Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
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L´impugnazione di un avviso per debiti fiscali del de cuius in cui il delato non contesti subito il difetto di legittimità passiva costituisce accettazione tacita dell´eredità (di Pietro Mastellone)


Il caleidoscopio delle ipotesi di accettazione tacita dell’eredità è frutto di una chiara scelta legislativa, che ha attribuito alla giurisprudenza il ruolo di verificare, caso per caso, se il comportamento del chiamato all’eredità costituisca un’attività non altrimenti giustificabile se non con la veste di erede.

In un recente caso, la Suprema Corte ha stabilito che nell’ipotesi in cui il chiamato all’eredità impugni un atto impositivo emesso nei suoi confronti per debiti tributari contratti dal de cuius, senza contestare l’assunzione della qualità di erede (e, quindi, senza eccepire il difetto di titolarità passiva della pretesa), ma limitandosi a censurare nel merito l’accertamento compiuto dall’Amministrazione Finanziaria, deve ritenersi che lo stesso abbia accettato tacitamente l’eredità. In presenza di un siffatto contegno processuale da parte del successore, che esorbita dalla mera attività processuale “conservativa” del patrimonio ereditario, questi diviene erede a tutti gli effetti, subentrando nelle posizioni attive e passive (anche tributarie) del defunto e – in virtù del principio semel heres, semper heres – l’eventuale rinuncia all’eredità prodotta successivamente non è in grado di far venire meno l’avvenuta accettazione tacita della stessa.

Challenging a tax claim for debts of the deceased, in which the “nominal” heir does not immediately contest the lack of passive legitimacy, constitutes tacit acceptance of the inheritance

The kaleidoscope of hypotheses of tacit acceptance of the inheritance is the result of a clear legislative choice, which has shifted on the judges the duty to check, case by case, whether the behaviour of the “nominal” heir (chiamato all’eredità) constitutes an activity not otherwise justifiable if not with the role of an “actual” heir (erede).

In a recent case, the Italian Supreme Court ruled that should the “nominal” heir challenge a notice of assessment issued against him for tax debts referred to the deceased, without contesting the assumption of the status of “actual” heir (and, therefore, without challenging the lack of passive legal capacity in respect of such tax claim), but limiting to censoring the assessment made by the tax authorities on the merits, it must be considered that the latter has tacitly accepted the inheritance. In presence of such a procedural behaviour, which goes beyond the mere “conservative” procedural activity of the hereditary patrimony, the successor becomes “actual” heir in all respects, taking over the active and passive positions (including tax) of the deceased and – by virtue of the semel heres, semper heres principle – any renunciation of the inheritance made subsequently is not able to invalidate its tacit acceptance.

Keywords: hereditary succession, tax debts of the deceased, notice of assessment appea­led by the “nominal” heir, failure to contest the passive legal capacity, tacit acceptance of the inheritance.

In tema di successioni, l’assunzione della qualità di erede non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, né dalla denuncia di successione, che è un atto di natura meramente fiscale, ma consegue unicamente all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita. L’accettazione dell’eredità è una condizione imprescindibile affinché possa affermarsi l’obbligazione del chiamato all’eredità a risponderne; non può, quindi, ritenersi obbligato chi abbia rinunciato all’eredità ex art. 519 c.c. L’eventuale rinuncia, anche se tardivamente proposta, proposta dal chiamato all’ere­dità esclude che questi possa rispondere dei debiti tributari del de cuius, sempre che egli non abbia posto in essere comportamenti dai quali si possa desumere un’accettazione tacita dell’eredità, della cui prova è onerata l’Amministrazione finanziaria, la quale determina un irrevocabile ingresso in tutte le posizioni attive e passive del defunto in base al principio semel heres semper heres. Qualora, quindi, il chiamato all’eredità impugni un atto impositivo emesso nei suoi confronti in qualità di erede del de cuius, senza contestare immediatamente il difetto di titolarità passiva della pretesa, ma limitandosi a censurare nel merito l’accertamento, deve ritenersi che lo stesso abbia posto in essere un’attività non altrimenti giustificabile se non con la veste di erede, trattandosi di un comportamento che esorbita dalla mera attività processuale conservativa del patrimonio ereditario. (Omissis). RILEVATO CHE Gli eredi di T.C., C.F., T.M. e Ta.Ma. impugnavano, con distinti ricorsi, l’avviso di rettifica, relativo all’anno 1982, con il quale l’Amministrazione aveva recuperato a tassazione corrispettivi non contabilizzati e I.V.A. Riuniti i ricorsi, la Commissione tributaria di primo grado li rigettava e avverso la sentenza i contribuenti proponevano impugnazione, depositando nel corso del giudizio memoria alla quale allegavano l’intervenuta rinuncia all’eredità con atto del Notaio del 29 luglio 1985. La Commissione tributaria di secondo grado, nel contraddittorio dell’Amministra­zione finanziaria, accoglieva l’appello, rilevando che chi rinunciava all’eredità era considerato come se non fosse mai stato chiamato. La decisione, impugnata dall’Amministrazione finanziaria, veniva confermata dalla Commissione tributaria centrale, la quale riteneva non fondato il gravame, rilevando che, ai sensi dell’art. 521 cod. civ., primo comma, la rinuncia «fatta in forma pubblica avanti a un Notaio» era pienamente legittima ed operante. Ricorre per la cassazione della decisione d’appello l’Agenzia delle Entrate, con due motivi. I contribuenti, [continua..]

