Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


L'estinzione delle società di capitale e le imposte evase tra la riscossione coattiva sui soci, lo stimolo all'adempimento spontaneo e l'inesorabile perdita di gettito tributario (di Giuseppe Ingrao)


Sono trascorsi quasi dieci anni dall’intervento normativo che si prefiggeva di tutelare la riscossione dei debiti tributari rimasti insoddisfatti nella procedura di liquidazione culminata con la cancellazione ed estinzione della società di capitali. La previsione della validità degli atti impositivi notificati alle società civilisticamente estinte ha solo in parte risolto i problemi. Ed infatti, la riscossione delle imposte evase dalle società estinte resta prevalentemente affidata all’adempimento spontaneo da parte dei soci delle società “fisiologicamente” liquidate a seguito della notifica dell’atto impositivo ex art. 28, D.Lgs. n. 175/2014, e senza attendere la notifica dell’avviso di accertamento con cui si fa valere la loro responsabilità ex art. 36, D.P.R. n. 602/1973. Ben poco, invece, si riesce a riscuotere nei confronti di quelle società “patologicamente” o “fraudolentemente” liquidate e cioè cancellate in modo programmato in presenza di debiti insoddisfatti; nelle cancellazioni “di comodo” i soci o non ricevono “ufficialmente” beni sociali in sede di liquidazione, in quanto i proventi societari vengono incassati senza emissione di documenti contabili e fiscali, ovvero se ricevono beni in sede di liquidazione si mostrano nullatenenti agli occhi del Fisco, spogliandosi immediatamente di quanto loro assegnato, determinandosi un’inesorabile perdita di gettito tributario.

The extinction of companies and evaded taxes between forced collection on shareholders, stimulus to spontaneous compliance and inexorable oss of tax revenue

Almost ten years have passed since the regulatory intervention that aimed at protecting the collection of tax debts remained unsatisfied in the liquidation procedure culminated in the cancellation and extinction of companies. The provision of the validity of notices of assessment served to companies terminated according to private law has only partially solved the problems. In fact, the collection of taxes evaded by extinct companies remains mainly entrusted to the spontaneous fulfillment by the shareholders of the “physiologically” liquidated companies following the notification of the notice of assessment pursuant to Art. 28, Legislative Decree no. 175/2014 and without waiting for the notification of the notice of assessment by which their liability is asserted pursuant to Art. 36, Presidential Decree no. 602/1973. Very little, on the other hand, may be collected against those companies that have been “pathologically” or “fraudulently” liquidated, i.e. cancelled in a planned manner in presence of unsatisfied debts; in such “convenience” terminations, shareholders either do not “officially” receive any company assets during the liquidation, as the company proceeds are collected without issuing accounting and tax documents; or, if they receive assets during the liquidation, they are shown to have no ownership in the eyes of the tax authorities, immediately stripping off the amount assigned to them and resulting in an inexorable loss of tax revenue.

Keywords: company extinction, cancellation from the register of companies, evaded taxes, notification of the notice of assessment, shareholders’ liability for taxes and penalties.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. I tributi evasi dalle società cancellate dal registro delle imprese tra le maggiori pretese dell’Ufficio impositore e l’omesso versamento del dichiarato - 3. La centralità della responsabilità dei soci per la riscossione dei debiti societari insoddisfatti - 4. Le criticità della notifica degli avvisi di accertamento alle società cancellate dal registro delle imprese alla luce della riforma dell’art. 2495 c.c. - 5. L’intervento del legislatore con l’art. 28, comma 4, D.Lgs n. 175/2014: l’ambigua “sopravvivenza fiscale” delle società civilisticamente estinte - 5.1. Segue: dalle critiche della dottrina alla recente affermazione della legittimità costituzionale della norma - 5.2. Segue: la concreta efficacia dell’art. 28 nella dinamica delle società “fisiologicamente” o “patologicamente” estinte - 6. Le persistenti criticità sul procedimento di riscossione in capo ai soci dei debiti tributari societari non soddisfatti dai liquidatori - 6.1. Quale tipologia di atto occorre adottare per far valere la responsabilità dei soci e quale contenuto motivazionale esso deve presentare? - 6.2. L’azione sui soci presuppone la definitività dell’avviso di accertamento societario? - 6.3. Quali termini per la notifica dell’atto con cui si fa valere la responsabilità dei soci? - 6.4. La responsabilità dei soci intra vires è per l’intero o pro quota? - 6.5. La responsabilità dei soci si estende alle sanzioni amministrative irrogate alla società? - 7. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

