Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Sui princìpi del diritto al silenzio in diritto sanzionatorio tributario (di Alessandro Giovannini)


Il diritto al silenzio è senz’altro compatibile con i princìpi propri al diritto tributario. La sua applicazione però intanto è predicabile in quanto il “silenzio” risponda ad un comportamento difensivo all’interno di un procedimento d’accertamento o controllo della capacità contributiva del soggetto passivo in esito al quale sia prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa – propria o impropria – avente i caratteri sostanziali dell’afflizione purché il di lui comportamento non integri la violazione di un obbligo collaborativo che affianca, e nel sul esercizio sostituisce, il potere acquisitivo che l’amministrazione potrebbe esercitare autonomamente.

 

On the principles of the right to silence in tax penalty rules

The right to silence is certainly compatible with the principles of tax law. Its application, however, is admissible provided that the “silence” represents a defensive behaviour within a procedure of tax assessment or tax control of the taxpayer’s ability to pay, as a result of which a tax administrative penalty – proper or improper – that substantially has an afflictive nature is imposed. This conduct should not constitute a breach of the taxpayer’s duty to cooperate that accompanies, and sometimes replaces, the power of acquisition that the tax authorities may exercise autonomously.

SOMMARIO:

1. Introduzione. Il diritto al silenzio come diritto soggettivo di difesa - 2. Conclusioni (anticipate) sull’applicazione del diritto al silenzio in ambito tributario e sui suoi limiti generali - 3. La compatibilità costituzionale del diritto al silenzio con l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche - 4. Il diritto al silenzio nella tensione tra posizioni giuridiche delle parti del procedimento d’accertamento o controllo - 5. La radice del dovere di collaborazione tra vincolo solidaristico e poteri derivati riferiti al privato - 6. Lo spazio applicativo dello ius tacendi - 7. Sanzioni proprie, improprie e possibili equivoci concettuali - NOTE


1. Introduzione. Il diritto al silenzio come diritto soggettivo di difesa

Per i principi costituzionali nazionali e sovranazionali, il diritto al silenzio costituisce articolazione del diritto soggettivo di difesa proprio di chi è chiamato dall’autorità a dare notizie o narrare accadimenti a sé sfavorevoli [1]. Il silenzio esercitato in ragione della difesa, perciò, consente di attribuire un valore giuridico positivo ad un comportamento omissivo altrimenti macchiato da antigiuridicità. È un diritto, quello al silenzio, dalle radici antiche, nato in seno al diritto penale e al diritto processuale penale, ma tornato d’attualità dopo che la Corte di giustizia dell’Unione europea e la Corte costituzionale italiana lo hanno ritenuto estensibile al diritto sanzionatorio amministrativo e al procedimento amministrativo [2]. In ambito tributario si sta discutendo, perciò, se un diritto siffatto sia compatibile con i princìpi costituzionali sul concorso impositivo alle pubbliche spese e se, in concreto, siano individuabili ipotesi normative nelle quali possa trovare applicazione [3].


2. Conclusioni (anticipate) sull’applicazione del diritto al silenzio in ambito tributario e sui suoi limiti generali

Rovesciando il tradizionale ordine illustrativo, espongo subito le mie conclusioni, consegnando ad esse l’attacco tetico. Lo ius tacendi è senz’altro compatibile con i princìpi di diritto tributario. La sua applicazione intanto è predicabile, però, in quanto il “silenzio” risponda ad un comportamento difensivo all’interno di un procedimento d’accerta­mento o controllo della capacità contributiva del soggetto passivo in esito al quale sia prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa – propria o impropria – avente i caratteri sostanziali dell’afflizione [4], purché il di lui comportamento non integri la violazione di un obbligo collaborativo che affianca, e nel sul esercizio sostituisce, il potere acquisitivo che la pubblica autorità potrebbe esercitare autonomamente.


