sartori

home / Archivio / Fascicolo / Il dovere tributario nella costituzione

indietro stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Il dovere tributario nella costituzione

Franco Gallo

L’Autore illustra come nelle società liberal-democratiche la persona del contribuente non necessariamente si identifica con i suoi diritti proprietari. Al contrario, i presupposti impositivi possono essere individuati tra i fatti espressivi di situazioni di vantaggio non necessariamente di natura patrimoniale, ma pur sempre valutabili economicamente e resistenti ad un giudizio di ragionevolezza.

Parole chiave: dovere tributario, diritti proprietari, capacità contributiva, redistribuzione, ragionevolezza.

The tax duty in the Italian constitution

The Author describes how in liberal-democratic societies the taxpayer is not necessarily identified with his proprietary rights. On the contrary, the taxable events may be identified among the facts expressing situations of advantage not necessarily having a financial nature, but still economically measurable and resistant to a judgment of reasonableness.

Keywords: tax duty, proprietary rights, ability to pay, redistribution, reasonableness.

Sommario:

1. Il tributo quale indispensabile strumento di politiche distributive - 2. La definizione del tributo: un trade off fra bene comune e diritti proprietari - 3. Tributo e Costituzione - 4. La capacità contributiva come mero criterio (fiscale) di riparto - 5. Conclusioni - NOTE


1. Il tributo quale indispensabile strumento di politiche distributive

1.1. Non vi è dubbio che almeno in linea teorica il prelievo fiscale, al pari e più della spesa, è ancora il più duttile, anche se il meno amato, degli strumenti distributivi che lo Stato ha a disposizione per superare – specie nei momenti di crisi economico-finanziaria come quelli che stiamo vivendo – le disuguaglianze derivanti dalle maggiori o minori disponibilità dei beni della vita, per realizzare i valori solidaristici e per promuovere, in definitiva, la crescita culturale e lo sviluppo economico nella stabilità. Ciò, beninteso, senza che debbano venir meno quelle altre due funzioni classiche che la dottrina economica [1] assegna al dovere tributario: quella allocativa (o predistributiva) e quella stabilizzatrice. I teorici dello “stato minimo” hanno sempre negato questo assunto e sostenuto che la tassazione dovrebbe avere, invece, la sua prevalente giustificazione e il suo limite nella necessità di finanziare le sole spese per la sicurezza dell’individuo e gli altri servizi strettamente necessari al funzionamento del sistema. Alcuni di essi sono arrivati al punto di ritenere che una redistribuzione economica attraverso i tributi, operata in via progressiva e con riguardo ad entità anche non patrimoniali, limita le libertà individuali e cozza in modo inaccettabile contro il fondamentale principio di proprietà. Hanno invocato quindi, in alternativa, tassazioni non selettive, di tipo cedolare e proporzionale, e una più stretta delimitazione delle aree impositive. L’esempio classico più recente è la flat tax. Questo modo di pensare è inaccettabile se si ragiona in termini di equo riparto – orizzontale e verticale – dei carichi pubblici e di ragionevole bilanciamento dei diritti sociali con quelli proprietari, oltreché, beninteso, in termini di non sopportabilità del fenomeno evasivo. Indubbiamente, ordinate politiche fiscali che premino i più svantaggiati e gravino gli avvantaggiati limitano le risorse di alcuni a beneficio di altri. Se, però, esse hanno come effetto di medio e lungo periodo di proteggere i più vulnerabili, migliorare la salute del Paese, ridurre le tensioni sociali, incrementare e livellare l’accesso di tutti a servizi fino a quel momento riservati a pochi, non può negarsi che lo Stato che ha raggiunto questi obiettivi è [continua ..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login inizio


