Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2280-1332 / EISSN 2421-6801
G. Giappichelli Editore

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Processo tributario e controversie in materia di transfer pricing (di Antonio Marinello)


Il presente lavoro è dedicato alle relazioni che intercorrono tra la disciplina italiana in materia di transfer pricing e il processo tributario. Stante anche l’estrema complessità tecnica che caratterizza la materia, infatti, le rettifiche relative ai prezzi di trasferimento sfociano sempre più di frequente in contenziosi innanzi agli organi della giustizia tributaria, con riflessi che interessano diversi aspetti del processo. Tra questi, nelle controversie aventi ad oggetto la determinazione dei prezzi di trasferimento, assumono un particolare rilievo: il tema dell’istruzione probatoria e dei poteri del giudice tributario; la questione relativa alla ripartizione dell’onere della prova nella dialettica del giudizio sul fatto; la possibile interferenza delle procedure amichevoli di risoluzione delle controversie fiscali internazionali con il contenzioso interno, e la conseguente necessità di coordinare le due fasi attraverso l’istituto della sospensione del processo.

Parole chiave: prezzi di trasferimento, istruzione probatoria e poteri del giudice tributario, onere della prova nel processo tributario, procedure amichevoli di risoluzione delle controversie fiscali internazionali, sospensione del processo tributario.

Tax trial and transfer pricing disputes

This paper is dedicated to the relationships between the Italian regulation on transfer pricing and the tax trial. Also given the extreme technical complexity of the matter, in fact, the adjustments relating to transfer pricing increasingly lead to disputes before tax courts, with repercussions that affect various aspects of the trial. Among these, in disputes concerning the determination of transfer pricing, the following assume particular importance: the issue of evidence-taking procedure and the powers of the tax judge; the question relating to the burden of proof in the dialectic of the judgment on the fact; the possible interference of mutual agreement procedures for the settlement of international tax disputes with domestic tax litigation, and the consequent need to coordinate the two phases through the suspension of the tax trial.

Keywords: transfer pricing, evidence-taking procedure and powers of the tax judge, burden of proof in the tax trial, mutual agreement procedures for international tax disputes, suspension of the tax trial.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. L’istruzione probatoria e i poteri del giudice tributario nelle controversie in materia di transfer pricing: la consulenza tecnica e gli elementi conoscitivi di “particolare complessità” - 3. La ripartizione dell’onere della prova nelle controversie in materia di transfer pricing: lineamenti generali - 4. La ripartizione dell’onus probandi in base al criterio della “vicinanza”, o della “disponibilità” della prova: sviluppi giurisprudenziali e considerazioni critiche - 5. Le “nuove” regole sull’onere della prova nel processo tributario e il possibile impatto sulle controversie in materia di transfer pricing - 6. Mutual agreement procedures (MAP) e contenzioso tributario interno in materia di transfer pricing - 7. Mutual agreement procedures (MAP), sanzioni amministrative e fattispecie di rilevanza penale - 8. Mutual agreement procedures (MAP), sospensione del giudizio tributario ex art. 39, D.Lgs. n. 546/1992: osservazioni conclusive sul raccordo tra procedure amichevoli e contenzioso interno - NOTE