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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Dalla chiamata all’eredità all’acquisto dello status di erede: vocazione, delazione e accettazione dell’eredità - 3. L’accettazione civilistica dell’eredità e … i riflessi tributari in capo all’erede - 4. Le due modalità attraverso le quali si perfeziona l’accettazione dell’eredità: espressa o tacita - 5. La fenomenologia dell’accettazione tacita emergente dall’elaborazione giurisprudenziale - 6. La Cassazione arricchisce il caleidoscopio delle ipotesi che integrano accettazione tacita: il ricorso tributario promosso dal chiamato all’eredità che non contesti subito lo status di erede - 7. Riflessioni critiche circa le conseguenze sproporzionate che discendono dalla decisione in rassegna - NOTE


1. Premessa

I chiamati all’eredità, onde evitare di incorrere in un’indesiderata responsabilità per i debiti tributari del de cuius, devono essere ben consci che determinati comportamenti vengono interpretati come emblematici di una loro implicita assunzione della qualifica di eredi: insomma, integranti un’accettazione tacita dell’eredità. Il tema risulta estremamente delicato per le plurime implicazioni giuridiche e fiscali che discendono dall’acquisto dello status di erede conseguente all’accettazione, la quale determina un’indiscriminata confusione (e successiva unificazione) tra il patrimonio dell’erede e quello del defunto. La modalità tacita di accettazione si colloca, come è facile intuire, su un terreno particolarmente scivoloso, perché rappresenta un istituto che la legge tratteggia solo nei connotati essenziali, senza indicare un numero tassativo di ipotesi in grado di integrarlo, con l’inevitabile conseguenza che si è lasciato alla giurisprudenza il compito di stilare un elenco casistico, in costante espansione, composto da fattispecie che, talvolta, risultano difficilmente prevedibili dai privati (e altrettanto poco condivisibili). Di conseguenza, solo dall’analisi della prassi applicativa è possibile procedere ad un “censimento” delle attività che possono sottintendere facta concludentia un’accet­tazione tacita dell’eredità da parte del chiamato, la quale determina un irrevocabile ingresso in tutte le posizioni attive e passive – tra cui quelle che attengono a debiti nei confronti del fisco – in applicazione del principio semel heres, semper heres. L’ordinanza in rassegna, oltre ad aggiungere un’ulteriore fattispecie al già nutrito catalogo di ipotesi ricondotte sotto l’ombrello dell’art. 476 c.c., offre altresì il destro per inquadrare sistematicamente, alla luce della giurisprudenza più significativa, i vari step che conducono all’acquisizione della qualifica di erede, nonché le caratteristiche essenziali dell’accettazione tacita.