La riscossione dei tributi evasi dalle società di capitali poste in liquidazione ed estinte rappresenta un argomento di persistente attualità, nella misura in cui, nonostante il recente intervento del legislatore, non può ritenersi realizzato il buon fine dell’azione impositiva e quindi compiutamente tutelato l’inte­resse fiscale alla percezione dei tributi. Devo avvertire preliminarmente che il tema è stato oggetto di numerosi contributi della dottrina tributaria, orientati a sistematizzare le soluzioni prospettate dal legislatore e dalla giurisprudenza [1]. Tenterò, quindi, di riassumere le criticità già prospettate, cercando di offrire ulteriori spunti di riflessione. Sui profili sostanziali della cancellazione delle società dal registro delle imprese [2], mi limito a fare piccoli cenni, nella misura in cui risultino necessari per cogliere le ricadute tributarie, specificamente connesse all’esercizio del potere di accertamento e riscossione dei tributi nei confronti dei soggetti in questione. Per contenere il mio intervento nei tempi prefissati, dopo aver chiarito i profili connessi all’accertamento societario, mi occuperò esclusivamente della responsabilità dei soci per debiti non soddisfatti in sede di liquidazione. Tralascio quindi la posizione dei liquidatori e degli amministratori in carica alla data dello scioglimento se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori [3], i quali vengono chiamati a rispondere in proprio dei debiti sociali in caso di loro colpa e più specificamente, per ciò che concerne i debiti tributari, qualora non adempiano all’obbligo di pagare con le attività della liquidazione le imposte dovute per il periodo della liquidazione; per quelli anteriori rispondono parimenti del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione dei beni ai soci, ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari.


2. I tributi evasi dalle società cancellate dal registro delle imprese tra le maggiori pretese dell’Ufficio impositore e l’omesso versamento del dichiarato

Prima di entrare in medias res, è doverosa una breve precisazione finalizzata a contestualizzare il tema oggetto di analisi. Nel titolo della mia relazione vi è un espresso riferimento ai “tributi evasi” dalle società estinte. Tale espressione evoca, innanzitutto, la condotta di occultamento della materia imponibile realizzata dal soggetto passivo, o una irregolare qualificazione giuridica, a cui corrisponde un minor versamento di imposte rispetto a quelle effettivamente dovute; in questa misura, i tributi evasi dalle società estinte sono rappresentati dalle maggiori imposte pretese dal Fisco, unitamente alle sanzioni e agli interessi, con la notifica di un avviso di accertamento [4]. La nozione di tributi evasi, tuttavia, non può arrestarsi ai casi di condotte infedeli dei contribuenti relative alla quantificazione della base imponibile, in quanto essa include anche gli omessi versamenti di imposte correlate a fatti imponibili regolarmente dichiarati dal contribuente. Poco importa se il soggetto passivo non commetta irregolarità sulla determinazione degli imponibili dichiarati, ma “si limiti” ad omettere il pagamento dei debiti risultanti dalla dichiarazione: siamo, comunque, in presenza di una imposta che deve essere recuperata dal Fisco tramite una attività amministrativa. I tributi evasi dalle società estinte possono, quindi, ricondursi anche alle dichiarazioni tributarie relative alla fase della liquidazione o a periodi d’imposta pregressi per le quali non risulta il corrispondente assolvimento dell’obbligo di pagamento. Il differente apprezzamento delle predette condotte di evasione fiscale sussiste solo nella prospettiva sanzionatoria, la quale è più rigida nel caso del soggetto che occulta i fatti economici realizzati, e quindi commette infedeltà sul piano della determinazione degli imponibili e delle imposte dovute, e più lieve nelle ipotesi in cui l’irregolarità tributaria attiene esclusivamente alla fase del versamento delle imposte riconducibili ad una dichiarazione “fedele”, regolarmente presentata. Ed allora, i tributi evasi dalle società estinte per i quali si pone il problema della riscossione possono scaturire sia da un’attività di controllo e rettifica delle singole dichiarazioni di periodo, che sfocia nella notifica di un avviso di accertamento, sia da ipotesi [continua ..]


