L’articolo analizza, passando in rassegna le decisioni rese in materia in anni recenti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, il tema del riparto di giurisdizione, tra giudice ordinario e giudice tributario, nell’esecuzione esattoriale relativa a crediti tributari: con particolare riguardo alle opposizioni, all’esecuzione ed agli atti, che suscitano il maggior numero di problemi ricostruttivi; il tutto muovendo dal disposto dell’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992 e dall’esame delle peculiarità proprie dei titoli esecutivi tributari.
The paper examines, by reviewing the most recent decisions issued on the matter by the Grand Chamber of the Italian Supreme Court and by the Constitutional Court, the topic of conflict of jurisdictions, between civil and tax courts, in the enforcement of taxes. Particular attention is paid to oppositions, to enforcement and to all acts, that give rise to the greatest number of systematic criticisms, with a special focus on the provision contained in Art. 2 of Legislative Decree no. 546/1992, as well as on the peculiarities of instruments permitting tax enforcement.
Keywords: tax enforcement, conflict of jurisdictions, enforcement appeals, instruments permitting tax enforcement, special instruments permitting enforcement.
Articoli Correlati: riparto di giurisdizione - esecuzione tributaria
1. Premessa - 2. (Relatività della nozione di) certezza del titolo esecutivo non giudiziale. I titoli esecutivi tributari - 3. La Consulta e l’esecuzione forzata esattoriale - 4. La Corte regolatrice dei conflitti e le sue recenti, pur solo apparenti, “soluzioni” del problema del riparto nelle opposizioni esecutive - 4.1. Contrasti - 4.2. ... Soluzioni (?). Nel 2017 - 4.3. … Soluzioni (?) Nel 2020 - 5. Conclusioni - NOTE
Il discorso che attiene al riparto nelle controversie di c.d. riscossione od esecuzione esattoriale [1], qui svolto limitatamente ai crediti tributari ossia nel contesto che, sul piano processuale e della allocazione della giurisdizione, denota senz’altro la maggior specialità di disciplina ed esiti: deve muovere, onde analizzarne la recente evoluzione, dalla constatazione della azione congiunta ma poco o punto coordinata, in seno ad essa, di plurime e sovente contrapposte istanze, in diritto ed in fatto. Tra quelle in fatto gli è che la riscossione dei tributi è esigenza sentita dallo Stato sempre nella storia e viepiù oggi, una riprova essendone il dato percentuale, intorno ad una misera decina, dei crediti effettivamente riscossi tra quelli affidati al riscossore, nel totale di enorme consistenza [2]; d’altra parte, l’aspettativa di un riparto efficiente e misurato in relazione alle possibilità di risposta alla domanda di giustizia dei diversi plessi, tutti peraltro sovraccarichi, ciò che pure ha giocato un ruolo negli sviluppi giurisprudenziali in discorso, quantunque primo ed unico interprete ne sarebbe dovuto essere il legislatore. Venendo alle istanze in iure: rilevano i criteri di riparto legislativamente previsti, dall’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992, che riserva al g.t. “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi” escludendone quelle “riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento”; esigenze di giustizia e tutela del diritto di azione costituzionalmente garantito (perché, quantunque a fronte di situazioni distinte, con l’art. 113, comma 1, Cost. che autorizza il legislatore a prevedere diversi sistemi e tecniche, va notoriamente escluso che tra d.s. e i.l. sia permesso far differenze in punto di pienezza ed effettività della tutela) [3]; presunte esigenze di tenuta sistematica. Sennonché, su quest’ultimo aspetto, l’interprete è ammonito a diffidare da ogni tentativo di elaborazione di un quadro di sistema, poiché “la fantasia del legislatore – sollecitata spesso dalla necessità di porre rimedio a impellenti esigenze della finanza pubblica – è davvero senza limiti” [4]. Può essere quindi che, ancora oggi, l’esecuzione esattoriale sia un “ibrido [neppure [continua ..]
