Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Modifiche alla disciplina sui costi black list e interpretazione delle regole sulla specificazione dei presupposti economici d'imposta (di Alessia Vignoli)


I continui ripensamenti del legislatore sulla disciplina cui assoggettare la deducibilità dei costi sostenuti con imprese ubicate in paradisi fiscali, oltre a disorientare i contribuenti italiani, finiscono per legittimare un intervento suppletivo del giudice che travalica la funzione di interprete per divenire legislatore anche quando quest’ultimo è intervenuto più del necessario sul medesimo tema. Ciò è quanto avvenuto con la sentenza n. 911/2023 che ha fornito lo spunto per le considerazioni sviluppate in questo contributo.

Changes in regulations of deductibility of tax havens costs and interpretation of rules about the specification of economic conditions for taxing

The legislator's continuous reconsiderations about the subject to whom the deductibility of costs sustained with companies located in tax havens should be subjected which, besides confusing Italian taxpayers, ends up legitimating a supplementary intervention of the judge, which goes beyond his function as interpreter to assume the role of the legislator, even in the cases where the latter has intervened more than necessary on the same issue. This is what happened with the sentence n. 911 of 2023 that has given the base for the considerations developed in the following contribution.

MASSIMA: Il contribuente deve dimostrare il concreto interesse per operazioni poste in essere con un’impresa situata in un Paese black list; in quest’ottica la seconda esimente prevista dall’art. 110, comma 11, D.P.R. n. 917/1986 deve essere interpretata nel senso che è necessaria la coincidenza soggettiva fra chi percepisce le somme che rappresentano il costo deducibile e l’impresa che ha sede nel paese a fiscalità privilegiata. PROVVEDIMENTO: (Omissis). FATTI DI CAUSA 1. L’Agenzia delle Entrate accertava nei confronti della società B, facente parte per l’anno d’imposta 2004 del consolidato nazionale fiscale di EH srl (poi E srl, consolidante), la presenza di perdite per € 47.576.304,00 che sarebbero state dedotte in forza di operazioni elusive. Da un secondo p.v.c., del 25 maggio 2009, venivano rilevate deduzioni di costi sostenuti nei confronti di imprese residenti in paesi a fiscalità privilegiata, ma in assenza delle condizioni di deducibilità di cui all’art. 110, commi 10 e 11, TUIR. Tali costi erano costituiti dalle provvigioni corrisposte a Landwind Ltd e Mediterranean Fashiontrade Ltd, sedenti nell’Isola di Man, con riferimento alle vendite procurate rispettivamente in Irlanda, Irlanda del Nord ed Islanda (la prima) e Grecia e Cipro (la seconda). Tali imprese sarebbero state prive della benché minima organizzazione imprenditoriale, mentre la concreta esecuzione delle prestazioni sarebbe stata curata da due agenti tramite altre società. Venivano così notificati avvisi di accertamento per IRAP ed IRES (quest’ultima teorica per la consolidata ed effettiva per la consolidante). Le contribuenti ricorrevano alla CTP, che accoglieva i ricorsi. L’Agenzia appellava la decisione, e pure le contribuenti proponevano appello incidentale; la CTR rigettava gli appelli. 2. L’Agenzia propone ricorso in cassazione affidato a un unico motivo. Le contribuenti hanno depositato controricorso per resistere all’impugnativa, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato affidato anch’esso ad un unico, articolato motivo. 3. Con memoria depositata in data 17/21 novembre 2022, la parte controricorrente e ricorrente in via incidentale, ha chiesto in via pregiudiziale il rinvio della trattazione per consentire la trattazione congiunta con i giudizi RG 3139/2015 (per gli anni 2005-2006) e RG 4514/2018 (per l’anno 2018). RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con l’unico motivo l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 110, comma 11, TUIR, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. A parere della ricorrente, infatti, i giudici d’appello avrebbero violato l’indicata disposizione, laddove hanno ritenuto non necessaria la coincidenza tra il soggetto che ha posto in essere in concreto l’operazione e quello situato nello Stato a [continua..]