3. La centralità della responsabilità dei soci per la riscossione dei debiti societari insoddisfatti

Nell’approcciarsi al tema occorre considerare preliminarmente che è diffusa tra le imprese – soprattutto ove si riscontrano insufficienti margini di redditività economica e una penuria di risorse finanziarie – la tendenza a sottrarsi al pagamento dei debiti fiscali dichiarati, dando preferenza al soddisfacimento dei creditori comuni, i quali hanno a disposizione strumenti di coercizione indiretta, nonché garanzie reali e personali, che inducono appunto l’impren­ditore ad onorare i debiti. In mancanza del pagamento spontaneo sia pur tardivo dei debiti fiscali, spesso correlato all’ottenimento di un piano di rateizzazione diluito nel tempo, sul Fisco, ricade l’onere di attivare il procedimento amministrativo di riscossione che può culminare con la fase dell’esecuzione forzata. Questa considerazione denota che il problema della riscossione dei tributi evasi, relativi alla fase della liquidazione e ai periodi di imposta pregressi, da attuarsi in epoca successiva alla cancellazione dal registro delle imprese, non è del tutto ipotetico. Qualora il comportamento infedele del contribuente non riguardi il momento del versamento del tributo, ma involga i profili di determinazione della base imponibile, per il recupero del tributo evaso il Fisco interviene “strutturalmente” dopo qualche anno dalla cancellazione della società, nel rispetto dei termini di decadenza dell’attività di accertamento [5]. Muovendo da queste premesse, si intuisce da subito che siamo di fronte ad un tema avente non solo un impatto teorico, ma anche un ampio rilievo di ordine pratico. Orbene, la riscossione dei crediti tributari del Fisco vantati nei confronti delle società di capitali estinte, essendo queste prive di un patrimonio da aggredire su cui soddisfarsi, non può che coinvolgere i soci, andando oltre l’autonomia patrimoniale della società e la loro responsabilità limitata alla quota di capitale sottoscritto [6]. Tale possibilità presuppone, però, il bilanciamento delle esigenze contrapposte dei creditori, di veder comunque soddisfatto il loro diritto, e dei soci, di affidamento al beneficio della responsabilità limitata. L’art. 2495 c.c. prevede nel secondo comma che i creditori sociali insoddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da [continua ..]


4. Le criticità della notifica degli avvisi di accertamento alle società cancellate dal registro delle imprese alla luce della riforma dell’art. 2495 c.c.

Posto che, come detto, il problema della riscossione dei debiti non soddisfatti delle società cancellate dal registro riguarda anche il mancato versamento di imposte risultanti dalle dichiarazioni di periodo predisposte prima della liquidazione, occorre innanzitutto precisare che per questa ipotesi non vi erano, né vi sono in atto, problemi di notifica dell’avviso di accertamento al soggetto estinto. Il titolo per la riscossione dei “tributi evasi” è rappresentato dalla dichiarazione predisposta dalla società e l’azione esecutiva viene sviluppata nei confronti dei soci nei limiti di quanto prevede l’art. 36, D.P.R. n. 602/1973. Utilizzando le tradizionali elaborazioni degli studiosi del diritto commerciale [21], in questo caso ci troviamo di fronte a “residui passivi” ascrivibili alla categoria delle “sopravvivenze”, in quanto il debito preesisteva alla cancellazione e che dovrebbero risultare dal bilancio finale di liquidazione. Con riguardo ad eventuali tributi evasi – correlati a violazioni della normativa sulla determinazione della fattispecie imponibile contestate nel corso di verifiche fiscali o di altre procedure di controllo – la pretesa creditoria del Fisco si forma solitamente in epoca successiva alla cancellazione. Emergono, quindi, criticità sull’individuazione del soggetto cui innanzitutto intestare e notificare l’atto di rettifica della dichiarazione, cioè l’avviso di accertamento. Siamo qui in presenza di debiti insoddisfatti che, gli studi del diritto commerciale, ascrivono alla categoria delle “sopravvenienze” le quali non risultano dal bilancio finale di liquidazione. Prima della riforma dell’art. 2495 c.c., la giurisprudenza, nella prospettiva di tutelare quei creditori che agivano strutturalmente con ritardo (tra cui in particolare il Fisco e gli enti previdenziali), affermava che la cancellazione della società dal registro delle imprese rappresentava solo una presunzione di estinzione, superabile qualora non tutti i creditori sociali fossero stati integralmente soddisfatti [22]. Se, quindi, l’esistenza di debiti sociali ancora da onorare faceva rivivere la società, la cancellazione non poteva che aveva una mera valenza dichiarativa. In questo contesto, a prescindere dal momento di svolgimento della verifica fiscale (antecedente o successivo alla cancellazione), [continua ..]