L’esecuzione forzata esattoriale nessun nega esser modellata sulla scorta della più consolidata esecuzione giurisdizionale; si è poi ritenuto opportuno, da alcuni anni, affidare il controllo di certi suoi segmenti al giudice ordinario. Come si insegna, la nozione di certezza del titolo, nella sua pacifica tautologicità [11], dovrebbe muovere dalla constatata improbabilità della contestazione del debitore, a giustificare la altrimenti insindacabile scelta discrezionale del legislatore. D’altra parte, esistono plurime nozioni di titolo esecutivo, diverse tra c.p.c. e leggi speciali, ed alla nozione di certezza si è sempre riconosciuta una forte relatività [12], più propriamente stimandosi inutile ricercare “sul piano della natura un qualcosa che unifichi i titoli esecutivi” [13]. Il discorso caratterizza in particolar modo la esecuzione forzata tributaria (e così esemplarmente e di riflesso l’ambito delle sue opposizioni [14]), inclusa tra i casi di titoli di formazione stragiudiziale, per i quali il grado di certezza ritenuto dal legislatore sufficiente, ad un tempo, per consentire l’assoggettamento del debitore all’esecuzione e ritenere l’improbabilità della contestazione, discende non già oggettivamente dall’atto che lo incorpora bensì dalla qualità del soggetto che, in esso qualificandosi creditore, lo ha formato [15]. La indubbia assonanza con forme d’autotutela che realizzano l’esecuzione sostanzialmente senza titolo – plastica evidenza della relatività del principio nulla executio sine titulo [16] – valorizza, solo se entro questi ben precisi e descrittivi limiti ed invero anche di là della indagine sulle situazioni giuridiche coinvolte, il senso della teoria che questa speciale esecuzione ricostruisce in ottica “amministrativa” [17]. Storicamente, il titolo esecutivo nasce dal judicatus e poi si evolve a quest’ultimo equiordinando il confessus [18]. La esecuzione esattoriale, limitandosi all’ultimo ventennio – così, a volerla classificare, essa rientrerebbe in linea teorica massimamente nelle fattispecie per le quali del titolo prevale la funzione probatoria [19] – non segue in alcun modo codesto solco [20]: e questo per la semplice ragione che l’esattore non [continua ..]
È facile a dirsi oggi, ma si vuol comunque precisare che, date le superiori premesse in punto d’eccezionalità dello strumentario apprestato al riscossore, oltre che di previsione ex lege di un più esteso ruolo del g.o., era inevitabile che prima o poi detto strumentario si sarebbe scontrato col tema di sufficienza/adeguatezza delle garanzie [43]. Se già l’originario divieto delle opposizioni di cui all’art. 54, comma 2, D.P.R. n. 602/1973 poteva spiegarsi anche sul piano del difetto di potere giurisdizionale sulla scorta dei medesimi principi che informano il rapporto tra titoli giudiziali e opposizioni [44], si era pure osservato come tale divieto di per sé non bastasse ad emettere un giudizio di incostituzionalità, dovendosi invece indagare se le situazioni giuridiche sostanziali incise ricevessero o meno una tutela equiparabile a quella di cui avrebbero goduto se permesse le opposizioni [45]. Non deve allora stupire che siasi giunti all’arresto di Corte cost. n. 114/2018 [46], come si è scritto il primo in senso “positivo” sul crinale del riparto della giurisdizione [47]: accolto con reazioni diffusamente favorevoli [48] e col quale la Consulta ha aperto la via alla opposizione alla esecuzione (sino ad allora vietata, salva quella per impignorabilità) quale mezzo per contrastare la efficacia incondizionata del titolo esecutivo che ne costituisce il fondamento [49]. La Corte costituzionale, ponendolo a “prova di resistenza” [50], ha dunque censurato l’art. 57, D.P.R. n. 602, dichiarando il sistema non appagato dalla sola previsione di chiusura dell’art. 59, che sancisce il diritto al risarcimento del danno per la esecuzione esattoriale ingiusta [51], e così estendendo la proponibilità dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., con riferimento solo esemplificativo alla ipotesi tipica di sopraggiunta caducazione del diritto di procedere ad esecuzione, per intervenuto pagamento [52], ma anche per sopravvenuta temporanea improponibilità della azione esecutiva [53] (non consentendo la sola opposizione per impignorabilità [54] di ammettere anche quelle diverse ipotesi in considerazione [55]). Si è avanzato, a critica dell’arresto, il dubbio che di cause temporanee di improponibilità anche diverse – ostative al potere di [continua ..]