3. La compatibilità costituzionale del diritto al silenzio con l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche

Il ragionamento che intendo svolgere a spiegazione della conclusione sinteticamente esposta muove da un doppio presupposto. Il diritto tributario, anzitutto, è un diritto come tutti gli altri e dunque metodo e criteri d’interpre­tazione non divergono da quelli propri di altri settori dell’ordinamento [5]. Il secondo presupposto è questo: l’obbligo contributivo previsto dall’art. 53 Cost., conseguente al vincolo solidaristico scolpito nell’art. 2, non ha per sé stesso privilegio nella scala dei valori costituzionali [6]. E infatti, come non si può accettare l’esistenza di “diritti tiranni” [7], così non sono concepibili “obblighi tiranni”, in grado cioè di contrapporsi, per “azzerarli”, a diritti soggettivi fondamentali [8]. Anche l’obbligo contributivo, perciò, soggiace alle regole generali di contemperamento proprie a qualsiasi altra posizione giuridica costituzionalmente rilevante. Questa precisazione è tanto utile quanto più s’intenda arrivare subito al nocciolo della questione. Se il silenzio, come ho detto, traduce un comportamento espressivo del diritto alla difesa, ovvero e in altre parole, se il silenzio come difesa consente di valutare positivamente un comportamento omissivo altrimenti qualificabile come antigiuridico, in linea di principio nessuna preclusione può essere opposta al suo esercizio nel procedimento impositivo. L’obbligo contributivo e la capacità contributiva che fonda quell’obbligo, non sono autocostitutivi di posizioni di supremazia dell’amministrazione finanziaria, né è conforme o sarebbe conforme al diritto costituzionale moderno una “giurisprudenza degli interessi” che tendesse ad assegnare all’interesse fiscale ruolo assorbente e privilegiato nella dinamica del procedimento tributario. E neppure si può ritenere che l’interesse collettivo o gli interessi collegati alla ipostatizzata figura statale prevalgano sempre ed in ogni caso, perché superiori ontologicamente, sui diritti degli individui, specialmente quando questi presidiano la loro dignità [9]. Questo non significa negare agli artt. 2, 3 e 53 Cost. forza vincolante e men che meno significa negare loro funzione costitutiva dell’ob­bligo di concorrere alle spese pubbliche. Vuol dire, piuttosto, [continua ..]


4. Il diritto al silenzio nella tensione tra posizioni giuridiche delle parti del procedimento d’accertamento o controllo

Segnati i confini della trama costituzionale, il silenzio deve essere studiato nella sua effettiva qualificazione: come alter ego del diritto di difesa, il suo “altro da sé”, ma pur sempre “sé”. Muovendo da questa considerazione, il ragionamento si semplifica e il suo nocciolo diventa questo: solo quando l’esercizio del nemo tenetur se detegere è causato dal precedente o concomitante esercizio del potere d’indagine di un organo dello Stato, il silenzio stesso diventa difesa [10]. In ogni altro caso, il silenzio deve essere qualificato per quello che è: omissione o inadempimento di un obbligo. Seppure in un contesto di tensione tra posizioni giuridiche delle parti, come questo, il silenzio non può tuttavia essere invocato se cade su elementi che l’amministrazione potrebbe acquisire con l’esercizio diretto dei poteri di accesso, ispezione e sequestro. E infatti, se le richieste della pubblica autorità cadono su documenti o atti prodromici e strumentali alla dichiarazione [11] o anche solo strumentali al controllo della sua veridicità e completezza [12], il silenzio si formerebbe su elementi che l’amministrazione potrebbe senz’altro apprendere in autonomia. E che solo per ragioni di efficienza ed efficacia dell’azione il legislatore ha reputato conveniente farli trasmettere o consegnare direttamente dal contribuente, com’è chiaramente desumibile dall’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 [13].


5. La radice del dovere di collaborazione tra vincolo solidaristico e poteri derivati riferiti al privato

Le osservazioni da ultimo svolte esigono un chiarimento ulteriore. Per individuare la radice degli obblighi strumentali di esibizione e consegna ai quali or ora si è fatto riferimento e per cogliere il motivo per il quale il silenzio in tali circostanze non può trovare giustificazione, si possono seguire strade diverse. Si può muovere da una lettura estensiva dell’art. 2 Cost. Si può sostenere che, come l’obbligo di dichiarazione assolve un dovere strumentale alla realizzazione del valore solidaristico di concorrere alle spese pubbliche, così gli obblighi secondari concorrono alla realizzazione dello stesso vincolo, compresi quelli il cui adempimento è collegato ad una richiesta dell’amministrazione [14]. Oppure, nella ricerca di quella radice, si può scegliere di abbandonare il riferimento diretto ai valori costituzionali. È la strada che a me sembra preferibile, poiché richiamarsi ad essi fa correre il rischio, da un lato, di applicarli impropriamente, ossia di utilizzarli oltre le loro reali funzioni e i loro “naturali” confini come fossero passe-partout buoni ad ogni uso; dall’altro, di scivolare nuovamente nell’equivoco concettuale della loro supremazia su concorrenti valori posti a presidio dei diritti del singolo [15]. Il motivo più convincente, però, per me è un altro. Utilizzare l’art. 2 Cost. per giustificare i doveri di collaborazione endoprocedimentali rischia di sfociare in argomentazioni che, alla prova dei fatti e per coerenza logica ancor prima che sistematica, potrebbero non lasciare margini residuali di applicazione al diritto di tacere. In parole semplicissime, di sfociare in argomentazioni che alla fine “provano troppo” [16]. Infatti, se la radice del dovere di collaborazione sta nell’art. 2, tutte le richieste della pubblica amministrazione potrebbero essere intese come funzionali o strumentali alla realizzazione del vincolo solidaristico del concorso alle pubbliche spese. E ciò anche quando, invece, seguendo un’impostazione alternativa e anelastica, il silenzio potrebbe essere applicato conformemente alla sua ratio. Credo che l’alternativa si possa costruire collegando il dovere di collaborazione al potere amministrativo di acquisizione diretta degli elementi i­struttori e dunque qualificando il dovere collaborativo stesso come potere [continua ..]