5. L’intervento del legislatore con l’art. 28, comma 4, D.Lgs n. 175/2014: l’ambigua “sopravvivenza fiscale” delle società civilisticamente estinte

Esistendo il rischio di declaratoria di illegittimità degli avvisi di accertamento notificati alle società estinte, e che tale eventualità poteva travolgere anche gli atti notificati ai soci finalizzati a far valere la loro eventuale responsabilità, il legislatore è intervenuto con l’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175/2014, nel contesto dell’attuazione di una legge delega orientata alla semplificazione tributaria, disponendo che “Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese”. Per la tutela dell’interesse pubblico alla riscossione, che poteva essere minato da un atto unilaterale del contribuente (la richiesta di cancellazione), si è introdotta una norma avente la specifica funzione di regolarizzare la formazione del titolo giuridico della pretesa nei confronti della società di capitali estinta per rendere di fatto praticabile l’azione di riscossione nei confronti dei soci [33]. È sostenibile che l’art. 28 citato, pur regolando il regime di validità degli atti di accertamento riscossione e sanzionatori rivolti alla società estinta, fissi di fatto una disciplina tributaria derogatoria rispetto a quella ricavabile dall’art. 2495 c.c. in merito agli effetti della cancellazione dal registro delle imprese: avremmo segnatamente l’estinzione civilistica da un lato e la “sopravvivenza fiscale”, o la “agonia fiscale” se si preferisce [34], dall’altro. Quest’ultimo fenomeno è ovviamente limitato alla dimensione procedimentale e processuale della società estinta e non certamente sostanziale, cioè per l’assoggettamento pro futuro a nuovi obblighi tributari formali e sostanziali (Ires, Iva Irap, etc.) anche qualora dovessero emergere delle sopravvenienze attive [35]. L’idea di una sopravvivenza fiscale è, quindi, del tutto circoscritta ed asserita solo nella prospettiva di rendere coerente il regime di validità degli atti impositivi e sanzionatori, caratterizzati dalla recettizietà. Ed infatti, gli avvisi di accertamento e in generale tutti [continua ..]


5.1. Segue: dalle critiche della dottrina alla recente affermazione della legittimità costituzionale della norma

L’innovazione normativa del 2014 è stata oggetto di accese critiche. Innanzitutto per la scarsa qualità della formulazione testuale, riscontrata non solo dalla dottrina [46] ma anche dalla giurisprudenza [47], la quale ha dovuto “smontare” la disposizione e chiarire – con un certo imbarazzo – il significato di espressioni poco felici quali atti di contenzioso, atti di sanzioni, etc. Secondariamente per i forti dubbi di ragionevolezza connessi al fatto di decretare la sopravvivenza fiscale di società prive di un patrimonio destinato allo svolgimento di una attività economica e di organi sociali. Tralasciando l’aspetto della tecnica legislativa, in effetti, la disposizione lascia emergere forti criticità sul luogo presso il quale esperire la notifica degli atti impositivi: dall’art. 28 non può dedursi, infatti, la sopravvivenza della sede legale [48], luogo nel quale ai sensi dell’art. 145 c.p.c. si esegue la notifica degli atti alle società [49]. Ancora emergono dubbi con riferimento alla legittimazione dell’ultimo liquidatore a svolgere alcune attività tributarie, quali la presenza alle attività istruttorie, la partecipazione alla procedura di accertamento con adesione, il conferimento del mandato ad litem, etc. Qualora si sostenga, come risulta dalla lettera dell’art. 28 [50] e da un consolidato orientamento della giurisprudenza [51], che il liquidatore non sia abilitato a svolgere queste funzioni, che resterebbero di esclusivo appannaggio dei soci quali successori universali, si creerebbero non pochi problemi, posto che questi ultimi non possiedono quelle informazioni che sarebbe utile fornire al Fisco nella fase procedimentale per ridimensionare la pretesa tributaria, o da utilizzare per una compiuta difesa nel processo. In ogni caso, e probabilmente nella prospettiva di bypassare le predette criticità, qualche Ufficio fiscale ha dubitato della correttezza del procedimento che trova copertura nell’art. 28 ed ha optato per la notifica dell’avviso di accertamento societario direttamente ai soci o a anche solo ad alcuno di essi. Quest’ultima prassi, dopo una fase di incertezza [52], è stata ritenuta corretta dalla più recente giurisprudenza, che ha peraltro precisato che la notifica diretta dell’avviso di accertamento al socio possa prescindere dalla [continua ..]