Volgendo al riparto ed alla posizione della Corte di Cassazione, che, tra le varie, è sicuramente quella più di tutte mossa dalle istanze in fatto ricordate in premessa, ribadiamo che alla succitata riforma del 1999 fece di lì a poco seguito quella che condusse alla riscrittura dell’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992 [61]: attributiva al g.t. di “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati”, ma ciononostante riservante un ruolo al g.o. circa gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella. Ne emergeva e ne emerge la evidente ratio di riservare alla giurisdizione speciale la cognizione sulla pretesa vantata dall’ente impositore. Si pensi che, per taluno, una simile indicazione di principio avrebbe dovuto contribuire a “ridurre la frequenza delle controversie relative al riparto” [62].
Sennonché, a confutare la previsione appena riportata, sin da ben prima dell’intervento pro contribuente della Consulta più sopra analizzato, erano osservabili soluzioni difformi in punto di allocazione della giurisdizione: nella rilevantissima ipotesi del c.d. pignoramento a sorpresa, di cui si dirà infra, ma anche in molte altre, risolte nei più casi a vantaggio della estensione della giurisdizione tributaria: per le sanzioni non tributarie, per l’accertamento del credito tributario da espropriare [63], per il peculiare caso di opposizione, da parte del socio di società di persone, del beneficium excussionis di cui all’art. 2304 c.c. [64], nonché già, pur se in ambiti non direttamente riconducibili alla riscossione, per le impugnazioni del preavviso di fermo, le iscrizioni di ipoteche, ecc. [65].
La sentenza delle Sezioni Unite, n. 13913/2017, ha regolato, in senso difforme a precedente giurisprudenza della S.C. ed asseritamente componendo un contrasto insorto, il caso del c.d. pignoramento a sorpresa: ossia del processo esecutivo avviato in assenza della previa notificazione (o della sua inesistenza e/o nullità) del titolo. In buona sostanza: la vicenda del contribuente che, non essendo mai stato messo a parte, neppur con le già di per loro particolari modalità riservate al riscossore, della esistenza di un debito a suo carico, subisca direttamente il pignoramento, magari della temutissima species di quello presso terzi esattoriale di cui agli artt. 72-72 bis, D.P.R. n. 602/1973. L’art. 57, D.P.R. n. 602 a tutt’oggi vigente, come più sopra accennato, consente la opposizione agli atti esecutivi ma non se relativa “alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo” e se tale eccezione è da sempre agevolmente spiegabile perché in tal caso il giudice cui si ascrive il potere di conoscere è senza dubbio il g.t. [66], da essa restava testualmente fuori il caso qui in considerazione, in cui si fosse giunti sì al pignoramento, ma fosse, ad es., del tutto mancata la notificazione del titolo e quindi anche del precetto. La sentenza n. 13913/2017, nel risolvere la dubbia fattispecie riconoscendo la giurisdizione del g.t., ha suscitato molteplici critiche e determinato conseguenze che, tangibilissime, si apprezzano a tutt’oggi [67]. Trattavasi di assegnare all’uno o all’altro plesso la cognizione sulla opposizione agli atti, successiva poiché ad esecuzione già avviata, ma facente leva su un vizio degli atti prodromici: fattispecie che le Sezioni Unite hanno ritenuto, nel dubbio, di attribuire al g.t., così dando luogo ad una opposizione/impugnazione da loro definita come “recuperatoria” di quella che, dinanzi allo stesso g.t., avrebbe riguardato il titolo, ove notificato [68]. A commento critico di quella pronuncia (nelle cui basi, di lì in poi riprese, si annidano gli sviluppi problematici successivi e che, a dispetto della recente decisione della Corte costituzionale, continuano a destare criticità), si è a suo tempo anzitutto osservato che il giudice munito di giurisdizione si individua in base all’atto impugnato [69] e non in base ai motivi posti [continua ..]