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SOMMARIO:

1. L’evoluzione nel tempo della normativa: corsi e ricorsi storici - 2. Le due esimenti tra attività commerciale effettiva, concreta esecuzione ed interesse economico - 3. Il valore normale e le esimenti reintrodotte con la finanziaria del 2023: il caso di specie e l’onere probatorio gravante sulla società residente anche in considerazione delle recenti modifiche normative. - 4. La dubbia ragionevolezza di una interpretazione praeter legem della Corte di Cassazione in un quadro normativo più volte modificato dal legislatore - 5. I rischi che la funzione nomofilattica possa sostituirsi a quella legislativa: presupposti e limiti delle due funzioni anche in considerazione della recente introduzione del rinvio pregiudiziale - NOTE


1. L’evoluzione nel tempo della normativa: corsi e ricorsi storici

Il recente intervento legislativo (con la L. n. 197/2022 c.d. Legge Finanziaria per il 2023) di cui è stata oggetto la disciplina dei costi c.d. black list non fa che ribadire la tradizionale ritrosia degli stati nazionali verso possibili spostamenti di materia imponibile verso territori che abbiano una fiscalità privilegiata (c.d. black list) [1]. Ritrosia che è particolarmente evidente nella decisione n. 911/2023 in esame, in cui i giudici della Corte di Cassazione si ritrovavano a pronunciarsi sulla legittimità o meno dell’applicazione della disciplina sui costi black list in quella che possiamo definire l’impostazione più rigida (ossia quella della totale indeducibilità dei costi per il solo fatto di essere stati sostenuti in favore di soggetti ubicati in paesi a fiscalità privilegiata). L’apice del predetto atteggiamento di sfavore si ravvisa infatti nella versione della norma, successiva alla riforma del TUIR del 2004 [2], in cui, introducendo un regime di totale “avversione” verso tale tipologia di costi, si stabiliva l’indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati (così l’art.110, comma 10 del TUIR). I paesi in questione erano poi indicati nell’elenco di cui al D.M. 23 gennaio 2002. Nel successivo comma 11 il legislatore, presumibilmente consapevole della forzatura rispetto all’ordinario regime di deducibilità dei costi, mitigava, ma solo in parte, la portata della norma, riconoscendone la deducibilità solo qualora il contribuente fosse stato in grado di documentare, in sede di interpello o di controllo, alternativamente, che: A) le imprese estere svolgevano prevalentemente un’attività commerciale effettiva (c.d. prima esimente); B) le operazioni poste in essere rispondevano ad un effettivo interesse economico e avevano avuto concreta esecuzione [3]. Con la legge finanziaria del 2007 è stato poi introdotto un obbligo dichiarativo ad hoc [4] e una specifica ipotesi sanzionatoria nel caso della relativa violazione. È stata infatti prevista [5] la separata indicazione di tali costi in dichiarazione dei redditi presumibilmente per dare ad essi una [continua ..]


2. Le due esimenti tra attività commerciale effettiva, concreta esecuzione ed interesse economico

Fermi restando i principi generali di deducibilità (inerenza, certezza e obiettiva determinabilità) che devono sempre sussistere quando si discute di deducibilità dei costi, in attuazione di una non meglio individuata finalità antielusiva [8] o antievasiva [9] della norma, due erano (e sono, anche se la collocazione è formalmente cambiata) le esimenti previste nel citato comma 11: la prima esimente richiedeva la prova che le imprese estere ubicate nel paese black list svolgessero prevalentemente un’attività commerciale effettiva; la seconda, in aggiunta o in alternativa, richiedeva la prova che le operazioni poste in essere rispondessero ad un effettivo interesse economico e avessero avuto concreta esecuzione. Anche la stessa Amministrazione Finanziaria ha riconosciuto in più occasioni [10] e almeno a livello generale (salvo poi portare avanti nei vari contenziosi che ne sono scaturiti inevitabili interpretazioni di parte), che si trattava di due fattispecie del tutto autonome ed alternative. Per quel che concerne la prima esimente il contribuente deve fornire la dimostrazione che l’impresa non residente svolge “prevalentemente un’attività commerciale effettiva” [11]. In buona sostanza, si tratta di fornire la prova che l’attività svolta in via prevalente dal soggetto non residente, deve presentare i requisiti della commercialità e del­l’effettività. Si pensi ad esempio ad una fornitura di gas dall’Oman, oppure di petrolio dal Barhein. In base alla prima esimente, effettività sta dunque a significare che devono essere dimostrati non solo l’idoneità dell’attività (ossia l’esistenza di una struttura idonea), ma anche l’esercizio di una vera e propria attività economica nel paradiso fiscale. La prima esimente si basa infatti sull’esistenza di una attività economica nel paradiso fiscale (appunto la già indicata estrazione di petrolio, o di gas reso da un soggetto del paradiso fiscale); infatti, se ho bisogno del petrolio o del gas devo per forza rivolgermi a questi soggetti, indipendentemente dalla loro ubicazione. Per quel che riguarda la prima esimente, l’esistenza dell’operazione non desta particolari problemi applicativi sotto il profilo sostanziale dal momento che, comunque, nel nostro ordinamento non sono ammessi in [continua ..]