5.2. Segue: la concreta efficacia dell’art. 28 nella dinamica delle società “fisiologicamente” o “patologicamente” estinte

Per contestualizzare l’intervento del legislatore nel 2014 è utile inquadrare la rilevanza delle problematiche di riscossione delle imposte evase dalle società estinte rappresentando sinteticamente due ipotesi: l’estinzione “fisiologica” delle società e quella “patologica” o “fraudolenta” [57]. Se la società affronta fisiologicamente, cioè per il raggiungimento del programma imprenditoriale prefissato, ovvero per l’impossibilità di raggiungerlo, la fase della liquidazione con successiva estinzione di regola non emergono debiti d’impresa non soddisfatti e quindi imposte evase. In tal caso, la società in liquidazione ha un patrimonio da monetizzare sufficiente per pagare i debiti d’impresa, anche quelli fiscali; è difficile, pertanto, riscontrare che alla dichiarazione relativa alla fase della liquidazione o a periodi di imposta precedenti non segua il versamento delle somme dovute. In linea generale, allora, in presenza di una liquidazione fisiologica, la procedura si sviluppa in modo ordinato e regolare senza far emergere “residui passivi”, ponendosi eventualmente il problema dei “residui attivi”, anche di natura tributaria, e della loro ipotetica estinzione per rinuncia tacita qualora ascrivibili alla categoria delle “mere pretese” e non dei “crediti certi ed esigibili” secondo la soluzione prospettata dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2013 [58]. Potrebbe accadere, però, che la pretesa fiscale sopravvenga rispetto al periodo di avvio e completamento della liquidazione, e cioè che l’insorgenza di un debito insoddisfatto si registri pur in presenza di una procedura di liquidazione/estinzione svolta in modo impeccabile. Se in epoca successiva alla cancellazione la società estinta risulti, a qualsiasi titolo, destinataria di una richiesta di maggiori imposte rispetto a quelle dichiarate e versate, potrebbero emergere problemi di riscossione della pretesa tributarie. Con riguardo alle fattispecie di estinzione “patologica” o “fraudolenta” della società, emergono, invece, problemi di evasione e di riscossione del­l’imposta non versata. La cancellazione “di comodo” dal registro delle imprese è attuata in modo programmato con lo scopo di non versare non solo le imposte risultanti dalle [continua ..]


6. Le persistenti criticità sul procedimento di riscossione in capo ai soci dei debiti tributari societari non soddisfatti dai liquidatori

Dopo aver illustrato le problematiche di notifica dell’avviso di accertamento alla società estinta, alla luce della previsione contenuta nell’art. 28, comma 4, D.Lgs. n. 175/2014, occorre evidenziare le criticità connesse all’attuazione della responsabilità dei soci ex art. 36, D.P.R. n. 602/1973, su cui l’intervento del legislatore del 2014 ha toccato solo alcuni profili, finendo per offrire una tutela del tutto modesta dell’interesse pubblico alla riscossione dei tributi. Per quanto concerne specificamente la responsabilità dei soci, le modifiche hanno interessato il campo di applicazione della responsabilità, che non è più limitato alle sole imposte sui redditi, come disponeva testualmente l’art. 19 del D.Lgs. n. 46/1999, ma involge tutti i tributi dovuti dalla società. Rileva poi la precisazione per cui il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio, salvo prova contraria [61]. Ciò posto, soffermiamoci sulle accennate criticità applicative dell’art. 36 in merito esclusivamente alla responsabilità dei soci, invero già puntualmente evidenziate da autorevole dottrina negli anni Settanta, sia pur con particolare riferimento alla posizione dei liquidatori, che aveva lucidamente fissato alcuni pilastri fondamentali [62].


6.1. Quale tipologia di atto occorre adottare per far valere la responsabilità dei soci e quale contenuto motivazionale esso deve presentare?