2. Dalla chiamata all’eredità all’acquisto dello status di erede: vocazione, delazione e accettazione dell’eredità

Quando una persona viene meno, l’ordinamento si pone il problema di individuare il soggetto o i soggetti che gli succederanno, prevedendo una serie di regole che disciplinano il fenomeno “necessario” della successione. Necessario perché, sebbene l’autonomia negoziale sia incoraggiata ad intervenire con il testamento [1], qualora il de cuius non abbia messo per iscritto le proprie ultime volontà si applicano le disposizioni codicistiche in materia, le quali hanno fondamento costituzionale [2]. All’apertura della successione mortis causa, come noto, i successori vengono individuati attraverso la c.d. vocazione, per legge o per testamento, la quale rappresenta il titolo in forza del quale si è chiamati a succedere [3] ed è coeva all’apertura della successione ex art. 456 c.c. Sul punto, è bene rammentare che il soggetto vocato non dispone di alcun potere, proprio perché la vocazione «comporta la messa a disposizione, a favore del chiamato», dell’universalità dei beni del defunto o di una quota di essi: «precede, dunque, l’acquisto dell’eredità» [4]. A tale riguardo, è solo con la chiamata all’eredità (c.d. delazione) di cui all’art. 457 c.c. che i soggetti vocati ricevono la vera e propria “offerta” del diritto di succedere [5], sorgendo in capo a questi il diritto-potere di accettazione dell’eredità oppure di rinuncia ad essa, nonché divenendo titolare di alcuni poteri “meramente conservativi” o “di amministrazione temporanea” così come descritti dall’art. 460 c.c. [6]. La delazione, che nella maggior parte dei casi coincide temporalmente con la vocazione, conferisce quindi ai destinatari il diritto potestativo di accettare l’eredità, cioè, per usare un’e­spressione colorita, un diritto al diritto di succedere [7], il quale si prescrive in dieci anni [8]. Più precisamente, qualora la delazione non si verifichi contestualmente alla vocazione si configura una c.d. aspettativa di delazione, la quale ricorre in almeno quattro casi: a) delazione “condizionale”, quando il testatore ha individuato un erede sottoposto a condizione sospensiva, perché trattasi di «un non concepito, figlio di una determinata persona vivente» (art. [continua ..]


3. L’accettazione civilistica dell’eredità e … i riflessi tributari in capo all’erede

Giunti a questo punto della nostra analisi, e prima di addentrarsi tra le modalità di accettazione dell’eredità e nella fattispecie specifica affrontata nella decisione in rassegna, è opportuno comprendere quali siano le rilevanti conseguenze tributarie in capo al successore che acquista la qualifica di erede. Gli studiosi sono soliti definire questo fenomeno “successione nel debito d’im­posta”, il quale attiene alla dimensione soggettiva del prelievo impositivo e riguarda il coinvolgimento mortis causa di un soggetto nell’adempimento di un’obbligazione tributaria rivolta ad un altro soggetto [13]. Di fatto, tale fenomeno configura un’ipotesi di solidarietà in capo all’erede, cioè in capo a chi – in modo espresso o tacito – abbia accettato l’eredità. Come osserva la migliore dottrina, «la successione ereditaria, comportando il subentro degli eredi in tutte le situazioni giuridiche (trasmissibili) che facevano capo al defunto, implica anche il subentro degli eredi nelle situazioni giuridiche di natura tributaria. Ciò vale, in linea di principio, non solo per l’obbligazione tributaria, ma anche per gli obblighi formali (ad esempio, obbligo di dichiarazione) e per le situazioni procedimentali. Il fenomeno non è compiutamente regolato dal legislatore tributario; si applica perciò la normativa codicistica, che dispone la successione del­l’erede in tutte le situazioni soggettive del de cuius (suscettibili di trasmissibilità), incluse le situazioni soggettive tributarie. Trova quindi applicazione l’art. 752 c.c., a norma del quale gli eredi non rispondono in solido dei debiti ereditari, ma ne rispondono in proporzione delle rispettive quote. Tale disposizione riguarda in generale anche i debiti tributari del de cuius, con la eccezione dei debiti per imposte sui redditi, per i quali vi è una norma ad hoc che dispone la solidarietà degli eredi» [14]. Orbene, trattandosi di pretese tributarie avanzate nei confronti del de cuius, la relativa transizione in capo agli eredi deve evidentemente conciliarsi con il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost., posto che, di fatto, questi ultimi diventano protagonisti della successione in un debito d’imposta altrui. Dal punto di vista ricostruttivo, il fenomeno successorio permette di [continua ..]