2. La definizione del tributo: un trade off fra bene comune e diritti proprietari

2.1. Nell’attuale situazione aggravata dalla crisi pandemica la funzione ridistributiva del tributo è, quindi, sempre più importante. Il passaggio dallo Stato liberal-liberista sette-ottocentesco allo Stato di diritto e sociale novecentesco non consente più di valutare sul piano morale il prelievo tributario come una mera autolimitazione dell’individuo-persona, avendo riguardo esclusivo al suo impatto sulla proprietà privata; quella proprietà, cioè, concepita nel settecento da John Locke e i suoi epigoni come «qualunque titolo legittimo di possesso che ha un’esistenza originaria e una validità e una tutela assoluta, propria e indipendente dalla legge, e costituisce pertanto un attributo necessario e indissolubile della persona [3]». Nell’era contemporanea il dovere tributario deve costituire, invece, parte inestricabile di un moderno sistema complessivo di diritti di proprietà privata e di regole di mercato, che le stesse norme tributarie concorrono a creare, limitare o, a seconda dei casi, ad espandere e tutelare nel rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza e solidarietà, di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione. Giustizia o ingiustizia nella tassazione significano, perciò, giustizia o ingiustizia in quel sistema “convenzionale” di diritti proprietari ed economici quale risulta dal regime legale di tassazione. I diritti proprietari, insomma, devono essere riconosciuti, tutelati e garantiti nel loro nucleo essenziale come imprescindibili e naturali strumenti dell’autonomia privata, ma nel contempo devono essere anche bilanciati, conformati e intrecciati con regole e leggi disegnate dallo Stato per assicurare altri diritti, altri valori e altre forme di ricchezza immateriali, come il benessere e la giustizia sociale, la sicurezza delle aspettative e la promozione dello sviluppo.

» Per l'intero contenuto effettuare il login inizio


3. Tributo e Costituzione

3.1. Se caliamo queste considerazioni nell’attuale realtà giuridica italiana, ci si rende facilmente conto che la stretta integrazione tra il regime legale delle imposte e quello della proprietà e di un welfare ragionevole non è un emblema di visioni vetero-stataliste dirette ad ampliare oltre misura l’area del potere d’imposizione. Risponde, invece, a dei valori ben presenti nella nostra cultura e nel nostro ordinamento, che rappresentano lo sfondo etico e il solido background della Costituzione italiana. Come ci ha ricordato Luca Antonini richiamando nel suo recente volume dedicato alla felicità pubblica alcune sentenze della Corte delle leggi (in particolare, la n. 288/2019), è proprio nella logica convenzionale, egualitaria e distributiva finora esposta che i Costituenti hanno operato nel ’48 la scelta di riconoscere e garantire, con gli artt. 42 e 43 Cost., la proprietà (solo) quale strumento dell’autonomia privata e non – come è ancora nel nostro codice civile – quale diritto della persona delimitante una esclusiva sfera privata libera da intromissioni del potere politico. Il risultato sul piano morale è stato una netta presa di distanza del legislatore costituente dalla visione scettica dell’uomo di tipo contrattualistico, la quale invece muoveva dagli interessi individuali e dava significato essenzialmente al rapporto proprietario tra singoli e beni, tra individui e cose, la cui proiezione collettiva – “il non dimenticarsi degli altri” – era rimessa prevalentemente alla dimensione caritativa. Nella nostra Costituzione i diritti proprietari così intesi non sono, infatti, essi stessi un limite alla legge, bensì è questa che li riconosce, li qualifica e ne determina i contenuti e la portata. In presenza di valori contrapposti di indole sociale ed economica meritevoli di particolare protezione, i diritti proprietari, pur mantenendo una loro essenziale connotazione, possono essere bilanciati con questi valori e, conseguentemente, possono essere affievoliti e “compressi” in via legislativa anche dal limite interno della funzione sociale, oltre che da quello esterno dell’interesse pubblico e generale (diversamente da quanto è previsto dall’art. 1 del protocollo aggiunto alla CEDU che, invece, riconosce solo il limite di quest’ultimo). Nel caso dell’imposizione [continua ..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login inizio