Un primo problema è rappresentato dalla individuazione dell’atto previsto dall’art. 36, comma 5, attraverso cui attuare la responsabilità dei soci. La normativa si limita a prescrivere che l’atto deve essere motivato e notificato al socio: potrebbe, quindi, trattarsi di un avviso di accertamento o di una cartella di pagamento [63]. È noto che nel caso della solidarietà dipendente si ammette la possibilità di notificare al coobbligato direttamente la cartella di pagamento, senza necessità di attivare una autonoma procedura di accertamento; si realizza, quindi, una efficacia riflessa del ruolo formato nei confronti dell’obbligato principale. Trattandosi di una responsabilità che opera senza la sussistenza di specifici presupposti e senza il beneficio di preventiva escussione del debitore principale (salvo diversa previsione di legge), può al limite ritenersi ragionevole tale ricostruzione, la quale presenta comunque evidenti criticità sul fronte dell’as­solvimento dell’obbligo motivazionale e sul diritto di difesa. Questo orientamento, però, non può essere trasposto alla fattispecie che ci occupa, perché, come abbiamo in precedenza rilevato, non siamo di fronte ad una ipotesi coobbligazione solidale dipendente ex art. 64, D.P.R. n. 600/1973, atteso che la responsabilità dei soci è subordinata a specifici presupposti la cui esistenza deve essere adeguatamente dimostrata dal Fisco. Essendo del tutto improbabile che la cartella di pagamento possa contenere una motivazione così ampia e articolata, si deve dedurre che la tipologia di atto implicitamente evocato dall’art. 36, comma 5, sia l’avviso di accertamento. In questa prospettiva, la citata norma rappresenterebbe una deroga rispetto alla regola generale per la quale si può agire nei confronti del responsabile di imposta con la notifica della mera cartella di pagamento [64]. Appare, peraltro, necessario che l’avviso di accertamento al socio contenga una motivazione “allargata”, includendo, oltre la destinazione del patrimonio ai soci, le ragioni giuridiche e i presupposti di fatto che giustificano la rettifica del reddito della società estinta [65]. Ciò in quanto il socio può esercitare il suo diritto di difesa contestando non solo la sussistenza dei fatti fonte della sua [continua ..]


6.2. L’azione sui soci presuppone la definitività dell’avviso di accertamento societario?

Un secondo problema è rappresentato dal fatto che, per agire nei confronti dei soci, non è chiaro se occorra o meno attendere che l’atto di accertamento societario divenga definitivo. Potrebbe sostenersi che il concetto di “imposte dovute”, cui fa riferimento l’art. 36, D.P.R. n. 602/73, evochi esclusivamente le imposte accertate in via definitiva [68] e quindi che la notifica dell’atto impositivo al socio venga differita al momento della definitività dell’avviso di accertamento societario [69]. Questa argomentazione, però, mal si concilia con la circostanza che anche le imposte che i contribuenti devono versare in via provvisoria, cioè sulla base di atti impositivi oggetto di impugnazione, rappresentino imposte dovute. Peraltro, bisogna considerare che il Fisco, a differenza del creditore comune, deve svolgere l’azione entro determinati termini di decadenza, e ciò potrebbe comportare, qualora si dovesse attendere la definitività dell’accertamento societario, un’irrimediabile perdita della possibilità di agire sui soci. Allo stato, peraltro, questa sembra la tesi accolta dalla giurisprudenza, la quale addirittura – come rilevato in precedenza – ritiene possibile notificare l’atto ai soci, o anche ad uno di essi, anche qualora non abbiano percepito somme in base al bilancio di liquidazione e nella prospettiva che possano emergere beni non inclusi nel bilancio o comunque sopravvenienze attive su cui espletare l’azione esecutiva [70]. D’altra parte, ove così non fosse, attendere la definitività dell’accertamento prima di agire nei confronti dei soci, significherebbe mantenere la soggezione di questi ultimi al potere del Fisco per un tempo eccessivamente dilatato, rendendo più gravoso l’esercizio del diritto di difesa e in generale rendendo vivo per un tempo irragionevole il rapporto tra società estinte ed ex soci. Ed allora, la soluzione più equilibrata sembra quella di ritenere che il Fisco possa notificare l’atto con cui per far valere la responsabilità dei soci anche in presenza di accertamenti societari non definitivi e previa dimostrazione che i medesimi abbiano ricevuto beni e denaro nel periodo di osservazione indicato dalla legge. In ogni caso, pur in presenza di atti societari definitivi, una interpretazione costituzionalmente [continua ..]