1. Introduzione

Oltre a rappresentare una delle variabili fiscali di maggiore rilievo nella gestione dei gruppi di imprese a dimensione multinazionale, il transfer pricing costituisce da tempo un’area di costante confronto dialettico tra Amministrazioni finanziarie e contribuenti. Temi particolarmente dibattuti nei procedimenti relativi ai prezzi di trasferimento sono, emblematicamente, quelli relativi all’oggetto e all’onere della prova, oltre che agli obblighi di documentazione a cui le imprese multinazionali devono conformarsi, laddove previsti, a supporto dei prezzi di trasferimento applicati nelle transazioni con imprese associate. Per ciò che attiene ai profili sostanziali [1], come noto, la normativa italiana in tema di prezzi di trasferimento è attualmente condensata nell’art. 110, comma 7 del TUIR ed è stata oggetto di importanti revisioni negli ultimi anni, dapprima con modifiche normative, avvenute ad opera dell’art. 59, comma 1, del D.L. n. 50/2017, poi con provvedimenti attuativi, tra cui il D.M. 14 maggio 2018 [2]. Nel presente lavoro, l’attenzione sarà però rivolta essenzialmente alle relazioni che intercorrono tra la disciplina italiana in materia di transfer pricing e il processo tributario. Stante anche l’estrema complessità tecnica che caratterizza la materia, infatti, le rettifiche relative ai prezzi di trasferimento sfociano sempre più di frequente in contenziosi innanzi agli organi della giustizia tributaria, con riflessi che interessano diversi aspetti del processo. Tra questi, nelle controversie aventi ad oggetto la determinazione dei prezzi di trasferimento, assumono un particolare rilievo: il tema dell’istru­zione probatoria e dei poteri del giudice tributario; la questione relativa alla ripartizione dell’onere della prova nella dialettica del giudizio sul fatto; la possibile interferenza delle procedure amichevoli di risoluzione delle controversie fiscali internazionali con il contenzioso interno, e la conseguente necessità di coordinare le due fasi attraverso l’istituto della sospensione del processo. Si tratta di temi complessi, che si collocano sullo sfondo di uno scenario mutevole e suggestivo e sui quali si può far luce muovendo anzitutto da un richiamo alle coordinate fondamentali del contenzioso tributario, oltre che da un inquadramento generale dei diversi istituti analizzati.


2. L’istruzione probatoria e i poteri del giudice tributario nelle controversie in materia di transfer pricing: la consulenza tecnica e gli elementi conoscitivi di “particolare complessità”

Per quanto interessa in questa sede, riveste anzitutto un particolare rilievo l’approfondimento della tematica relativa ai poteri istruttori riconosciuti al giudice tributario nel corso del processo. Nelle controversie in materia di transfer pricing, infatti, la complessità tecnica delle questioni discusse si riverbera significativamente su questi profili, tanto che in giurisprudenza sono emersi orientamenti fortemente contrastanti, sui quali ci si soffermerà dopo aver sinteticamente richiamato le coordinate generali delle questioni accennate. Nel contenzioso tributario, giova anzitutto ricordare che la materia delle prove è regolata sia dal D.Lgs. n. 546/1992, sia da disposizioni contenute nel codice di procedura civile [3]. Al riguardo, la norma fondamentale è quella secondo cui il giudice, salvi i casi previsti dalla legge, deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti (art. 115 c.p.c.). La raccolta delle prove è dunque imperniata essenzialmente sul principio dispositivo: il giudice è tenuto a pronunciare la propria decisione sulla base delle prove fornite dalle parti di causa e solo laddove previsto dalla legge la prova può essere assunta direttamente dall’or­gano giudicante [4]. Ai sensi della medesima disposizione codicistica, inoltre, il giudice deve tener conto altresì dei fatti “non specificamente contestati dalle parti costituite”, nel senso che devono ritenersi provati i fatti affermati da una parte e non tempestivamente contestati dalla controparte [5]. I poteri istruttori delle Commissioni tributarie rispecchiano, almeno nominalmente, quelli riconosciuti agli uffici impositori: nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, il giudice tributario può dunque esercitare tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferiti agli enti impositori dalle singole leggi di imposta. Quando, poi, occorra acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, le Commissioni possono richiedere una relazione ad organi tecnici di una pubblica amministrazione, oppure disporre una consulenza tecnica, secondo le regole del codice di procedura civile (art. 7, D.Lgs. n. 546/1992). Quest’ultima disposizione evoca un concetto – l’acquisizione di elementi conoscitivi di particolare complessità – che si attaglia perfettamente alle controversie relative al [continua ..]