4. Le due modalità attraverso le quali si perfeziona l’accettazione dell’eredità: espressa o tacita

Chiarito che l’accettazione rappresenta il passaggio obbligato per poter diventare erede – e, quindi, corresponsabile per i debiti tributari del de cuius, con le puntualizzazioni poc’anzi rammentate in relazione alla tipologia di imposta interessata – occorre sottolineare come con tale termine si faccia riferimento ad un ventaglio di tipologie tra loro eterogenee, ma tutte idonee a perfezionare l’acquisto di detta qualifica. Dal punto di vista sistematico, la prima categoria di accettazione è quella espressa, attraverso la quale il chiamato può accettare l’eredità: a) senza apporre riserve o condizioni (c.d. accettazione “pura e semplice”), determinando la già citata fusione tra il patrimonio personale e quello ereditato, con la conseguenza che gli eventuali debiti del de cuius dovranno essere pagati anche ricorrendo alle proprie disponibilità, laddove l’attivo della massa ereditaria non risulti di per sé sufficiente a farvi fronte (artt. 470 e 475 c.c.); oppure b) tenendo distinto il patrimonio personale da quello del defunto (c.d. accettazione “con beneficio d’inventario”), con la conseguenza che gli eventuali debiti del de cuius saranno pagati attingendo solo nei limiti di quanto ricevuto per successione (art. 484 ss. c.c.); oppure c) in modo automatico (c.d. accettazione “presunta” o ope legis), al ricorrere di due ipotesi in cui il legislatore intende, in qualche modo, “punire” l’inerzia del chiamato all’eredità o un suo comportamento illecito [45], e cioè: – possesso di beni ereditari che non vengono inventariati dal chiamato al­l’eredità entro il termine di tre mesi [46]; – sottrazione od occultamento di beni spettanti all’eredità [47]. La seconda categoria su cui è opportuno porre maggiore attenzione risulta, invece, quella della c.d. accettazione tacita, che risulta la modalità più frequente nella pratica e si realizza «quando il chiamato compie un atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede. Ma per aversi accettazione tacita non basta compiere un atto con la volontà di accettare, bensì occorre anche che l’atto stesso sia tale da non potersi compiere se non da colui che sia [continua ..]


5. La fenomenologia dell’accettazione tacita emergente dall’elaborazione giurisprudenziale

Considerato che l’art. 476 c.c. prevede unicamente che «l’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede», non si può non convenire che il legislatore abbia inteso rimettere alla pratica l’individuazione delle ipotesi che integrano accettazione tacita. La conseguenza di questa scelta è che il catalogo che queste sono andate a costituire è stato progressivamente elaborato dalla giurisprudenza. Si è visto come l’accettazione tacita presupponga il compimento di atti che non possano giustificarsi come realizzati da un soggetto che non agisce come erede, quale il mero chiamato all’eredità oppure l’esecutore testamentario. Ora, nonostante l’avverbio “necessariamente” sembri implicare la sussistenza di un’effettiva volontà, inespressa, di accettazione da parte del chiamato, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario tende a ritenere che l’art. 476 c.c. presuma la sussistenza di detto elemento soggettivo al ricorrere di alcune attività o comportamenti che, obiettivamente, presupporrebbero l’avvenuto acquisto dell’eredità. Ma andiamo per ordine. Innanzitutto, occorre interrogarsi sulla natura giuridica dell’accettazione tacita, in relazione alla quale da tempo gli studiosi dibattono se questa sia riconducibile allo schema dell’atto negoziale [50], con conseguente rilevanza della volontà del chiamato all’eredità in ordine agli effetti prodotti dalla propria attività, oppure a quello del­l’atto non negoziale [51], risultando quindi «sufficiente che l’atto posto in essere, oggettivamente valutato, soddisfi i requisiti richiesti dalla legge, affinché l’accettazione sia valida ed efficace» [52]. A tale riguardo, la giurisprudenza maggioritaria, sin dalle decisioni più risalenti [53], ha abbracciato quest’ultima ricostruzione volta a ritenere che l’accettazione tacita dovrebbe inquadrarsi in base ad un approccio c.d. oggettivista, implicante cioè una valutazione complessiva del comportamento del chiamato, senza necessità di provare anche la sussistenza dell’elemento soggettivo della volontà [continua ..]