6.3. Quali termini per la notifica dell’atto con cui si fa valere la responsabilità dei soci?

Un terzo problema è rappresentato dall’incertezza circa l’individuazione dei termini per la notifica dell’atto con il quale si fa valere la responsabilità dei soci, su cui si registra l’assenza di indicazioni normative. Potrebbe ipotizzarsi l’applicazione della prescrizione ordinaria decorrente dalla emersione del fatto fonte della responsabilità, valorizzando così la sua natura civilistica, ovvero l’applicazione della più ristretta decadenza, focalizzando le regole procedimentali di attuazione che sono tipicamente tributarie. Invero, quale che sia la natura della responsabilità prevista dall’art. 36, è indiscusso che se il Fisco possa farla valere applicando il procedimento tributario, beneficiando degli incisivi poteri disciplinati nel medesimo D.P.R. n. 602/1973, è indispensabile contenere la possibilità di esercizio dell’azione entro ristretti di decadenza [71]. Una volta asserito che l’azione di responsabilità sui soci debba espletarsi entro i termini ordinari di decadenza dell’attività di accertamento, cioè il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, occorre individuare il dies a quo per la decorrenza. Una corrente di pensiero rileva che la questione vada necessariamente risolta avendo a riferimento la presentazione della dichiarazione della società relativa al periodo in cui si è riscontrata la violazione tributaria, posto che la successione del socio riguarderebbe anche la posizione procedimentale [72]. Atteso che il Fisco interviene per rettificare le dichiarazioni quasi a ridosso dei termini di decadenza, ciò comporterebbe che si dovrebbe praticare necessariamente una notifica quasi contestuale dell’atto impositivo alla società ex art. 28, D.Lgs. n. 174/2015, e dell’avviso di accertamento ex art. 36, comma 5, al socio, e ciò induce a soprassedere all’onere di dimostrare che il socio abbia percepito somme in sede di liquidazione. D’altra parte, è sostenibile che il dies a quo per il decorso del termine di decadenza debba ricondursi non alla presentazione della dichiarazione della società per il periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione, ma alla presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta in cui il socio ha beneficiato [continua ..]


6.4. La responsabilità dei soci intra vires è per l’intero o pro quota?

Un quarto problema è se la responsabilità dei soci sia da ripartire pro quota o riguardi l’intero importo del debito tributario nei limiti della capienza data dal valore dei beni ricevuti in assegnazione dal singolo socio. Tale profilo è oggetto di discussione tra gli studiosi di diritto commerciale ove vengono prospettate diverse conclusioni [74]. Per ciò che concerne i rapporti tributari, non siamo di fronte ad una ipotesi di solidarietà tra i soci, né paritetica né dipendente, perché, tra l’altro, i casi di obbligazioni solidale nel comparto tributario sono espressamente previsti dalla legge e non possono ricavarsi in via interpretativa. La responsabilità dei soci determina una obbligazione parziaria facente capo ad essi e collegata a presupposti specifici (la percezione di somme in sede di liquidazione), ma caratterizzata a monte da un tratto comune, cioè il debito tributario della società. Vi sono, quindi, tante obbligazioni di importo differente, ma unificate dall’elemento comune del debito societario. La valorizzazione del tratto comune delle obbligazioni dei soci consente di sostenere che il Fisco non debba coinvolgere tutti i soci pro quota, cioè frazionando l’importo complessivamente dovuto da loro sulla base della singola percentuale di partecipazione al riparto, ma possa agire nei confronti di un socio per l’intero debito societario, nei limiti, però, della capienza delle somme e dei beni ricevuti in assegnazione [75]. Anche l’interpretazione dell’art. 36 alla luce del principio di economia procedimentale depone a favore di questa conclusione. Se si dovesse espletare l’azione nei confronti di tutti i numerosi soci di una società di capitali, si potrebbero creare, peraltro, delle criticità sul fronte processuale in punto di coerenza dei giudicati. D’altra parte, però, pur non trattandosi di un’obbligazione solidale, occorre riconoscere il diritto di regresso del socio adempiente alla richiesta del­l’Ufficio impositore rispetto agli altri non destinatari della pretesa fiscale, altrimenti verrebbero irrimediabilmente alterate le regole di riparto del rischio di impresa secondo le quote di partecipazione al capitale. Così come tutti i soci hanno beneficiato, in base alle percentuali di partecipazione al capitale, della ripartizione del saldo [continua ..]