3. La ripartizione dell’onere della prova nelle controversie in materia di transfer pricing: lineamenti generali

Per individuare la regola fondamentale che riguarda l’assolvimento dell’o­nere probatorio nell’ambito del processo si deve fare riferimento all’art. 2697 del codice civile, ai sensi del quale “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”. Il tema dell’onere della prova riguarda pertanto il c.d. giudizio sul fatto, in quanto attiene alle regole che guidano la dimostrazione, in via logica o documentale, della sussistenza dei fatti costitutivi, estintivi o modificativi individuati e descritti dalle parti nei propri atti e sui quali il giudice dovrà formare il proprio convincimento [11]. Sol che si rifletta sulla portata sistematica di tale regola fondamentale vengono in evidenza due differenti profili funzionali. Il primo consiste nella ripartizione tra le parti, in rapporto alle rispettive pretese, dell’onere di dimostrare i fatti in giudizio: al fine di godere delle conseguenze favorevoli di una determinata disposizione, in sostanza, la parte che ne ha interesse deve fornire la prova della sussistenza dei presupposti applicativi. La seconda funzione assume invece un rilievo oggettivo, nel senso che si tratta di fissare una regola sul fatto incerto: nel caso di incertezza sull’esistenza o meno dei fatti rilevanti per la decisione, la regola impone al giudice di considerare non vero il fatto che non risulti sufficientemente provato. Nell’ambito del processo tributario, la tematica relativa all’onere della prova – sia nella sua dimensione soggettiva, sia quale regola del fatto incerto – è stata a lungo condizionata dalla cosiddetta presunzione di legittimità dell’atto impositivo. Tale presunzione determinava infatti l’effetto di escludere l’ipo­tesi stessa dell’incertezza in ordine all’esistenza del fatto costitutivo. La presunzione, come noto, è stata superata a partire dalla sentenza della Corte di Cassazione del 23 maggio 1979, n. 2990 [12], con la quale il giudice di legittimità ha chiarito che nel contenzioso fiscale, pur essendo il contribuente a fornire l’impulso per l’instaurazione del processo, è l’ufficio a dover fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa, mentre all’opposto spetterà al soggetto passivo provare la sussistenza dei fatti impeditivi, modificativi ed estintivi della [continua ..]


4. La ripartizione dell’onus probandi in base al criterio della “vicinanza”, o della “disponibilità” della prova: sviluppi giurisprudenziali e considerazioni critiche

Di seguito la Cassazione, mutando ancor più decisamente rotta – ed alleggerendo in tal modo l’onere probatorio gravante sull’Amministrazione finanziaria – ha precisato che la normativa sul transfer pricing è volta a realizzare un duplice obiettivo: per un verso, si tratta di ripartire correttamente la potestà impositiva tra gli Stati coinvolti, su un altro versante di prevenire la doppia imposizione internazionale. In questa prospettiva, allora, l’onere dell’Ammi­nistrazione finanziaria deve intendersi limitato alla dimostrazione dell’esi­stenza di transazioni tra imprese collegate, ma non va oltre questo aspetto, non estendendosi alla dimostrazione dell’eventuale intento elusivo sotteso all’operazione [21]. Per contro, in base al principio di “vicinanza della prova”, il contribuente è tenuto a dimostrare non soltanto l’esistenza e l’inerenza dei costi dedotti, ma anche ogni altro elemento che consenta all’ufficio di ritenere che la transazione sia stata posta in essere in conformità al valore normale [22]. Questo trend giurisprudenziale si è venuto consolidando negli ultimi anni, con la ricorrente affermazione che la prova gravante sull’Amministrazione finanziaria deve riguardare solamente l’esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale [23]. In tale contesto interpretativo, la ripartizione dell’onere della prova avviene pertanto accedendo ad un paradigma flessibile, che tende a valorizzare il criterio della disponibilità, o della vicinanza, del mezzo di prova rispetto alle parti in causa nel singolo caso concreto [24]. Il criterio in questione avrebbe, in particolare, il pregio di contrastare condotte processuali negligenti o inerti delle parti, inducendole ad un comportamento maggiormente collaborativo rispetto all’individuazione della verità e ponendo a carico del soggetto il cui contegno processuale sia scarsamente collaborativo le conseguenze dell’incer­tezza dei fatti controversi. In materia di transfer pricing, l’applicabilità di tale criterio troverebbe altresì riscontro nell’impostazione tradizionale delle Linee Guida dell’OCSE, laddove si afferma che “both the tax administration and the taxpayer should endeavour to make a good faith showing that [continua ..]