3. Il valore normale e le esimenti reintrodotte con la finanziaria del 2023: il caso di specie e l’onere probatorio gravante sulla società residente anche in considerazione delle recenti modifiche normative.

La Legge di bilancio 2023, intervenendo in un quadro normativo ed applicativo che in qualche modo aveva trovato una propria dimensione, ha effettuato invece un vero e proprio passo indietro, reintroducendo (con i commi da 9 bis a 9 quinquies) nell’art. 110 del TUIR la medesima disciplina prevista all’epoca nel D.Lgs. n. 147/2015 nei confronti di quei paesi ritenuti non cooperativi ai fini fiscali. In sintesi è ammessa la deducibilità nei limiti del valore normale, determinato ai sensi dell’art. 9, del TU n. 917/1986 delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Paesi o territori non cooperativi a fini fiscali. Mentre nel comma 9 ter si precisa l’inapplicabilità della limitazione alla deducibilità quando le imprese residenti in Italia forniscono la prova che le operazioni poste in essere rispondono a un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. Sono ovviamente mutati i Paesi; essi sono stati individuati, in linea l’impegno politico assunto da tutti gli Stati membri nell’ambito dei lavori del Consiglio Ecofin nel 2019, in: Samoa americane, Anguilla, Bahamas, Figi, Guam, Palau, Panama, Samoa, Trinidad e Tobago, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini degli Stati Uniti e Vanuatu, come stabilito nell’Allegato I alla lista UE, adottata con conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea. Questa lista è poi integrata nel febbraio 2023 con l’inserimento di Isole Vergini britanniche, Costa Rica, Isole Marshall e Russia. Il nuovo comma 9-quater contiene, inoltre, una disposizione di chiusura che si preoccupa di coordinare la deducibilità di detti costi con la tassazione dei ricavi prodotti e tassati in capo alla società controllata non residente e che, proprio a tal fine, prevede la disapplicazione delle norme in esame nel caso di operazioni intercorse con soggetti non residenti per cui risulti applicabile l’art. 167 del TUIR concernente disposizioni in materia di imprese estere controllate (c.d. disciplina CFC). Sul piano procedurale e procedimentale è stato, infine, reintrodotto l’obbligo di separata indicazione di tali componenti nella dichiarazione dei redditi al fine di facilitare in sede di controllo l’individuazione di detti costi; e quello dell’Ammi­nistrazione [continua ..]


4. La dubbia ragionevolezza di una interpretazione praeter legem della Corte di Cassazione in un quadro normativo più volte modificato dal legislatore