6.5. La responsabilità dei soci si estende alle sanzioni amministrative irrogate alla società?

Non del tutto scontata è, infine, la tesi della esclusione della responsabilità dei soci intra vires per ciò che attiene al credito sanzionatorio vantato nei confronti della società estinta. Innanzitutto, va rilevato che la formulazione dell’art. 36 utilizza l’espres­sione “imposte dovute”, lasciando intendere un’esclusione della responsabilità per ciò che riguarda la pretesa sanzionatoria. Non si tratta, tuttavia, di un argomento tranchant, in quanto di contro è sostenibile che l’intenzione perseguita del legislatore tributario in sede di confezionamento della norma sia stata quella di tutelare la riscossione del “debito tributario” facente capo alla società estinta, senza escludere il credito sanzionatorio, o che comunque que­st’ultimo potrebbe essere riscosso in capo ai soci invocando la responsabilità ex art. 2495 c.c. Prescindendo dall’esegesi dell’art. 36 e dall’applicabilità dell’art. 2495 c.c., la questione circa la possibilità di estendere ai soci anche la responsabilità per il credito sanzionatorio può essere risolta sul piano generale muovendo dal fatto che il modello sanzionatorio amministrativo risultante dalla riforma del 1997 è di tipo personalistico/afflittivo, caratterizzato cioè dal fatto di rivolgere la reazione sanzionatoria nei confronti dell’autore materiale della violazione che versi in una situazione di imputabilità e colpevolezza [76]. L’adozione del principio personalistico/afflittivo ha imposto l’introduzione della regola della non trasmissibilità della sanzione agli eredi, in quanto non possono trasferirsi ai successori le situazioni giuridiche di carattere personale, tra cui rientrano appunto le sanzioni di natura afflittiva (art. 8, D.Lgs. n. 472/1997). Se si ritiene che la regola della non trasmissibilità della sanzione sia applicabile oltre alla successione mortis causa, anche ad ipotesi similari in cui il soggetto che si estingue sia una persona giuridica, è evidente che la pretesa sanzionatoria del Fisco non possa essere esercitata nei confronti dei soci, i quali, pur avendo beneficiato del vantaggio economico collegato alla violazione fiscale e consistente nella percezione di una maggiore quota del patrimonio finale dell’ente, sono estranei rispetto agli illeciti [continua ..]


7. Conclusioni

Sulla base di quanto esposto, si può osservare che, nonostante l’intervento del legislatore nel 2014, il problema della riscossione delle imposte evase dalle società estine non risulta affatto risolto. Pur se si è superata la questione della validità ed efficacia dell’avviso di accertamento intestato e notificato alla società estinta, permangono, invero, molte criticità sul fronte della successiva fase della responsabilità dei soci ex art. 36 D.P.R. n. 602/1973; criticità che potrebbero impedire una concreta realizzazione dell’interesse erariale alla riscossione dei tributi. I dubbi sulla tipologia di atto da notificare al socio, sulla latitudine della sua motivazione, sui termini di notifica, sulla responsabilità pro quota o per l’in­tero e sull’inclusione della componente sanzionatoria della pretesa fiscale avrebbero meritato una maggiore attenzione nel contesto di un intervento mirato a razionalizzare e semplificare l’attività di accertamento (appunto il D.Lgs. n. 175/2014). In ogni caso, può sostenersi che una soluzione più rapida ed equilibrata poteva essere costituita da un intervento legislativo finalizzato ad estendere l’applicazione alle società estinte dell’art. 65 del D.P.R. n. 600/1973, consentendo di notificare gli atti intestati alla società estinta impersonalmente e collettivamente ai soci. Rileva ancora la possibilità di prevedere in caso di estinzione della società l’intestazione e la notifica dell’atto di accertamento societario direttamente al socio, da motivare anche con riferimento ai presupposti della sua responsabilità, saltando quindi il “passaggio” sulla società estinta [87]. Non si sarebbe intaccato il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, mantenendo identici sul piano civilistico e tributario gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese. In definitiva, la riscossione delle imposte evase dalle società estinte resta prevalentemente affidata all’adempimento spontaneo da parte dei soci della società “fisiologicamente” liquidate a seguito della notifica dell’atto impositivo ex art. 28 e senza attendere la notifica dell’avviso di accertamento con cui si fa valere la loro responsabilità ex art. 36. Ben poco, [continua ..]


NOTE