5. Le “nuove” regole sull’onere della prova nel processo tributario e il possibile impatto sulle controversie in materia di transfer pricing

In coda a queste considerazioni, occorre infine dar conto del fatto che sulla disciplina dell’onere della prova nel contenzioso fiscale è da ultimo intervenuto il legislatore, in occasione della riforma della giustizia e del processo tributario del 2022 [31]. In dettaglio, l’art. 6 della L. 31 agosto 2022, n. 130 ha inserito nell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 il nuovo comma 5 bis, che così recita: “L’ammi­nistrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”. Per quanto qui interessa, concentrando l’attenzione sul primo periodo della nuova disposizione, la norma non fa altro che cristallizzare la regola generale secondo cui incombe sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare la sussistenza di tutti i fatti sui quali si fonda la pretesa fiscale contenuta nell’atto impugnato [32]. Con immaginabili riflessi su quelle derive giurisprudenziali degli ultimi anni, di cui è dato conto nelle pagine precedenti, che hanno portato ad una scomposizione meccanica delle fattispecie imponibili in elementi positivi ed elementi negativi, addossando al contribuente l’onere della prova in merito alla sussistenza e deducibilità di questi ultimi [33]. In tutti questi casi, il nuovo comma 5 bis sembra andare esattamente nella direzione opposta rispetto allo “spacchettamento” delle fattispecie imponibili ed esprime piuttosto la volontà di concentrare l’onus probandi sulla parte che, in virtù dei poteri investigativi e di indagine che le vengono riconosciuti dalle varie leggi di imposta, vanta ordinariamente una maggiore disponibilità degli elementi di prova. Quali effetti potranno sortire dalla novella legislativa sui contenziosi in materia di transfer pricing, non è facile dirlo a caldo. [continua ..]


6. Mutual agreement procedures (MAP) e contenzioso tributario interno in materia di transfer pricing

Oltre a presentare profili di considerevole complessità tecnica per le parti del rapporto di imposta, gli accertamenti tributari in materia di transfer pricing possono determinare un impatto economico estremamente significativo per le imprese coinvolte, traducendosi in aggravi finanziari a livello consolidato ed in conseguenti incertezze sui bilanci e sui relativi modelli di business. Al riguardo, è evidente come le imprese interessate da tali accertamenti possano avvalersi degli ordinari mezzi di impugnazione previsti dalle legislazioni nazionali, nonché degli eventuali istituti di definizione concordata della lite tributaria. È altrettanto vero, però, che in caso di soccombenza, o comunque in presenza di accordi di tipo transattivo che ridimensionano, ma non annullano la pretesa fiscale, a livello di gruppo permane un elevato rischio di doppia imposizione. In questa prospettiva, gli strumenti internazionali di composizione delle controversie fiscali (Mutual Agreement Procedures, o MAP) possono dunque rappresentare un meccanismo essenziale per ridurre il grado di incertezza che i gruppi riscontrano ex ante, in fase di pianificazione delle strategie economiche ed imprenditoriali, o per riequilibrare ex post il carico fiscale complessivo, quando la doppia imposizione si è già realizzata. In rapida sintesi, prima di analizzare le ricadute procedurali e processuali di questi meccanismi nell’ordinamento tributario italiano, è opportuno ricordare il novero degli strumenti utilizzabili. Si tratta, principalmente, delle cosiddette “MAP convenzionali”, in quanto previste dai trattati bilaterali contro le doppie imposizioni stipulati dall’Italia (il cui riferimento è principalmente rappresentato dall’art. 25 della Convenzione Modello OCSE e dal relativo Commentario); e della Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio 1990 (c.d. “Convenzione Arbitrale”), ratificata in Italia con la L. 22 marzo 1993, n. 99 (c.d. “MAP UE”) [35]. In proposito, si deve peraltro ricordare che la Direttiva UE 2017/1852 del 10 ottobre 2017 è intervenuta con l’espressa finalità di migliorare gli strumenti di risoluzione delle controversie fiscali internazionali e di risolvere, dunque, le questioni controverse che possono comportare fenomeni di doppia imposizione tra Stati membri dell’Unione – tipicamente nel caso di verifiche tributarie in [continua ..]