Per il carattere imprevedibile e come voce fuori dal coro merita di essere segnalata la sentenza n. 911 del 13 gennaio 2023 della Corte di Cassazione non tanto per l’accoglimento con rinvio del ricorso dell’Avvocatura dopo due gradi di giudizio di merito totalmente favorevoli alla società contribuente quanto piuttosto perché sono stati totalmente ignorati i vari interventi del legislatore che, evidentemente se avesse sentito l’esigenza di fare qualche precisazione con riferimento alla portata delle due esimenti lo avrebbe certamente esplicitato. In tale decisione i giudici della Suprema Corte, in assenza del benché minimo appiglio normativo, hanno ipotizzato un (timido) principio di diritto secondo cui: “… Nella specie, dunque, risulta non corrispondente a diritto la pronuncia impugnata laddove afferma che si concretizza la seconda esimente prevista dall’art. 110, comma 11, D.P.R. n. 917/1986, in quanto non necessita la coincidenza soggettiva fra chi percepisce le somme che rappresentato il costo deducibile e l’impresa sedente nel paese a fiscalità privilegiata”. Se da un lato la decisione è ragionevole in un contesto che come detto all’inizio si caratterizza per una certa diffidenza rispetto alla fatturazione ad un soggetto diverso da quello che ha effettivamente reso la prestazione residente in un paese a fiscalità privilegiata, la conclusione raggiunta dai giudici di legittimità appare quantomeno sproporzionata soprattutto nel più volte richiamato contesto in cui è pacificamente ammessa la deducibilità di costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti [24]. I giudici di legittimità, opponendosi al drenaggio di reddito imponibile verso stati a fiscalità privilegiata a prescindere dal fatto che il danneggiato potesse o meno essere lo stato italiano, hanno dunque finito per disapplicare in via interpretativa la parte della disposizione legislativa che prevede la seconda esimente e le attribuisce una natura autonoma e distinta rispetto alla prima. I giudici, insomma, di fronte ad una normativa che nel frattempo e pur con i continui cambiamenti aveva trovato un proprio equilibrio, anche grazie alla richiamata prassi ministeriale, sono giunti a negare l’autonomia e l’alternatività tra le due esimenti pretendendo la coincidenza soggettiva fra chi percepisce le somme che rappresentato [continua ..]


5. I rischi che la funzione nomofilattica possa sostituirsi a quella legislativa: presupposti e limiti delle due funzioni anche in considerazione della recente introduzione del rinvio pregiudiziale

Di fronte ad una sentenza in cui il giudice, non pago neanche di un quadro normativo più volte oggetto dell’attenzione del legislatore, decide a sua volta di indicare in via interpretativa un ulteriore elemento mai previsto dalla legge, che finisce per abrogarne uno esplicito, appare opportuno – pur nei limiti di un contributo a carattere specialistico tributario e con riserva di approfondimento in una successiva occasione– interrogarci sull’estensione del potere interpretativo del giudice. Quest’ultimo, infatti, è tradizionalmente considerato interprete della legge per eccellenza [26], ma non può però spingersi a far dire al legislatore quanto non ha mai detto, soprattutto quando, come nel caso di specie, abbia avuto modo di intervenire sul tema in una pluralità di occasioni e il quadro normativo sia piuttosto chiaro nel prevedere ben due esimenti ciascuna con i propri presupposti e la propria autonomia che consentano di superare il limite del valore normale. L’estensione del potere interpretativo del giudice è stato peraltro messo in discussione [27], in linea generale e travalicando il caso di specie, dal ruolo che il precedente giudiziale sembra progressivamente assumere nel nostro ordinamento, attraverso l’enfatizzazione della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione. Tradizionalmente la funzione più importante riservata alla Corte di Cassazione è come noto quella nomofilattica [28], ossia quella di assicurare l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale. Nel nostro sistema tributario, anche a causa del sovraccarico della relativa sezione, questo concetto è stato portato alle estreme conseguenze tanto da finire per sovrapporsi, fino a confondersi con esso, con quello della vincolatività dei precedenti della Corte di Cassazione, soprattutto se provenienti dalle Sezioni Unite. Tale funzione ha però riconquistato la propria autonomia nell’ambito della riforma che ha interessato il processo civile; è stato, infatti, introdotto [29] nel c.p.c. l’art. 363 bis rubricato “rinvio pregiudiziale” [30]. Si tratta di una norma del tutto peculiare perché, come giustamente evidenziato dai primi commentatori [31], pur se destinata ad operare nel primo o nel secondo grado del processo di cognizione, è stata [continua ..]


NOTE