relativa qualifica [39]. A maggior ragione poi se i prodotti siano stati effettivamente destinati nelle lavorazioni che permettono di usufruire dell’esenzione prevista dalla norma [40]. Infine, dunque, se l’autorizzazione amministrativa ad operare quale [continua ..]


NOTE