7. Mutual agreement procedures (MAP), sanzioni amministrative e fattispecie di rilevanza penale

Un aspetto particolarmente critico dell’assetto normativo che caratterizza da sempre le procedure amichevoli di risoluzione delle controversie fiscali internazionali riguarda semmai il fatto che l’ambito oggettivo delle MAP è limitato alle sole imposte oggetto di accertamento. Le procedure amichevoli, dunque, non coprono gli accessori del debito di imposta, ossia essenzialmente gli importi contestati a titolo di interessi e sanzioni, in quanto gli stessi non attengono alla ripartizione della potestà impositiva tra Stati, bensì hanno natura compensativa i primi e punitiva le seconde [45]. Sul punto, il Commentario al Modello di Convenzione OCSE raccomanda che laddove sanzioni ed interessi non siano ricompresi nell’ambito di applicazione della MAP, la normativa interna non dovrebbe prevedere meccanismi penalizzanti tali da sterilizzare l’effetto della procedura esperita con successo. A ciò si aggiunga che nell’ambito del progetto BEPS, l’Action 14 ha affrontato il tema in maniera esplicita, raccomandando che i singoli Stati provvedano ad emanare indicazioni specifiche, ritenendo opportuno affrontare tale aspetto in modo dettagliato nella prossima revisione del Commentario [46]. In tema di sanzioni, invero, il panorama è piuttosto variegato. Se è vero che taluni Stati non prevedono l’irrogazione di misure specifiche correlate alle violazioni in materia di transfer pricing (in quanto rientranti tra le questioni puramente estimative), in altri ordinamenti le sanzioni possono assumere caratteri di notevole severità [47]. Sotto questo profilo, dunque, sussistono differenze profonde tra le situazioni suscettibili di emergere in concreto e le procedure amichevoli – che si tratti di MAP convenzionali o di procedure amichevoli ai sensi della Convenzione Arbitrale – non sono comunque idonee a garantire la completa neutralità fiscale della riallocazione dei profitti tra società del gruppo. Anche su questi aspetti la normativa italiana di recepimento della Direttiva 1852/2017 è intervenuta, sebbene gli esiti di tale intervento non possano dirsi del tutto perspicui. L’art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 49/2020 dispone infatti al primo periodo che “sulle eventuali maggiori imposte dovute a seguito della rideterminazione di cui agli articoli 7, comma 6, e 18, comma 3, si applicano le sanzioni e gli interessi a decorrere [continua ..]


8. Mutual agreement procedures (MAP), sospensione del giudizio tributario ex art. 39, D.Lgs. n. 546/1992: osservazioni conclusive sul raccordo tra procedure amichevoli e contenzioso interno

Come accennato, la Direttiva ha introdotto alcuni significativi elementi di novità, tra i quali la previsione di un ruolo maggiormente attivo del contribuente nell’ambito della procedura, che si manifesta, ad esempio, nel diritto di ricevere notifiche nel corso della stessa, ovvero di fornire informazioni, prove e documenti che possono assumere rilievo ai fini della decisione. Nella medesima direzione vanno altresì taluni aspetti del decreto di attuazione che risultano migliorativi del nostro sistema di regolamentazione della procedura amichevole, in quanto lo rendono maggiormente conforme ai diritti fondamentali dell’Unione Europea, assicurando altresì una maggiore e adeguata partecipazione del contribuente alla fase probatoria e garantendo un ruolo attivo di quest’ultimo al fine di tutelare i propri interessi nel rispetto dell’equità fiscale [50]. Come risulta evidente dall’analisi sin qui condotta, tuttavia, il coordinamento non sempre lineare tra le procedure amichevoli ed il contenzioso interno può far emergere difficoltà pratiche nella gestione contemporanea dei due meccanismi di tutela (in ambito nazionale ed internazionale), con effetti potenzialmente distorsivi sull’efficacia e sugli esiti stessi delle procedure. Sotto questo profilo, dunque, assumono particolare rilevanza le disposizioni che disciplinano la sospensione del processo tributario. Al fine di evitare che in pendenza di una procedura amichevole intervenga una sentenza del giudice nazionale, che ne impedirebbe di fatto la prosecuzione, l’art. 9, comma 1, lett. o), del D.Lgs. n. 156/2015, aveva aggiunto al­l’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992, il comma 1 ter, in forza del quale si prevede tuttora che “il processo tributario è altresì sospeso, su richiesta conforme delle parti, nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni stipulate dall’Italia ovvero nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi della Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/463/CEE del 23 luglio 1990” [51]. L’introduzione di tale disposizione ha inciso profondamente sulla disciplina relativa alla sospensione del giudizio tributario [52]. La precedente formulazione limitava infatti la [continua ..]


NOTE