6. La Cassazione arricchisce il caleidoscopio delle ipotesi che integrano accettazione tacita: il ricorso tributario promosso dal chiamato all’eredità che non contesti subito lo status di erede

Con l’ordinanza n. 23989 depositata il 29 ottobre 2020, la Suprema Corte ha arricchito la gamma di ipotesi di accettazione tacita, pronunciandosi in un contenzioso nato nel 1982 in cui la vedova e i due figli avevano impugnato un avviso di rettifica per corrispettivi non contabilizzati e maggiore IVA relativi all’impresa del defunto. I familiari ricorrenti – e questo è il punto cruciale su cui focalizzare l’attenzione – avevano rinunciato all’eredità con atto notarile ex art. 519 c.c. prodotto, però, solo durante il giudizio di appello e con cui pretendevano di “neutralizzare” gli effetti che la pretesa fiscale potesse spiegare nei loro confronti. La rinuncia all’eredità, come noto, richiede una forma solenne e una specifica pubblicità mediante l’inserzione nel registro delle successioni, rientrando «nello schema generale della rinuncia ai diritti: essa consiste in una dichiarazione unilaterale non recettizia, con la quale il chiamato all’eredità manifesta la sua decisione di non acquistare l’eredità» [89]. Se effettuata al ricorrere dei requisiti per essere presentata, la rinuncia – come chiarisce l’art. 521, comma 1, c.c. – ha portata retroattiva, facendo in modo che il rinunciante all’eredità venga considerato come se non vi fosse mai stato chiamato. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte di Cassazione ha reputato che il comportamento complessivo dei chiamati all’eredità, consistito nell’impugnare l’atto impositivo con tre distinti ricorsi senza contestualmente eccepire la loro legittimazione passiva, integrasse inequivocabilmente la loro acquisita qualifica di eredi, con la conseguenza che la rinuncia all’eredità prodotta in appello doveva considerarsi tardiva e, quindi, del tutto inefficace. In altri e più chiari termini, la Corte ha puntualizzato che la rinuncia all’eredità – e la portata retroattiva che ne consegue – è atto che può essere esperito unicamente dal chiamato all’eredità e non anche da chi tale eredità l’abbia accettata, seppur in modo tacito. Se, come si è osservato nella precedente disamina, l’assunzione della veste di erede consegue solo all’accettazione, espressa o tacita, dell’eredità e non dalla mera chiamata né [continua ..]


7. Riflessioni critiche circa le conseguenze sproporzionate che discendono dalla decisione in rassegna

L’ultima decisione della Corte di Cassazione adottata in questo sfumato segmento del sistema giuridico costituisce un ulteriore e fondamentale monito per il contegno processuale che deve essere osservato dai familiari che si trovino ad impugnare un atto contenente pretese fiscali per debiti del de cuius, i quali vengono così messi in guardia dal rischio di perfezionare un’accettazione tacita in caso di mancata immediata contestazione della loro qualità di eredi. In una siffatta ipotesi, come puntualizzato nell’ordinanza, la successiva rinuncia all’eredità, anche se effettuata a regola d’arte e con tutti i formalismi richiesti dalla legge, non potrebbe spiegare alcuna efficacia, perché presentata da chi è, ormai, già qualificabile come erede. Nonostante la pronuncia rivesta un indubbio interesse pratico e scientifico, difficilmente la si può considerare del tutto imprevedibile, perché la Suprema Corte ha sostanzialmente applicato in modo coerente i principi già emersi nella precedente giurisprudenza sul tema, allineandosi, in particolare, ad una decisione adottata su una fattispecie analoga [93]. In tale occasione, infatti, era stato chiarito che se «si procede contro il chiamato e costui si costituisca, eccependo la propria carenza di legittimazione, il giudice deve disporne l’estromissione dal giudizio, che, in mancanza di altri chiamati, che si trovino nel possesso dei beni ereditari, o che, pur non essendo possessori, accettino il contraddittorio, va proseguito nei confronti del curatore speciale nominato a norma dell’art. 528 c.c. […]. Non è, peraltro, ravvisabile accettazione tacita dell’eredità nel caso in cui il chiamato si costituisca nel giudizio instaurato direttamente o soltanto proseguito contro di lui per fare valere il proprio difetto di legittimazione, trattandosi di atto pienamente compatibile con la volontà di non accettare l’eredità» [94]. Diversamente, nell’ipotesi in cui un chiamato partecipi al giudizio instaurato originariamente nei confronti del de cuius e, manifesti «solo nella fase di appello e informalmente, mediante uno scritto (non riprodotto) il disinteresse alla lite», allora la giurisprudenza di legittimità ritiene che «tale condotta processuale costituisce una accettazione tacita della eredità, inconciliabile con [continua ..]


NOTE