Più di recente le Sezioni Unite, con la ord. 14 aprile 2020, n. 7822, rel. Frasca, sono tornate sui medesimi temi, proseguendo in buona parte la linea tracciata dalla n. 13913/2017, prendendo atto dell’arresto di Corte cost. n. 114/2018, ma di qui in poi obiettivamente rendendo il sistema ancor più intricato, così attirando a sé critiche financo superiori rispetto a quelle sopra censite. La pronuncia, quantunque dunque da più parti criticata [79], risulta peraltro, nel complesso, un articolato e meritorio arresto, e se un demerito le si può attribuire esso risiede nel non aver voluto revocare in dubbio la soluzione offerta dal precedente del 2017, come visto foriera di complicazioni applicative [80], pur se al confronto compiendo qui qualche utile passo in avanti. Venendo a trattarne i punti essenziali: del riparto fondato sui “motivi” e non esattamente sull’atto oggetto della impugnazione, assunto che tale sentenza riprende tal quale dalla precedente, si è già detto poco sopra. Non suscita poi troppe perplessità a nostro avviso la soluzione teorizzatavi nel caso di cumulo condizionale di domande: ossia che, quando esso sia per ipotesi erroneamente sciolto dal giudice territoriale (ma dovrebbe assumersi identico esito per il caso di mancato scioglimento) la S.C. avrebbe il potere-dovere di accertare la giurisdizione sulla domanda principale nonché, senza esprimersi sullo scioglimento del cumulo appunto ciò che compete fare al giudice del merito, solo in via condizionata e dunque pro futuro sulle subordinate: una simile statuizione condizionale – di là dei dubbi che, nel caso concreto, potevano riguardare l’ammissibilità del regolamento d’ufficio [81], ma non anche, aggiungiamo noi, del generale strumento dell’art. 362 c.p.c.– non parendo vietata dall’ordinamento ma anzi, attesa la soluzione che le sez. un. intendevano adottare, risultando una acuta modernizzazione dello strumento, notorio “porto sicuro” del nostro sistema giurisdizionale, dell’art. 41 c.p.c. [82]. Le Sezioni Unite, in altri termini, consapevoli che in subiecta materia, complici loro stesse, si prospetta un riparto non del tutto … “disteso”, hanno così cercato di … limitare i danni. È indubbio per altro verso che ne sia stato restituito ai futuri giudici a quo [continua ..]
Ad aver causato questa tormentata evoluzione non si crede sia stata una lettura forzatamente civilistica degli istituti in esame, ma in special modo le varie istanze fattuali rammentate in premessa. Quanto a quelle in iure, per più tempo e di netto recessive ma tornate in auge con la Consulta, è a ribadirsi che, successivamente alla formazione del titolo, l’incedere secondo schemi del processo civile, per ciò che attiene agli atti della esecuzione forzata tributaria, deriva da una esplicita voluntas legis. E da questi schemi non può che derivare una inevitabile diffidenza sulla “vacillante” certezza del titolo esecutivo tributario, al fondo il problema diventando come è spesso, alla luce delle sentenze in rassegna, di prevedibilità e certezza del diritto: viepiù visto che, siccome riferendosi al riparto, la individuazione della titolarità del potere dovrebbe assicurarsi per legge stricta, certa, e via dicendo. Tutt’altro che certi sono invece gli esiti che discendono dal suesposto quadro giurisprudenziale: tra l’altro, a ben vedere assai rassegnatamente orientati ad accettare una fattispecie, quella del c.d. pignoramento a sorpresa, che “patologica”, quando in tutta franchezza intollerabile, è davvero dir poco. Come accaduto per la giurisdizione amministrativa, rispetto alla quale l’art. 103, comma 1, Cost. ha da tempo perso il suo contenuto precettivo, anche qui occorrerebbe prender atto che “i problemi saranno sempre meno quelli relativi al riparto … ma quelli delle garanzie della giurisdizione e del processo” [88]. Senza escludere quindi la vigente predilezione, di legge, e soprattutto della giurisprudenza di cassazione, per il plesso giurisdizionale speciale, con rinnovata enfasi sulle forme crediamo che, per fronteggiare i problemi riscontrati, sia piuttosto il caso di concentrare l’attenzione sulla “certezza” dei titoli tributari. In proposito, se si abbandonano i nichilismi, risulta invero inaccettabile che l’amministrazione finanziaria, che già in via del tutto eccezionale è legittimata ad auto-produrre il titolo esecutivo, sovente ometta persino di farlo mettendone a parte il debitore/contribuente, e ciò sia per la ipotesi di notifiche del tutto mancate, sia per quelle, forse più frequenti, meramente – ma non meno gravemente – nulle. Alla vicenda [continua ..]