4. La capacità contributiva come mero criterio (fiscale) di riparto

4.1. Dopo questa anche troppo lunga premessa di ordine generale, è giunto ora il momento di verificare come la spiccata funzione distributiva del tributo e la più volte sottolineata scindibilità della persona del contribuente dai suoi diritti proprietari si riflettano sulla nozione di capacità contributiva come mero criterio di riparto fondata sul principio di uguaglianza e perciò sganciata dal riferimento, quale oggetto del tributo, alla necessaria esistenza di una ricchezza della persona-contribuente di contenuto esclusivamente materiale e patrimoniale. Quella dell’identificazione del carattere personale della capacità contributiva in funzione della “situazione proprietaria” del soggetto passivo del tributo è, in effetti, una delle questioni che ha fatto e fa tuttora discutere i cultori del diritto tributario italiano. Questi, infatti, sono stati sempre combattuti nell’in­terpretazione di detto art. 53 tra il potenziamento delle garanzie costituzionali del contribuente – che presuppone una forte limitazione della discrezionalità del legislatore tributario e un’accentuata valorizzazione della persona e della proprietà che con essa si dovrebbe identificare – e l’affidarsi, invece, ai soli principi di ragionevolezza, coerenza e congruità del sistema tributario, senza porre limiti concreti di altro genere allo stesso legislatore che non siano quelli derivanti dalla misurabilità economica della situazione oggetto dell’imposi­zione. È evidente che chi ragiona nel primo senso [5] – e cioè nel senso della stretta identificazione tra persona e proprietà –riduce i tributi legittimamente istituibili solo a quelli il cui presupposto esprima una capacità contributiva “qualificata” e cioè, nella sostanza, il reddito, il patrimonio e il consumo. Enfatizza in particolare, attraverso il riferimento alla necessaria esistenza di elementi patrimoniali attivi, il criterio di appartenenza proprietaria e presuppone, culturalmente e moralmente, ciò che nella mia premessa ho negato, e cioè la inscindibilità tra la persona del contribuente e i suoi diritti proprietari e la natura pre-istituzionale degli stessi. Chi ragiona in questo senso fonda, infatti, l’interpretazione dell’art. 53, comma 1, sul dogma della giuridica necessità che la [continua ..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login inizio


5. Conclusioni

È evidente l’importanza delle indicate nuove forme di imposizione, non sufficientemente considerate, spesso avversate e dai più ritenute incostituzionali per violazione del principio di capacità contributiva qualificata. In momenti, come questi, di crisi fiscale dello Stato, esse, convenientemente applicate, avrebbero invece il vantaggio di consentire una qualche riduzione della pressione tributaria che grava oggi pesantemente sul reddito e su determinati tipi di patrimonio. Per raggiungere pienamente questo obiettivo dovrebbero però superarsi, sul piano teorico, quelle costruzioni di sapore un po’ fondamentalista, ancora prevalenti nella dottrina italiana, basate, come si è visto, sull’identità strutturale persona-proprietà, sul dogma della scambiabilità nel mercato delle entità patrimoniali assunte quali presupposti di imposta e sulla conseguente dipendenza delle scelte del legislatore fiscale da quelle del mercato stesso. Se ci si pone su questa via, potrebbe non essere difficile costruire un paradigma della giusta imposizione che sia in armonia con l’evoluzione della nozione funzionale di tributo in un modello di “Stato sociale”; un paradigma secondo cui: – in primo luogo, lo Stato – e cioè il soggetto che interpreta l’interesse pubblico o generale – dovrebbe operare il riparto dei carichi pubblici secondo il principio di giustizia distributiva e di proporzionalità, preoccupandosi solo che a situazioni di fatto uguali corrispondano uguali regimi impositivi e a situazioni diverse corrisponda un trattamento tributario diseguale e, contemporaneamente, che siano tutelati i diritti inviolabili costituzionali, primo fra tutti quello alla libera e dignitosa sussistenza (il minimo vitale); – in secondo luogo, i tradizionali requisiti dell’effettività e dell’attualità della capacità contributiva dovrebbero essere intesi nel senso che essi sussistono anche quando il presupposto è rappresentato da entità reali – da capacitazioni, direbbe Amartya Sen – anche prive di elementi patrimoniali, ma pur sempre esprimenti una potenzialità economica (come, del resto, va dicendo ormai da vent’anni la Corte costituzionale); – in terzo luogo, l’obbligazione tributaria sarebbe personale, nel senso che l’indice di riparto deve in ogni caso [continua ..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login inizio


NOTE

» Per l'intero contenuto effettuare il login inizio