6. Lo spazio applicativo dello ius tacendi

Quale, allora, lo spazio applicativo del diritto al silenzio? Mi pare di poter dire che il suo esercizio si possa considerare legittimo nelle ipotesi in cui la legge consente all’amministrazione di invitare il contribuente a comparire di persona per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento [20]. Ed anche nelle ipotesi in cui è legittimata a procedere per il medesimo scopo in forma scritta [21]. Lo stesso si deve dire, ritengo, per l’invito a rendere notizie durante accessi ed ispezioni. Un conto, infatti, è se l’agente in quei frangenti intima di consegnare un documento o uno scritto che lo stesso agente potrebbe acquisire con l’esercizio diretto dei poteri di controllo [22], altro è se la domanda si appunta su notizie od elementi dei quali non potrebbe avere altrimenti riscontro, giacché acquisibili solo con l’“interrogatorio” del contribuente, tramite, in buona sostanza, una sua “confessione”. Il nemo tenetur se detegere è nato, proprio, per casi simili: proteggere l’inqui­sito che, sottoposto ad interrogatorio, si sarebbe potuto trovare costretto, anche solo moralmente, a rendere edotta l’autorità su questioni a sé sfavorevoli che la stessa non avrebbe potuto conoscere o delle quali non avrebbe potuto formarsi un convincimento compiuto, almeno nell’immediatezza, se non attraverso l’interrogatorio o la confessione indotta. Il diritto a non concorrere alla propria incolpazione, stringi stringi, sta proprio e tutto qui. E sono proprio queste le circostanze che rendono il diritto di tacere “l’altro da sé” del diritto di difesa.


7. Sanzioni proprie, improprie e possibili equivoci concettuali

Le cose fin qui dette consentono di esaminare un ultimo profilo conseguente all’esercizio del diritto di tacere: quello sanzionatorio. Iniziamo col ricordare che le sanzioni amministrative si possono distinguere in proprie ed improprie [23]. Cosa siano le une e le altre è aspetto ormai noto e sul quale, qui, reputo non essenziale soffermarmi. La riflessione, invece, deve cadere su aspetti specifici che si legano a questa distinzione. Muoviamo dalle sanzioni proprie. In seno ad esse occorre separare quelle composte in funzione della violazione dell’obbligo di parlare dalle sanzioni collegate a fattispecie evasive del tributo che possono o potrebbero essere comprovate dalla narrazione del contribuente a sé sfavorevole. La illegittimità delle prime si può predicare quando rivolte a punire un comportamento che in realtà si conforma allo ius tacendi [24]. È il caso nel quale la sanzione rappresenta anche solo una minaccia al comportamento omissivo del contribuente sottoposto ad accertamento. Il vizio di previsioni simili è tanto più grave in quanto legato a fil doppio, ancor prima che all’art. 24 Cost., all’art. 3, sotto il profilo della irragionevolezza e arbitrarietà delle scelte legislative. Vizio che potrebbe perfino connotarsi come “uso distorto della discrezionalità” a tal punto elevato da “raggiungere una soglia di evidenza tale da atteggiarsi alla stregua di una figura per così dire sintomatica di eccesso di potere e, dunque, di sviamento rispetto alle attribuzioni che l’ordinamento assegna alla funzione legislativa” [25]. Più complesso è il discorso sulle seconde. Le sanzioni collegate all’accer­tamento del credito o del maggior credito erariale vengono giocoforza in considerazione come conseguenza dell’accertamento stesso. È perfino banale rilevarlo. Ma questa constatazione torna utile per chiarire che nella logica sistematica del diritto al silenzio esse possono bensì rilevare, ma soltanto come elementi comparativi del suo corretto esercizio. È esattamente la riproduzione di quel che accade in ambito penale: come in questo le pene si pongono a fronte della conoscenza di fatti di reato e dunque sono esse stesse, anche se solo previste, l’effetto indesiderato e perciò combattuto dall’indagato con l’arma difensiva del silenzio, [continua ..]


NOTE